in breve In breve : un avvocato che prese parte ai moti rivoluzionari sardi del 1794.


Vincenzo Cabras
un intervento tratto da "GIACOBINI ,RIVOLUZIONARI e MODERATI “ di V. del Piano


Vincenzo Cabras
Premessa

L’avvocato Cabras prese parte ai moti rivoluzionari sardi del 1794 .Secondo il dott. Raimondo Bonu ,a Tonara veniva chiamato il “quasi viceré ” e , al suo arrivo o alla sua partenza , nel paese venivano suonate le campane come ad un vescovo.

Dalla nascita ai moti rivoluzionari

L’avvocato Cabras era nato a Tonara nel 1732. Si trasferì nel capoluogo a 15 anni dove completò gli studi e vi si stabilì definitivamente . Sposò Maria Caterina Ronqui della Marina; dal loro matrimonio nacquero Antonio, che diventerà sacer­dote, ed Anna che sposerà l'avvocato Fran­cesco Carboni Borras. Rimasto vedovo si risposò nel 1769 con Anna Tiragallo , sorella di Luigi, giudice della Reale Udienza, dalla quale avrà dal 1770 al 1790 13 figli, 9 femmine e 4 maschi. Con lui vissero oltre i nipoti Tomaso e Francesco anche i generi Carboni Borras ed Efisio Luigi Pintor che abitavano in due appartamenti del suo palazzo costituendo così quella "po­tenza" politica chiamata dall'autore della Storia dei torbidi e da altri "la casa Cabras" ed il "partito del Dottor Cabras". Intorno al 1800 un'altra figlia. Maria Raimonda Barbara sposerà l'avvocato Emanuele Massa Eschirru, il cui nome era presente nell'elenco dei secolari agenti dell'anar­chia trovato in casa del marchese della Planargia. Divenne membro dello Stamento reale, procuratore delle città di Sassari e di Castelsardo, assessore della Curia arcivesco­vile di Cagliari e della regia Vicaria, sinda­co capo di Stampace. Divenne maestro di Efisio Luigi Pintor e del notaio Vincenzo Sulis. Fu arresta­to ,con l'avvocato Bernardo Pintor, fratello di Efisio Luigi e marito della figlia Maria Josepha , il 28 aprile 1794, poiché il viceré Balbiano aveva saputo che la sommossa, che avrebbe dovuto in un primo tempo scoppiare il 4 maggio era stata anticipata, perché scoperta, alla notte del 28. L'insurrezione, della quale il Cabras era reputato il princi­pale fomentatore, era stata organizzata dopo l'arrivo a Cagliari della risposta del re, pressoché negativa, alle cinque domande dei sardi, ed aveva per scopo l'espulsione dei funzionari pubblici venu­ti da Torino. Balbiano decide di arrestare l'avvocato Cabras ed il genero Efisio Luigi Pintor , che però riesce a fuggire e informa dell'accaduto il popolo che accor­re in armi in difesa degli arrestati. "L'avvocato figlio dell'arrestato Cabras- è scritto nella Storia de’torbidi -, correva anch'egli come un forsennato per le contrade, con cuffia bianca in testa e fucile in spalla, animando il popolo a far partito contro il governo, a compiere in quel punto ciò che doveva eseguirsi nella sera a norma del combina­to piano, e dell'unione generale che doveva farsi nel campo del convento del Carmi­ne". Gli insorti arrivavano sotto il Castello e reclamavano la liberazione dei due, che vengono mostrati dal bastione di San Remy fra l'arcivescovo Melano che invoca la pace e i marchesi di Laconi e di Neoneli. Subito dopo gli insorti bruciavano la Porta Cagliari, all'ingresso del Castello, disarmavano la truppa e arrivavano davanti al palazzo viceregio. Un tentativo di pacifi­cazione tentato dal giudice Giuseppe Valentino e dal canonico Salvatore Mameli non ebbe alcun esito: la lotta si riaccese, le guardie reagirono, ma si arresero dopo la morte del loro comandante svizzero.

