Libro scritto da Don Ettore Paganuzzi durante il periodo trascorso a Monchio delle Corti (PR). Per motivi di spazio non sono presenti le foto. Se volete maggiori delucidazioni o per comperare l'opera, contattateci con una e-mail all'indirizzo:
PELLEGRINI PER UN MILLENNIO
Religiosità, religione e fede nelle Corti di Monchio
TESTI DI
ETTORE PAGANUZZI
RACCOLTA DELLE TRADIZIONI POPOLARI E FOTOGRAFIE DI
GIACOMO ROZZI
ATTO DELLA FONDAZIONE DELLA CHIESA DI RIANA A CURA DI DONATELLA BASTERI
ISTITUTO INTERDIOCESANO DI SCIENZE RELIGIOSE
"S.ILARIO DI POITIERS"
PARMA
In copertina
Cometa di HALE - BOPP
fotografata sul valico di Casarola - Monchio
il 2/4/1997 alle ore 20. 45
La cometa è la pellegrina dell’universo come l’homo viator che va alla ricerca del senso della vita .Avvolto dal mistero, l’uomo si interroga da sempre sul senso, su Dio e sul proprio vagare nel grande mare dell’essere. Tanti sono i colori della cometa che partano da un gran fuoco di luce come tante sono le scie luminose lasciate dall’uomo dietro di sé nel cammino : partono tutte da quell’unica fonte da cui il tutto promana. Anche la terra che si va avvolgendo nella tenebra notturna è ancora illuminata debolmente da quel sole che mai tramonta perché continua a riscaldare la natura in procinto d’addormentarsi nella quiete della notte .
RINGRAZIAMENTI
Sono riconoscente ai parrocchiani delle Corti poiché in seno della loro comunità mi stato dato di riscoprire le antiche radici della spiritualità popolare delle genti dei monti che per larga parte sono le stesse che vivevo da bambino
Le riflessioni su questo tema sono frutto anche degli anni di insegnamento all’interno dell’ Istituto interdiocesano di scienze religiose di "Sant’Ilario di Poitiers". Ringrazio l’Istituto per il patrocinio dato all’opera.
La realizzazione di questo libro è stata resa possibile grazie al generoso e determinante contributo della
Fondazione Cassa di Risparmio di Parma
E Monte di Credito su Pegno di Busseto
Ringraziamo inoltre per la cortese attenzione data all’opera di
Comune di Monchio
Ente Parco dei Cento Laghi
Comunità montana
INDICE
PRESENTAZIONE, di Mons. Franco Grisenti
INTRODUZIONE : religiosità. religione , fede
I centri più antichi
Le Chiese matrici
Anche le altre cappelle diventano parrocchie
L’ultima arrivata nelle Corti
I santi del rinnovamento della Chiesa
Mons. Guglielmo Quaretti
Don Antonio Montali
Don Giuseppe Lucchi
Don Giovanni Lottici
Don Erminio Lazzari
Don Amedeo Cavatorta
Don Romano Orlandini
Don Ferruccio Siliprandi
Don Dario Porta
Bibbia
Liturgia
Missionarietà
Catechesi
Gruppi familiari
Carità
APPENDICE : Atto Notarile Della Fondazione Della Chiesa Di Riana
Documento (inedito) del 1618 (curata la trascrizione del testo latino e la relativa traduzione).
INDICE DELLE NOTE
CATALOGO DELLE OPERE NELLE CHIESE DELLE CORTI
BIBLIOGRAFIA
Al Santuario di Careno dove mamma Rosa mi portava fanciullo, e Maria ha nutrito la mia vocazione
Don Ettore
"Fermatevi nelle strade e guardate, informatevi circa i sentieri del passato, dove sta la strada buona e prendetela, così troverete pace per le anime vostre".
(Gr 6, 16
"Uomo, ti è stato insegnato ciò che richiede il Signore da te:
praticare la giustizia,
amare la pietà,
camminare umilmente con il tuo Dio"
(Mic 6,8)
Presentazione di Mons. Franco Grisenti
Il libro di Don Paganuzzi, con la collaborazione di Rozzi Giacomo per la raccolta delle tradizioni popolari e per la fotografia, nasce dalla volontà di non lasciare cadere nell’oblio opere e tradizioni della religione come si è espressa nelle Corti di Monchio. L’autore affronta l’argomento con la competenza che gli viene da anni di insegnante di filosofia e lettere nelle scuole cattoliche, di religione nelle scuole statali e di Filosofia contemporanea e Antropologia filosofica nell’Istituto diocesano di scienze religiose.
Non è opera di teologia ma risponde al bisogno del popolo di conoscere le proprie tradizioni religiose e le opere artistiche nate dalla fede prima che siano fagocitate dal tempo. Gli argomenti sono affrontati in modo agile per rispondere meglio al modo di fare informazione oggi. Chi vorrà potrà, poi, approfondire secondo le esigenze personali.
L’opera si avvale della catalogazione di tutto quello che nelle chiese è stato trovato dagli operatori della Soprintendenza. Venendo meno i sacerdoti in ogni parrocchia era più facile lasciare incustoditi o all’ingiuria del tempo veri capolavori.
Il libro si rivolge in primo luogo agli abitanti delle Corti perché non dimentichino le loro radici e ad ogni persona desiderosa di interrogarsi su che cosa significhi vivere una religione per la vita di un popolo.
L’autore vuol aprire una finestra sul futuro della Chiesa: viene visto nell’accoglienza e nell’impegno per realizzare le direttive del Concilio Vaticano II
Mons. Franco Grisenti
Prefazione
RELIGIOSITÀ, RELIGIONE , FEDE
Un buon motivo per leggere questo libro. Ci sono foto splendide fatte con arte e amore .E’ importante gustare le cose belle che la tradizione animata dalla fede e dalla religiosità ci ha lasciato. E’ un patrimonio di grande valore che prima veniva solo conservato dalla fede. Ora conservarlo diventa difficile: le chiese sono per lo più chiuse, le maestà sono lasciate in abbandono perché non passa più, o raramente, persona che si ferma e prega con devozione. Per questo oggi sono incustodite e in balia di persone senza scrupoli che si vogliono accaparrare qualcosa da esibire o da vendere.
Un motivo del libro è far conoscere, perché siano apprezzate e difese dal tempo e dalla incuria degli uomini e dai male intenzionati. Per questo ringraziamo la Soprintendenza del Ministero per i beni culturali e ambientali di Parma che ha catalogato, fotografato tutte le opere delle nostre chiese, le ha descritte. La ringraziamo anche perché da quelle schede abbiamo attinto le notizie storico-critiche e artistiche . Abbiamo dotato anche alcune chiese( l’aiuto è venuto dalla CEI), che custodiscono veri patrimoni, di sistemi sofisticati di allarme.
Un buon motivo per leggere questo libro può essere quello di vedere in poche pagine buona parte dell’immenso repertorio del fenomeno religioso nelle sue varie sfaccettature.
Val la pena intendersi sull’uso delle parole. Per religiosità intendiamo i valori profondi scritti nell’animo umano, inseriti in modo naturale in una determinata cultura. Sono quei valori che concorrono, tassello per tassello, a formare la coscienza collettiva di una comunità e dunque la persona. Possono variare da cultura a cultura. Interessante l’affermazione di un missionario saveriano che dice che nelle isole delle Mentawai non esiste la parola libertà per il semplice motivo che è un valore che non è mai stato oggetto di rivendicazione in quanto è vissuto con serenità fin dall’inizio della esistenza.
Religiosità non suppone la pratica di una religione. Moravia si definiva religioso e, a quanto risulta, non era credente e neppure praticante. Religiosità è credere in quei valori senza i quali non è neppure possibile vivere e sperare. Per il credente i valori hanno sempre una fonte ultimativa e definitiva, per il non credente sono solo scritti nel dinamismo interiore della persona. Per questo si parla spesso anche di morale laica cioè una morale che non ha un legislatore divino che dica : Io sono il signore Dio tuo.
La religiosità si esprime in modi diversi che il credente ortodosso chiamerà alcuni autentici e gli altri spuri. In ogni modo sono espressione della psiche collettiva dell’umanità. Parliamo poi di religiosità popolare poiché spesso sembra che il popolo nel suo insieme, se togliamo una piccola élite, abbia un modo più immediato e sensibile di mettersi in contatto col trascendente, con l’altra faccia della medaglia della realtà.
Questa ricerca porta, poi, ad interrogarsi sul fenomeno della religione. Qui, in queste Corti per il millennio che se ne va, si tratta solo della religione cattolica (anche se rimangono ben radicate tracce di religione pagana praticata dalle popolazioni liguri, poi romane, poi germaniche fuse nell’unico crogiolo della cristianità. Le religioni hanno almeno tre elementi comuni che cambiano naturalmente rispetto al tipo di religione : verità da credere, una morale da seguire, riti da praticare. Nel percorso di questo millennio si è istallata profondamente la religione cattolica che per 500 anni circa ha vissuto di rendita sull’onda dell’entusiasmo dei primi martiri, dei primi testimoni poi ha dovuto riflettere su se stessa nel Concilio di Trento. E’ ripartita con una lunga onda che è arrivata fino ai giorni nostri. La Chiesa si è rinnovata totalmente (definizione dei dogmi, riforma liturgica, esercizi di pietà, sistemazione dei luoghi di culto, attenzione alla propria identità con la compilazione dei libri da conservare in archivio). Quel Concilio ha avuto la forza della speranza: il seme seminato ha dato il suo frutto. Questa riforma ha dato un nuovo entusiasmo che non era più quello iniziale ma alimentato da una carica nuova. C’era la consapevolezza di trattare i misteri divini e di aver trovato la chiave per dar senso alla durezza di una vita che dava poche certezze materiali ma era carica di profondità interiore tanto da arginare le mille difficoltà che l’esistere incontrava.
Aveva però un grosso handicap: era un modo di praticare la religione basato solo sulla adorazione, sul timore di Dio che veniva incontro al bisogno di un punto finale di riferimento ma guardava solo ai beni ultimi senza volersi immischiare nei problemi del presente. Di fronte alle avversità create dalla natura e dagli uomini bastava solo la forte carica di solidarietà cristiana che portava ad aiutarsi in caso di bisogno ma non intendeva impegnarsi nella lotta per la giustizia.
La religione è stata la forte spinta a creare veri capolavori dal punto di vista artistico. AD MAIOREM DEI GLORIAM ripeteva Sant’Ignazio: tutto doveva essere fatto per la maggior gloria di Dio, non importava il costo di un opera sacra. Si racconta che un abitante di Monchio andò a Parma e pagò una somma considerevole un ostensorio che era stato fatto per la cattedrale. Non so l’attendibilità del fatto, comunque questo era lo spirito con cui si facevano le cose: la glorificazione di Dio(c’era, poi, la propria autoglorificazione per far bella figura di fronte al paese? Penso di sì, ma questo non si dice.)
La fede si esprimeva attraverso continui atti di culto per lo più vissuti insieme e molto, naturalmente, nell’esistenza dei singoli e all’interno delle proprie famiglie. La fede è fiducia in qualcuno; è rapporto personale con Dio. Gli altri possono aiutare con l’esempio. Alla domanda "credete" delle promesse battesimale, il fedele risponde come singolo "credo". Nella fede gioco me stesso , non posso camuffarmi nell’impersonalità, nel " si dice", nel" si muore", nel "si fa" ma in prima persona dico "credo", faccio, mi impegno, scelgo, morirò. Emetto l’atto di fede di fronte a chi mi conosce, che è più presente a me di me stesso ("per la vita del Signore, alla cui presenza io sto..." 1Re 17, 1 dice Elia): di fronte al quale non posso barare (anche se andassi nel più profondo nel mare).
Marie-Dominique Chenu in un’intervista aveva parlato della fede e ragione. "La distinzione, a volte un po’ spinta, tra fede e religione è ora rappresentativa di un nuovo atteggiamento cristiano. Oserei dire che ce ne sono che hanno la fede e non vogliono più la religione. La religione può essere un conformismo culturale e ideologico, la fede è una comunione con Dio che lavora nel mondo. Diciamo che la religione è il bisogno che prova l’uomo d’innalzarsi verso la divinità per trovare sollievo alla propria miseria. Mentre nella fede è Dio che ha l’iniziativa e invia suo figlio perché sia uomo tra gli uomini. E poiché Dio si è fatto uomo, è sul piano umano che si pone il problema del mio destino, della costruzione del mondo delle speranze, della liberazione degli uomini".
La lettura di queste pagine può, pure, suscitare l’interrogativo sulla propria fede. Un gruppo di Ebrei ad Auschwitz, di fronte alla tragedia che stavano vivendo come popolo, tentano un processo a Dio; il verdetto non può che essere : "Colpevole". Emessa la sentenza, il capogruppo conclude : "Ora andiamo a pregare!". Il mistero rimane, è un mistero d’amore e di speranza. Incamminiamoci allora ben attrezzati per il pellegrinaggio di un altro millennio. "Ma il Figlio di Dio, quando verrà, troverà ancora la fede sulla terra ?"(Lc 18,8)
Capitolo primo
UNA STORIA ANTICA
Cenni di una storia di queste valli
Le Corti di Monchio. Assai diversa dalla Valli dei Cavalieri la concezione politica e l’organizzazione amministrativa della giurisdizione autonoma di questa parte della montagna parmense.(fig.1)
Qui non turriti manieri, non cavalieri con corazza e lancia a loro difesa , un solo modesto palazzo a Monchio per il Giusdicente vescovile, (il Podestà delle Corti) ; per l’ordine pubblico un solo sbirro, e in ogni corte un Camparo custode dei campi e dei pascoli ,e, per la difesa dagli invasori, gli arcipreti con il crocefisso in mano e la minaccia di scomunica . Eppure bastarono queste armi spirituali a fare ritornare sui suoi passi un corpo di soldati mandato sul principio del XVIII dal Duca Francesco a prendere , in suo nome, possesso di questi territori.
A comprova che non è la forza bruta che salvaguarda lo stato, queste Corti, sorte verso il Mille, cioè pressoché contemporaneamente alle Valli dei Cavalieri, e per lo stesso motivo, cioè donazioni imperiali alla Chiesa , ebbero vita ben più lunga e terminarono nel 1805, con la sparizione in Italia di ogni traccia di dominio feudale , in conseguenza dell’ondata rinnovatrice provocata dalle idee rivoluzionarie , confortata dai solidi argomenti che Napoleone soleva portare con sé.
