Iniziative di quest'anno
Le fonti normative
Controriforme universitarie
Diritto allo studio
Globalizzazione
Storia del collettivo
Coordinamento dei Collettivi Universitari
Comitato Antifascista Enzo De Waure

Link

Newsletter

Scrivici!

HOME

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

PREMESSA

Il Collettivo "Studenti di Giurisprudenza in Lotta", vista la gravità della guerra nei Balcani in corso e per fare chiarezza sulle responsabilità da attribuire a persone o a governi, ha deciso di compilare un opuscolo informativo diretto agli studenti e alle studentesse (e non solo) della facoltà di Giurisprudenza di Napoli per prendere una netta posizione, giuridico-politica, sugli accadimenti che stanno sconvolgendo la Repubblica Federale Jugoslava.

Diciamo subito che questo attacco perpetrato dalla Nato, con la connivenza decisiva e primaria dell’Unione Europea (Ue) in generale e dei governi nazionali (incluso il governo guerrafondaio di D’Alema) in particolare, è per noi del Collettivo un’aggressione vergognosa e senza precedenti contro il popolo serbo e quello kosovaro albanese. Il pretesto della "pulizia etnica" attuata dal regime nazionalista del macellaio Milosevic, ideologo del progetto della "Grande Serbia", è servito alla Nato per ingerirsi negli affari interni di un paese sovrano e per piegarlo a suon di bombe e missili al loro volere e al tempo stesso cogliere l’occasione di mettervi un piede dentro. Come già denunciato dal Collettivo in un volantino diffuso nel mese di aprile, con l’entrata in guerra dell’Italia, il governo interventista D’Alema da una parte violava palesemente gli articoli 11 e 78 della Costituzione, dall’altra creava i presupposti per la presentazione dei costi delle ingenti spese sostenute nella guerra nei Balcani. Un colpo durissimo per l’economia italiana ed europea: in una Europa con 64 milioni di poveri e quasi 20 milioni di disoccupati, questa aggressione non farà altro che aumentare le diseguaglianze economiche e sociali; nel nostro Sud già martoriato dalle dure leggi della precarietà e della flessibilità e dilaniato dalla dilagante disoccupazione (28,7% a Napoli, secondo gli ultimi dati Istat), ciò può significare addirittura un colpo mortale per chi, come noi giovani, sperano in quel cosiddetto "futuro migliore". E proprio per questo che abbiamo chiesto le dimissioni del governo guerrafondaio e interventista di D’Alema, sollecitando Verdi e "Cossuttiani", che cianciano da tempo di andarsene dal governo se non smetteranno i bombardamenti, a mettere in atto gli intenti dichiarati.

Questo opuscolo speriamo chiarirà meglio il senso delle nostre parole.

Napoli, 21/5/99

COLLETTIVO "STUDENTI DI GIURISPRUDENZA IN LOTTA"

 


C’E’ UNA GUERRA IN CORSO!

 

C’è una guerra in corso, ma ricordiamo ancora qual è il vero dramma che rappresenta, il cuore di questo conflitto? Per settimane ci siamo applicati alla ricerca di responsabilità, responsabilità che, tirate le somme, sono state attribuite al governo D’Alema, alla Nato, a Milosevic, e ci siamo lanciati in una critica spietata contro queste figure. Per settimane abbiamo assistito ad immagini ed abbiamo ascoltato racconti che hanno portato l’orrore della guerra nelle nostre case, e la nostra intelligenza ci ha permesso di svelare il tentativo di strumentalizzazione di questi orrori, intrapreso per cercare di giustificare un conflitto, per farci sentire la coscienza tranquilla, per farci vantare di essere prodi paladini salvatori del povero popolo kosovaro. Ma la di là di tutti questi dati di fatto, da non trascurare, perché evidenziamo quanto la pace e la vita possano diventare merce di scambio in un gioco di poteri ed interessi tanto alti quanto meschini, siamo sicuri di non aver perso di vista il vero cuore di questo conflitto, ciò che purtroppo resta immutato, nonostante le opinioni, le critiche e le congetture che si possono formulare? Mi riferisco alla tragedia delle popolazioni civili dei territori direttamente coinvolti nel conflitto, protagonisti involontari di un guerra non voluta ma di cui sono costretti a pagare il prezzo: e la moneta è la morte, la distruzione.

