SALA BAGANZA NELLA STORIA

La rocca di sala baganza

 

Sulle prime pendici dei colli che fiancheggiano la sponda sinistra del torrente Baganza sorge Sala, importante centro pedemontano allacciato a Parma, da cui dista Km.14, da una spaziosa strada asfaltata che si unisce, in località " La Stradella ", con la statale n.62 Parma-Cisa-La Spezia.

Come Capoluogo di Comune comprende le frazioni di San Vitale, Talignano e Maiatico.

Borgo importante per le varie industrie di conserve alimentari, salumifici, interessante per le industrie artigiane di fabbri,meccanici, falegnami.

Sala è contornato da un grande numero di belle ville padronali, sparse sulle falde dei ridenti colli; merita menzione la sontuosa villa " Casino dei Boschi " del Principe Carrega, così chiamata perchè prima che essa fosse edificata esisteva sul posto un casinetto per riposo. Questa Villa che sorge a un miglio a N-O di Sala è contornata da piacevoli colli, da ameni boschetti, da viali fioriti, da una immensa pineta ed è circondata da una vasta e magnifica tenuta ricca di selvaggina.

Fu luogo di villeggiatura dell'ultima Casa dei Borbone e della Duchessa Maria Luigia che dal 1819 al 1826 fece erigere i vari fabbricati che circondano il nucleo principale. Sala ha il vanto di conservare nel centro del Borgo, sul colle, la famosa Rocca, un tempo villeggiatura dei Feudatari, poscia dei Duchi delle celeberrime Famiglie Farnese e Borbone. Quando il Conte Giberto IV diede un nuovo volto a questa Rocca, Sala assunse il nome di Baganza per distinguerla dalle molte altre ville omonime esistenti in Italia.

Ma ufficialmente ebbe questa aggiunta per decreto reale del 12 settembre 1862.

Il primo cenno storico di questo accogliente Paese risale all'anno 995, in cui è detto che Sigifredo II, Vescovo di Parma, donava le terre di Sala alla Famiglia parmigiana dei Franceschi, che terrà Sala fino al 1250.

Doveroso è ricordare Mons. Angelo Micheli, fra il perenne sorriso della natura, predilesse sempre gli studi storici e ci lasciò il suo capolavoro di ricerche " La Rocca dei Sanvitale a Sala ", lavoro pregevole tenuto sempre presente da tutti che vollero scrivere " su la Rocca, ove nei secoli sposata fu la bellezza e la viril bravura donde a le genti del Baganza è nata fama di cortesia gagliarda e pura ".

Gherardo Franceschi allargherà nel 1208 la sua proprietà acquistando da un certo Egidio di Maiatico un casameno posto presso la Chiesa; nel 1225 acquisterà terre nel luogo (Valline in quel di Sala. Morendo Ghefardo senza prole maschile poco prima del 1246, la figlia Mabilia sposerà Bernardino dei Cornazzano potente famiglia feudale di Parma.

Mabilia lasciava nel 1248 eredi di tutti i suoi beni i suoi congiunti Cornazzano; e la figlia Adelmota sposerà Tedisio San Vitale, primo Signore di Sala, fratello di Obizzo, Vescovo di Parma.

Così nel 1250 si ha il passaggio dei beni dei Franceschi ai Sanvitale. Tedisio, avendo comperato nel 1258 il Castello di Sala da Bernardino dei Francesch.i, diventa padrone di tutto il territorio salese. Questo Castello chiamato anche Torre era detto di Lorenzo.

Si ricorda che Tedisio faceva parte dell'ordine degli avvocati i Parma ed era anche un valoroso capitano; nel 1250 prese parte alla lotta contro i Reggiani. Fu eletto nel 1276 Podestà e capitano generale di Milano, quando Parma si unì ai Guelfi Torriani.

Ma quando questi furono cacciati dai Visconti, anche Terdisio perdette le alte cariche. Fu poi nominato nel 1277 Podestà di Ferrara e nel 1278 fu eletto in Firenze Vicario di Carlo I, re di Napoli. Alla morte di Adelmota, Tedisio sposerà Margherita, Contesa di Codogno, figlia di Guido Fieschi conte di Lavagna. Margherita era parente coi Fieschi che furono i feudatari della media Val Baganza, con sede a Calestano, dal 1246 al 1650; essi tennero con alterne vicende anche i castelli di Marzolara, Alpicella e Vigolone. Negli ultimi anni della sua vita, Tedisio si ritirò nell'isola di Murano, a Venezia, presso i monaci Bendettini, ove morì nel 1910.