E’, inoltre, altrettanto certo che gli abitanti erano gelosissimi della loro autonomia , apportatrice, tra l’altro di non pochi vantaggi materiali : pochi tributi, pochi fastidi, (un solo sbirro per 14 paesi !) e soprattutto contrabbando facile e sicuro con le vicine terre toscane ed estensi. Ma per gli stessi motivi, visti dall’altra parte, il governo ducale era pregiudizialmente ostile al mantenimento di questa giurisdizione autonoma, vero stato, sia pur piccolo, nello stato, e varie volte, ma sempre inutilmente, cercò di eliminarla.
Ma cosa erano e dove erano queste Corti ? Erano villaggi, in base a donazioni che risalivano all ‘alto Medio Evo, circa verso il 1000.
Le Corti erano 13 , precisamente :Casarola, Ceda, Grammatica, Lugagnano, Monchio, Nirone, Pianadetto, Riana, Rigoso, Rimagna, Trefiumi, Valcieca, Valditacca, e Vecciatica , e corrispondevano all’attuale territorio del comune di Monchio, più Grammatica in Val di Bratica in comune di Corniglio, Nirone e Valcieca ora in comune di Palanzano, ed occupavano la parte media e alta della Val Cedra, più limitate estensioni in quella del Bratica e nell’alto Enza.
Il rappresentante del Vescovo di Parma, il giusdicente o podestà delle Corti, risiedeva a Monchio, ma inizialmente stava alternativamente a Rigoso ed a Monchio.
Gli abitanti eleggevano ogni anno, per ogni Corte, il Console, ed un numero di Consiglieri variabili da 1 a 3. L’insediamento dei Consoli avveniva il secondo giorno della Pasqua di Risurrezione. I vecchi Consoli, riuniti nel palazzo del Giusdicente, davanti al Podestà, gli davano l’elenco dei nuovi eletti, il quali prestavano giuramento, dopodiché erano scritti nel "liber actorum Potestatis".
Partiti i consoli vecchi, i nuovi erano invitati ad una colazione offerta dal Podestà e pagata coi denari delle colte, e con gli stessi si regalava un paio di scarpe allo sbirro .
E non posso fare ameno di ricordare che la prima adunanza del piccolo parlamento paesano, richiama alla mente i versi del "Comune rustico" del Carducci :
E le rosse giovenche di sul prato
Vedea passare il piccolo senato
Brillando sugli abeti il mezzodì.
I vescovi legiferavano con grida e ordinanze su ogni problema anche molto pratico.(fig. 2;fig. 3)
Questo territorio autonomo non visse sempre in piena tranquillità con i vicini . Agli inizi fu insidiato dalla Toscana, cui prima erano state attribuite le terre donate al vescovo di Parma , poi dal governo ducale di Parma .Infatti, rafforzatasi l’autorità centrale, cioè regolarizzati i balzelli, le dogane, le leggi e simili piacevolezze, recava spesso danno, e sempre fastidi a non finire a questa piccola repubblica montanara, anche se provvista di tutti crismi della Chiesa .
Ci fu un tentativo di soluzione concordata e precisamente di una vagheggiata (dal Duca) permuta delle Corti Di Monchio col feudo di Fornovo, concordata nel 1675.
La transazione sembrava definitiva con l’accordo tra le due autorità, ma gli abitanti erano fieramente avversi. Una loro delegazione, capitanata da don Giovanni Schiappa, rettore di Casarola, si recò a Roma e ottenne di essere ricevuta dal sommo Pontefice, che , colpito dal calore dei difensori, stabilì di mandare in loco per una inchiesta il Cardinale Girolamo Boncompagni, Arcivescovo di Bologna (fig.4 ) .
I verbali degli interrogatori fatti dal Buoncompagni agli esponenti delle Corti costituiscono una miniera preziosa, e sino ad oggi inesplorata, di date di notizie sulla vita, i costumi, l’amministrazione di queste corti, argomento invero di grande interesse storico locale .
Ad ogni modo, l’intervento del papa non era evidentemente garbato né al Duca né al Vescovo, e la divisata transazione non ebbe seguito.
Ma il felice esito della lotta degli abitanti delle Corti, accese l’estro poetico di uno di essi, don Lorenzo Guatteri. Questi buon latinista e verseggiatore fluente, scrisse in esametri sonanti le vicende della questione, esaltando come un eroe lo Schiappa, e prendendo occasione per illustrare le Corti, in un poemetto intitolato: Curtes Monchij per cuculum montanum cantatae.
Ma meglio si organizzava lo stato, più appariva anacronistica la giurisdizione delle Corti. E quindi comprensibile che nel generale riassetto intrapreso dal Du Tillot, il dinamico ministro abbia pensato, nel 1767, di approfittare delle acute lotte con la Chiesa per eliminare questa vestigia feudale, e l’abbia fatto con metodi sbrigativi, inviando soldati a presidiarli. E questa volta nessun arciprete si presentò a contrastare loro il passo ! Ma fu appunto la politica ecclesiastica , che turbava l’animo del Duca, a provocare la disgrazia del Du Tillot, la cui caduta riportò, al solito, allo status quo.
Solo con l’abolizione di ogni traccia feudale in tutta Italia , le Corti di Monchio ebbero fine. Esse rimangono però un interessante esempio di giurisdizione autonoma montanara .
E per finire, una citazione dal Cuculo di Montagna (1)
...Regio satis aspera Curtes,
area ventoso nimium baccata furore,
terra procellarum tempestatumque taberna.
Hic Borealis hiems medium sibi vindicat annum
aspera flatu, et rabidis furit improba telis.
...Aspra regione son le Corti, avvolta
quasi in perpetuo dal furor dei venti,
ospizio di procelle e nevi. Quivi
l’inverno boreal metà dell’anno
rivendica per sé; maligno infuria
con ampi soffi e con spietati dardi".(trad. Braga)(2)
Pur essendo inconcepibile, secondo la nostra mentalità, un governo civile sotto la giurisdizione di un vescovo, possiamo solo notare che era un buon governo e più laico e democratico degli stati dove c’era la separazione tra Chiesa e Stato: nelle Corti c’era una specie di democrazia rappresentativa e i sudditi erano, evidentemente , soddisfatti del governo del vescovo.
Su uno dei due cippi dei Salarini c’è la stemma del Vescovo Olgiati ,simile allo stesso stemma conservato nella casa della Curia al Montale (casa Battistini) . Il vescovo Giuseppe Olgiati fu il feudatario delle Corti dal 1694 al 1711 (fig. 5)
Ritratto del vescovo Marazzani
La chiesa di Monchio possiede il ritratto su tela del vescovo Camillo Marazzani, piacentino che diventa vescovo di Parma nel 1711 e muore nel 1760. Il vescovo è raffigurato in modo giovanile, col volto glabro. Indossa un camice bianco e mozzetta verde-azzurra. E’ facile pensare che il ritratto sia stato fatto proprio agli inizi del suo episcopato dato il volto giovane (fig. 6)
Gli storici opinano che la sovranità ecclesiastica e civile dei vescovi su queste Corti, sia da aggiudicarsi alla prima donazione fatta dall’imperatore alla badia di Berceto.
L’Affò, basandosi su un documento di Carlomanno dell’879, ritiene che l’imperatore donasse al vescovo Guibodo oltre la Badia di Berceto anche altre terre che formavano una parte delle Corti.
Il vescovo Ugolino Rossi ricevette nel 1353 da Carlo IV, con diploma da Roma, una nuova investitura che assegnava per confini del distretto dell’antica Badia , il vescovado di Luni, il territorio di Bosco e di Corniglio e la via di Rigoso e di Rimagna.
Questa sovranità mediata fu sempre dai vescovi proclamata e difesa ed esercitata fino alla abolizione dei feudi, con legge napoleonica del 1805
Serie dei vescovi di Parma
Può essere utile al lettore conoscere la serie dei vescovi succedutesi nella diocesi di Parma perché nel nostro percorso spesso dovremo incontrarci con loro.
Urbano vescovo nel 374 ; deposto dal Concilio Romano del 382.
Genesio (S) vescovo nel 399 ?
Cipriano vescovo nel 451 ?
Esuperanzio vescovo nel 603
Grazioso vescovo nel 680
Aicardo vescovo nel 731
Alboino vescovo nel 744
Girolamo vescovo nel 775
Pietro vescovo nel 781 ; m. il 26 settembre 819
Lamberto vescovo nel 827 ; m. Il 20 giugno 835 ?
Guibodo vescovo nel 860 ; m. Il 29 novembre 895.
Elbungo vescovo nel 895
Aicardo II vescovo nel 26 settembre 920 ; m. 927 ?
Sigifredo vescovo nel 929
Adeodato vescovo nel 947
Umberto vescovo nel 961 ; m. il ? dicembre 979 ?
Sigifredo II vescovo il 12 agosto 981; m. dopo il 4 marzo 1015.
Enrico vescovo il 4 ottobre 1015
Ugo vescovo nel 1027; m. nel dicembre del ?
Cadalo veronese, vescovo nel 1046
Everardo vescovo nel 1073 ; m. 1085
Guido vescovo nel 1092
Bernardo (S) degli Uberti fiorentino, cardinale, consacr. il 1 ? novembre 1106 ; m. il 4 dicembre 1133 ?
Lanfranco vescovo nel 1134 ?
Aicardo da Cornazzano vescovo nel 15 marzo 1162 ; deposto nel 1167 ?
Bernardo II vescovo nel 3 giugno 1171 ; m. l’8 novembre 1194.
Obizzo Fieschi di Lavagna genovese nel 23 dicembre 1194 vescovo eletto; m. il 22 maggio 1224.
Grazia d’Arezzo nel 3 settembre 1224 vescovo eletto ;m. il 26 settembre 1236.
Gregorio romano eletto vescovo nel 1237
Martino da Colorno nel 13 novembre 1237 vescovo eletto ; m. nel1243
Bernardo da Vizio nel 1243 vescovo eletto ; m. ?
Alberto Sanvitale eletto nel 1243 ; m. il 16 maggio 1257.
Obizzo Sanvitale , canonico della cattedrale ; eletto nel secondo semestre del 1258, trasferito a Ravenna il 23 luglio 1295.
Giovanni da Castel Arquato eletto vescovo forse il 29 settembre 1295 ; morto il 24 febbraio 1299.
Goffredo da Vezzano eletto vescovo il 1 aprile 1299 ; morto nel marzo del 1300.
Papiniano della Rovere torinese, eletto il 3 giugno del 1300 entrò in sede nell’agosto successivo ; morto il 14 agosto 1316.
Simone Saltarelli di Firenze, eletto nel 1316 fece ingresso il 17 febbraio 1317 ; fu traslato a Pisa nel 1322.
Ugolino Rossi parmigiano, eletto il 6 giugno 1322 consacrato nel luglio dello stesso anno entrò in sede il 1324 ; morto il 28 maggio o giugno 1377.
Beltrando da Brossano nobile milanese , eletto forse l’8 gennaio 1379 ; traslato a Como il 29 luglio 1380.
Giovanni Ruscani nobile comasco, nel 28 settembre 1380 vescovo eletto ; morto dopo il 15 settembre 1412.
Bernardo da Carpi dell’ordine di San Francesco, eletto il 20 ottobre 1412 ; morto l’11 luglio 1425
Delfino della Pergola eletto il 24 agosto 1425 ; traslato a Modena nel 1463.
Giangiacomo Antonio della Torre milanese, nel 29 ottobre 1463 vescovo eletto, prese possesso l’11 novembre dello stesso anno ; morto forse nel 1475.
Sagramoro Sagramori di Rimini, traslato da Piacenza il 14 gennaio 1476, prese possesso il 1° aprile dello stesso anno e fece ingresso il 30 agosto 1478.
Giangiacomo Sciafinati nobile milanese e cardinale, eletto il 13 dicembre 1482 ; morto l’8 dicembre 1497.
Stefano Taverna nobile milanese, eletto il 21 dicembre 1497 ; già morto il 2 settembre 1499.
Gianantonio Sangiorgio milanese, cardinale traslato da Alessandria forse nel 1500 ; morto il 14 marzo 1509.
Alessandro I Farnese toscano, cardinale e poi papa col nome di Paolo III, eletto amministratore perpetuo del vescovado il 28 marzo 1529, rinunziò forse il 12 ottobre 1534.
Alessandro II Farnese cardinale, eletto amministratore nel 1534, rinunziò il 13 agosto 1535.
Guido Ascanio Sforza dei Conti di Santa Fiora, cardinale, eletto amministratore il 13 agosto 1525, rinunziò il 26 aprile 1560.
Alessandro Sforza cardinale, eletto il 26 aprile 1560 prese possesso e fece ingresso il 14 novembre dello stesso anno ; rinunziò nel 1573.
Ferdinando Farnese traslato da Montefiascone nel 1573 , prese possesso il 9 aprile dello stesso anno ; morto nel 1606.
Papirio Picedi traslato da Borgo San Donnino il 25 agosto 1606 , prese possesso il 7 settembre e fece ingresso il 30 novembre dello stesso anno ; morto il 4 marzo 1614.
Alessandro Rossi d’Ischia traslato da Castro il 9 luglio 1614, prese possesso il 19 dello stesso mese e fece ingresso il 19 ottobre ; morto il 24 marzo 1615.
Pompeo Cornazzani di Pavia , nel 26 agosto 1615 vescovo eletto , prese possesso il 4 gennaio e fece ingresso il 28 febbraio 1616 ; morto il 5 luglio 1647.
Girolamo Corio nobile milanese, eletto il 2 febbraio, consacrato il 5 giugno, prese possesso il 18 maggio e fece ingresso il 13 agosto 1650 ; morto il 26 luglio 1651.
Carlo Nembrini nobile anconitano, eletto il 20 luglio, prese possesso il 30 dello stesso mese e fece ingresso il 5 agosto 1652 ; morto il 16 agosto 1677.
Tomaso Saladini conte di Rovetino eletto il 23 giugno e consacrato il 7 luglio fece ingresso il 16 settembre 1681 ; morto il 21 agosto 1694.
Giuseppe Olgiati nobile bergamasco, eletto il 15 ottobre, consacrato il 21 dello stesso mese prese possesso il 29 novembre 1694 e fece ingresso il 15 febbraio 1695 ; traslato a Como il 4 febbraio 1711.
Camillo Marazzani piacentino, eletto il 20 marzo, consacrato il 7 luglio, fece ingresso il 6 dicembre del 1711 ; morto il 13 agosto 1760.
Francesco Pettorelli Lalatta parmigiano, eletto, il 10 novembre, consacrato il 21 dicembre, prese possesso il 30 dello stesso mese 1759 e fece ingresso il 1 marzo 1761. ; morto il 2 maggio 1788.