Non ci si riferisce solo al popolo kosovaro, cacciato dalla propria terra, un popolo che per cercare di salvare la propria vita è stato costretto ad intraprendere una lunga marcia, che ha assunto i lugubri connotati di una deportazione. Vittima di questo conflitto è lo stesso popolo serbo, che si cerca di criminalizzare, mostrandolo ai nostro occhi come un branco d’assassini, di fanatici.

Le "bombe intelligenti"? Ma non prendiamoci in giro!

Questi "frutti della moderna tecnologia" per un nonnulla perdono la rotta andando a provocare stragi di civili, e da due mesi ad oggi ce ne sono state giù troppe. I serbi, persone come noi, che però non possono più condurre una vita normale e sono costrette a nascondersi nei rifugi, sotto la continua minaccia delle bombe, che non possono più prendere un treno, per paura che un "errore" li faccia saltare in aria. Protagonisti involontari di una lotta tra padroni che non conosce il rispetto per la vita umana. Questo conflitto è fonte di discussioni e critiche innumerevoli ma il suo cuore si identifica nella tragedia del popolo serbo e del popolo kosovaro: le immagini che possiamo vedere parlano da sole. La fine della guerra è essenziale per ristabilire un equilibrio nella vita di tutti coloro che si sono trovati coinvolti nell’assurda realtà di un mondo in cui il potere continua ad affascinare ed in cui farsi le scarpe l’un l’altro è l’attività preferita; che importa poi, se per farlo centinaia di migliaia di innocenti devono perdere tutto, persino la vita?

 


 

VOCI DALL’ "ALTRA" PARTE (DEL FRONTE)

 

Christopher Hitchens, sul giornale Usa The Nation, ha scritto: "Un movimento pacifista rispettoso dei principi dovrebbe ascoltare gli internazionalisti serbi e chiedere loro cosa ne pensano e cosa si può fare per aiutarli".

Lui stesso cita Srdja Popovic, "paladino dei diritti umani nella ex-Jugoslavia" e avvocato difensore di minoranze etniche, anche albanesi kosovari; e Dusan Makavejev, regista, denunciato come "ebreo" dal governo serbo quando chiese, in passato, che la Nato distruggesse le postazioni serbe che bombardavano Sarajevo. Il primo, riferendosi alle dichiarazioni del portavoce del Pentagono, Kenneth H. Bacon (secondo il quale le "prevedibili" espulsioni di profughi renderebbero possibili bombardamenti più precisi e intensi, dato che "resterebbero solo serbi"), ha detto che Milosevic entrerebbe a far parte di quel gruppo di dittatori, "fondato da Saddam", considerati demoni oggi e alleati strategici domani. Il secondo ha fatto notare che a Rambouillet non è stato invitato nessun democratico serbo, e neanche il presidente montenegrino Milo Djukanovic, che non riconosce da almeno due anni le leggi della Federazione Jugoslava.

Il Collettivo intende qui raccogliere l’invito di Hitchens, pescando dall’attuale marasma mediatico testimonianze "non allineate" .

 

Dragoljub Zarkovic, direttore di Vreme, settimanale di Belgrado simbolo dell’opposizione a Milosevic, scrive per Internazionale che "la Nato è entrata come un elefante in un negozio di porcellana dove già grandinava"; "I Serbi non hanno mai coltivato sentimenti antiamericani, ma considerano una ingiustizia che la Nato si sia schierata coi terroristi dell’UCK, anche quelli che per 10 anni hanno lottato contro Milosevic. Le TV occidentali non registrano gli arruolamenti dell’UCK di 15enni - continua Zarkovic - o il fatto che la Macedonia chiuda i confini per paura degli estremisti albanesi". Michele Gambino, corrispondente da Belgrado per Avvenimenti, riferisce l’opinione di un giornalista Serbo che preferisce restare anonimo: "I Serbi affogano con dignità, ma non affoga Milosevic" che, arricchitosi durante la guerra in Bosnia con i traffici di armi, droga, petrolio, sigarette, liquori, i cui proventi finivano nelle sue banche a Cipro, "finirà per guadagnarci un’altra volta".