La vedova Margherita aveva allargato il proprio feudo di Sala, e morendo nel 1313 lasciava erede di tutti i suoi beni, il figlio Gianquirico. Questi aveva ottenuto dal Comune di Parma, in data 1 febbraio 1312, il Feudo di Belforte nella Valle del Taro, e nominato feudatario di Sala.

Gianquirico, oltre che guerriero, era anche un uomo politico: fu podestà di Cremona nel 1312 quando ne furono cacciati i Ghibellini; fu nominato pure podestà di Piacenza, ma da

questa città fu espulso da Adalberto Scotti.

Nemici dei Sanvitale furono sempre i conti Rossi di S. Secondo; nel 1322 Andreasio Rossi con i suoi armati bruciò Sala e Maiatico; Gianquirico insieme ad Anselmo da Marano, abate di

S. Giovanni Evangelista, si rifugiarono nel convento di S. Francesco del Prato, le attuali carceri cittadine. Scoperti, furono gettati prima in prigione nella fortezza presso la piazza principale di Parma, poi esposti alla berlina.

Gianquirico dopo essere stato confinato a Venezia riesce ad acquistare ancora nell'anno 1355 i suoi beni, quando Parma cadde nelle mani degli Scaligeri: così dopo 22 anni di esilio egli ritorna alle sue terre.

Gli succede nel feudo di Sala prima il figlio Gilberto I, che era stato investito del feudo di Berforte nel 1374 da Luchino Visconti, allora Signore di Parma; poi Antonio San Vitale, secondo Conte di Belforte, capitano del popolo a Firenze nel 1387 e podestà di Vicenza nel 1389. Sguirono, nella signoria di Sala, Antonio II che ebbe per sé e i suoi discendenti la giurisdizione delle acque del Taro da Fornovo al Grugno, e quella delle acque del Recchio da Varano Marchesi a Bianconese; e Giberto III, conte di Belforte, il quale cacciò nel 1403 i Guelfi da Parma.

Una delle figure più rappresenative dei Feudatari di Sala fu Giberto II San Vitale, prode e valoroso guerriero che militò con fortuna al servizio di Lodovico il Moro, nella guerra contro i Rossi di San Secondo Parmense; egli ebbe da Lodovico, dietro pagamento, la rocca di Noceto.

Giberto con l'autorizzazione di Galeazzo Maria Sforza, Duca di Milano, costruì nel 1477, sopra le rovine dell'antico castello di San Lorenzo, la grandiosa Rocca; egli ebbe il titolo di Conte di Sala.

Gilberto aveva sposato nel 1454 Donella Rossi, figlia del grande condottiero Pier Maria, marchese di San Secondo Parmense. Donella fu donna di intelligenza, di grande coraggio e di forte animo: fu l'ispiratrice della costruzione della Rocca di Sala; essa da fanciulla aveva visto suo padea intento a costruire i numerosi castelli sugli Appennini, sui colli e nella pianura.

Pier Maria Rossi, per difendersi dai suoi nemici, fu costretto a rivolgere le armi contro i castelli del genero; dopo aver occupato e raso al suolo il castello di Oriano si portò contro Sala.

In questo tempo Giberto Sanvitale insieme al figlio Bernardino prendeva parte alla guerra di Lodovico il Moro contro i Veneziani; approfittando di questa occasione il parente Amuratte Torelli, militante con Pier Maria Rossi contro i Veneziani, attacca la Rocca di Sala nel 1482.

Donella con coraggio ed animo virile riesce a difendere la Rocca; quando essa scorse Amuratte che fra i rami di un albero dava gli ordini ai suoi soldati, gli assestò un colpo di archibugio, uccidendolo, sbaragliando così gli assalitori.

L 'eroica resistenza di Donella Rossi, moglie di Gilberto III Sanvitale, conte di Sala, il quale aveva dato alla sede del suo Feudo lo splendore di una Rocca, riuscì a salvarlo dal saccheggio che le soldatesche rossiane avrebbero compiuto per vendetta e per spirito vandalico. La morte di Amuratte, avvenuta a Felino alcuni giorni dopo l'assedio di Sala, in conseguenza delle gravissime ferite riportate, abbreviarono la vita di Pier Maria Rossi che, percosso anche dal dolore dell'infelice riuscita dell'impresa e dall'avversa fortuna, morì a Torrechiara il 1 settembre 1482.

