MOTO-RAID DELLA FESTA DELLA REPUBBLICA

 

Introduzione:

Il ponte più lungo!

No, non si tratta di quello pur mirabile e avveniristico sullo stretto di Messina, ma del prosaico e atteso 2 giugno 2005 (festa della Repubblica, per chi non se lo ricordasse, 2 giungo 1946), un giovedì-venerdì-sabato-domenica imperdibile per i forzati del lavoro e delle gite fuori porta.

Tra lo scetticismo di amici e parenti, parto, da solo, per un tour della Toscana e dell’Umbria. Non originale è la meta, ma spero di averla arricchita mettendoci del mio.

Mi sento, inoltre, assolutamente a posto con la coscienza patriottica: parto dalla regione attraversata dal fiume Piave, sacro alla patria, visito la regione che ha dato i natali alla lingua italiana, visito la regione che ha dato i natali al Santo Patrono italiano, attraverso la regione che ha dato i natali al tricolore italiano, soggiorno nella regione che ha dato i natali…boh, la Liguria avrà dato i natali a qualcuno o a qualcosa.

 

I nudi dati:

q       Mezzo meccanico: BMW F650GS Dakar del 2000, bianco e nero (più polvere e sporco, alla fine). È in mio possesso da aprile 2005. Ha fornito buona prova di sé. In autostrada è un po’ stancante, ma per il resto va ovunque e si destreggia con onore sia nel misto che nell’off-road.

q       Partenza: giovedì 02 giugno da Verona.

q       Arrivo: domenica 05 giugno a Verona (per forza).

q       Tragitto: Verona – Bologna – Firenze (dintorni) – Siena – Cortona – Assisi – Firenze – Porto Venere – Reggio nell’Emilia – Verona (un 8, a pensarci bene)

q       Chilometri percorsi: 1606, ripartiti in 400 di autostrada, 250 di drittoni in pianura padana, 30 di sterrato (è poco, lo so) e il resto (950 circa) curve. Considerando una media (del tutto prudente) di 10 curve al chilometro, ho percorso circa 10000 curve in quattro giorni. Fa impressione, a scriverlo.

q       Dotazioni motociclistiche: borsa Touratech da serbatoio, bauletto Givi (non ridete), attrezzi, cerata per i bagagli, tuta da pioggia.

q       Dotazioni extra motociclistiche: tenda e vestiario.

q       Cartina stradale: De Agostini 1:200,000. Molto dettagliata per le strade, che ci sono proprio tutte. Le informazioni turistiche latitano oppure sono discutibili.

q       Spesa totale (all-inclusive): 200€ circa, di cui 90€ di benzina.


Il viaggio:

02 giugno 2005, orientering in pianura padana e curve, tante curve.

A parte i preparativi, che, una volta tanto, ho anticipato la sera precedente (cosa che non mi capita nemmeno se devo andare in capo al mondo), dato che è la primissima mia volta di un viaggio in moto (non voglio considerare due tour in motorino su e giù per l’Italia risalenti ad una decina d’anni fa), sono leggermente teso. Avrò portato tutto? La tenda, legata sulla sella, non mi volerà via? Ecc…ecc…

Decido di dare un senso alla noiosissima pianura padana, con il tedio del suo piattume e del suo climaccio orrendo, transitando per strade statali e per vie secondarie: con la cartina cerco di raggiungere Crevalcore e S. Giovanni in Persiceto seguendo un itinerario improvvisato e campagnolo. Anche a volermi vantare, non è stata un’impresa d’orientamento eccezionale, ma tant’è.

Come motociclista, poi, non ho incontrato che tre o quattro curve fino a Bologna.

In ogni caso, Bologna è raggiunta…e, come si sa, “nel centro di Bologna non si perde neanche un bambino”, e, infatti, non mi sono perso neanch’io.

Inizio le prime curve del passo della Raticosa (come sarebbe più corretto chiamarlo da questo versante), ovvero della Futa, ss65. Paesini fino a Pianoro, dove vedo parcheggiata qualche decina di moto. Da lì, fin sulle cime, una sequenza entusiasmante di tornanti, ma soprattutto di esse, di curve e controcurve in cui la moto trasferisce il peso da una parte all’altra rapida come il vento. Io, con il mio bagaglio, parto circospetto, poi prendo confidenza e riesco anche a tenere dietro qualcuno, che non sia un CBR o un Ninja. Arrivo sul passo, e come mi immaginavo, ci sono più moto che fili d’erba.