 

Biljana Srbljanovic, corrispondente per La Repubblica da Belgrado, che pure ha sempre denunciato con la massima forza Milosevic, scrive: "per colpa della paura giornaliera , le notti passate nei rifugi, il futuro incerto, i bambini invecchiano. Mentre giocano alla guerra, imitando le sirene dell’allarme, saltando i pasti. Sono sempre più quelli che restano senza casa, per i bombardamenti. E li perseguita l’ombra di questo regime che sta rubando loro il futuro. E muoiono anche tanti bambini nei disastri provocati dai missili che sbagliano. E il tempo passa sempre più lentamente e questo orrore non sembra finire più. La responsabilità di partorire una nuova vita in un mondo in cui le vite non valgono più niente, non sono pronta ad assumermela. Oggi sono felice di non avere figli".

 

Luisa Morgantini, pacifista, scrive dalla Serbia per Avvenimenti: "Le città bombardate in nome dei principi umanitari per la democrazia hanno eletto sindaci democratici in opposizione a Milosevic. Si sentono traditi dall’Europa, loro che hanno difeso i cosiddetti valori europei. Non è vero che la popolazione serba è tutta con Milosevic, sono però tutti contro le bombe Nato. Soprattutto i serbi democratici che avevano in questi anni cercato di mettersi in relazione con quegli albanesi kosovari che osavano sfidare non solo la polizia serba, ma anche l’UCK, che voleva impedire il dialogo col "nemico". Nessun aiuto è stato dato a queste forze, dai Paesi Europei".

 

Francesca Longo riferisce, per Avvenimenti, che molti dei 5°mila giovani riservisti serbi che non hanno risposto alla chiamata alle armi sono stati respinti "verso una Slovenia che ha dichiarato che i serbi non troveranno ospitalità nel Paese" dalle questure di frontiera italiane. "Non potevo chiedere asilo politico - racconta un ventenne serbo - perché attraverso le pratiche qualcuno potrebbe risalire ai miei familiari. Io a combattere non ci vado".

 

Paolo Pietrucci, su Avvenimenti, riporta le dichiarazioni dei Rom che sono stati nell’ex-Jugolsavia; Sejdo Seferovic, bosniaco: "ho combattuto un anno contro i serbi quando Sarajevo era assediata. Ho visto troppi morti. La guerra non la voglio più vedere. Non capisco il comportamento della Nato: penso che abbiano interessi enormi, che abbiano voluto questa guerra". Mira Spazic, kossovara: "mia figlia Sonja è dovuta scappare in Serbia, ma non so se è viva. Sono contro la Nato. Gli albanesi sono stati manovrati dalla Nato e dall’Ue. Non è vero quello che si dice dei serbi: miliziani dell’UCK hanno ucciso come macellai mio zio nel giardino di casa".

 


IL GIUDICE CASSESE E IL FILOSOFO BOBBIO VOGLIONO "AGGIUSTARE" IL DIRITTO INTERNAZIONALE

 