Donella non sopravvisse di molto alla morte del grande ed infelice suo Padre. Essa, che aveva sortito dalla natura un grande coraggio, aveva anche un animo incline alla pietà e corcorse

a dotare la Badia dei Benedettini, fondata dal Padre nel 1472, molte terre. Alla morte di Giberto III Sanvitale successe nella contea di Sala, che comprendeva anche Maiatico e il Castellaro, il figlio Nicolò Maria Quirico che sposò Beatrice di Nicolò da Correggio, donna famosa e cultrice di lettere latine e italiane, soprannominata la Mamma la cui grazia e bellezza furono celebrate dai poeti del tempo tra cui l'Ariosto nell'Orlando Furioso ed illustrata da pittori. Con Beatrice si inizia una lotta dei San Vitale per esercitare la giurisdizione su Collecchio, Talignano e Piantonia: lotta che terminerà solo 2 anni dopo la morte di Beatrice, senza che fosse raggiunto lo scopo.

Successe a Nicolò San Vitale il figlio Girolamo nel 1511, che divenne il 3° conte di Sala. Questi ottenne il 27 marzo 1521, per il grande suo giudizio e la singolare esperienza, da Francesco I, re di Francia e Duca di Milano, di trattare gli affari della contea senza tutore, benchè fosse minorenne.

Girolamo I sposò Caterina Pallavicino, figlia di Cristoforo marchese di Busseto; egli fu uno dei Feudatari che giurarono obbedienza a Pier Maria Farnese.

Passò in seconde nozze, sposando Caterina del Carretto; morendo ordinò che le sue spoglie e quelle dei suoi congiunti fossero inumate nella Chiesa di S. Francesco deI Prato, a Parma.

Alfonso Sanvitale, alla morte del padre Girolamo, inalberò la bandiera imperiale sulla Rocca di Sala; munì la Rocca di valide fortificazioni, per difendersi dalle truppe del Duca Ottavio Farnese, che odiava i Sanvitale, che avevano partecipato alla uccisione di Pier Luigi, a Piacenza. L'assedio di Sala fu abbandonato pel' l'intervento delle truppe imperiali.

Alfonso fu ucciso all'età di 25 anni, il 26 Dicembre 1528 nell'assedio di Sarteano presso Siena. Gli successe il fratello Giangaleazzo, V conte di Sala, quando l'esercito di Giulio III e di Carlo V avevano assediato Parma perché Ottavio Farnese si dimettesse dalla sovranità del Ducato di Parma e Piacenza. Il fratello Gilberto IV abbandona la carriera ecclesiastica iniziata, per raccogliere l'eredità della sua Casa e diviene il VI conte di Sala. Egli sposò Livia da Barbiano di Belgioioso, da cui ebbe Girolamo ed Eleonora, che sarà donna di grande ingegno e dotta nelle matematiche. Gilberto fu uomo di grande pietà e munificenza; fece costruire la Chiesa di San Lorenzo e restaurare quella di Santo Stefano in Sala e innalzare una cappella nella Chiesa della Annunnciata a Parma e ripristinare la Cappella gentilizia nella Chiesa di San Francesco del Prato, in cui il celebre Mazzola dipinse la Pietà.

Giberto IV sposò in seconde nozze Barbara Sanseverino, donna celebre per bellezza e ardimento, Marchesa di Colorno. Girolamo San Vitale, alla morte del padre Gilberto IV, fu investito dal Duca Ottavio anche del marchesato di Colorno con l'obbligo di assumere il cognome e lo stemma dei Sanseverino, originari del Reame di Napoli, ove signoreggiavano il piccolo centro di Sanseverino, mentre la madre Barbara governava Sala.

Gilberto arricchì la Rocca con giardini e vigne e adornò parecchie stanze con affreeschi e dipinti, aggiungendovi una magnifica galleria. Barbara rimase vedova, aveva sposato Orazio Simonetta; e figlio Girolamo, VII conte di Sala, dopo impalmò Benedetta Pio d'Ercole di Sassuolo, da cui ebbe Gianfrancesco che sarà detto il Marchesino di Sala. Orgogliosa per la grande dtima di cui si circondava e per le prerogative di cui era fornita, Barbara insieme ad alcuni feudatari partecipò alla sfida aperta e alla congiura contro Ranuccio I Farnese, duca di Parma.

