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GIORGIO LANEVE
IL CANTAUTORE DELL'ERA SPAZIALE
di Silvano Silvani (da Ciao 2001 n. 22 del 2 giugno 1971)
MILANO, giugno
“Su Tenco – osserva Laneve, con vece sommessa – hanno speculato un po’ troppe persone in questi ultimi anni. Persone che lo conoscevano bene e che non hanno saputo aiutarlo. Poi, quando Tenco è morto ed è diventato un mito, tutti gli hanno voluto fare il funerale. Io, invece, Tenco non l’ho conosciuto, anche se l’ho sinceramente ammirato. Per questo vi chiedo di non citarlo invano parlando di me. Non sarebbe onesto…”. E tuttavia, se si vuole parlare seriamente della canzone italiana, un accostamento di Laneve a Tenco bisogna pur farlo. Anche se fra questi due cantautori, musicalmente, forse non c’è alcuna analogia. Tenco, infatti, era certo più arrabbiato e meno idealista di Laneve. Ma fra Laneve e Tenco le analogie affiorano alla mente quando si fa riferimento al loro impegno di fronte alla Canzone. Basta averli conosciuti entrambi, per esempio, per comprendere come sia Tenco che Laneve abbiano scelto la canzone come mezzo di comunicazione ai giovani del loro tempo. Perché? E’ difficile spiegarlo. E’ interessante, invece, osservare che l’uno e l’altro, pur avendo in comune una visione più scientifica che umanistica del monco (anche Tenco, come Laneve, studiava ingegneria), mostrano di avere nelle loro canzoni un vero e proprio “culto” per la parola. E anche Giorgio Laneve è un cantautore-poeta. Lo avevamo conosciuto esattamente un anno fa in occasione delle finali a Saint Vincent del Disco per l’Estate. Molti critici, allora, guardavano Laneve come un fenomeno da baraccone, Non era mai accaduto, d’altronde, prima d’allora, che un giovane, a soli 23 anni, nel giro di due mesi, si presentasse al pubblico con un LP come primo disco, con un recital in compagnia di Georges Moustaki come primo spettacolo, con un ottimo piazzamento ad una manifestazione difficile come il Disco per l’Estate alla sua prima esibizione televisiva. Ma Laneve, ricordiamo, era più impaurito che soddisfatto.
“Mi accusano – spiega Laneve. Sorridendo – di usare parole difficili. IO, invece, tento di interpretare con parole facili i problemi dell’uomo di oggi. Del contadino come dell’ingegnere nucleare. ON voglio fare assolutamente l’intellettuale. Considero, però, la canzone una cosa seria. E una canzone deve avere soprattutto belle parole. Parole che trasmettono agli altri sensazioni. Io, per esempio, provo spesso la sensazione di essere un piccolo abitante dell’universo fra tanti pianeti roteanti… E’ una sensazione dolcissima. Per questo nelle mie canzoni parlo anche dell’universo…”. Nelle canzoni di Giorgio Laneve, oltre questa sensazione per così dire “spaziale”, c’è anche un gioco continuo con il Tempo. Passato, presente, futuro si alterano continuamente. Accade così di ascoltare una poesia del Poliziano musicata (“non è manierismo – spiega Laneve – è l’omaggio ad un tempo lontano. E’ bello usare oggi parole antiche per una ragazza moderna…”) o una canzone dedicata alla metempsicosi e all’immortalità. “Riapri gli occhi, poi” il retro de “La leggenda del mare d’argento”, per esempio, è un’esplorazione del mondo nuovo che secondo Laneve, che ha una visione panteista della vita (tutto è energia, tutto rinasce), attende ciascuno di noi.
Silvano Silvani
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