Con l’aggressione militare alla Repubblica Federale Jugoslava, si è denunciato da più parti la violazione della carta dell’ONU in particolare e del diritto internazionale in generale. Ebbene c’è chi vorrebbe, a seguito dello scenario di guerra imposto dalla Nato nei Balcani, con il governo guerrafondaio di D’Alema in prima fila, "aggiustare" le attuali regole del diritto internazionale perché superate o, comunque, vetuste. Di conseguenza in futuro qualsiasi intervento militare, fatto dietro le false spoglie del "diritto di ingerenza umanitaria", coniato appositamente dalla Nato per giustificare le aggressioni agli Stati indipendenti e sovrani che sfuggono al loro controllo, sarebbe, quindi, perfettamente legittimo. Teorico di questa tesi paradossale e assurda è un giurista di fama mondiale: il suo nome è Antonio Cassese, già presidente del Tribunale internazionale dell’Aja e attuale presidente di una Camera di prima istanza di detto tribunale. In una intervista all’Unità del 9 aprile egli detta le "cinque regole per una guerra giusta". "L’uso della forza da parte della Nato - afferma Cassese - è contrario alla Carta delle Nazioni Unite, la quale prevede solo due ipotesi di ricorso legittimo all’uso della forza: la legittima difesa, o l’uso della forza su autorizzazione del Consiglio di sicurezza. Nel nostro caso siamo al di fuori di tutte e due le ipotesi". Solo che invece di trarre le dovute conseguenze il giudice conclude la sua tesi con un aberrazione: "questa vicenda dimostra che si sta creando una nuova legittimazione nel diritto internazionale dell’uso della forza". Che tradotto in parole povere: il diritto è stato violato di fatto dalle grandi potenze che dominano il mondo e quindi il diritto è superato, va cambiato! Sarebbe come se un giudice, di fronte a un crimine, anziché condannarlo e perseguirlo a norma di legge si mettesse nei panni del criminale per chiedere l’abrogazione della legge che definisce il crimine. Ma ecco le cinque "regole" sotto le quali diventerebbe legale l’uso della forza a livello internazionale: "violazione dei diritti umani", ripetuti avvertimenti del Consiglio di sicurezza, l’esaurimento di ogni tentativo diplomatico, che l’intervento non sia di un solo Stato ma di un gruppo di Stati, la mancanza di "alternative" all’uso della forza.

Il nostro sconcerto trova un giusto appagamento nelle parole dello studioso del diritto Danilo Zolo che, sempre dalle pagine dell’Unità, risponde così al giudice: "Cassese dovrebbe aggiungere che l’uso della forza da parte della Nato contro la Repubblica Federale Serba, Stato sovrano e membro delle Nazioni Unite, deve essere qualificato come un atto di aggressione. Si tratta in altre parole della più grave lesione del diritto internazionale vigente, contro la quale il Consiglio di sicurezza avrebbe il dovere di intervenire a norma degli articoli 2, 39 e 42 della carta delle Nazioni Unite. E dovrebbe riconoscere, correlativamente, che la resistenza dello Stato serbo è del tutto legittima (anche se non è certo giustificata la spietata ritorsione nei confronti del popolo kosovaro)". "Anzi - aggiunge Zolo - l’aggressione indiscriminata nei confronti di obiettivi militari e civili da parte delle forze della Nato, che ha comportato in più casi l’uccisione di civili innocenti e in un caso una vera e propria strage, è un crimine di guerra che il Tribunale dell’Aja avrebbe la competenza e il dovere di perseguire incriminando i responsabili". Il giurista smaschera le cosiddette "cinque regole per una guerra giusta" teorizzate da Cassese: "prefigurano una sorta di ‘diritto di guerra umanitaria’ che abroga l’intero complesso delle prescrizioni della Carta delle Nazioni Unite relative alla garanzia della pace e attribuisce efficacia normativa e validità universale al ‘fatto compiuto’ dell’aggressione della Nato nei confronti della Federazione Serba. Si potrebbe dire che in tema di teoria delle fonti di diritto internazionale il principio formulato da Cassese è: "ex crimine oritur ius", e cioè dal crimine scaturisce il diritto.

Non contento il giudice in tuta mimetica Cassese rispondeva a Zolo sull’Unità del 18 aprile, definendo la sua replica "una filippica anti-Nato manichea e di sapore veterocomunista", ribadendo nuovamente e con puntigliosità le sue tesi: "Ci si può limitare a dire che si è trattato di una violazione della Carta dell’ONU che deve però rimanere una eccezione? Non è meglio chiedersi se non sussistano nella specie condizioni specifiche che potranno legittimare in futuro un intervento umanitario? Formulando queste condizioni si può inviare un segnale agli Stati: se in futuro, di fronte a catastrofi umanitarie, volete intervenire per proteggere i diritti umani, potete legittimamente farlo solo a queste specifiche e rigorosissime condizioni. Altrimenti continuerete a violare non solo la Carta quale fu redatta nel 1945, ma anche le nuove norme che potranno essersi formate negli ultimi cinque anni, nel quadro della Carta".

