""RITRATTI" |
"I miei ritratti nascono come “appunti di anime”
disegnati e scritti su carta, tra volti di personaggi della moda, dello
spettacolo e della cultura, selezionati da fotografie su riviste. La
tecnica è mutata via via nel tempo, difatti inizialmente li ritraevo
direttamente con solo inchiostro di penna, il quale ho poi unito
progressivamente all’acrilico bianco che li ha resi ritratti disegnati sì
ma dipinti in monocromo. La materia pittorica è determinata dalle
molteplici intensità del grigio con componente violacea e rosa. Il
supporto invece non è mutato ma rimane funzionale alla mia indagine
pittorica. Dapprima i ritratti si “aprivano e si rivelavano” ciascuno
all’osservatore che li sfogliava perché dipinti all’interno di un album di
formato A4 chiuso, ma aperto nella sua totalità, di formato A3 (cm. 30 x
41) come in un gioco animato; successivamente i ritratti prendono vita a
se stanti e non più raccolti, ma con le stesse caratteristiche iniziali.
Ciò giustifica la presenza della giuntura centrale del foglio, in diversi
ritratti qui esposti, perché smontati dall’album e poi riassemblati.
Difatti nei due volti di R. Lichtenstein (pittore), e di P. Glass
(compositore, musicista), è visibile retrostante al foglio su cui sono
ritratti: rispettivamente, nel primo parti di lineamenti del ‘foto-modello
energy’ e nel secondo parti del ‘fotografo R. Avedon’. La quadrettatura
della carta che uso, è un elemento di mezzo tono, dialogante con
l’inchiostro della penna e con la matericità pittorica dell’acrilico e
talvolta traspare. Nei miei album (e tuttora nei miei ritratti non più
rilegati), come nei diari personali ed intimi, vi sono appuntate
riflessioni; così nel mio ritrarre spicca, oltre all’indagine
introspettiva del segno e del gesto pittorico, per l’appunto lo stesso
segno nello scritto a lato del volto. Nello scrivere sul modello scelto
esprimo la mia interiorità che si manifesta contemporaneamente nel volto.
Nello scritto più o meno scoperto e visibile, poiché diventa un ulteriore
base su cui lavorare con la materia che talvolta lo invade, appunto ciò
che mi evoca quel soggetto ed i motivi di intrigo per i quali con esso mi
sintonizzo. Scopro così me stessa mediante le forme analizzate dell’altro.
Diventa così, il ritratto, fortemente espressivo perché indago con
intelligenza anatomica la peculiare psicologia di quell’anima che è in
esso catturata. Utilizzo foto, che seleziono molto ridottamente al nucleo
più comunicativo del viso: dal sopracciglio alla linea del mento,
includendovi l’orecchio e porzioni dei capelli, disponendo il rettangolo
del foglio nella sua orizzontalità, in modo tale da creare una
corrispondenza o un dialogo tra gli elementi esterni del volto con i
margini del foglio, verso i quali li spingo come in una tensione portata
all’estremo limite. “Fotogrammi” nei quali il modello sempre mi osserva
attentamente guardandomi negli occhi ad una distanza molto ravvicinata
come se volesse “spingersi fuori” dal foglio. In questa operazione del
ritrarre agisce il TOGLIERE, IL RIDURRE ALL’ESSENZIALITÀ PER RIMETTERE CIÒ
CHE SI È TOLTO, CIÒ CHE C’E’ MA NON SI VEDE; L’EVOCARE NEL RITRATTO CIÒ
CHE È LA SOBRIETÀ, L’UNICITÀ DI QUELL’INDIVIDUO, NELLA SUA COMPLETEZZA
ESTESA E AMPIAMENTE MANIFESTA ALL’ESTERNO (didascalia del ritratto di
Chessy Rainer, 1996). È per me consapevolezza e conoscenza di me stessa
mediante l’indagine introspettiva delle forme stesse del modello
scelto." |