Il potere

Il Cabras, liberato, si presentò, con Efisio Luigi , al viceré e” gli si mostravano sottomessi, e stranieri alle ragioni dell'avvenuta catastrofe", che attribuiro­no all'insofferenza del popolo nei con­fronti dei piemontesi. E al popolo e solo a lui, nel Manifesto giustificativo preparato dal figlio Antonio, era attribuita l'iniziativa della rivolta, al popolo che padrone ormai della situazione inneggiava al re e alla nazione sarda e innalzava vicino alla bandiera reale la bandiera sarda. Avuta notizia dell'insurrezione, il re, mentre era disposto a concedere un generale perdono, volle però, senza esito, che si procedesse secondo le leggi contro i due maggiori indiziati. Il Cabras era favorevole, col visconte di Piumini, al mantenimento in servizio delle compagnie miliziane, che assicuravano l'ordine in città dopo la parten­za dei piemontesi, e dei cacciatori, fra i quali facevano servizio persone che avevano avuto a che fare con la giustizia. Frequentava col genero Efisio Luigi la casa di don Giovanni Maria Angioy ed il club giacobino che vi aveva sede, nel quale si riunivano i democratici che si opponevano alle idee moderate di Pitzolo ed a quelle reazionarie del marchese della Planargia, e nelle assemblee stamentarie i due, col canonico Sisternes e l'abate Simon, facevano prevalere i propri pareri, con la loro oratoria travolgente. Nelle carte sequestrate il 6 luglio 1795 in casa del generale delle armi, Cabras era indicato fra i capi dell'emozione del­l'aprile del 1794 che hanno molti seguaci nel Magistrato e fuori di esso "per sostenere e promuovere l'anarchia". Caldeggiava la candi­datura del democratico avvocato Salvato­re Cadeddu alla carica di primo consiglie­re civico, in sostituzione del dottor Lepori, deposto in seguito al tumulto popolare del 31 marzo del 1795. Con E.L. Pintor e col notaio Vincenzo Sulis si presenta al viceré Vivalda il 30 giugno per esaminare la situazio­ne creatasi in città dopo l'arrivo del di­spaccio reale che impone la registrazione delle patenti dei sassaresi Andrea Flores, Antonio Sircana e Giuseppe Maria Fonta­na, nominati giudici della Sala civile della R.U.; tali nomine disattendevano le speranze anche del Cabras e del Guirisi, proposti dal reggente Cavino Cocco come giudici. Si temeva una rivolta popolare ed il Paliaccio chiedeva di poter arrestare, secondo il me­moriale del canonico Sisternes, una trenti­na di persone pericolose, tra le quale An­gioy, Cabras, Musso ed Andrea Delorenzo. Il viceré si lamentava con Cabras ed i colleghi perché da Torino gli si era detto di punire quelli che eventualmente volesse­ro opporsi alle nomine e di comunicare al generale delle armi questa reale determi­nazione; egli attribuiva al conte Galli, e non al sovrano, tale ordine. L'afflusso di truppe in Castello, la preparazione della sua dife­sa, la notizia dell'esistenza degli elenchi delle persone da arrestare insospettivano il popolo ed i democratici, che negli Stamenti, chiedevano l'arresto del Pitzolo e del Paliaccio. Secondo la Storia, Cabras era uno dei con­giurati che decisero l'uccisione del Pitzolo e del generale perché questi ultimi si opponevano al loro progetto di costituire in Sardegna una repubblica sotto la protezione della Francia. Cabras si adoperava, con Sulis e con il canonico Sisternes, perché venisse salvaguardata l'incolumità degli avvocati e di altri, arrestati dopo l’uccisione del Pitzolo, mentre alcuni reazionari, tra i quali il giudice Giuseppe Valentino, fuggivano da Ca­gliari. Amico dell'avvocato Mundula, democratico e repubblicano di Sassari, era favorevole alla nomina nella Reale Governazione dei due assessori Solis e Sotgia Mundula che appoggiavano il partito predominante a Cagliari e con Pintor chiamava nel capoluogo il Mundula, assieme al quale veniva deciso il piano per domare i baro­ni del Capo di Sopra e ristabilire la pace nel regno. Era convocato con i fratelli Simon, Sisternes e Pintor dall'arcivescovo di Cagliari Vittorio Filippo Melano di Portula, delegato dagli Stamenti per perorare le richieste dei sardi