A sostenere le tesi filo-Nato di Cassese interviene, sempre sul quotidiano dei DS, il filosofo "liberale" Norberto Bobbio. Il suo intervento poggia sulla discussione della "guerra umanitaria": "la verità è che la guerra per una superpotenza come gli Stati Uniti, che rappresentano ormai un potere senza rivali, non ha bisogno di essere legalmente giustificata. Potremmo dire che il principio di legalità vale per tutti gli Stati tranne gli Stati Uniti. Vale per tutti gli Stati che riconoscono di essere uguali agli altri di fronte al sistema internazionale, ma non vale per gli Stati Uniti che sono, orwellianamente, ‘più uguali degli altri’, e che hanno acquisito una specie di diritto assoluto che li pone totalmente al di fuori dell’ordine internazionale costituito. (....) Non possiamo non dirci, e non essere, filoamericani. Assolutamente non lo possiamo perché gli Stati Uniti hanno guidato e dominato la storia del ventesimo secolo. Fortunatamente per l’Europa, dobbiamo aggiungere. L’hanno guidata e dominata, e ancora la tengono in pugno". Praticamente Bobbio, inventandosi una presunta superiorità a-morale degli Stati Uniti, dettata hegelianamente da una sorta di "necessità storica", riduce la vile aggressione della Nato alla Repubblica Federale Jugoslava alla concezione della legge del più forte (ovvero la pura e semplice enunciazione della legge della Jungla), sufficiente in sé a legalizzare tutte le sue espressioni, compresa la guerra!

Insomma le mostruose e aberranti tesi di Cassese e Bobbio non si possono assolutamente avallare: per il Collettivo "Studenti di Giurisprudenza in Lotta" nessuno Stato o organismo internazionale ha il diritto di intervenire negli affari interni di uno Stato. Le controversie vanno risolte dalle parti interessate, senza alcuna ingerenza esterna, a meno che non sono le stesse parti a richiedere la supervisione di una diplomazia internazionale.

 

 


QUALE DIRITTO?

 

Quando scoppia una guerra tutti parlano di "diritto". Da una parte e dall’altra i belligeranti rivendicano la loro posizione di conformità al diritto e denunciano gli altri come criminali. Sin dall’antichità le guerre si giustificavano vantando presunti diritti di popoli alleati da difendere; in ogni tempo una guerra di pura aggressione è stata considerata un crimen iuris gentium. Anche i nazisti giustificavano la loro brama di conquista col "diritto del popolo ariano allo spazio vitale" e con la difesa delle minoranze tedesche nei paesi aggrediti.

Oggi si parla di diritto all’autodeterminazione dei popoli; i serbi lo richiamano a tutela della loro sovranità territoriale contro l’ingerenza occidentale; i paesi NATO pretendono di farsi difensori dell’autodeterminazione kosovara distruggendo la Yugoslavia ed appoggiando l’UCK. Noi crediamo che sia dovere di ogni onesto giurista demistificare certe ricostruzioni propagandistiche e strumentali; bisogna dire chiaramente che autodeterminazione significa possibilità per i popoli dei Balcani di decidere autonomamente, democraticamente e pacificamente la propria forma di Stato e di Governo. E bisogna con la stessa chiarezza affermare che oggi è il diritto all’autodeterminazione il primo ad essere calpestato da tutte le parti in conflitto. Bisogna avere il coraggio di fronte alle barbarie della guerra di chiedersi dove sia il diritto.

Allora cominciamo col denunciare la gravissima violazione dei diritti umani che il governo nazionalista di Milosevic ha perpetrato per anni ai danni del popolo kosovaro instaurando un regime di segregazione (apartheid) ed arrivando, poi, alla pratica della pulizia etnica. Andando un po’ più indietro scopriamo che alla base c’è la grave compressione del diritto di autodeterminazione che lo stesso Milosevic ha compiuto eliminando il regime di ampia autonomia che era riconosciuto alla regione nella Yugoslavia di Tito.

Dall’altra parte abbiamo un’alleanza politico- militare, composta dai paesi aderenti al patto della NATO, che, nell’intervenire contro la Serbia, ha violato la stessa carta costitutiva in cui era definita come alleanza a carattere meramente difensivo.