Francesco Diodato Turchi parmigiano, eletto il 18 maggio prese possesso il 24 settembre e fece ingresso il 5 novembre 1788 ; morto il 2 settembre 1803.
Carlo Francesco Caselli da Castellazzo dell’Ordine dei Servi di Maria cardinale, eletto il 28 marzo prese possesso l’8 luglio 1804 e fece ingresso il 1 maggio 1805 ; morto il 20 aprile 1828.
Remigio Crescini patrizio parmigiano e cardinale, eletto il 23 giugno, consacrato il 6 luglio prese possesso il 24 dello stesso mese e fece ingresso l’8 settembre 1828 ; morto il 21 luglio 1829.
Vitale Loschi di Salsomaggiore ,eletto il 28 febbraio, consacrato il 24 aprile fece ingresso il 28 maggio 1831 ; morto il 31 dicembre 1842.
Giovanni Neuschel ungherese, traslato da Borgo san Donnino il 27 gennaio, prese possesso il 9 marzo e fece ingresso il 19 dello stesso mese 1843 ; rinunziò il 27 settembre 1852.
Felice Catimorri di Russi Faentino dell’Ordine dei Cappuccini traslato da Bagnorea il 23 giugno, prese possesso il 4 luglio e fece ingresso il 15 agosto 1854 ; morto il 28 luglio 1870.
Domenico Maria Villa di Bassano Veneto, eletto il 13 febbraio, consacrato il 25 dello stesso mese, fece ingresso il 19 maggio 1872 ; morto il 22 luglio 1882.
Giovanni Andrea Miotti di Caspoggio Comasco, eletto il 25 settembre consacrato il 1 ottobre 1882, fece ingresso il 28 gennaio 1883 ; morto il 30 marzo 1893.
Francesco Magani di Pavia eletto il 12 giugno, consacrato stesso mese 1893, prese possesso il 21 settembre e fece ingresso il 26 stesso mese 1894 ; morto il 12 dicembre 1907.
Guido Maria Conforti di Ravadese parmense, eletto arcivescovo di Ravenna l’8 giugno 1902,vi rinunciava per malferma salute il 21 settembre 1904 e veniva nominato arcivescovo titolare di Stauropoli. Succedeva per coadiutoria a Mons. Magani il 12 dicembre 1907 ; morto il 1931.(4)
Evasio Colli, nato a Lu di Alessandria il 9.5.1893; vescovo di Acireale il 30.10.1927; trasferito a Parma il 7.5.1932; Arcivescovo "ad personam" il 18.10.1955; morto a Parma il 13.3.1971.
Amilcare Pasini, parmense, eletto vescovo ausiliare del vescovo di Parma il 31-12-1965, nominato amministratore apostolico "sede plena" di Parma il 10-11-1966, nominato vescovo di Parma il 5 agosto 1971, rinuncia per malferma salute il 30-11-1981
Benito Cocchi , vescovo ausiliare di Bologna il 6-1-1975, nominato vescovo di Parma il 22 maggio 1982. Prende possesso della diocesi il 27-6-1882.Trasferito a Modena l’8.6.1996.
Silvio Cesare Bonicelli bergamasco. Vescovo di San Severo il 2 settembre 1991,trasferito vescovo a Parma il 13 dicembre 1996, presa di possesso il 25 gennaio 1997.
I vescovi nelle Corti legiferavano su tutto anche su materie che sembrano molto banali ma che avevano il loro peso sugli abitati. Facciamo un esempio tra i tanti:
Decreto che la lite de sudditi non si tratti col mezzo d’Avocati et Procuratori.
Ferrante Farnese vescovo di Parma
Havendo noi conosciuto per esperientia di quanto danno et spesa sia alli sudditi nostri in temporale, et delli luoghi di nostra giurisdittione della Corte di Monchio, di Castrignano et Cozzano et del Mezzano del Vescovo il trattare le lite et differentie loro per mezzo di Avocati et Procuratori, alcuni dei quali molte volte non hanno quella mira di accordare i litiganti et di venire senza circuiti et termini di lite al ristretto de mariti delle cause che noi per ben loro, et perche non si consumano nelle lite desideriamo.
Però volendo in cio provedere ordiniamo per il presente nostro Decreto da publicarsi in ciascuno di detti luoghi et da osservarsi inviolabilmente che per l’avenire nissuno di detti nostri sudditi possi o debbi così dinanzi à noi et al Vicario nostro come dinanzi alli Podestà do detti luoghi trattare o perseguire alcuna …lite per mezzo di Avocati, o Procuratori senza nostra espressa licentia, et à nostra sodisfattione gliene provederemo.
Et questo sotto la pena che noi piacerà d’imporgli. Et in fide
Dato in Parma alli 30 di maggio 1578
F. Episcopus
(4)
Sentieri percorsi per un millennio(fig.7)
I sentieri percorsi come romei o come commercianti o per altri motivi collegavano Parma con Aulla. Due monasteri costituivano il punto di riferimento sicuro con il loro xenodochio: il monastero di San Matteo e quello gestito dai cavalieri monaci di Altopascio di Linari. Si percorreva il sentiero in alto sui monti per evitare attraversare pericolosi canaloni o torrenti impetuosi. Più in basso si poteva attraversare a guado la Cedra o quando il vescovo Farnese compirà l’opera sul così detto ponte romano. La zona di Lugagnano aveva facilità a passare sul valico del Maria Gallina dove trovano ancora i ruderi di un antico maniero e scendere nella valle dell’Enza. Toscani, Liguri e Monchiesi avevano un commercio continuo. Il punto di maggior mercato era Rigoso sede anche del Giusdicente. Sentiamo don Guatteri
...Nessuna terra più in alto
sta di Rigoso, dove i nembi infuriano
né è più bruciata dall’eterno gelo.
Qui portan tuttavia merci assidue
torme per antri, per pantani ed acque,
per steppe e per nevi. O povertà che uccidi,
cos’è che non comandi ai nostri cuori ?
e dove non costringi a camminare
o amor dell’oro ? Qui s’affretta il ligure
e il tosco che del poco s’accontenta.
Qui vengon il Parmense e il Modenese.
Il mulo l’asinello ed il cavallo
portan precipuamente olio con pesce,
granaglie, vino e sale. I forestieri
fanno affari con i nostri mulattieri
e con tutta la torma rigosina.
C’è che raccoglie un semplice denaro
nei crocicchi ; il beccaio è tutto sporco
di sangue, di brodo il cuoco ; il merciaio
avverso ai prezzi imposti dalla legge,
e l’oste che vuol vendere il suo vino
secondo il solito. C’è un caos di merci
gran confusione di gente ; spesso spada
e tradimento dominan la piazza.(1)
Il Cignolini così parla del commercio : "Restami finalmente a parlar del commercio, che appunto ho riserbato a questo passo, perché senza conoscere la legislazione e i costumi di questa popolazione non si potevano manifestare le cause che gli danno spirito e forma. Commerciano addunque questi abitanti in generi e l’opera loro. Quanto in generi vi sono naturalmente invitati dalla pienissima libertà in cui vivono a questo riguardo e dalla vicinanza della Lunigiana, la quale o pel suo naturale bisogno o per farne commercio co’ Genovesi ritira sempre dal Parmigiano molta quantità di granaglie. Ne’ mesi quindi d’estate si fa un florido mercato di questo genere in Rigoso luogo situato in prossimità del confine e di tutto acconcio a tal uopo. Ma siccome la sterilità di questo suolo non ne somministra di superfluo, si è avuto ricorso allo stratagemma ed al contrabbando. Bisogna però dire a trionfo della verità, che la massima parte del gran che si mercanteggia in Rigoso vi viene trasportato da esteri contrabbandieri parmigiani ed anche Reggiani colà invitati dalla ingordigia del guadagno, limitandosi questi abitanti alla vendita di quello che ritirar ponno dalla Piazza di Parma. Un commercio più vantaggioso e più giusto fassi colla vendita de’ bestiami, formaggio e lane. Tutto si vende a Lunigianesi o Genovesi, che pagano questi oggetti ad altissimo prezzo ed essi somministrano il sale, l’oglio ed il vino, generi questi di cui le Corti sono affatto mancanti.
Ma tutti questi traffichi non durano più di sei mesi circa, impediti nel restante da freddi e nevi eccessive che cadono qua sù in gran copia e che chiudono sovventi volte ogni addito di comunicazione al di là dell’Appennino. In questa stagione lungi dal poter commerciare con facilità, non si può accudire a veruna sorta di coltivazione. Si languirebbe in un ozio profondo, se il bisogno non avesse suggerito di contrattar l’opera. Ogni uomo capace di reggere alla fatica e bisognoso si porta nelle maremme toscane, romane e finanche talvolta nella Corsica e nella Sardegna colà recandosi ogni anno quattrocento o cinquecento circa di questi abitanti. Ivi si esercitano a segare i legnami da costruzione ed a dissodare gl’incolti terreni. Se però questa pratica procura loro un vantaggio di otto, dieci, venti zecchini per ogni persona cagiona altronde dei danni , nei quali devono annoverarsi e l’emigrazione talvolta d’alcune intiere famiglie ed il poco o nessuno amor per la Patria, e l’ostacolo che mette alla propagazione una assenza si lunga. Ma come sperare una riforma, a cui il più imponente bisogno si opporrebbe ?" (5)
Vivere nelle Corti di Monchio duecento anni fa
Il testo riportato del Cignolini e il poemetto del Guatteri descrivono un intenso scambio tra le Corti e Lunigianesi e Genovesi per ragioni commerciali . Strade e sentieri erano attraversati da commercianti, viandanti e pellegrini: erano montagne piene di vita. Questi scambi hanno lasciato tracce nella cultura, nella lingua del monchiese, nella religiosità (ad esempio nel collocare le maestà o nel dotare le chiese di opere di artisti che venivano dalla Lunigiana e dalla Liguria).(fig. 8)
Riportiamo un altro passo dal Cignolini che ci informa sulla vita e costumi degli abitanti delle Corti durante l’epoca dei vescovi feudatari. "Parlando ora de’ costumi de’ Cortigiani, siccome questi sono di complessione forte e robusta sono quindi molto dediti al senso. La religione e l’onore poco gli trattengono dallo sfogo delle loro passioni, frequenti essendo qui li stupri, ed anche le incestuazioni, cosicché nemmeno le leggi umane ne rendono minore la frequenza ad onta che preferivano una multa in lire trecento se il delitto è semplice e seicento nel secondo caso quando però vengono denunciati con querela , pene che per gente povera come questa non sono indifferenti. Conviene però confessare che a tali disordini vi contribuisce non poco la mancanza di educazione, e la ristrettezza di loro entrate, che non permette di ammogliarsi con facilità. Tutti posseggono, ma non tutti abbondano di beni di fortuna, pochissime essendo le famiglie che colle loro entrate mantener si possono tutto l’anno. .Le famiglie si conservano, perché tra di loro regna una specie di celibato di lusso, che a me piace chiamar forzoso. Un solo per ogni famiglia si marita, tutti gli altri quasi per inviolabil costume ne rimangono esclusi, e ciò lor ben torna in fatto, poiché diversamente tutt’insieme si renderebber questuanti in un colla prole. Quindi accade , che la massima parte di tai specie di delitti commessi vengono per opera de’ secondogeniti, i quali se pur se ne astengono non resta per questo che non vivano in lunghi amori di dieci, venti e persin di trent’anni. Ad onta però di questo costume l’altrui talamo è rispettato in grado eccellente e verrebbe segnata a dito la civetteria di un coniugato. I Cortigiani son poi di buon cuore col forestiere, col quale esercitano volentieri i diritti dell’ospitalità, caritatevoli col povero, abbenché molto dediti all’interesse , e reputano a se stessi eguale qualunque abitante di lor nazione sia pur anche ad essi superiore in natali e facoltà. Amano l’ozio più della fatica , ciò che gli costituisce in grado di maggior miseria : Ella è cosa veramente nauseante a veder trascurata l’agricoltura, le donne al governo totale de’ grossi bestiami, que’ uomini che mai non si muovon dal loro paese a marcire nella pigrizia la massima parte dell’anno, qualor non si eccetuino que’ pochi lavori campestri a cui le femmine son men atte. Son poveri di cognizioni al par d’ogn’altro campagnuolo quantunque una buona parte sappia leggere e scrivere , ciò che porta in essi un carattere malizioso e diffidente. Sopra tutto son gelosi alla follia de’ privileggi di lor nazione.
Questi costumi che abbiamo finora osservato fanno sì che in questi paesi si respiri una cert’aura di libertà e d’eguaglianza, che invano sin qui si è ricercata di altre nazioni. Vi ha però contribuito non poco il raffigurarvisi come hanno fatto persone contaminate di gran delitti per l’asilo sicuro che negli anni andati rimaneva loro aperto. Altronde a delinquenti anche sudditi è troppo facile sottrarsi alle pene per la marcata deficienza di forze armata, e per conseguenza anche di coattiva , rimanendo perciò loro aperto ordinariamente un sicuro varco alla fuga" (5).
Capitolo secondo
TRA IL PROVVISORIO E L’ETERNO
Porsi la domanda sull’esperienza religiosa dell’uomo è sempre affascinante perché è come chiedersi il senso dell’esistenza ,come l’uomo ha percepito se stesso, cioè come ha vissuto la sua autocoscienza . L’autocoscienza è consapevolezza di sé. "La consapevolezza di sé è, quindi ,una delle caratteristiche fondamentali, forse la più fondamentale, della specie umana. Questa speciale qualità è una novità evolutiva; le specie biologiche dalle quali l’umanità discende avevano soltanto rudimenti di consapevolezza di sé, o forse ne mancavano del tutto. L’autoconsapevolezza, però, ha portato con sé tetri compagni, la paura, l’ansia, la consapevolezza della morte ...L’uomo è oppresso dalla consapevolezza della morte: un essere che sa di dover morire nacque da antenati che non lo sapevano"(6) Così si esprime Dobzhansky.
