Materiali / Dossier LUCIO BATTISTI

 

RECENSIONE: 

"AMORE E NON AMORE"

di Enzo Caffarelli (estate 1971)

 

 

 

LUCIO BATTISTI

Amore e non amore – Ricordi

 

 

A parer nostro i cantautori italiani debbono costituire una parte integrante della nostra rubrica. Le motivazioni le abbiamo già espresse sovente e sarebbe inutile ripeterle ancora una volta. Tanto più che bisogna parlare del numero uno, di Lucio Battisti, premiato dagli americani di Billboard alcuni mesi or sono, come probabilmente tutti sapranno, per “aver risollevato il mercato della canzone italiana in un momento di particolare crisi”.

“Amore e non amore”, terzo album di Battisti, viene pubblicato abbastanza improvvisamente, nonostante alcuni settimanali ne avessero riportate alcune note contenutistiche fin  da tre o quattro mesi fa (e le stesse registrazioni, del resto, appartengono tutte al 1970).

La prima antologia del reatino era stata prevalentemente una raccolta di tutti quei brani scritti per altri interpreti, e proposti in una chiave assai più personale. D’altra parte quando si parla di testi come funzione-base nel discorso di Battisti, testi che ufficialmente appartengono a Mogol, è necessario sottolineare che proprio con Lucio essi assumono un carattere proprio ed un loro specifico valore, formando un tutt'uno con la musica: altrimenti non si comprenderebbe bene come il primo album gli avesse consentito di non sfigurare di fronte a voci ben più dotate della sua (vedi quella ad esempio di Maurizio Vandelli, che, prima di lui, aveva inciso “29 settembre” e “Nel cuore, nell’anima”).

Il secondo 33 viceversa, anche se non contestabile in alcun modo per la sua qualità oggettiva, non aveva alcun significato che non fosse prettamente discografico, cioè commerciale, quasi non contenendo materiale inedito (ed addirittura due titoli erano stati già compresi nel primo album).

Con questa terza raccolta era lecito dunque aspettarsi qualcosa di nuovo. Ed il nuovo c’è, sia che l’autore abbia volontariamente cercato di allontanarsi dal repertorio quotidiano nel timore di rimanere chiuso in un particolare clichè e di inaridire conseguentemente la propria vena creativa; sia che Battisti abbia voluto tentare nuove strade per il semplice scopo di mostrare una più vasta preparazione artistica ed una rinnovata capacità inventiva.

Nell’uno o nell’altro caso l’album lascia perplessi. Contiene otto brani complessivamente, tutti assolutamente inediti, di cui quattro dal titolo chilometrico e completamente strumentali. Battisti ha scritto ovviamente tutte le musiche, ed ha curato personalmente gli arrangiamenti e la direzione dell’orchestra.

Il complesso accompagnatore è costituito da fedeli amici di Lucio e da alcuni elementi appartenenti al consueto gruppo di musicisti della Ricordi, con Franz Di Cioccio (batterista della Nuova Equipe 84 e della Premiata Forneria Marconi), Alberto Radius della Formula 3 e Franco Mussida alla chitarra, Giorgio Piazza al basso, Dario Baldan, attuale flautista ed organista dell’Equipe, e Flavio Premoli al piano.

Ma veniamo al disco. I quattro pezzi strumentali non sono di facile comprensione: non tanto per il messaggio musicale che possono recare, fin troppo assimilabile, ma proprio per il significato che l’autore ha voluto dargli, per la corrispondenza psicologica fra gli arrangiamenti che miscelano senza eccessive pretese gli archi dell’orchestra all’organo ed alla ritmica, e quei titoli stravaganti e paradossali (“Seduto sotto un platano con una margherita in bocca guardando il fiume nero macchiato dalla schiuma bianca dei detersivi”; “7 agosto di pomeriggio. Fra le lamiere roventi di un cimitero di automobili solo io, silenzioso eppure straordinariamente vivo”; “davanti ad un distributore automatico di fiori all’aeroporto di Bruxelles anch’io chiuso in una bolla di vetro”; “Una poltrona, un bicchiere cognac, un televisore, 35 morti ai confini di Israele e Giordania”): corrispondenza vaghissima ed imprecisata. Il Battisti strumentale non è una novità (ricordate la seconda parte di “Non è Francesca”, semplice ed ossessiva, ma gustosissima?), né lo è la sua particolare cura degli arrangiamenti, e delle orchestrazioni tutte. Ma questa parte del disco, alternata brano per brano con i cantati, ha solamente alcuni sprazzi intelligenti e significativi, e per il resto appare un lavoro inutile.

Anche i quattro brani vocali contengono larghe porzioni strumentali, e gli stessi arrangiamenti, quantunque più semplici, sono curati nei minimi particolari. Tema consueto ne è l'amore: e dell’amore Mogol e Battisti, proseguendo nel loro tentativo di concretizzare nel mondo della canzone il volto di un certo tipo di realtà quotidiana, continuano a cantare gli aspetti negativi, le situazioni torbide ed infelici, comportamenti paradossali rispetto all’amore scontato ed irreale del canzonettismo quotidiano. I testi non sono mai stati impegnati, eppure hanno invitato spesso alla riflessione: ogni nota, ogni parola possiede un suo preciso significato. Ma con “Amore e non amore” la tendenza al realismo, alla crudezza viene esasperata in un compiacimento che sconfina e si confonde con la volgarità; e questi testi non sono certamente fra i più belli che Mogol abbia scritto per Lucio (ma non è improbabile che almeno qualcuno l’abbiano composto insieme).

Dal punto di vista musicale, i quattro brani sono abbastanza eterogenei. “Dio mio no” ha un’andatura aggressiva e ritmata che ricorda da vicino l’impostazione di “Dieci ragazze” e di “7 e 40”. “Una”, che riprende la tematica dell’amore impossibile e strano e che forse è la più vicina al consueto repertorio battistiano, si basa su di un tempo più lento. Violentissime, invece, sono “Se la mia pelle vuoi”, un rock & roll che ci riporta probabilmente ai primi amori musicali di Battisti, e “Supermarket”. Anche le interpretazioni vocali conducono all’esasperazione i modi tipici del cantante, i suoi caratteristici passaggi bruschi, gli improvvisi mutamenti di timbro, i repentini cambiamenti di tempo, gli scatti imprevisti e, a volte, sgradevoli, i respiri affannosi che hanno proprio il compito di tradurre il pathos interno dell’interprete e di scuotere l’ascoltatore.

Potremmo definire quest’album un’alternativa al Battisti più consueto, anche se, ovviamente, soprattutto i quattro brani cantati si riallacciano direttamente a tutta la sua precedente produzione. Un’alternativa alle melodie indubbiamente più facili, più commerciali se vogliamo, che anche quest’anno Lucio ha fornito agli altri per colmare la piazza della Hit Parade, da Mina ai Dik-Dik, ai Formula 3, a Bruno Lauzi. Ma un’alternativa piena di incognite, una strada improbabile nel prosieguo del discorso musicale di Lucio Battisti.

                                                                                                                                                                            Enzo Caffarelli

 

 

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