Edith Cavell

Fucilata, come Mata Hari, e invece era un’infermiera inglese di mezza età, appassionata del suo lavoro e nota per l’impegno a miglio­rarlo. Morta per mano tedesca e subito proclamata martire, fra il 1915 e il 1918 Edith Cavell aleggia in ogni angolo d’Europa, simbolo perfetto dei veri o fantasticati orrori inflitti agli incolpevoli. Ma alle suf­fragiste è cara come donna capace di fare la guerra a modo suo, e al modo di tante altre: senza armi, per salvare le vite.

Al momento dell’invasione del Belgio si trovava a Bruxelles, prima capo-infermiera presso il Berkendael Medical Institute. Con il consenso del comando tedesco, era rimasta in carica nella struttura tra­sformata in ospedale della Croce rossa, a curare feriti amici e nemici. Poi alla fine del terribile 1914 tutto precipita. Mentre le armate inglesi e francesi si ritirano dal Belgio, decine di migliaia di soldati restano sul territorio occupato, tagliati fuori dai loro reparti; e corre voce di esecuzioni sommarie per i catturati. Assertrice convinta dello statuto super partes della Croce Rossa, Edith entra in una rete cospi­rativa, nasconde gli sbandati in clinica, li rifornisce di denaro e carte geografiche, li avvia verso la neutrale Olanda; finché, il 5 agosto 1915, è scoperta e arrestata.

Commozione, appelli, pressioni diplomatiche, ma per le autorità tedesche l’infida vecchia gatta inglese che si è fatta beffe di loro deve pagare. Nel frattempo resterà in carcere, nessun colloquio con il suo avvocato, nessuna visita amica, vietata la consultazione dei documenti istruttori. Alla vigilia del processo (pare) ammette di aver fatto fuggire centotrenta soldati, dando all’accusa l’appiglio giuridico per una richiesta di pena capitale in realtà già decisa come monito ai soc­corritori. I giudici (pare) amerebbero mostrarsi clementi, ma gliene manca il coraggio. Comminata l’11 ottobre, la condanna è eseguita l’indomani, in segreto, forse con vergogna, certo con imbarazzo. All’epoca, c’è chi disse che la prigioniera avrebbe confessato perché sola, confusa, inesperta di cose legali, mal consigliata. C’è chi disse che, cuore semplice, volesse testimoniare il naturale primato della pietas.

Ma la faccia austera sotto i capelli grigi racconta una storia diversa, sicuramente più bella, probabilmente più vicina alla realtà: in cella Edith ha tempo di ricordare. E ricorda le sue battaglie contro le epi­demie di tifo e la miseria dei sobborghi londinesi, gli affanni per i finanziamenti avari, le incomprensioni, gli ostacoli: ricorda anche i successi, i buoni standard che ha saputo promuovere, le brave infer­miere che ha istruito, l’autorevolezza, il ruolo, i tanti lavori ben fatti fino a quell’ultimo, giusto come gli altri, soltanto più complicato. E un certo giorno si trova a spiegare agli inquirenti che ha ragione lei, non in generale sul mondo e sulla vita, ma su quel punto specifico che le si contesta: guerra o non guerra, per la Croce Rossa proteggere i più vulnerabili era un diritto e un dovere, ciechi loro a non vedere questa molto terrena verità.

 

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