L’essenza della religione è consapevolezza di sé. Si può anche accettare questa affermazione alla quale ci ha abituato un autore tedesco del secolo scorso che ha fatto da battistrada a Marx , Freud, e tutta la schiera dei poco originali discepoli . Nell’Essenza della religione Ludwig Feuerbach (1804 - 1872) afferma contro Hegel che l’uomo(e la storia) non è il prodotto di un divenire ideale dello Spirito, ma è l’unico e vero soggetto della storia . Occorre, dunque, partire dall’uomo concreto, e da questi comprendere le sue costruzioni concettuali. Ma il discorso non riguarda solo la filosofia, anzi quest’ultima non è che una forma laicizzata della teologia. Secondo l’approccio ordinario è Dio che crea l’uomo, ma la realtà è che la relazione va capovolta. La teologia cristiana commette l’errore di attribuire ad una creazione umana un’esistenza autonoma e dominante sull’uomo stesso. Ecco dunque che la massima l’uomo ha creato Dio a sua immagine e somiglianza significa che gli attributi che riconosciamo a Dio non sono altro che le idealizzazioni di proprietà umane. La religione, dunque, è alienazione inconsapevole di proprietà umane, ovvero un rendere altro e anche un diventare schiavi di qualcosa che invece è una nostra produzione. Dio mostra quello che l’uomo dovrebbe essere e la teologia si risolve in una antropologia che si rifiuta di operare una separazione tra la dimensione spirituale dell’uomo e quella materiale. Anche la massima l’uomo è ciò che mangia più che una affermazione materialistica esprime l’esigenza di difendere una visione umanistica integrata, in cui materiale e spirituale sono due facce della stessa medaglia. Marx scoprirà nell’alienazione sociale ,l’origine di questa alienazione spirituale.
Le affermazioni di Feuerbach si possono in parte condividere come sull’unione della religione alla consapevolezza di sé e sul timore che certe forme religiose siano partite in modo giusto ma, in seguito, si sono trasformate in forme alienate incapaci di essere di aiuto all’evoluzione storico-sociale dell’uomo in ricerca di dare risposte ai propri problemi di sopravvivenza e di difesa della propria dignità e libertà.
Guardare alla fenomenologia della religione come si è sviluppata in un territorio vuol dire rispondere alla domanda quale consapevolezza di sé l’uomo ha sviluppato su questi monti e in queste valli, quale risposta hanno dato di sé i gruppi umani che si sono insediati in queste terre. E’ indubbio che la cultura, la civiltà che si può cogliere ha intriso la vita nelle sue abitudini, nei costumi , nel modo di aggregarsi. Non si può fare un’analisi, non si può neppure fare la storia di questo popolo se non cercando di capire come ha vissuto la propria esperienza del sacro.
Le tracce lasciate dal cammino storico ci parlano di una evoluzione religiosa che ha segnato tutti settori della vita e le sue tappe . la nascita , l’infanzia , la maturità, la vecchiaia e la morte. Ogni momento era scandito dall’eterno. Il tempo scorreva ma rimaneva il riferimento all’assoluto sia nel vivere la vita individuale, sia quella familiare, sia quella sociale. Anzi proprio l’insicurezza della vita di fronte all’incertezza della nascita, del partorire, del vivere portava ancor più al riferimento all’eterno come per neutralizzare questa provvisorietà che di per sé, data l’insicurezza su tutto, non offriva certezze su come arrivare al domani, come scaldarsi, cosa mangiare.( diamo le immagini di antichi mestieri ormai scomparsi :figg.8,9,10,11,12)
Il riferimento al sacro dava questa copertura sia perché poteva dare spiegazioni per tutto il mistero che avvolge la vita, sia perché poteva arrivare dove le possibilità umane non potevano arrivare nel campo della medicina, del come difendersi dalle intemperie, dal come difendere i magri raccolti ,e il proprio bestiame.
Anche i culti antichi, di cui c’è traccia nella toponomastica, si indirizzavano alle forze superiori all’uomo, che bisognava propiziare se erano favorevoli e che bisogna in qualche modo esorcizzare se sfavorevoli.
Determinate tradizioni cristiane fanno riferimento a queste esigenze: le rogazioni chiedevano la protezione divina a peste, et fame et bello, l’ulivo benedetto poteva essere bruciato quando incombeva una paurosa tempesta , oppure il suono delle campane per allontanare pericolosi temporali, piccole maestà messe sulle porte delle case per proteggere la famiglia, le croci poste nel campo di grano per propiziare un buon raccolto(fig.240), l’immagine di Sant’Antonio messa nella stalla per far si che il bestiame non prendesse l’afta o altre mortali malattia, le varie benedizioni richieste o di oggetti, fare il segno di croce sul pane. Tutto deriva da Dio, gioie, malattie, bel tempo o brutto, lui ha chiavi della vita e della morte. Costante era dunque i riferimento al divino in una concezione così unitaria della vita.
Oltre alla copertura psicologica, interiore, la religione offriva anche una Weltanschauung completa della vita del tutto: ogni cosa aveva la sua spiegazione Un nobile carcerato, in tarda epoca romana, Severino Boezio così si esprime:
"tutto il genere umano sulla terra da un simile principio si diparte ;
uno è il Padre degli esseri, e quell’uno soltanto al tutto impera .
A Febo i raggi ha dato, ed alla luna ha dato la sua falce ;
ha pure dato gli uomini alla terra , ed al cielo le stelle .
Egli ha chiuso le anime nei corpi, tratte da eccelsa sede ;
un nobile germe ha dunque generato tutti quanti i mortali.
Che vantar giova la stirpe e gli antenati ?Se le vostre origini
considerate, e Dio che ne è creatore, nessuno può dirsi ignobile
tranne chi, donde nacque trascurando, nutre nei vizi il male ".(7)
L’unità del genere umano non è tanto considerata sotto il profilo biologico ed etnologico, ma metafisico. Il genere umano è uno (come del resto la realtà tutta), poiché uno è il suo creatore, legislatore e ordinatore. Tutti gli uomini hanno uguale dignità, a causa del loro comune principio: una verità conosciuta naturalmente anche nella cultura classica, ma messa poco in pratica nella cultura pagana e spesso anche in quella cristiana medioevale che pur aveva affermato con chiarezza questi principi. Dio solo è grande ,davanti a lui gli uomini tutti uguali: così stava scritto sull’arcone interno della chiesa di Cassio parmense (questa chiesa si trova su uno dei percorsi storici della via romea che conserva ancora un bel affresco del 1430 raffigurante San Giovanni Battista e San Benedetto. Nell’epoca in cui si cominciò ad annotare nei libri dei battezzati, i fedeli venivano segnati uno dopo l’altro senza particolari ricami o attenzione per i figli dei ricchi. Il cristianesimo con fatica riuscì a rendere operativa questa semplice verità lungo il corso dei secoli. Più che con la lotta sociale i ricchi furono messi in condizione di operare a favore dei più poveri attraverso le opere di assistenza (il povero rappresentava Dio stesso cfr. Mt 26).
Questa concezione non corrisponde al diritto di tutti gli uomini all’uguaglianza proclamato nell’epoca moderna : il diritto all’uguaglianza sancito dalle solenni dichiarazioni non rappresenta un presupposto ma un futuribile. L’uguaglianza da rivendicare non è uguaglianza di dignità ma di status economico, di funzione civile, di rappresentanza politica, di partecipazione al benessere, o altro. Nell’epoca moderna si parla di uguaglianza quantitativa e proporzionale non nell’essere.
Questa concezione unitaria dell’universo e dell’uomo la troviamo espressa in un tempo vicino al nostro in modo poetico e mistico in Santa Teresa di Lisieux . "Per tanto tempo mi sono chiesta perché il Buon Dio, aveva delle preferenze , perché non tutte le anime ricevevano un livello uguale di favori, e mi meravigliavo vedendolo prodigare favori straordinari ai santi che lo avevano offeso , come San Paolo, Sant’Agostino e egli costringeva, per dir così, ad accogliere i suoi favori; oppure leggendo la vita dei santi che Nostro Signore ha voluto accarezzare dalla culla alla tomba ,senza lasciare sul loro cammino alcun ostacolo che impedisse loro di innalzarsi fino a Lui, e prevenendo le loro anime con tali favori che esse non hanno mai potuto offuscare lo splendore immacolato della loro veste di Battesimo, mi domandavo perché i poveri selvaggi, per esempio, morivano in così grande numero prima di aver persino sentito il nome di Dio ... Gesù si è degnato di farmi lui da istruttore , su questo mistero. Mi ha messo davanti agli occhi il libro della natura e io ho capito che tutti fiori che Egli ha creato sono belli ,che lo splendore della rosa e il candore del giglio non tolgono il profumo della violetta o la semplicità incantevole della margherita... Ho capito che se tutti i fiorellini volessero essere rose, la natura perderebbe il suo abito di primavera , i campi non sarebbero più brillanti di fiorellini ...Questa è la situazione nel mondo delle anime che è il giardino di Gesù. Lui ha voluto creare i grandi santi che possono essere paragonati al giglio e alle rose; ma ha creato anche i più piccoli ,e questi debbono accontentarsi di essere margherite, o violette destinate a rallegrare gli sguardi del Buon Dio quando si abbassa verso i suoi piedi. La perfezione consiste nel fare la sua volontà, nell’essere quello che lui vuole che siamo "(8)
Per gli antichi il mondo era un cosmo in cui tutte le forze avevano il loro posto ( il cielo, la terra, le oscure forze del male, tutto poteva essere combattuto, il mondo aveva un suo ordine ). Anche per il mondo pagano (pagano da pagus, abitante del pagus, il villaggio di campagna), c’erano divinità protettrici, divinità malefiche da cui difendersi (offerte , riti, preghiere devote ..) . Noi oggi diciamo che quella non era una concezione scientifica ,che era priva di fondamento : sta, però, il fatto che questo modo di rapportarsi alla natura, alla vita offriva la possibilità di vincere l’ansia, le paure che nascono dalla consapevolezza di sé, dei propri limiti, dal provvisorio in cui si sentivano immersi. Non c’è da sorridere in modo sbrigativo ,perché spesso anche il cosi detto pensiero scientifico ha offerto più di una volta sicurezze illusorie e non ha dato neppure la possibilità di vincere queste paure ancestrali che l’uomo si porta dentro di sé da quando ha dovuto lottare per la sua sopravvivenza. Il divino offriva sicurezza : compiendo bene quelle determinate pratiche si poteva vivere con serenità interiore .
Un testo di Jung sulla religione
Discutiamo un testo di Jung che tocca il problema religioso:
"Il concetto di Dio è una funzione psicologicamente necessaria di natura irrazionale ,che non ha niente a che vedere col problema dell’esistenza di Dio, poiché quest’ultimo problema è uno dei più stupidi che ci si possa porre. Si sa molto bene che non si può neppure pensare a un Dio ,non parliamo poi della possibilità di immaginarci che esista veramente ,altrettanto scarsa quanto la possibilità di immaginarci un processo che non sia condizionato da una causalità necessaria. Teoricamente non ci può essere nessuna causalità, questo è chiaro una volta per tutte. Al contrario si incespica continuamente nella vita pratica nella causalità ; lo stesso avviene coll’esistenza di Dio: è una volta per tutte un problema assurdo... Tutt’intorno c’è però l’irrazionale, ciò che non è congruente con la ragione e questo irrazionale è in ugual misura una funzione psicologica ,cioè l’inconscio assoluto, mentre la funzione della coscienza è essenzialmente razionale "(9)
Il nostro autore continua così:
"Le religioni hanno creato in modo concreto questo ciclo energetico attraverso il culto degli dei (i dominanti dell’inconscio assoluto ).Questa modalità è per noi troppo in contraddizione con l’intelletto e la sua morale della conoscenza , per poterla considerare vincolante o anche solo possibile. Se invece consideriamo le immagini dell’inconscio come dominanti collettivi - inconsci, questa supposizione non contraddice in nessun modo la nostra coscienza intellettuale. Questa soluzione si può accettare dal punto di vista razionale ."(10)
Si può dire al riguardo :
Religione e bisogni dell’uomo
.
Dal discorso fatto andiamo alla constatazione che i bisogni che concorrono alla costituzione del fatto religioso sono diversi.
Il cristianesimo ha risposto alle istanze profonde dell’animo umano rinunciando forse in taluni casi a una "purezza teologica assoluta", per venire incontro ad una cultura esistente(esiste per il cristiano la legge dell’incarnazione, il fatto che Dio stesso assume la storia umana incarnandosi in essa sia nell’antico Testamento che nel nuovo ).(figg.9-12)
Capitolo terzo
IL PASSAGGIO A CRISTO
Nel capitolo 17 degli Atti degli Apostoli vediamo Paolo all’opera come un buon missionario che cerca di tenere conto della cultura del popolo a cui parla. Quando il discorso era rivolto agli Ebrei, tutto era più semplice perché sia colui che voleva comunicare che colui che doveva ricevere la comunicazione avevano lo stesso substrato culturale: un ebreo poteva intendere un ebreo anche nel caso di un messaggio nuovo. In un altro passaggio, Paolo riesce persino a far litigare sadducei e farisei di fronte al procuratore per cavarsi dagli impicci processuali in cui è stato trascinato (Atti.). Un pagano poteva capire il messaggio della nuova fede? Ad Atene lo scambiano per un ciarlatano, poi lo conducano all’areopago per conoscere e discutere su questa nuova dottrina. "Tutti gli ateniesi e gli stranieri colà residenti non avevano passatempo più gradito che parlare e sentire parlare "(Atti 17, 21): Paolo prende la parola e tenta di rivolgersi al suo uditorio in modo veramente appropriato. Parte da una constatazione: siete molto timorati degli dei perché avete dei templi dappertutto, addirittura a un dio ignoto. Paolo pensa di aver conquistato l’uditorio :questo dio ignoto ve lo annuncio. Cita persino i poeti greci. E’ un Dio creatore, in lui noi viviamo, ci muoviamo ed esistiamo Tutto questo era comprensibile .Pur ammettendo una miriade di dei, il divino era considerato presente ovunque. Il sentimento religioso era diffuso: una religiosità profonda permeava tutta la vita del cittadino, del popolano. Come abbiamo detto, il mondo aveva senso. Bastava praticare una religione con riti ben eseguiti e tutto poteva essere assicurato(il favore divino su tutte le attività dell’uomo e sulla stessa vita ).Paolo fa capire che siamo stirpe di Dio e dunque non orfani , o abbandonati. Ora comincia il nuovo: l’uditore su questo sentiero fa fatica ad ascoltare. Gli idoli portano l’impronta dell’immaginazione dell’uomo (storicamente non sono esistiti); Dio, quello unico, ha stabilito di portare gli uomini alla conversione e al ravvedimento. Poi ci sarà il giudizio. Gli dei venivano venerati per avere dei benefici ma spesso non erano considerato garanti del bene e del male e neppure giudici in vita o dopo la morte. Basti confrontare la critica che Sant’Agostino fa al mondo pagano nella Civitas Dei (agli dei venivano persino attribuite azioni immorali o viziose ).Questo Dio, inoltre, ha mandato un Redentore e lo ha risuscitato. La parola e il concetto di risurrezione non stava nel vocabolario mentale di un pagano. Se ne vanno: su questo ti sentiremo un’altra volta . Il messaggio non è stato ricevuto, se non da alcuni . Questo è sempre stato il dilemma della Chiesa: portare un messaggio di vita e di salvezza ma come fare per essere capiti ? Come cristiani spesso non si è compresi, spesso si è fraintesi. Spesso l’azione pastorale della Chiesa anche in questi ultimi tempi è stata scambiata per azione politica, partitica quando lo scopo è quello di portare la parola che salva e che dà la vita . Ricordiamo come Pio IX venne scambiato per rivoluzionario quando pronunciò nel 1848 quella parola: Gran Dio, salvate l’Italia ( in tutti suoi discorsi aveva sempre parlato di popoli d’Italia e non di un’unica entità nazionale .