Si tratta di un intervento militare, una vera e propria guerra che dura da più di due mesi e che è iniziata senza dichiarazione in piena violazione del Trattato dell’Aja del 1899 e di tutte le convenzioni successive sul diritto di guerra (rispettate persino dai nazisti).

Per di più tutti gli stati in conflitto, compresa l’Italia, fanno parte dell’ONU; ma ciò non ha impedito alla NATO di decidere ed attuare l’intervento per risolvere la questione kosovara in spregio della Carta dell’ONU la quale, al capitolo VI contiene disposizioni dettagliate per la soluzione pacifica delle controversie ed al capo VII dispone le modalità d’intervento contro qualsiasi "minaccia o violazione della pace" che comunque deve essere deciso e gestito dal Consiglio di Sicurezza.

Ma quel che è più grave, ci sembra, è la violazione dell’unica norma che comunemente si ritiene (o si riteneva?) essere "ius cogens" nell’attuale diritto internazionale che è quella contenuta negli articoli 2 comma IV e 51 della Carta ONU che vieta l’uso della forza al di fuori della difesa dei propri confini da attacco armato.

Ci sembra opportuno riportare alcuni brani del libro del professor B.Conforti attualmente adottato nella nostra facoltà come testo base del corso di "Diritto Internazionale": "Il divieto di uso della forza non conosce altra eccezione di quella prevista nell’articolo 51 Carta ONU (appunto la difesa dei confini, n.d.r.)[…]. Vi è addirittura chi sostiene che si possa intervenire con la forza contro Stati che compiono violazioni gravi dei diritti umani nei confronti dei loro stessi cittadini (interventi di umanità) […]. Trattasi di opzioni da respingere in quanto la liceità di simili interventi è sostenuta solo da un gruppo di Stati, precisamente di alcuni Stati Occidentali". "Insomma è veramente auspicabile che si consolidi la tendenza verso un’autotutela collettiva intesa come iniziativa affidata ad un gruppo di Stati, ossia Stati che agiscono in nome della Comunità Internazionale ma che, come tutti sanno, non esenti da atteggiamenti arbitrari e dalla politica dei due pesi e due misure a seconda delle loro alleanze, dei loro interessi strategici, economici, etc…? Nutriamo forti dubbi a riguardo". Questo scriveva Conforti in tempi non sospetti (la citazione è presa dalla V ediz. 1997, pag. 370 e 381) portando come esempi le vicende di ingerenza americana in Nicaragua e Cile e la guerra del Golfo. Non sappiamo se oggi il prof. Conforti avrebbe scritto la stessa cosa; non sappiamo se questa materia è oggetto di domande in sede d’esame; ci limitiamo a rilevare che i nostri docenti, anche quelli di Diritto Internazionale, non hanno ritenuto necessario dare un minimo di spiegazione "giuridica" degli eventi cui assistiamo, nemmeno solo per "aggiornare" il testo di Conforti.

In effetti, i crimini contro l’umanità si susseguono, mentre noi scriviamo, a ritmo incalzante. Abbiamo detto della pulizia etnica, cui si aggiunge la repressione del dissenso interno da parte del Governo Milosevic; ma che dire delle centinaia di morti che finora ha causato il bombardamento NATO fra gli stessi profughi Kosovari? Delle bombe all’uranio impoverito che renderanno impossibili la vita in quelle regioni per molti anni? E della distruzione di obiettivi civili, addirittura della sede diplomatica di uno Stato terzo ( la Cina ) con vittime fra i diplomatici? Hanno detto che si tratta di errori: ma forse ciò ne diminuisce la gravità? Del resto nessuno ha parlato di errori quando è stata colpita la televisione serba sapendo che all’interno c’erano i lavoratori; non certo per errore sono stati colpiti e distrutti obiettivi civili che niente avevano a che vedere col potenziale bellico jugoslavo (13 ospedali, 150 scuole, 39 porti, una raffineria, la fabbrica della Zastava- fonti F.M.I., B.M., NATO, U.E., Sole 24 ore- ). Le vittime civili in Yugoslavia si contano a centinaia; a Belgrado non c’è più luce né acqua; l’economia di un intero paese è distrutta (i danni stimati alle strutture civili ammontano a 216.000 miliardi di lire- fonti F.M.I., B.M.-).