Ci sono, praticamente, solo italiani.

Mi faccio il meritato panozzo, ci aggiungo una birra e riparto verso Firenze.

Anche in discesa, verso Firenze, la strada è molto bella.

Dopo l’autodromo del Mugello, a Vaglia, giro a sinistra per Bivigliano e visito la prima abbazia di una lunga serie: quella del monte Senario (come i versi di sei sillabe). Lì, sostiene un cartello, c’è la più ampia e bella panoramica della Toscana. Campanilismo sfrenato! Tra Vaglia e Bivigliano, c’è un cartello che indica “6 tornanti”, ed effettivamente 6 sono: solamente così stretti, ripidi e ravvicinati che mi sembra di rifare la prova dell’8 all’esame della patente!

A Ponteassieve prendo per Valdarno, poi su, a destra, per le colline del Chianti.

Mi riposo all’abbazia di San Qualcosa, disteso sull’erba a godermi il panorama (ed è già più bello di quello del monte Senario), dopo aver mangiato un buon panino e bevuto una birra media (sono a dieta stretta!).

Non ho incontrato neanche una moto dal monte Senario fino a qui.

Da Gaiole in Chianti a Montaperti, la strada e il paesaggio sono entusiasmanti a dir poco. Si corre solitari in mezzo ai boschi, o sulla sommità di colli da cui dominare il panorama.

Arrivo a Siena verso le sei di sera, pianto la tenda subito (minaccia di piovere), mangio, con una birra.

Sono quasi l’unico italiano, ci sono solo tedeschi e inglesi (oh, my God, the Chiantishire is truly lovely).

Sono, però, l’unico italiano in moto e tenda, gli altri presenti al campeggio sono solo tedeschi. Tutte BMW e una Ducati anni 80.

Faccio un salto in centro città.

Il duomo di Siena è una delle costruzioni più affascinanti che esistano: rimango ad ammirarlo per mezz’ora o forse più. Siena tutta è fuori del comune. Soprattutto speciale è, secondo me, il “torso” di duomo che rimane incompiuto: la costruzione era stata pensata molto più colossale, tanto che l’attuale chiesa ne era solo il transetto. Qualche arco di navata e la facciata ricordano le dimensioni del progetto originale. Ammirevole è l’idea di lasciarli dentro la città.

Torno nella mia casetta di tela, stanco ma felice, e mi addormento.

Oggi ho percorso 450 chilometri, alla media di circa 60 all’ora.

 


03 giugno 2005, se vanno bene per una bici, vanno bene anche per un enduro.

Al campeggio ho raccattato un opuscolo che spiega i più bei itinerari delle terre di Siena, da fare in bici. “Se vanno bene per le bici, vanno bene anche per le moto da enduro”, e così sarà.

Dalla città raggiungo Sovicille, giro a destra e mi inerpico per le strade della Montagnola. Fortunatamente, ad un certo punto, la strada perde l’asfalto e diventa sterrata: non una mulattiera bastarda, ma una tranquilla strada bianca. M’involo (si fa per dire) guidando in piedi come alla Parigi Dakar e mi godo un mondo la guida e i boschi freschissimi e profumati.

Così lanciato arrivo in una località, Pentolina, ma lì mi fermo e torno indietro: il proseguo, che mi tornerebbe molto utile per raggiungere San Galgano, è una maledetta strada privata e sbarrata. Ritorno sui miei passi. Non ho incontrato nessuna moto.

San Galgano: uno dei miei luoghi preferiti. La chiesa, splendidamente romanica-gotica, di dimensioni ragguardevoli, è senza tetto! Alzi lo sguardo e vedi il cielo, vedi le rondini che volano ed entrano ed escono dal rosone e dalle finestre! Che magìa. Guardi per terra e il pavimento è un prato verde.

Mai la Chiesa è stata così vicina alla natura!!