Già agli inizi (Atti 15) di fronte alla Chiesa si prospetta il problema di come accogliere i pagani e come inserirli in una comunità composta in prevalenza di ebrei. Ecco il concilio di Gerusalemme, dove la corrente paolina avrà il suo peso su quella di Giacomo (conservatrice). Ci sarà un compromesso. Le difficoltà emergono anche tra gli apostoli: la lettera ai Galati ci parla di un contrasto tra Pietro e Paolo (Gal 2,11-14) che si risolve a fatica con tensione pur riferito in modo annacquato e conciliante dall’autore sacro.
E’ il problema della inculturazione della fede. Soren Kierkegaard è il campione della fede pura: la sua meditazione è coinvolgente. Un dio cosmico o un dio personale ? I cristiani, come gli ebrei e i mussulmani , hanno un unico punto di riferimento :la fede di Abramo. Del ciclo della storia di Abramo l’episodio più profondo è proprio quello che adulti sprovveduti vogliono propinare ai ragazzi , urtandone solo la sensibilità e rendendo Dio (se possibile) ancor più incomprensibile. Il sacrificio di Isacco suppone un rapporto strettamente personale con Dio Il dio cosmico è quello delle leggi perfette, del tutto spiegabile. E’ un dio in fondo rassicurante che non coinvolge la responsabilità personale .
Espressione della fede in questo dio cosmico è pure la scienza moderna: tutto è spiegabile, se non lo è ora lo sarà in seguito. Il mistero in questo senso non esiste in quanto la ragione dell’uomo arriverà a comprendere tutto anche quelli che ora sono chiamati miracoli. Il Dio personale di Abramo, dei profeti, di Gesù non propone all’uomo una religione facile e soporifera. Le richieste del Dio di Abramo, di Mosè, di Gesù non sono prevedibili, non hanno nulla a che vedere con l’ordine noto e immutabile. E’ il Dio vivente, nelle cui mani è terribile cadere, che può richiedere, contro ogni legge naturale, il sacrificio del figlio della promessa. Devi credere che da questo figlio avrai una lunga discendenza, e devi ucciderlo. Come faccio a credere ancora che la promessa si avveri ?Devo credere che dalla morte viene la vita .E’ il Dio che in Gesù propone il capovolgimento radicale dei valori: sarà felice il povero, il giusto, il puro, il perseguitato. Questo sembra follia .
Il Dio che predica Gesù è il Dio che esige la desacralizzazione della legge , dell’ordine, dell’istituzione, del generale, della razionalità intesa come economicismo, come la miglior presa di possesso della realtà (e non è questa la natura più profonda della razionalità ?)L’ordine, la razionalità intesa come organizzazione non è dio e troppo spesso viene considerata tale per giustificare la noncuranza e l’oppressione della persona a cui il Dio personale si rivolge? Da questa vuole responsabilità; l’uomo deve prendere coscienza di dover dare una risposta di sé a questo Dio, ai sui simili, alla storia, alla natura. La salvezza sta in questo: mettere in grado l’umanità di dare questa risposta che spesso non è riuscita a dare. Questo Dio accetta l’offerta di Cristo come possibilità vera dell’uomo. Attraverso la debolezza si manifesta la sua gloria .
Ora tutto questo come poteva entrare nel cuore degli uomini avvezzi da millenni ad un altro modo di approccio alla divinità? I Greci attendono la sapienza, gli Ebrei i miracoli, Paolo predica la follia della croce (I Cor 1)
Cristiani e pagani
Uomini vanno a Dio nella loro tribolazione ,
piangono per aiuto, chiedono felicità e pane ,
salvezza dalla malattia , dalla colpa, dalla morte.
Così fan tutti, tutti, cristiani e pagani.
Uomini vanno a Dio nella loro tribolazione ,
lo trovano povero, oltraggiato, senza tetto né pana ,
lo vedono consunto dai peccati , debolezza e morte .
I cristiani stanno vicini a Dio nella sua sofferenza .
Dio va a tutti gli uomini nella loro tribolazione ,
sazia il corpo e l’anima del suo pane ,
muore in croce per cristiani e pagani
e a questi e quelli perdona .
( un martire protestante del mondo moderno , Bonoeffer )
Poteva in questo modo la nuova fede diventare popolare come il paganesimo? E i dotti potevano apprezzarla?
L’inculturazione. Il termine esiste da molto tempo tra gli antropologi culturali. Indica l’inserimento progressivo del bambino nella cultura dei genitori e del popolo in mezzo al quale è nato; il processo per mezzo del quale va facendo propria la sua cultura. Trai teologi il termine ha acquistato una valenza nuova. Si è imposto dopo il 1975 e usato nei documenti pontifici. Nella Redemptoris Missio l’inculturazione è definita come l’intima trasformazione degli autentici valori culturali mediante l’integrazione del cristianesimo e il suo radicamento nelle varie culture . Diventa allora l’interazione tra la fede e la cultura viva del momento Integra tradizione e novità : fedeltà al Vangelo per non rompere la comunione ecclesiale e fedeltà alla cultura per non cadere in un nuovo etnocentrismo esclusivista . Questo si è verificato nel rapporto tra la nuova fede e la cultura presente nel territorio in cui avveniva l’implantatio Eclesiae. Anche solo per fare un esempio: nella cultura pagana c’erano tante tradizioni di processioni, benedizioni, di riti in determinati luoghi sacri. Poteva il cristianesimo ignorare tutto questo (come vorrebbero i testimoni di Geova )? Si trattava di assumere i valori postivi della vecchia cultura e veicolare, tramite questi, la nuova fede .
La vita dopo la morte: si poteva usare solo la parola ebraica risurrezione? Avrebbero detto: vi ascolteremo un’altra volta. Più semplice parlare di anime immortali come Platone e tutta la cultura classica aveva fatto e il popolo poteva comprendere nelle categorie di spiriti, demoni, numi, Mani, Lari. La fede non veniva tradita ma arricchita di una nuova sensibilità: allora si dimostrò soluzione vincente e intelligente; il dramma sarà nell’epoca moderna quando si vorrà usare queste categorie culturali occidentali con altri popoli con culture diverse. Queste categorie mentali non solo non saranno capite ma, dove sono state in qualche modo imposte, non sono state rispettose delle persone. Oggi sono ancora, anche per noi occidentali categorie valide per trasmettere l’eterna Parola di Dio? Sono categorie valide per la nostra gente con un sottofondo culturale ormai diverso da quello ereditato dal passato? Non si tratta di relativizzare la fede ma fare in modo di comprendersi quando si parla delle eterne verità .
Educarsi alla inculturazione anche oggi suppone: ascoltare con la mente (conoscere la cultura , ascoltare gli altri, distinguere l’essenziale , accettare il pluralismo, relativizzare la cultura, abituarsi al dialogo; ascoltare con il cuore (amare i popoli diversi, percepire la bellezza, penetrare in profondità, ricevere dagli altri ); ascoltare con lo Spirito (riconoscere la sua impronta, superare i complessi di inferiorità, allargare gli orizzonti, avere il coraggio di rischiare ).La storia della Chiesa è stata ricca fin dagli inizi di inculturazione ma anche di deculturazione. Deculturazione è il processo negativo e distruttore che una cultura esercita su un’altra. Si dà quando nel processo di acculturazione una cultura perde di significatività e le persone non riescono a realizzare una sintesi soddisfacente, limitandosi ad una indiscriminata giustapposizione o assimilazione di una cultura più forte. La storia della nuova fede ha dovuto fare i conti nel primo millennio con la cultura classica greco romana, con il paganesimo popolare, con l’elemento indigeno, con l’elemento romano, con quello ariano . Dalla fusione di vari elementi etnici, culturali, religiosi si è prodotta quella religione che si è insediata nei nostri territori fino al giorno d’oggi .
Il sorgere delle piccole comunità cristiane
In un primo momento le comunità che avevano recepito il messaggio cristiano sentirono il bisogno di ritrovarsi in un luogo in cui potevano liberamente esprimere la loro fede e la loro nuova identità . In questa fase , parliamo dei nostri territori, i monasteri furono i centri propulsori insediandosi sulle vie di comunicazione per ospitare i pellegrini, viandanti, commercianti :un esempio l’ospizio di San Matteo con a breve distanza uno xenodochio. I monaci di San Matteo partendo dal loro convento si prendevano cura dei cristiani di Casarola e di quei gruppi di famiglie che poi costituirono il paese di Riana e di Grammatica . Il monastero di Linari , prospiciente la valle del Taverone, si prese cura delle popolazioni che formano gli attuali paesi di Rigoso, Rimagna e Trefiumi. Sorsero poi le Pievi, le chiese plebane che avevano la giurisdizione su vastissimi territori: la pieve di San Vincenzo nella valle dell’Enza aveva la cura pastorale e la giurisdizione fino a Ranzano, Palanzano ,Lugagnano, Monchio, Pianadetto .Le comunità si affezionavano sempre più ai loro luoghi di culto ,costruiti anche dai privati (come nel caso della chiesa di Monchio riedificata per voler dei fratelli Bartolo e Antonio. Vicino ai luoghi culto c’erano poi i cimiteri ; i fedeli abbellivano questi luoghi di culto, li ristrutturavano secondo le loro disponibilità se o il tempo o la natura avversa li distruggeva ( terremoti, frane …). Sono le alterne vicende delle nostre chiese .
Il signore che su un fondo di sua proprietà aveva costruito una chiesa o una cappella e per mantenerla l’aveva dotata di un patrimonio immobiliare, la considerava come una cosa completamente sua (ecclesia propria ) e poteva disporre liberamente della chiesa e dei relativi e nominare i sacerdoti anche senza interpellare il vescovo (diritto di patronato anche nel caso in cui fosse una comunità che costituiva la dote di una chiesa come farà Riana di cui riportiamo in appendice l’atto di fondazione) . Il diritto canonico germanico, a differenza di quello romano, aveva carattere di diritto privato, non di diritto pubblico. Sorge l’istituzione del beneficio cioè si connette stabilmente una porzione di patrimonio ecclesiastico con un ufficio ecclesiastico .
L’erezione di queste parrocchie rurali fu il primo grande atto sociale della Chiesa del medioevo : essa porta col prete di campagna , una persona colta , in contatto continuo con una popolazione rurale incolta . In questo modo la storia delle parrocchie, comunità di fede, si interseca con l’organizzazione della stessa società civile. Come si sviluppava l’organizzazione della comunità cristiana prendeva forma l’organizzazione della società civile e viceversa . La religione aiutava il popolo a svestirsi dei panni della violenza e dell’immoralità ancestrali e formava la coscienza cristiana e civica. La nostra coscienza cristiana anche di chi non si dice più praticante o si dichiara ateo ha in quel lontano passato le sue radici che hanno prodotto la nostra identità
I centri più antichi
Il monastero di San Matteo.
Il primo documento che ricorda questo Oratorio e il Cenobio o romitaggio risale al marzo del 1015 "massaricia una deveniant ad iure et propietatem Ecclesiae S . Mattei Apostoli et Evangelistae, quae est posita in Alpe Caglii"(Torelli : carte degli archivi reggiani).Nel 1145 il pio luogo fu confermato al monastero di San Giovanni Evangelista di Parma da papa Eugenio III E’ sempre ricordato nelle varie pergamene che riportano le Cappelle e chiese della diocesi di Parma. Nella pergamena Rotulus decimarum del 1230 è chiamato" monasterium de monte caliis" e dipendeva dal monastero di S. Giovanni Evangelista di Parma .
L’antipapa Giovanni XXIII tolse all’abbazia di S. Giovanni Evangelista il patronato di questa chiesa il 26 agosto 1411, e lo diede ai Lalatta, lasciando all’abbazia il diritto di collazione . Sulla lapide collocata sulla porta sta scritto in latino "La chiesa di San Matteo apostolo con l’ospizio sulla via da Parma a Linari qui esisteva prima del 1015 nel quale anno venne ricordata in benefiche disposizioni testamentarie. Papa Lucio II conferma la dipendenza da San Giovanni Evangelista di Parma (1145). Giovanni XXIII ne trasferì il patronato alla famiglia Lalatta (1412)"
I monaci hanno la cura pastorale di Casarola.
Nel regesto antico del 1494 è chiamato Priorato di San Matteo ; nel 1520 è officiato da un certo don Alpino Pizzati. Nell’autografo (11) di Cristoforo Dalla Torre, cancelliere vescovile, del 1564 è chiamato sempre priorato. Posto quasi sulla sommità del monte Caio, in un bellissimo pianoro, vi si celebra una sola messa, nella festa del santo titolare. La gente vi si adunava soltanto per il taglio delle erbe che crescevano abbondanti , nei mesi di luglio e agosto ; vi era una sorgente di acqua freschissima, quasi tutte le terre appartenevano al priorato, che si trovava nella giurisdizione della pieve di Tizzano. La lapide incisa su marmo bianco, posta sulla facciata dell’attuale oratorio porta lo scritto di questo cancelliere vescovile già dal 1562.
LA CHIESA DI S. MATTEO COLL’OSPIZIO SULLA VIA DA PARMA A LINARI QUI ESISTEVA PRIMA DEL 1015 NEL QUALE ANNO VENNE RICORDATA IN BENEFICHE DISPOSIZIONI TESTAMENTARIE.
PAPA LUCIO II CONFERMO’ LA DIPENDENZA DA S. GIOVANNI EV. DI PARMA (1145)
GIOVANNI XXIII NE TRASFERI’ IL PATRONATO NELLA FAMIGLIA LALATTA 1412
PRIORATUS S. MATTEI DE CALEIS IN LOCO ALPESTRI ET SILVATICO ET IBI TANTUM CELEBRETUR IN FESTO S. MATTAEI ET TANTUM IBI SOLENT CONVERSARI AD SECANDUM PRATA IN MENSIBUS JUINII ET AUGUSTI…ET IBI ADEST FONS AESTIVO TEMPORE MIRAE FRIGITUDINIS ET NIVEM IBI SEMEL INVENI DE MENSE MAI
CRISTOFORO DE TVRRE 1564
L’OPERA PIA BIGGI PROPRIETARIA DELL’ORATORIO E DELL’ANTICHISSIMO PREDIO POSE IL 21 SET. MCMXXXX – XVIII PERCH’ NE SIANO RICORDATE LE MILLENARIE VICENDE.