Il gran colpo contro la Famiglia ducale, doveva effettuarsi, in occasione del battesimo del principe Alessandro. Ma essendo stata rimandata la cerimonia battesimale ad altra epoca, si pensò di approfittare della permanenza del Duca al Convento Francescani di Fontevivo, da lui recentemente fondato e dotato ove egli spesso si ritirava a scopo di riposo in compagnia

di quei Padri Cappuccini. Mentre procedevano le trattative per un componimento amichevole tra i Sanvitale e la Casa Farnese, la congiura venne casualmente scoperta, essendo caduto nelle mani della giustizia uno dei più importanti complici, Alfonso Sanvitale, conte di Fontanellato.

Ne seguì la cattura del Marchesinò di Sala Gian Francesco e, mentre la sua Famiglia dissimulando l'interno affanno continuava la causa in via Iegale, il Duca Ranuccio I faceva occupare la rocca di Colorno e arrestare Orazio Simonetta, Girolamo San Vitale, conte di Sala, Pio Torelli, conte di Montechiarugolo e Giambattista Masi, conte di Felino.

Dalle dichiarazioni estorte con la solita spietata procedura del tempo, risultò la complicità della contessa Barbara, che venne catturata il 13 Febbraio 1612. Messa a confronto coi suoi prossimi parenti, posti in sua presenza sull'eculeo, davanti alle loro reinterare accuse, Barbara benchè non sottoposta a tormenti bacillò nella sua fermezza ed imprecò alla mala sorte, al tradimento dei cari, e finì tra lacrime e Iamenti a confessare la sua complicità.

Il 19 maggio 1612 la terribile sentenza fu eseguita con somma rasseganzione dei pazienti, assistiti dai confratelli della Pia Unione di San Giovanni Decollato, sulla pubblica piazza in giorno di mercato, presente una grande folla, muta e atterrita, ai funebri rintocchi delle campane. Barbara Sanseverino lasciò per prima la testa sul ceppo, la quale venne subito esposta al pubblico, conficcata su un acuto ferro infisso allo scopo, sul palco ferale; poi seguì l'esecuzione degli altri maggiori imputati.

Benchè il sommo storico Muratori ritenga che la congiura contro Ranuccio I Farnese sia stata una trovata del Duca per impinguare il proprio patrimonio coi feudi di quei signori giustiziati, il Drei dimostra nell'opera magistrale "I Farnese", con documenti rinvenuti nell'Archivio della Parrocchia urbana di Santa Maria Maddalena di Parma e con l'esame degli incarti processuali, che la cospirazione esistette veramente; questa s'inquadra facilmente non solo nella tensione di l'apporti tra i Sanseverino e il Farnese, ma anche nel momento politico generale a cui bisogna riferirsi.

La Camera Ducale di Parma, per diritto di confisca, prese subito possesso di Colorno, che poi divenne splendida Villa Ducale, nonché del palazzo dei Sanseverino a Parma, del Feudo di Sala Baganza dei San Vitale, e degli altri feudi dei giustiziati. Nel 1630, infierendo il colera, la Rocca di Sala fu abbandonata dalla corte dei Farnese.

Sotto Ranuccio II essa fu assegnata come villeggiatura del Collegio dei Nobili di Parma, fondato nel 1611 da Ranuccio I per l'istruzione dei giovani della nobiltà, imponendo soltanto di togliere il ponte levatoio e rispettare fino alla morte una servente di corte.

Ranuccio II decretò parimenti a Sala una riserva di caccia ad uso proprio e del Collegio, comprendente le Ville di Sala con Maiatico, Collecchio, Collecchiello, Talignano, San Martino Sinzano, Castellaro, San Vitale con Limido, Barbiano, San Michele di Tiorre, Felino col castello, San Michele dei Gatti, Carignano e Cevola di Felino.

Da questo tempo il Principe Ranuccio godeva trovarsi spesso a Sala coi convittori ed aveva nella Rocca un appartamento a sé riservato.

L'andata dei convittori a Sala, ogni anno il 16 agosto, avveniva con grande apparato e pompa: venivano accaparrate le carrozze della città, da quele del Principe a quelle dei cavalieri, per il trasporto dei convittori, i quali prima si avviavano nella piazza grande e poi tutti incolonnati sulle carrozze si dirigevano alla volta di Sala. Il Rettore del Collegio dei Nobili, Padre Martinelli, curò di ingrandire la Rocca perché potesse accogliere il maggior numero di studenti, costruendo 2 nuove camere, un appartamento per i Principi ed una Cappella; ed ottenne dal Duca anche locali posti fuori dalla Rocca per il gioco delle cuccole.

