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IL RITRATTO DI DORIAN GRAY

di Maurizio Baiata  (da Ciao 2001 n. 45 del 10 novembre 1971)

 

 

“Un trio specializzato in un rock ispirato ad autori classici come Rimsky Korsakov o Dukas”, questa la definizione data sulle pagine di un noto quotidiano della capitale nei riguardi del Ritratto di Dorian Gray, una nuova formazione, conosciuta ed apprezzata soprattutto nei circuiti underground e rock di Roma.

Parlo con piacere di questo o quel complesso solo quando mi si offre del materiale effettivamente di valore, cui poter dare delle critiche oggettive e basate non solo sulla semplice conoscenza della produzione discografica, ma anche sull’ascolto attento di quanto viene proposto dal vivo. Nel caso in questione, il Ritratto, preferisco chiamarlo così per brevità, offre numerosi spunti critici interessanti e permette di tessere un discorso di confronto con le formazioni straniere cui naturalmente si ispira. Non credo sia eccessivamente importante per il lettore sapere quali siano gli interessi, gli studi, a parte quelli inerenti la loro attività musicale, dei componenti il complesso, vorrei quindi esclusivamente soffermarmi alla parte concernente il sound, alle sue origini e matrici, ai possibili sbocchi tematici.

Intanto la formazione: Walter Martino, diciannove anni, alla batteria; Claudio Simonetti, anch’egli diciannovenne, all’organo; Massimo Giorgi, diciotto anni, al basso. L’organico denuncia immediatamente una ricerca musicale già apertamente collaudata e portata al successo da alcune formazioni d’oltre Manica, il che comunque  non vuol dire si ricalchi marchianamente quanto gli stranieri più famosi hanno fino ad ora espresso: è naturale che delle comunanze ci siano e vanno ricercate in modo particolare nei Nice, un nome che quindi è garanzia di un prodotto di primissima qualità. Ma dalla originaria formazione di Emerson, il Ritratto intende recisamente allontanarsi, vuoi per intraprendere una strada il più possibile nostrana, vuoi perché si hanno veramente i messi per offrire al pubblico, spesso scettico nei confronti delle formazioni italiane, delle alternative veramente molto valide.

Ho volutamente parlato di pubblico per aprire una brevissima parentesi, impietosa, se vogliamo, ma significativa: nel corso di una recente esibizione del Ritratto in un locale romano ho potuto personalmente ascoltare, non posso dire con che sbigottimento dei commenti espressi in coloritissimo romanesco, riguardanti il complesso, la cui musica non permetteva assolutamente agli astanti di ballare e la cui estrema varietà era così intesa: “Ahò, ma che è sta robba!”. Ho riportato il fatto per lo sconforto, inevitabile, che simili situazione creano nei nostri nuovi e meglio preparati complessi  i quali, oltre a dover lottare con l’indifferenza di organizzatore e case discografiche, si trovano spesso al cospetto di un pubblico assolutamente impreparato e mal disposto al semplice ed attento ascolto. I ragazzi del Ritratto, nella circostanza, hanno reagito con l’esecuzione di “4/5”, uno dei loro pezzi più significativi e difficili, ricco di pause, fraseggi spezzati ed assoli, controtempi e virtuosismi inusitati; l’effetto non è tardato a venire: metà del pubblico, quella vociante e dissenziente, ha quasi disertato il locale, il resto ha fatto ressa attorno al palco ed ha continuato ad ascoltare nel silenzio più completo, quasi irreale.

Il perché del successo, se non altro della bontà, della musica del Ritratto, vorrei il più chiaramente esporlo: la matrice classicheggiante che caratterizza il sound è indubbiamente una delle meglio inserite in un contesto rock: per fare un esempio mi riporto per un attimo agli Ekseption, gli olandesi che in questo senso hanno dato dei veri e propri capolavori; ebbene il loro sound è il più delle volte l’incontro, non la fusione del rock con il classico, in altri termini ci si limita all’impatto costante di elementi sinfonici con altri di origine jazzistica ed orientati verso una ritmica violenta.

Nel Ritratto di Dorian Gray direi che questo non avviene, infatti i tre ragazzi cercano il momento di... solubilità della componente classica in quella, odiernamente più ampia, del rock: il connubio che ne riesce è praticamente perfetto; devo però dire che pecca in molti momenti in eccessiva staticità, forse a causa della ricerca del preziosismo a scapito della chiarezza e della linearità del sound.

Questo appunto, peraltro condiviso dagli stessi ragazzi del complesso, giunge comunque a conferma di come in Italia si stia assiduamente lavorando per scrollarsi di dosso la matrice canzonettistica, cioè la formula di successo certamente più valida, ma esclusivamente di cassetta e che nulla ha di artistico. Per quanto riguarda il Ritratto, posso dire che gli unici accenti di commercialità, se tali si possono chiamare, vanno ricercati nella loro eccezionale rielaborazione della “Rondo” dei Nice, ed in un altro paio di brani dolci e pacati, di atmosfera eroico-sonfonica in cui fa la parte del leone l’organo Hammond di Claudio Simonetti. Quest’ultimo, a mio avviso un talento erompente, naturale e sottile soprattutto nei fraseggi jazzistici con la batteria, usa oltre al suo poliedrico ed ottimo strumento, un Echo Binson professionale, in grado di riprodurre, anche se non con la spettacolarità di un sintetizzatore, un gran numero di suoni e di toni diversi, effettistici quanto vogliamo, ma una volta tanto perfettamente integrati nella totalità del sound.

Parlando poi del bassista, Massimo Giorgi, mi pare inevitabile dire come il suo lavoro resti il più delle volte oscuro, anche se risulta molto colorito ed idoneo alla funzione di background che gli compete.

Walter Martino, batterista, è, alla pari dei suoi compagni, un eccellente strumentista, in grado di prodursi efficacemente anche al pianoforte ed alle percussioni: risente in modo particolare della lezione di Hiseman, la cui scuola si esprime in lui attraverso il background ossessivo, instancabile e trascinante dato dal lavoro ai piatti ed alle casse, nonché alle rullate continue e magicamente precise.

In definitiva si tratta dell’incontro, tra l’altro recentissimo come data di nascita perché il Ritratto si è formato solo all’inizio della scorsa estate, di tre ottimi strumentisti, dotati di idee veramente degne della massima considerazione, e cui si dovrà ancora dare la possibilità (discografica) di una espressione completa ed esauriente.

                                                                                                                                                                          Maurizio Baiata

 

 

Ciao 2001