L’eremo, infine, ha una particolarità che mi lascia sempre stupito: è stato costruito attorno ad una spada infilata nella roccia. Ora, io provengo da studi tecnici (ingegneria), ma sono abbastanza superstizioso da rimanere stupito di fronte a tanto e non ho mai cercato o voluto scoprire cosa ci sta dietro.

Trovo, qui, qualche classico tedesco Gs-dotato. Invidio le loro borse laterali, che non ho ancora acquistato. Mi sto arrangiando con un not-Adventure bauletto Givi. Il mio aspetto Adventure è devoluto, a parte la tenda legata con le corde elastiche, allo zainetto da serbatoio della Touratech, veramente robusto, capiente, pratico e bello.

Abbandono S. Galgano e lungo il fiume Merse imbocco ancora una stradina bianca in mezzo ai boschi, poi mi dirigo verso Montieri. Di notevole, una formazione rocciosa di colore purpureo, conformata come una serie di onde in un mare in tempesta. La guida per bici sostiene che, seguendo una strada asfaltata fino al Poggio di Montieri, si arriva a vedere l’arcipelago toscano. Urca!

Comincio a salire, incrocio un 1100GS che scende, ma gli ultimi due chilometri non sono affatto asfaltati, anzi sono schifosamente ricoperti di buche e con qualche patema, data la pendenza, raggiungo la vetta. Delusione: la troppa foschia impedisce di vedere alcunché. Torno giù, passo da Ciciano, il paese della “palla, eh!” (sic!), e arrivo a Chiusdino. È un paesetto medievale incantevole.

Mangio in una trattoria, o forse a casa di qualcuno, dato l’arredamento e il servizio. In compenso la carne è eccellente e il prezzo a dir poco politico.

Torno a San Galgano, grato alla guida per mountain bike e ai suoi suggerimenti, soprattutto quello su Chiusdino.

L’idea è di dirigersi all’abbazia di S. Antimo, che non ho mai visitato. Per raggiungerla da Sud, imbocco di nuovo uno sterrato da S. Angelo in Colle a Castelnuovo dell’Abate. Qui, francamente, rimango un po’ deluso: la strada è bella e larga e si potrebbe fare ad andatura spedita, ma ad ogni curva mi trovo un camion o una macchina che mi vengono incontro.

Per essere una stradina di campagna è trafficata di molto.

S. Antimo, però, ripaga di tutto: è straordinariamente bella (lo stile è cistercense), immersa in una valletta tipicamente e toscanamente seducente. Il secondo capitello sulla destra, entrando, rappresenta con una vivezza incredibile, in basso rilievo, San Daniele nella fossa dei leoni. Strepitoso.

Sono, di nuovo, l’unico motociclista, al mio arrivo. Poi un altro arriva mentre me ne sto andando.

Lascio S. Antimo, pensando di tornarci con una biondina su cui far colpo, e mi dirigo a Montalcino, che abbandono subito (troppo caos), quindi da S. Quirico vado a Pienza, la città dell’utopia.

A me ricorderà, in eterno, un 3 affibbiato dalla prof. di Storia dell’Arte ad un mio compagno di classe del liceo: interrogato su Pienza (“Parlami di Pienza”, la sibillina domanda), affermò, egli, essere Pienza un pittore. La prof. disse di no. Affermò, egli, essere Pienza uno scultore. La prof. disse di nuovo no. Affermò, egli, essere Pienza un architetto. La prof. disse ancora di no, e poi disse 3. Non era cattiva, in realtà, ma solo un po’ frustrata, perché nessuno studiava la sua materia e nessun uomo, ad occhio, gradiva la sua compagnia.

Pienza è una cittadina rinascimentale, dove il 3 giugno piove sulle mille moto che la raggiungono, mentre tutto attorno è sole.

Bevo una birra, e poi vado.

Per stradine secondarie, e in parte sterrate dalle parti di Montisi, ma sempre entusiasmanti sia come motociclista che come turista, solitario, raggiungo l’abbazia di Monte Uliveto Maggiore, vicino ad Asciano...quando sono lì, mi ricordo di esserci già stato.

Torno in campeggio, e sono le nove di sera passate. Sono anche distrutto, a dirla tutta. Vado direttamente a letto senza mangiare, né bere una birra. I motard tedeschi sono partiti, altri, con Honda e Yahama stradali, sono arrivati.