Nel 1901 l’Oratorio è stato ricostruito in onore di Cristo Redentore . L’oratorio di San Matteo venne sempre mantenuto sino al principio del secolo dalla famiglia Rinaldi di Trefiumi e poi dall’opera pia Biggi che lo possiede ancora . Il 21 settembre molta gente della vallata del Parma e dell’Enza vi si raduna già da giorni prima .
La leggenda ." Quando scomparve il convento e perché nessuna notizia si poté in proposito rintracciare. Resta la leggenda narrante come la distruzione avvenisse per opera di un gruppo di malandrini, travestiti da frati, i quali riuscirono ad ottenere ospitalità nel convento, di solito ricoverante quanti lassù si recavano, quindi ad impadronirsene coll’aiuto di altri rimasti ascosi nei boschi e piombati all’assalto nell’oscuro della notte"(12) (figg.13.14.15)
Sulla facciata è collocata un’altra scritta :
Alla chiesetta di S. Matteo
O Cappellina che si sola stai
Di gravi preci omaggio più non hai
Ma di neve di aria di sole e luce
Tu hai l’incanto
Ed è il vanto
Eppure
Chi si è portato a te su questa vetta
Solo d’aria e di luce
D’acque di neve e libertà assetato
Dio ha ritrovato
Salve chiesetta!
P. Giu. M. Toscano S.X.
Felice abitatore di S. Matteo dal 1942 al 1944
Curò col concorso dei fedeli
L’erezione dell’altare marmoreo(13)
Monastero di Linari (fig.16)
L’abbazia venne fondata alla metà del secolo X al momento della dominazione civile dei marchesi Obertenghi e dei rami collaterali, in particolare gli Este. Il monastero con la chiesa fu fondato dai monaci di Aulla. L’abbazia di Aulla fu fondata nel 884.
L’abbazia dei frati Ospitalieri di Altopascio di Linari, dedicata ai Santi Salvatore e Bartolomeo , dipendeva dalla diocesi di Lucca. Questa abbazia costituiva un elemento fondamentale nell’organizzazione medievale di questa zona , avendo funzione di riferimento essenziale per le comunicazioni ed essendo luogo di accoglienza e di soccorso per i viandanti e per i pellegrini , oltre che istituzione religiosa .
Nel 1228 nel monastero abitava l’abate Rainucino, cinque monaci, un prete, nove conversi e cinque serventi.
Il monastero ebbe il suo splendore , la sua potenza e influenza religiosa tra il IX e il XV secolo. Nel territorio parmense ebbe varie filiazioni o cappelle con annesso un xenodochio .
San Salvatore in civitate (Parma), eretta nel 1145 ;
Chiesa di Banono de Saladinis (santa Maria Candelaria in Bannone),già nel 1033,
chiesa di san Michele di Caverile que est in plebe Saxi(Capriglio e Sasso) ancora dipendente nel 1354;
chiesa di san Nicola de Raygosa (Rigoso) : nella seconda metà del XIV secolo non era più soggetta.;
san Jacobi de Campinci (Miscoso).
Chiesa di Arzenoldo o Rezenoldo (Roccabianca) in plebe san Genesii(San Secondo);
santo Stefano de Reclo (Recchio – Medesano) ancora soggetta nel 1342.
L’abbazia possedeva beni in Rigoso, Camporella, Ranzano, Campinci di Vairo, Gavazzo, Traversetolo, Bannone, Nirone, Luguio, Vaiunga, Castagneto, Montedello.
Nella prima metà del ‘400 è abate Antonio della Scala, monaco benedettino e vicario generale della diocesi di Parma. Era completamente in sfacelo materiale e spirituale.
Fu trasformata in commenda. L’ultimo abate commendatario fu Orazio Securani.. Nel 1591 la commenda fu soppressa e l’abbazia con le sue pertinenze passò ai monaci agostiniani di San Giovanni Battista di Fivizzano.
Da questo momento l’abbazia non ha più storia; le chiese che erano di sua pertinenza erano ormai diventate parrocchie da molto tempo come nel nostro caso Rigoso.(14)
Pieve di San Vincenzo (fig.17)
La pieve di San Vincenzo sorgeva a destra dell’Enza e passò alla diocesi di Reggio nel 1853. La vecchia chiesa era matildica : sul terreno dove sorgeva vennero trovate le tracce di una chiesa a tre absidi e tre navate. Fu riprodotto il disegno che servì per la costruzione della nuova chiesa . La chiesa distrutta nel 1920 dal terremoto non era quella matildica .
Già una pergamena del 1230 ricorda "Capella de Lugagnano in plebe de Santo Vincencio" ed anche altre chiese .
Dal Regestum vetus ante annum 1493 exaratum , la pieve di San Vincenzo ha queste chiese come dipendenti :Chiesa di San Lorenzo in Monchio, di San Giustina in Trevignano, di Sant’Andrea in Pratopiano, di San Michele in Vairo superiore, di Santa Maria in Vairo inferiore, di San Pietro in Lugagnano, di San Giacomo in Pianadetto, di Santa Maria in Zibana, di San Martino in Palanzano, di Santa Maddalena in Isola, di San Giovanni in Caneto, di Santa Maria in Nirone, di San Bartolomeo in Camporella, di Santo Stefano in Ranzano.
Nel Catalogus beneficiorum civitatis et diocesis Parmae del 1520 , Chiese dipendenti : Monchio, Trevignano, Pratopiano, Vairo superiore, Lugagnano, Zibana, Pianadetto, Palanzano, Isola, Caneto, Nirone, Campora, Ranzano.
Nella Descriptio omnium civitatis et diocesis Parmensis Ecclesiarum, Monasteriorum et Beneficiorum in eis fundamentorum 1564 la pieve ha come dipendenti : Miscoso, Monchio (San Michele, San Lorenzo ), Trevignano, Trefiumi, Pratopiano, Rigoso, Vairo superiore e inferiore, Lugagnano , Vecciatica , Zibana , Pianadetto, Palanzano, Caneto, Nirone , Ranzano.(15)
Le chiese matrici
Chiesa di Casarola (fig.18)
Questa chiesa è ricordata la prima volta nella pergamena del 1230 "Ecclesia de Caxarola " elencata sotto la pieve di Corniglio , ma dipendente dal monastero di San Giovanni Evangelista di Parma che vi provvedeva tramite i monaci che risiedevano a San Matteo. Questa dipendenza durò fino 1500.
Compare il titolare di questa chiesa nel Regestum antico del 1494 "Ecclesia S : Donini de Casarola ". Il primo sacerdote conosciuto che resse questa chiesa è don Pietro Barbieri, elencato nel catalogo del 1494. Da questa chiesa dipendevano anche le comunità che risiedevano nell’attuale territorio di Riana e di Grammatica. Già nel secolo XVI fu smembrata Grammatica , nel 1618 Riana . Casarola diventò parrocchia nel 1564 e il primo parroco fu Don Pasquale Vinciguerra . Verso la fine del XVI secolo passò alla pieve di Monchio.
Interessante nella chiesa di Casarola il portico. L’interno è del ‘700.
Esaminiamo il campanile adiacente e staccato dalla chiesa: notiamo una elegante struttura a bozze di pietra arenaria a faccia vista tagliate in modo regolare e unite con sottili connessioni. Si ammirano enormi pietre sapientemente lavorate con faccia vista levigata, dalla base del campanile fino alla sommità.
La struttura è scandita da una geometria semplice ed elegante ed è divisa in senso orizzontale, in quattro parti da cornici modanate in pietra. La parte inferiore ha la porta di accesso al campanile; quella soprastante, presenta al centro del prospetto principale una piccola finestra quadrilobata e quella ancor superiore, un grosso orologio montato negli anni trenta, con cornice in cemento. L’ultima porzione con piano di calpestio, corrispondente alla cella campanaria, presenta su ciascun lato dei vuoti con stipiti in pietra sormontati da archi a tutto sesto con chiave di chiusura degli stessi. Ai lati sono presenti delle lesene leggermente sporgenti che rendono più raffinata e definita la forma della cella campanaria. Sopra gli archi c’è una cornice , prima della copertura con cuspide, che definisce una porzione stretta con piccolo vuoto di forma ellittica perimetrato da una cornice piana su ciascun lato.
La parte terminale sopra la cella campanaria è costituita da un volume a base ottagonale con finestre cieche rettangolari su ciascun lato, sormontato da una cuspide a forma di piramide anch’essa a base ottagonale, con spigoli leggermente curvi. Tutta la struttura si conclude sulla cuspide con una sfera e soprastante croce in ferro. Il campanile, come indicato da una lapide marmorea posta sopra la porta di accesso al medesimo, porta la data della sua edificazione corrispondente all’anno 1731.
Parroci : Barbieri Pietro, 1494 ; Copello Giorgio , 1520 ; Vinciguerra Pasquino, 1564 ; Branchi Bartolomeo, 1620 ;Bianchi Giovanni Andrea, 21\71620 - 1631 ; Romani Stefano, 19\12\1631 - 28\4\1657 ; Schiappa Giovanni , 7\8\1657 - 1679 ; Capelli Giovanni, 25\2\1680 - 1724 ; Orsi Camillo, 27\2\1725 - 26\8\1739 ;Zenoni Paolo Maria, 11\3\1740 - 12\10\1793 ;Bianchi Tomaso, 28\11\1793 - 25\4\1814,; Galeazzi Lazzaro, 25\1\1815 - 11\7\1869 ;Nevi Massimino, 16\6\1908- 4\7\1916 ; Santi Cirio . 28\3\ 1925 - 18\8\1929 ; Lazzari Erminio, 10\12\1930 - 30\6\1948 ; Rolli Lino 1\7\1948 - 9\7\1952 ; Casoni Paolo, 9\7\1952 - 1972).(13)
Dopo don Paolo Casoni, i preti che hanno la cura di Casarola abitano a Monchio.
La chiesa possiede una croce astile che dimostra l’antichità di questo luogo di culto .E’ in lamina d’argento lavorata a sbalzo e fissata con chiodi argentei sull’ossatura di legno. Lavoro interamente a sbalzo, cesello, bulino. Sulla faccia anteriore, sopra una croce sbalzata sulla lastra d’argento e lavorata a losanghe racchiudenti stelle a bulino, giace il Redentore con i piedi uniti da un sol chiodo, e i fianchi cinti da un perizoma composto ancora secondo canoni bizantineggianti. Agli estremi trilobati dei bracci, le piccole lastre d’argento recano le mezze figure dei dolenti : in alto, un Arcangelo con globo crociato ; a sinistra la Vergine ; a destra, San Giovanni , in basso San Donnino col capo reciso in mano. Nella faccia posteriore, al centro, entro la vescica piscis (simbolo dell’universo dominato da Cristo) è sbalzato a bassorilievo il Cristo in trono, e sotto di esso un tralcio a due volute e due grappoli ; negli estremi dei bracci : in alto, l’Aquila ; a destra, il bue alato ; a sinistra il leone alato ; in basso l’angelo(sono i simboli degli evangelisti) .L’opera è in ottimo stato di conservazione (riposta in una cassaforte).Ha caratteri bizantineggianti, forse di derivazione veneta. E’ della fine del XIII secolo.(fig.58) . In quell’epoca l’arte sacra occidentale era ancora vicina al mondo orientale . La vera diversità incomincerà con l’umanesimo e il Rinascimento : l’occidente cristiano percorrerà un suo cammino dove prevarrà più l’umano che il divino in conformità con una cultura che tende a mettere in risalto i valori dell’uomo.
La chiesa possiede una pergamena miniata in caratteri gotici(fig.19) e una cartagloria del XVI secolo(fig.170)
La chiesa di Rigoso (fig.20)
La prima notizia riguardante questa corte risale al 29 maggio 1195 con cui l’imperatore Enrico VI conferma al vescovo Obizzo Fieschi "curtem Valvesneriae et Raigusiae cum districtum Alpis". Il 18 gennaio 1340 Galvano Rossi era Podestà della Curia di Rigoso, Procuratore del vescovo Ugolino Rossi. Questi come vescovo feudatario riformò il 18 novembre 1353 gli statuti di Rigoso, essendo il primato passato a Monchio.
La prima chiesa, sorta in questo territorio, è ricordata nella pergamena del 1230 "Ecclesia Sancti Nicholay de Raigosa, sub monastero S.Bartholomei de linario". Era intitolata a San Nicolò vescovo ed era dipendente dal monastero di San Bartolomeo dei Linari della diocesi di Lucca .
Nel 1354 questa chiesa era alla dipendenza dell’antica pieve di San Vincenzo.
Al 1494 risale la più recente dedicazione all’Assunta, ecclesiasticamente sotto la giurisdizione del monastero degli Spedalieri d’Altopascio di Linari, della diocesi di Lucca. .Non si hanno notizie sull’epoca in cui avvenne il mutamento di identità del titolare : il Magani ipotizza che abbandonata l’antica chiesa degli Spedalieri, gli abitanti di Rigoso ne costruirono una nuova in una nuova posizione, conferendole anche un nuovo titolo.
La pietra in arenaria scolpita posta ora sulla fontana pubblica del paese porta due date 1613 e 1630 , il nome di don Cortesi Giacomo e parla sicuramente della peste che ha risparmiato Rigoso per cui venne edificata la maestà di San Rocco . Le pietre scolpite appartenevano ad una fascia sulla facciate della antica chiesa .
Il 20 giugno 1549 venne unita alla chiesa parrocchiale di Rigoso quella di Trefiumi ; questa unione fu sciolta il 23 settembre 1578
La chiesa distrutta costituiva a sua volta il risultato di rimaneggiamenti condotti nel 1762 su un edificio preesistente, già consacrato da mons. Nembrini il 20 maggio 1675. Fu di nuovo rifabbricata poco prima della visita pastorale di Mons. Pettorelli Lalatta del 1762.
La chiesa di Rigoso nel 1713 fu elevata a sede di vicariato , comprendente le parrocchie di Succiso, Miscoso, Cozzanello. Divenne arcipretura onorifica nel 1750.
Nel 1819 un terribile incendio devastò tutte le case di Rigoso , ad eccezione della chiesa e della casa canonica , perché isolate dalle altre abitazioni.