Adesso nemmeno i più impavidi generali o portavoci NATO, nemmeno il più venduto dei giornalisti italiani parla di operazione chirurgica.

Ma restiamo nell’ambito del diritto violato e lasciano a voi le valutazioni politiche. Se il diritto internazionale può sembrare "evanescente" di fronte alla prepotenza dei folli, che dire del diritto italiano saldamente ancorato nella Costituzione o in un articolato sistema giurisdizionale e, nonostante ciò, tranquillamente calpestato. Che dire dell’articolo 11 Cost. del cui primo comma difficilmente si poteva dare un’interpretazione che giustifichi il nostro intervento armato? Che dire dell’art.78 Cost. che richiede una decisione parlamentare per la proclamazione dello stato di guerra? Che dire della violazione dei trattati internazionali di non - proliferazione che dovrebbero impedirci di tenere portaerei con armi nucleari nei nostri mari? Che dire del modo in cui il Governo D’Alema sta impiegando uomini e mezzi, dilapidando la finanza pubblica senza curarsi affatto di interpellare o informare i rappresentanti del popolo (cui spetterebbe la sovranità) che siedono in Parlamento? Se veramente gli uomini ed i partiti che sono al potere pensano che questo intervento sia giusto perché hanno atteso due mesi prima di spiegarlo alle Camere? Perché hanno aderito al nuovo patto atlantico in versione offensiva senza la ratifica parlamentare prevista dall’art. 81 Cost.? Forse perché un’alleanza militare con obiettivi offensivi sarebbe incompatibile con la Costituzione? Certo non ci aspettiamo che la Corte Costituzionale intervenga a mettere ordine; non siamo così ingenui da credere che tutto si risolva in un’aula di tribunale; non basterebbe nemmeno la C.I.G.

Abbiamo solo cercato di guardare un po’ i fatti con occhi di studenti di diritto.


 

 

SULLA GUERRA "GIUSTA E NECESSARIA"

I tragici avvenimenti di questi mesi, riguardanti l’aggressione europea ed americana alla Repubblica Federale di Yugoslavia hanno indotto il nostro collettivo (tradizionalmente impegnato su problematiche strettamente universitarie) a compiere una riflessione sulle origini, sulle condizioni politiche ed economiche del conflitto, definito dai capi di Stato e di Governo dei paesi membri della NATO come "giusto e necessario".

In via preliminare riteniamo necessario fornire delle notizie sul Kosovo.

Il Kosovo (Kosòva secondo la denominazione albanese) è una regione balcanica situata nei confini politici della Repubblica Federale di Yugoslavia, abitata secondo le stime albanesi o i censimenti serbi, non sempre tra loro coincidenti, da circa due milioni di persone (88% albanesi, 7% serbi, 5% musulmani, slavi, turchi e con l’esclusione di quasi 500.000 albanesi- kosovari che nel corso degli anni si sono trasferiti in Svizzera e Germania). La composizione etnica a maggioranza albanese ha comportato la prevalenza della religione islamica su quella cristiano- ortodossa e cristiano- cattolica. Contrariamente a quanto comunemente si pensa, il Kosovo è anche una regione ricca di materie prime e giacimenti da cui si estraggono magnesio, zinco, argento, nichel e piombo; di un certo rilievo è la produzione di energia elettrica esportata anche in altre aree. Ma questa è anche un’area storicamente attraversata da tensioni più o meno striscianti che hanno il "pregio", però, di evidenziare la natura dei conflitti serbo- albanesi, le responsabilità del mondo occidentale nel promuoverli per propri interessi, le colpe delle autorità politiche attuali.

Molte ricostruzioni storiche, a nostro avviso fuorvianti, avanzate da intellettuali interventisti alla ricerca delle origini del nazionalismo serbo, nel tentativo di criminalizzare il popolo serbo, fanno riferimento alla famigerata battaglia della "piana dei merli", combattutasi nel 1389 tra il principe serbo Lazaro ed il sultano ottomano Murat conclusasi con la disfatta dello stato serbo e la penetrazione turca nei Balcani. I serbi hanno sempre reagito in modo particolare a quella storica sconfitta ma oggi essa non può spiegarci l’avversione delle autorità serbe per i kosovari.