Oggi ho percorso 250km. Il totale è 700.


04 giugno 2005, da Siena ad Assisi la via più breve è l’arabesco.

Lascio Siena di buon mattino (alle 9.30, in realtà) e attraverso le Crete arrivo a Bettole, dove c’è il collegamento tra l’autostrada A1 e la Perugia-Siena.

La prima parte del viaggio è quanto di meglio per un motard: sempre in cresta si dominano, a destra e a sinistra, panorami dolci e lande coltivate con amore, senso della geometria e del colore. Che spettacolo!!!!!!!

Da Bettolle arrivo a Cortona, sempre per viuzze di campagna, mettendo alla prova il mio orientamento.

Cortona è affollatissima di turisti e motociclisti. Sembra un concessionario BMW, in cui sia appena arrivato un TIR carico di 1200GS. La piazza principale, diversamente da molti altri borghi medievali, è molto in basso. Si raggiunge la sommità del paese per mezzo di vie alquanto ripide. Notevolissima la chiesa di S. Nicola, in alto: la pace vi regna indisturbata.

Da Cortona la vista sul paesaggio è pazzesca, con il lago Trasimeno vicino.

Cammino un po’, mangio un panino con la porchetta (speravo fosse più buona), bevo una birra (toh!), visito il mercato. Mi compro anche un lubrificante per catena, giacché è impolverata ed ha sulle maglie 800km.

Da Cortona raggiungo Assisi, e anche qui mi entusiasmo per una strada collinare tutta curve e saliscendi: anche qui non incontro nessuno, né in moto né in macchina. La direzione da prendere, da Cortona, è: Lisciano-Mercatale-Val di Rosa. Si sbuca proprio sopra il Lago Trasimeno: una pausa per ammirare il lago è d’obbligo.

Nell’arrivare ad Assisi, mi distraggo un po’ è faccio il lungo lago per troppo tempo, così sono costretto a risalire: poi baro e prendo la superstrada che collega Perugia alla città del Patrono.

Ad Assisi ho il mio pellegrinaggio prestabilito, che non posso mancare per nessun motivo: Porziuncola, Eremo delle Carceri, Basilica con gli affreschi di Giotto, Tomba del Santo (dove mi fermo a pregare), Santa Chiara e San Damiano.

La città della pace, dell’incontro tra i popoli, questa volta (è la quinta che la visito), ha una connotazione marcatamente cattolica, molto più che in passato: su tutto, campeggiano tristemente i manifesti elettorali che inneggiano all’astensione nel referendum del 12-13 giugno. Ora, io stesso sono molto incerto sul voto, ma si è mai visto qualcuno che dice: siccome non sono d’accordo, rifiuto di dare la mia opinione? Mi sembra una manovra e un calcolo, più che un’opinione. Spero che il quorum sia raggiunto, e poi “que serà serà”.

Mi fermo al campeggio sul Subasio, in mezzo ad ulivi e a lecci (forse).

Mangio una pizza, con due birre. C’è più di una lucciola, intesa come insetto. Oggi ho percorso 250km. Il totale è 950.


05 giugno 2005, dallo Spirito Santo al Monte, ops, Porto di Venere, passando per la Via Crucis.

Alla mattina, sono svegliato dal canto gaio degli uccelli. Sono combattuto tra l’ammirazione francescana e l’imbracciare una doppietta per farli zittire.

Stavolta parto veramente presto. Bighellonando un po’ nella valle umbra, decido, dopo molte ambasce, di andare al mare: a Porto Venere, La Spezia, Liguria. Sono più di 300 chilometri, da Perugia, ma tutti in autostrada.

E quindi via!

Fino a Firenze è una pacchia: poche automobili, clima ancora fresco (è mattina). Mi prendo una Toyota come riferimento e la seguo: mi aiuta a tenere la media di 120 all’ora che mi ero prefissato. Senza di lei, avrei a volte esagerato con il gas e a volte mi sarei addormentato a 100 all’ora.