Moriva a Parma il 20 gennaio 1731, senza figli, il Duca Antonio, succeduto a suo fratello Francesco Farnese, per cui con lui aveva fine la Dinastia Farnese del ramo di Castro che per 185 anni, e con 8 Duchi, aveva retto le sorti del Ducato di Parma e Piacenza. Con la morte del Duca Antonio mancò alla Rocca di Sala il suo grande protettore. Per il trattato di Vienna del 2 luglio 1731, concluso tra l'Austria e la Spagna, l'infante Don Carlos di Borbone, figlio di Filippo IV e di Elisabetta Farnese, reali di Spagna, assumeva il diritto di successore al Ducato Parmense.

Il principe Carlo, avendo trovata l'aria di Sala Baganza più confacente alla sua salute di quella di Colorno, determinò 1733 di prendere per sè la Rocca e di dare al Collegio dei Nobili la Badia di Fontevivo.

Inutili furono le lamentele presentate dai Padri Gesuiti che avevano la direzione del Collegio dei Nobili, i quali avevano sempre ritenuta la Rocca come donata da Ranuccio II al sollievo autunnale dei loro studenti, con piena libertà di farvi tutte le modifiche che fossero state ritenute utili al Collegio.

Con l'espulsione dei Gesuiti nel 1768 dal Ducato, la Rocca di Sala fu occupata dagli impiegati e dai pensionati della Corte di Parma, i quali domandavano tutti di venirvi a trascorrere gli ultimi anni.

Il Duca Ferdinando di Borbone restaurò la Rocca e fabbricò l'interno Oratorio di S. Lorenzo il 23 agosto 1795.

Il Duca Ferdinando e la sposa Maria Amalia preferivano, come villeggiatura estiva, il Casino dei Boschi, acquistato poi nel 1819 dalla Duchessa Maria Luigia, che lo rialzò e lo ampliò

accrescendolo con la costruzione di lunghi fabbricati laterali per servizio della Corte ducale, arredandola anche di mobili di grande valore.

Con decreto del 1 settembre 1835. Maria Luigia donò questa magnifica tenuta al dominio della corona dei Ducati Parmensi.

Alla morte di Ferdinando di Borbone, avvenuta 1'8 ottobre 1842, gli Stati Parmensi passarono alla sovranità della repubblica Farnese con decreto del 23 ottobre 1802 del Ministro Moreau di Saint Merv. Con decreto del 1 ottobre 1803 fu formata una riserva di beni appartenenti al demanio pubblico di questi Stati per essere divisi in più parti e distribuiti a quei francesi, che durante la Rivoluzione, ebbero gravi perdite. Per cui il Tenente Cav. Michele Varron, fu ceduta la Rocca di Sala con le sue dipendenze e molte terre il 1 agosto 1804.

Grande fu l'affetto per Napoleone del vecchio soldato piemontese che fece togliere all'Oratorio della Rocca il quadro dell'Assunta e collocarvi quello di San Napoleone dipinto dallo Scaramuzza.

La Rocca passò per eredità a Carlo e Lodovico Varron, con atto del 22 ottobre 1821; fu poi acquistata il 19 aprile 1888 dal Marchese Giambattista Carrega Principe di Lucedio.

Questa nobile Famiglia, ormai Parmigiana di elezione, ha largo posto nell'ammirazione e gratitudine dei Salesi per la sua munifica larghezza in ogni forma di beneficenza sociale.

Col testamento olografo del 18 marzo 1897, il Marchese Giambattista Carrega nominava erede della Rocca il fratello Principe Andrea Carrega Bertolini, alla cui morte passò in eredità a

S.E. il Principe Franco Carrega che lo vendette al Sig. Magnani Remigio con atto notarile del 7 ottobre 1920.

Attualmente la Rocca è dimezzata per opera del cav. Michele Varron. Nell'interno essa offre ancora qualche sprazzo dello antico splendore con le due sale affrescate nella seconda metà

del 1500, rappresentanti le fatiche di Ercole ed Enea; e una terza sala dagli scorci arditi, dal disegno toscano e dal brillante colore di Sebastiano Galeotti del 1700. Quando si alterò la forma primitiva della Rocca, si creò una nuova e grandiosa scala che porta al primo piano; all'ingresso di essa furono collocate 2 bellissime cariatidi, già stipiti di un camino. Della grande mole dell'antica Rocca sussiste solo un lato dell'antico porticato quattrocentesco con capitelli cubici su colonne.

 

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