Né può farsi riferimento al processo di islamizzazione (prodotto da cinque secoli di dominazione turca) del popolo albanese integrato nelle forze armate ottomane e difensore dei confini dello stesso impero nella guerra d’inizio secolo contro la Serbia, il Montenegro, la Grecia e la Bulgaria, uniti nell’intento di cacciare i turchi dall’Europa. Per alcuni studiosi, infatti, le cause delle tensioni dei giorni nostri risalgono alla prima guerra dei Balcani del 1912- 13, che determinò la sottomissione di centinaia di migliaia di albanesi al dominio serbo.

Per noi, invece, bisogna partire dalla Yugoslavia di Tito in cui si sono sperimentate forme di convivenza sociale e politica non sempre pacifiche. Nel 1945 il Parlamento serbo approva la costituzione di due provincie autonome nell’ambito dello stato serbo, la Voyvodina ed il Kosovo, in base all’esigenza di tutela dei diritti delle minoranze (albanesi, turche, rom, ungheresi) ma con delle differenze: la Voyvodina diviene una provincia autonoma, il Kosovo un territorio autonomo.

Nel 1963, invece, nella nuova Costituzione Federale si riconosce al Kosovo lo status di provincia autonoma, come la Voivodina. Quest’operazione d’ingegneria costituzionale determina l’aumento del numero di rappresentanti kosovari in seno alla Camera delle nazionalità del Parlamento Federale.

Tra il 1966 ed il 1974 si assiste ad un processo di federalizzazione delle strutture statali; la provincia autonoma del Kosovo acquisisce una nuova situazione giuridica, simile a quella di una nuova repubblica: una propria costituzione, un proprio governo, parlamento, magistratura, sistema scolastico nell’ambito della repubblica serba. La Costituzione Federale riconosce il Kosovo come soggetto costitutivo della Repubblica Federale Socialista di Yugoslavia. La presidenza dello Stato, quale organo supremo della Repubblica, viene composta da rappresentanti di ogni Repubblica e delle provincie autonome; non si riconosce, però, il diritto alla secessione.

Possiamo dire che si è assistito ad un processo di assimilazione albanese nella Repubblica Federale senza dimenticare, però, la repressione delle autorità jugoslave (in particolare il ruolo del Ministro degli Interni A. Rankovic) a danno degli albanesi tra il 1944 ed il 1966.

A partire dal 1974, dopo la morte di Tito e il crollo del sistema socialista o pseudo- socialista, emerge il ruolo dei paesi occidentali, delle sue strutture sovranazionali (F.M.I.) nel processo di sfaldamento del suddetto sistema, ruolo che si manifesta nell’appoggio diretto o indiretto ai vari nazionalismi nascenti (un po’ come avviene oggi ed indirettamente col bombardamento. Infatti, quando nel 1987 Milosevic prende il potere ,inizia la campagna di criminalizzazione albanese (albanizzazione del Kosovo- patria responsabile del genocidio serbo) che si conclude con l’abrogazione nel 1989 dell’autonomia del Kosovo con relative repressioni, nessuno stato occidentale reagisce: non un commento di denuncia né un’azione umanitaria per gli albanesi (forse Milosevic non era ancora Hitler!).

Nel 1991 si instaura un vero e proprio regime di apartheid: licenziamenti collettivi di albanesi nelle pubbliche amministrazioni ( sanità, uffici pubblici), introduzione autoritaria dei programmi d’insegnamento serbi nelle scuole ed università, controllo totale dei mezzi d’informazione ed applicazione sistematica della censura. Ma l’Occidente "civile" tace o meglio rafforza i suoi legami economici nei Balcani.

E allora, quale connotazione umanitaria, etica, può avere l’intervento NATO? Possono gli USA, l’UE definirsi paladini dei diritti umani allorquando, dopo due mesi di guerra, costringono 6-700.000 kosovari, in fuga da pulizia etnica e bombe intelligenti, al vagabondaggio fra campi di accoglienza non attrezzati, soggiorni forzati in stati "amici" o peggio ancora li costringono a percorrere le montagne del Car