A Firenze, ed è normale, trovo coda. Esco alla Certosa e, pur con qualche difficoltà, rientro sulla A11 (che inizia dall’altra parte della città). Dopo tre ore ininterrotte o quasi, sulla Genova-Rosignano mi fermo in autogrill a mangiare e a bere, ma una coca cola.

Mi rendo conto di essere stancuccio, ma proseguo.

Un fenomeno che non avevo mai vissuto con la moto è l’attraversamento dei viadotti: la “brezzolina” leggera che risale dalla vallata quasi mi scaraventa sui guard-rail.

Attorno, il baratro, ovviamente.

Arrivo a La Spezia, la quale si merita la palma di città con la miglior segnalazione stradale che conosco, e quindi giungere a Porto Venere è uno scherzo.

Porto Venere, finalmente!

C’è così tanta gente che fatico a parcheggiare la moto. Io e un Ninja facciamo due giri attorno al paese, cercando l’agognato posto. Poi io lo trovo, non proprio regolare, ma insomma...il Ninja tira dritto. Sarà ancora adesso alla ricerca del parcheggio?

La spiaggia non ha un metro libero, l’isola di fronte è completamente piena di gente. Mi butto a prendere il sole e a fare il bagno lungo la massicciata, in compagnia di coppiette et similia. Avevo già visto Porto Venere, venendo via mare, ed era inverno: mi sembrò una perla irraggiungibile se non da intrepidi e forti pescatori. Vista così, è più che raggiungibile da chicchessia.

In ogni caso, il mare è bello, il sole ottimo e il panorama faunistico è alquanto allettante.

Verso sera, bevo la mia birra, preparo la Dakar e sono di nuovo in sella. Vicino alla mia, è parcheggiata una KTM LC4 Adventure, moto che ero lì lì per acquistare prima di prendere la BMW. Alla LC4 ho rinunciato per motivi poco nobili che mi hanno fatto sanguinare il cuore: la sella è spaventosamente alta per me. Mi dispiace dirlo, ma ha il fascino unico di una moto che viene dal (o parte per il) deserto, il mio sogno. La mia è più urbana e ammodo. Ammiro la KTM per un po’, le sue forcelle WP a steli rovesciati, il trip-master, il serbatoio, l’aria rustica ecc...la Dakar è girata di spalle e non se ne accorge, per fortuna.

È bella anche lei, anzi di più del KTM...il deserto però, è un’altra cosa.

Per cambiare strada, decido di valicare l’Appennino dal passo del Cerreto, anziché dalla Cisa, che ho già fatto più volte, di cui una in motorino.

Mal me ne incolse. Il Cerreto è un passo stretto, ripido e soprattutto nuvolosissimo. I boschi attorno sono eccezionali per fittezza, ed io non comincio a turbarmi quando sento le prime gocce. Penso: non è che piove, è solo che sono in mezzo alle nuvole. Un gruppo di tre 1200GS si ferma per mettere la tuta antipioggia. Io proseguo.

Appena valicato, il tempo è da tregenda: nebbia, acqua a catinelle e rigagnoli e torrenti che corrono sulla strada in discesa più veloci di me.

Mi fermo, già semizuppo, e metto la tuta. Anche questa è la mia prima volta.

Da lì a Reggio Emilia è un calvario infinito di pozzanghere, macchine che mi lavano, nebbia, pioggia, visibilità scarsa (siamo all’imbrunire e io sono miopetto).

Vorrei fermarmi a mangiare: sicuramente tagliatelle con i funghi, visti l’umidità e i boschi circostanti. Ma, lo sento, se mi fermo non riparto più, e in fondo domani devo andare a lavorare.

Due ore dopo, l’incubo è finito: poco fuori Reggio smette di piovere. Io subito non me ne accorgo, perché gli schizzi della moto simulano bene la pioggia. Vedo però che, senza difficoltà, raggiungo velocità ragguardevoli che prima mi sognavo.

Alzo la visiera del casco...è finita! Salvo!

È finita, dunque, ed io, distrutto ma esaltato, percorro la familiare e splendida pianura padana, attraverso il Po, e da lì a casa è tutta in “discesa”.

A Mantova, mi concedo il lusso di prendere l’autostrada del Brennero fino a Verona.

Sono le dieci di sera.

Oggi ho percorso 650km. Il totale è 1606.