L’attuale edificio, consacrato da mons. Conforti il 17 agosto 1925, fu costruito ex novo a partire dal 18 maggio 1924, sull’area della chiesa preesistente distrutta dal terremoto del 7 settembre 1920,per iniziativa e coordinamento di mons. Guglielmo Quaretti, mercé le offerte della popolazione locale e il sostanzioso contributo della società SIEL, che gestiva all’epoca la centrale elettrica di Rigoso .Il fatto è ricordato da una lapide posta in coro.
D.O.M. ECCLESIAM HANC QUAM VETUSTIORIS SQUALENTIS LOCO TERAEMOTU VI - VII SEPT. MCMXX ULTIMO DIRUTAE GUILLELMUS QUARETTI BAS. CATH. PARMAE CAN. ET IN SEMIN. URBIS PROF. ET DOCTOR A SOLO EXCITANDAM EXPOLIENDAMQUE SOLLERTI AMORE CURAVIT.
GUIDO M. CONFORTI PARM. EPUS. MAGNO CLERI POPULIQUE CONCURSU XVII AUG. MCMXXV SOLLEMNITER ET ARAM MAJ CONSECRAVIT DICATQUE.(A Dio Ottimo Massimo. Questa chiesa ,al posto della precedente troppo vecchia e malandata e da ultimo distrutta dal terremoto del 6 - 7 settembre del 1920, Guglielmo Quaretti , canonico della cattedrale di Parma e professore e dottore del Seminario di Parma , la fece costruire dalla base e decorare con premuroso amore.
Guido Maria Conforti vescovo di Parma con grande concorso di clero e di popolo il 17 agosto 1925 solennemente anche l’altare maggiore consacrò e dedicò).
All’atto della posa della prima pietra fu collocata una pergamena.
D.O.M. ECCLESIA HAEC,QUAE VETUSTIORIS LOCO B. MARIAE V. IN COELUM ASSUMPTAE ANNO MDCXVII SUBLECTA FUERAT,TEMPORUM ITERUM INIURIA INCULTUQUE RIMAS AGENS DIEQUE VIII SEPTEMBRIS ANNI MCMXX CONCUSSO TERRAEMOTU. PIO XI PONTIFICE MAXIMO VICTORIO EMAUELE III REGE, GUIDONE M. CONFORTI ANTISTITE, CORROGATIS NUMMIS PUBBLICORUM OPERUM MODERATORIS SUPREMO DECRETO DEP. IOSEPH MICHELI, PARMENSI CIVIS OPTIMI, DEMMO A SOLO ANNO MCMXXII EXCITATA. GUILLELMUS QUARETTI CATHEDRALIS PARMAE CANONICUS , ANGOLAREM HANC LAPIDEM SOLEMMI RITU COMPOSUIT VOTUM VOVENS, SS. CORDE IESU, B. MARIA VIRGINE ET IOSEPH OPITULANTIBUS, UT QUAM CURAM ET AMOREM IMPENSISSIME TANTO OPERI ULTRO CONCESSIT, RESURRECTURIS IN DOMINO REQUIEM ET VIVIS HIC DEGENTIBUS, PIETATE IN DEUM RESTAURATA IN CHRISTO VITAM ET GRATIAM USQUE SINT ALLATURI, ET DEO GRATES DEBITAS PERSOLUTAS EXQUIRANT.
D.O.M. Questa chiesa , che era stata eletta in onore della Beata Vergine Maria al posto di quella dedicata a San Michele Arcangelo, presentando delle crepe per il danno del tempo e per incuria nel giorno 8 settembre del 1920, fu distrutta dal terremoto.
Sotto il pontificato di Pio XI, mentre regna Vittorio Emanuele III, durante l’episcopato di Guido Maria Conforti, ottenuto il denaro delle opere pubbliche per decreto del Moderatore Supremo, Deputato Giuseppe Micheli, ottimo cittadino di Parma, per la seconda volta nel 1922 fu ricostruita.
Guglielmo Quaretti, canonico della cattedrale di Parma, pose con un rito solenne questa pietra angolare, facendo voti , per intercessione del S. Cuore di Gesù, della Beata Vergine Maria e di San Giuseppe, che la cura amorosa prestata con notevole dispendio di energie a così grande opera porti in più il riposo eterno a coloro che risorgeranno in Cristo, e la vita e la grazia in Cristo ai vivi, dopo aver ripreso un forte amore per Dio, e impetri da Dio la mercede promessa.
Dell’antica chiesa è il seggiolone in noce a fogliami ad alto rilievo, del XVIII e un leggio da altare del 1666.
C’era inoltre una base in pietra appartenente ad una pila lustrale di un ignoto lapicida del XVIII secolo, oggetto ritrovato nella canonica insieme con il fusto, simile a un balaustro cinquecentesco, e alla conca in marmo bianco con bordo modanato(arte locale del secolo XVIII), adattata, poi, a bacino della fontana pubblica.(fig.21) Sostituita da una vasca in arenaria più capiente, rozzamente scolpita e scavata ,è andata perduta.
Nella parrocchia c’è la maestà con cappelletta, chiamata dagli abitanti Madonna del San Rocco situata su una carraia che porta al villaggio della Bastia. E’ una maestà del 1631 . raffigura la Vergine in piedi su una nube animata da testine di cherubini ( quindi è l’Assunta) , poi i due santi invocati a protezione contro la peste. A sinistra San Rocco, in ginocchio, si appoggia al lungo bordone del pellegrino dal quale pende una borraccia e mostra le piaghe sulla gamba lasciata nuda dalla veste sollevata . A destra San Sebastiano trafitto dalle frecce. La maestà è da porsi in relazione al diffondersi della peste di manzoniana memoria negli anni del 1629 - 1631 nelle Corti . Rigoso rimase illeso. Pregevole è pure la cornice in arenaria, molto decorata (messa probabilmente in un momento successivo, si ipotizza proveniente da un luogo di culto ).(fig.22)
Parroci.
Barbieri Simone, 1494 ; Mariotti Francesco, 1564 ; Orsi Francesco, 28\8\1602; Fontana Pietro , 28\8\1602 - 10\31625 ; Cortesi Giacomo , 10\3\1625 - 30\10\1670 ; Lazzari Orazio, 5\5\1671 - 1674 ; Cortesi Gaspare, , 8\12\1674 - 1694 ; Cortesi Francesco Maria, 30\7\1694 - 10\3\1733 ; Cortesi Giovanni, 18\5\1733 - 13\8\1750 ; Cortesi Giovanni, 24\11\1751 - 13\4\1771 ; Biggi Domenico, 3\8\1771 - 15\9\1785 ; Cortesi Domenico, 23\1\1786 - 1812, Battistini Giovanni, , 23\9\1812 - 24\\12\1833, Dal Cielo Domenico , 10\9\1863 - 23\7\1897 ; Gatti Alberto, 12\11\1903 - 29\11\1909 ; Baldisserri Giuseppe, 2\12\1924 - 1\4\1933 ; Melegari Pietro, 9\5\1933 - 1\7\1935 ; Finardi Vincenzo, 1\6\1935 - 10\5\1939 ; Battilocchi Giorgio, 10\5\1939 - 1\7\1941 ;Montali Antonio, 1\7\1941 - 5\4\1952 ; Lottici Giovanni ,9\7\1952 - 1976
Dopo quest’ultimo, Rigoso non ha più avuto parroci residenti
la chiesa di Nirone (fig.23)
Nirone è una delle tredici Corti di Monchio. Signori erano i vescovi di Parma che l’ebbero da re Ugo nell’880 con placito tenuto a Pavia . Questa donazione fu confermata al Vescovo Adeodato il 24 giugno 948 dal re Lotario.
La corte di Nirone fu poi occupata da Ugo , marchese di Toscana ; nel 1015 Enrico II, imperatore, la donava a Bernardo, conte del contado parmense. L’imperatore Corrado, sul principio del 1029, confermò questa corte al vescovo di Parma ; e siccome Bernardo , conte di Parma, contrastava al vescovo il conferito dominio su Parma, l’imperatore, esaminata la vertenza, conferì al vescovo il dominio sui detti luoghi e ordinò il 13 dicembre dello stesso anno, che, dopo la morte del conte Bernardo, tutto il contado parmense passasse soggetto al vescovo. Per questo atto il vescovo fu insignito del titolo di conte. Il primo vescovo che ne fece uso fu Bernardo II, il 25 agosto 1180.
Bernardo morì nel 1034, monaco nel monastero di San Giovanni Evangelista di Parma, ed il vescovo Ugo andò in possesso del contado, che gli fu confermato da Corrado I, il 1 gennaio 1035 ed il 5 febbraio 1036.
La prima chiesa sorta in questo territorio risulta, dunque, dall’atto di donazione , del 1015, di Enrico II a Bernardo, conte del contado parmense "curtem Neironem cum capellis".
Nel 1230 è ricordata come dipendente dalla Pieve di San Vincenzo ("capella de Nirono in Plebe de Sancto Vincencio").
Compare il titolare, l’Assunta, nell’estimo del 1354 "Ecclesia Sancte Marie de Nirono". Nel 1520 era retta da Don Biagio Bellani. Nel 1564 divenne parrocchia autonoma con Don Domenico Cortesi come rettore. Dato che questi non vi risiedeva perché era consorziale della cattedrale di Parma la curava don Antico , suo vicario perpetuo.
Venne poi annessa alla chiesa plebana di Monchio anche se continuò ad andare a prendere i sacri oli alla pieve di San Vincenzo.
Parroci.
Belliani Biagio 1520 ; Molinari Matteo, 1537 ; Belliani Giulio 28\8\1554 ; Terrarossa Domenico 1554 - 1564 ; Cortesi Domenico 1\8\1564 - 1624 ; Mariotti Francesco 9\5\1625 - 1\9\1625 - 1\9\1659 ; Cortesi Domenico 29\10\1659 - 1688 ; Cortesi Nicola 14\5\1688 - 2\3\1722 ; Cortesi Gabriele 4\81723 - 30\10\1731 ; Penelli Benedetto 4\3\1732 ; Penelli Giovanni 1781 ; Guazzagni Giovanni 2\7\1781 - 1804 ; Biggi Innocente 27\6\1804 - 30\9\1820 ; Briselli Andrea 2\12\1820 - 15\5\1864 ; Pini Niccolò 9\1\1867 - 15\8\1917 ; Longarini Luigi 30\8\1930...(13)
Chiesa di Monchio (fig.24)
L’attuale edificio ha in gran parte mantenuto, dal punto di vista architettonico, la struttura e le proporzioni assunte durante i lavori di rifacimento del 1638 , quando la comunità di Monchio trasportò il presbiterio ad ovest e la facciata ad est. Di questo resta traccia nell’ampio portale tamponato , affiancato da stipiti di finestre quadrangolari, sul lato occidentale della chiesa .
Una "Cappella del Monte" si trova già elencata nel Capitolo e Rette delle decime da pagarsi sotto il vescovo di Parma di nome Grazia d’Arezzo (eletto il 3 settembre 1224 e morto il 26 settembre 1236) del giugno del 1230. La chiesa risulta aggregata alla Pieve di San Vincenzo.
Nel 1327 per la prima volta si fa menzione della chiesa di San Lorenzo in un atto di transazione tra Ugolino vescovo di Parma e Emanuele Vallisnera il 3 febbraio 1327. Si pensa risalga quell’epoca un capitello in arenaria che adempie ora la funzione di sostegno per la croce astile : forse della cultura emiliana fra la fine del XII secolo e gli inizi del successivo. Ha facce simmetriche con protoni umani in veduta frontale.(16)
Compare san Lorenzo martire nel 1354 come titolare di questa chiesa , che dipendeva dal vescovo: "Ecclesia Sancti Laurentii de Montibus ad Episcopum".Il nucleo originario dell’attuale edificio fu presumibilmente eretto nel secolo XV secolo a seguito della distruzione per frana della chiesa originaria edificata in località "Lamoni" ("Iesa vecia" chiesa vecchia ), a circa 150 metri di distanza dalla ubicazione odierna .
Una lapide sul fianco settentrionale ricorda il 1411 (caratteri gotica libraria)(fig.25.)
HOC OPUS, ANNOSA PROSTRATUM AETATE, BEATI
LAURENTII EX ISTO REPARUNT MONTE CREATI
BARTOLUS, ATQUE ANTHO, UNA STIRPE SACERDOS UTERQUI
QUOS PIETAS, PATRIAEQUE DECUS COMMOVIT, AMORQUE
MILLE QUADRINGENTIS DOMINI LABENTIBUS ANNIS
UNDENISQUE SIMUL STATUERUNT COMMODA DAMNIS.
ISTIS AD JUNGAS OCTO, POST BARTOLUS EGIT
SCULPIRI PETRAM SUMPTIBUS IPSE SUIS.
"Questa chiesa del Beato Lorenzo, rovinata per vetustà, Bartolo e Antonio ripararono, nati in questo monte (Monchio), della stessa famiglia, ambedue sacerdoti. Li spinse a ciò la pietà, il decoro del proprio paese e l’amore . Correndo l’anno del Signore 1411, insieme stabilirono di riparare i danni. Dopo otto anni Bartolo fece scolpire la lapide a sue spese".
C’è poi un’altra scritta sulla stessa pietra
ANNO DNI 9 1534
EGO DNUS PETRUS DE INTERIA
Anno del Signore 1534, io don Pietro di Antria .Così Antonio Boccia commenta: "Per quanto appare questo Don Pietro de Interia non fece cosa alcuna per la Chiesa, ma blandì il suo amor proprio facendo incidere il suo nome nell’istessa pietra 123 anni dopo. Al di sopra immediatamente alla lapide in versi avvenne una di pietra rozzissima in carattere latino, ed è la seguente
COMMUNITAS MONCHII FF. ECCLESIAM D. LAURENTII A. D. 1690.
A.L.A. N.I HC. OCC. NO. REQSIT LAPIS ALBA REPTA E. I. ECCLA.
M’immagino che quelle iniziali significheranno i nomi dell’Arciprete, e Capo della Comunità : il restante sembrami che voglia esprimere, in hac occasione novae Requisitionis lapis alba reperta est in Ecclesia. Prisciano e Donato avrebber condannato alla ferula l’Arciprete, o qualunque sia stato l’autore di questa iscrizione per la sconcordanza, lapis alba reperta" (17) Antonio Boccia , Viaggio ai monti di Parma , Palatina editrice, Parma ,1804)
Architrave della chiesa sull’entrata della sagrestia nuova
Die XXII JVNII AN. MDXXXVI /
CONSECRATA FVIT EC.A MONCHII
Il giorno 22giugno anno del Signore 1536 fu consacrata la chiesa di Monchio. La chiesa fu terminata il 19\6\1532 secondo gli annali trascritti da don Varesi Oreste . La pietra risulta citata da tutti gli inventari, collocata sulla porta a settentrione distrutta durante i lavori di restauro del 1883. Collocata come architrave della sagrestia nuova tra il 1923 e il 1925 .