dopo la vittoria sui francesi presso il rè Vittorio Amedeo III; il Melano chiedeva la loro collaborazione per la pacificazione del regno, per poter parla­re al sovrano del ravvedimento dei sardi dopo quanto accaduto. Cabras promise che avrebbe fatto il possibile per far cessa­re le ribellioni sempre latenti. Si allontanò, con i nuovi moderati, dalle posizioni dell’Angioy, specie dopo l'occupazione di Sassari da parte di Mundula e Ciocco. Eletto nella giunta stamentaria istituita in agosto su proposta del canoni­co Sisternes fin dalla sua costituzione, rieletto il 21 dicembre 1795, e riconfermato dopo due mesi, ebbe largo seguito negli Stamenti con Pintor ed altri. Essi pensa­vano di ringraziare il re, che col rescritto del 30 marzo 1796 rispose sibillinamente alle domande dei sardi, invece di reclamare a gran voce quanto in precedenza richiesto. Interessato alla buona riuscita della missione dell'arcivescovo, con Pintor indusse, il 27 gennaio 1796, l'arcivescovo di Sassari Della Torre a scrivere allo zio monsignor Melano una lettera, in cui confessava i suoi errori e fece voti affinché venissero concessi ai sardi i privi­legi richiesti che avrebbero riportato la pace nel regno. Architettava col genero e con Si­sternes l'allontanamento da Ca­gliari di Angioy, dandogli l'impegnativo incarico di Alternos, con l'autorità politica, giudiziaria e militare del viceré e della Reale Udienza; riuscito nell'intento, lo mise in cattiva luce negli ambienti sassa­resi e nel marzo del 1796 sostenne aperta­mente il governatore di Alghero Carroz, che aveva vietato l'ingresso in città agli inviati di Angioy. Intorno a lui si rafforzava sempre più il partito dei "ravveduti" che ora com­batteva apertamente Angioy ed i suoi fedeli che, come Delorenzo ed il canonico Simon, furono costretti a lasciare Cagliari. A Sassari fu scoperta una congiura contro l'Alternos, nella quale probabilmente presero parte Cabras e Pintor, avvocati dei feudatari, il canonico Leda e Diego Cugia, le cui famiglie vivono a Sassari. L'8 giugno sottoscrisse con Litterio Cugia e con sei membri stamentari una istanza al viceré per destituire l'Alternos, ed ancora, col Cugia e con molti ex amici di Angioy, la "nota delle persone che questo pubblico ha per sospette", compilata dal Consiglio municipale di Cagliari trasmessa al viceré il 13 giugno 1796. Dopo la destituzione di Angioy, il Cabras riceveva , il 30 agosto 1796, le patenti di reggente "l'Intendenza generale e la Conservatoria generale dell'insi­nuazione nel regno di Sardegna. Prestò giuramento il 14 settembre. Nel 1799 sarà nominato intendente e conser­vatore effettivo, divenendo così uno dei principali funzionari pubblici; Sassari gli darà l'incarico nuovamente di suo procu­ratore. Cabras però fu accusato da Antonio Vincenzo Petretto il 5 ottobre 1796, duran­te la tortura, di essere stato complice ed "autore" del delitto di insurrezione di cui ven­gono accusati i seguaci di Angioy. Nelle lettere scritte dall'esilio Angioy lo bollava, con Cocco, Pintor e Tiragallo come "ven­duto agli inglesi". Nel progetto del viceré Carlo Felice per il con­solidamento del suo potere assoluto era necessario eliminare gli ex rivoluzionari cagliaritani e Vincenzo Cabras fu così no­minato presidente della reale Camera dei conti a Torino, città che non poté raggiun­gere perché occupata dai francesi. Secondo una notizia riportata in data 29 agosto 1799 dal Lavagna, "la casa Cabras" e principal­mente l'avvocato ed il figlio Antonio, avreb­be parlato male degli impiegati sardi e quest'ultimo, "è stato uno dei maggiori fautori della promiscua", cioè dell'assegnazione degli incarichi principali in Sardegna ed in Piemonte sia ad elementi sardi che piemontesi. Nel dicembre dell'anno successivo il principe lo nominò presidente della Reale Società agraria ed economica costituita a Cagliari, che diventerà successivamente Camera di commercio ed arti e - ultimamente- di commercio, industria, artigianato e agricoltura. Cabras morì a Cagliari il 21 dicembre 1809 e venne sepolto nella chiesa di Sant'Efisio.