Nel 1564 la chiesa di Monchio diventa parrocchia con parroco don Giacomo Lazzari . Nell’autografo di Cristoforo della Torre è pure detto che don Ippolito Simonini ha la cura pastorale dell’altra parte della parrocchia, detta di San Michele. Originariamente a Monchio era un solo parroco e una sola chiesa parrocchiale di libera collazione . Subito dopo fu diviso il regime con un altro coadiutore , con il beneficio di San Michele e col titolo di rettore. Nel 1637 il vescovo Cornazzani erigerà un’altra chiesa col titolo di San Michele (ordine attuato nel 1673). Si arriverà fino al 1834 con una situazione incerta nonostante altri interventi : in quell’anno i due benefici saranno riuniti per sempre con l’obbligo di mantenere un parroco a Ceda .
Nel 1616 il parroco di Monchio diventa arciprete. Nel 1638 :come abbiamo detto viene cambiata la direzione della chiesa .
1639 Lapide in arenaria in forma rettangolare con zigrinature verticali.
Da collegarsi con i rifacimenti effettuati nel 1638.
A quest’epoca si può collegare il capitello collocato all’inizio della scala meridionale di accesso alla chiesa : si suppone che appartenesse al portico della chiesa .
Nel 1673 La chiesa di Monchio diventa plebana : ha giurisdizione su altre chiesa .
L’attuale campanile iniziato nel 1676 , fu terminato nel 1700 : il vecchio rovinò nel 1675. Nel 1619 vi erano state collocate due campane .
Del 1676 Architrave posta sulla porta del campanile in arenaria .
(...) D.MDCLXXVI (...)
(...) PM.HOCOSTIV.F.F./
Secondo gli Annali ,l’arciprete Alessandro Leni fece aprire la porta a sue spese.
Del 1691 Architrave con scritta :
( LAV ) R.(MA) RT. PRIMVM. MOXETIAM. MICH. ARCHSCRVM
La porta fu messa in opera dalla comunità dopo i lavori di restauro del 1638.
Dal Synodvs Diaecesana Parmensis 1691, Parmae(p.353) il Vicariato foraneo di Monchio risulta così composto: Pieve di San Michele arcangelo e san Lorenzo, chiesa di san Pietro apostolo di Lugagnano, chiesa di san Giacomo di Pianadetto, chiesa dell’Assunzione della Beata Vergine Maria di Rigoso, chiesa di san Donnino di Casarola, chiesa dell’Assunzione della Beata Vergine Maria di Grammatica, chiesa di san Carlo di Riana, chiesa di san Lorenzo di Trefiumi, chiesa della Assunzione di Maria di Nirone, chiesa di san Rocco di Valditacca, chiesa dell’Assunzione di Maria di Rimagna, chiesa della Natività di Maria di Cozzanello, chiesa di san Rocco di Ceda, chiesa della Assunzione di Maria Vergine di Miscoso, chiesa della Assunzione della Beata Vergine Maria di Succiso, chiesa di san Rocco di Valcieca .
La chiesa di Monchio subì altri numerosi interventi fino ai nostri giorni. Un intervento importante all’altare e alla balaustra avvenne nel 1902 quando furono sostituiti con materiali di finto granito decorato.
Questa parrocchia ebbe tre oratori non più esistenti. Quello di San Pietro in Vicoli, eretto in località Montale della famiglia Rossi di Monchio, restaurato e benedetto il 17 giugno 1710. Esiste ancora una pietra dell’architrave dell’oratorio (fig. 26 ), ora davanti ad una casa privata di Monchio. Sulla pietra in arenaria finemente lavorata e decorata con cornice c’è il simbolo berdardiniano e una decorazione di tipo geometrico, l’altra è andata scomparsa
L’altro della Concezione della Beata Vergine Maria eretto il 20 luglio 1715 a Prato , vicino alla loggia signorile dei Leni (fig. 27. ). In epoca imprecisata è andato perduto un altro oratorio dedicato a San Michele.
Parroci :
Capitani Galeazzo 1520; Lazzaro Giacomo 1564 ; Santi Michele 1573 - 13.9.1602 ; Dalla Porta Domenico 13.9.1602 - 1603 ; Issa Alessandro 2.9.1602 ; Leni Antonio 1668 ; Leni Alessandro 25.4.1668 - 1693 ; Lazzari Orazio 14.4.1694 - 1696 ; Leni Lazzaro 25.1.1697 - 7.4.1709 ; Pigoni Giuseppe 31.5.1709 - 18.11.1711 ; Biggi Giovanni 17.12.1719 - 29.1.1720 ; Zani Antonio 3.7.1720 - 13. 3 1744 ; Rozzi Giuseppe 6.7.1744 - 29.3.1769 ; Cavalli Giuseppe 19.4.1769 - 1819 ; Battistini Lorenzo 4.5.1820 - 1835 ; Grassi Francesco 26.3.1836 - 1846 ; Galeazzi Costantino 13.8.1846 - 1849 ; Ferrari Francesco 24.1.1850 - 2.1.1885 ; Capacchi Pancrazio 10.12.1889 - 1.10.1908 ; Varesi Oreste 4.2.1910 - 12.5.1925 ; Campanini Ferruccio 14.7.1926 - 12.9.1928 ; Santini Cesare 7.9.1929 - 31.10.1936 ; Cagna Giuseppe 1.1.1939 - 1.7.1939 - 1.7.1954 ; Cavatorta Amedeo 1.7.1954 - 16.9.1960 ; Canetti Giuseppe 18.10.1960 ; Orlandini Romano ;Viola Pietro; Coruzzi Giovanni; Paganuzzi Ettore 1.10.1995 – 2000 (13).
Chiesa di Pianadetto (fig.28)
Pianadetto risulta tra le 15 cappelle della pieve di San Vincenzo già nel 1230 elencate dal Rotulus decimarum del vescovo Grazia ; nel 1299 nella ratio decimarum diocesis parmensis è già citata come chiesa ; nel Catalogus Beneficiorum del 1520 viene ricordato il nome del parroco : Giovanni Battista di Pianadetto.
La data posta sul fonte battesimale 1544 avvalla l’ipotesi di una chiesa già preesistente. Don Antonio Guatteri indica in tale data l’edificazione della chiesa primitiva. Nell’inventario del 1898 in occasione della visita pastorale dichiara di aver desunto tale data da una iscrizione posta nel soffitto dell’edificio.
L’iscrizione dell’architrave della porta di ingresso principale
Per quanto parzialmente perduta, ricorda don Angelo Martini ,rettore di Pianadetto e Valditacca come ispiratore della edificazione della chiesa, avvenuta nel 1644. In seguito venne innestato il campanile e sostituito l’originale soffitto ligneo con l’attuale .
Il 22 dicembre 1991 ,il vescovo Benito Cocchi benedirà le cinque nuove campane della ditta Capanni ,funzionanti elettricamente e inaugurerà la bella scalinata che porta alla chiesa. Prima esistevano tre campane , attualmente collocate sulle finestre all’interno della chiesa. Già all’atto della fusione che avvenne nel sagrato per una bravata di alcuni ragazzi la fusione era mal riuscita. (fig. 29)
Il 9 settembre 1995 alla presenza di Mons Grisenti , vicario generale è stato inaugurato il grandioso affresco del pittore Pietro Delitto .L’opera raffigura l’annunciazione a Maria, La natività, la pietà.(fig.30)
Parroci.
Giovanni Battista da Pianadetto 1494 - 1537 ; Cavalli Rinaldo 1564 ; Martini Giacomo 1624 ; Martini Angelo 17.8.1624 - 1673 ; Lazzari Giovanni Domenico 1.3.17674 - 1674 ; Martini Angelo 10.5.1675 - 1694 ; Lazzari Orazio 9.11.11694 - 1700 ; Lazzari Pietro 20.8.1700 ; Lazzari Giacomo Maria 4.11.1752 ; Lazzari Lazzaro 16.6.1753 - 22.12.1787 ; Bacchieri Domenico 12.2.1788 - 8.8.1824 ; Bianchi Giuseppe 5.9.1825 - 28.7.1864 ; Battaglioni Antonio 8.6.1876 - 15.4.1882 ; Guatteri Antonio 3.4.1884 - 31.7.1898 ; Gastaldi Eugenio 1.7.1901 - 21.6.1933 ; Ugonotti Pietro 21.7.1933 - 1.10.1940 ; Pellizzari Celestino 1.12.1940 - 1942 ; Bottarelli Mario 1.10.1942 - 18.6.1954 ; Viola Pietro 1.7.1954 - 18.10.1960 ; Agnesini Euclide 18.10.1960 – 1980 (13)
La chiesa di Lugagnano (fig. 31)
La prima cappella di Lugagnano è ricordata nella pergamena del 1230, come dipendente dalla pieve di San Vincenzo. Compare il titolare di questa chiesa , San Pietro, nell’estimo del 1354 "Ecclesia Sancti Petri de Lugagnano", dipendente dal vescovo.
E’ parrocchiale nel 1564 e ne è parroco Don Pietro Cavalli. .Una pietra in arenaria sopra il portale nuovo della chiesa porta la data della consacrazione della chiesa avvenuta nel 1621
La chiesa venne restaura verso la fine del ‘700 Il portale nuovo in arenaria porta la data del 1778.Il parroco tra le altre rendite beneficiarie aveva pure quella di 26 staia do frumento per decima, delle quali ne doveva tre staia e nove quartiroli alla Mensa vescovile. Aveva pure l’obbligo di una messa ogni sabato e di altre 15 fra l’anno come si legge dalla visita pastorale di Mons. Pettorelli Lalatta (1762 - 1779). Questa chiesa aveva un tempo il Beneficio di Santa Maria della Visitazione, di patronato Cavalli, dichiarato perduto dopo il 1618. Un altro pure era stato fondato sotto il titolo di S. Caterina e di San Giovanni Battista ma in forza dei decreti tridentini fu unito al Seminario Maggiore di Parma .Un terzo di San Rocco fu conferito, in seguito a rinuncia di don Giulio Benedetti, al chierico Domenico Ponticelli il 19 luglio 1591, e subito dopo è dichiarato perduto.
Restauri recenti sono stati fatti da don Giuseppe Lucchi per la posa di tre altari in marmo di Carrara.
Ida Vescovi compose nell’occasione una poesia .Le tre scultore dell’altare maggiore, La Pietà(126), San Paolo (fig. 51), San Pietro (fig. 50) sono opera del Prof. Remedi dell’Accademia delle belle arti di Carrara.
Un miracol chiedea per la sua chiesa
Il reverendo parroco Don Lucchi :
"Un magnifico altare, ma... a poca spesa.
Tutto di marmo, bello e senza trucchi".
"Sola fides sufficit" ei predicava.
Ed ecco a premio della grande fè
L’Onnipotente Iddio si degnava
Concedere, di marmo, altari tre .
Per trasportar quei massi già scolpiti
Più volte il sacerdote varca invano,
Fra intemperie e disagi inauditi,
Il famoso Appennin tosco - emiliano.
Dopo una serie di peripezie
D’ostacoli, di intendimenti opposti
I marmi hanno trovato le lor vie
Per arrivare ai designati posti.
Fu l’offerta del popolo generosa,
Talché il nemico ha sobillato indarno ;
Per chi vivrà .chi vive e chi riposa ,
Gli altari già di gesso, or son di marmo !
Magnificat !Di marmo alta la croce
Ai posteri, nei secoli dirà,
Come la squilla ,sempre a viva voce
La nostra fede, speme e carità.
Durante queste opere con probabilità sono andate perduti tutto quello che era opera in legno per lasciare il posto ad nuovo gusto discutibile.
Nei lavori di restauro di fine secolo è venuto alla luce nell’abside un arcone in pietra che potrebbe riferirsi all’antica chiesa. Per creare la nuova fu costruito un enorme terrapieno sostenuto da un muro molto alto.
Parroci.
Gregori Antonio, 1494 - 1537 ; Rozzi Giovanni, 1631 ; Bicchieri Ambrogio , 4\4\1663 - 1677 ; Lazzari Giovanni, 17\7\1677 - 5\5\1700 ; Lazzari Francesco, 14\5\1700 - 23\10\1718 ; Santi Giacomo Maria , 11\1\1719 - 29\4\1736 ; Basteri Pellegrino, 4\9\1736 - 19\4\1765 ;Barlesi Pietro, 17\6\1765 - 1783 ; Vincetti Domenico, 23\6\1784 - 1\3\1818 ; Rossi Francesco , 9\9\1818 - 13\11\1844 ; Tosi Domenico, 19\7\1849 - 8\4\1897 ;Ianelli Giovanni, 14\10\1897 - 9\5\1925 ; Peracchi Enzo , 17\10\1925 - 1\4\1940 ; Lucchi Giuseppe , 10\4\1940 - 18\6\1954 ; Baioli Luigi, 1\7\1954 - 1\7\1958 ; Fiaccadori Renato, 1\11\1958 - 11\11\1964 ;
Fagioli Angelo , 11\11\ 1964 (13)
Dopo quest’ultimo non ci sono più stati parroci residenti a Lugagnano.
Anche le altre cappelle diventano parrocchie
La chiesa di Rimagna (fig.32)
Un tempo questa corte fu signoreggiata dai Vallisneri temporaneamente. Il comune di Parma contro i Rossi di Corniglio nel 1448 assediarono e sconfissero Giacomo Vallisneri che si era asserragliato in un fortilizio detto il Castellaro, nei pressi di Rimagna.
Questa corte fu sempre unita a quella di Rigoso ; nel 1604 fu eretto l’oratorio di San Michele. A questo oratorio dovrebbe riferirsi la scritta posta sul portale che porta la data del 17 luglio 1604 Nel 1626 fu smembrata dalla parrocchia di Rigoso, la chiesa assunse il titolo dell’Assunta divenendo parrocchia.
Di pregevole fattura i tre altari settecenteschi in pietra dedicati alla Beata Vergine Maria (altare maggiore), a Sant’Antonio di Padova ( altare laterale di sinistra, e a San Rocco quello di destra (ora c’è la statua di San Bartolomeo(fig. 53). Un tempo sugli altari c’erano tre tele come nota l’inventario del 1769 : Maria santissima Assunta in cielo con i santi Antonio abate e Guglielmo ; San Rocco ; Sacro Cuore di Gesù.
Parroci.
Mariotti Giovanni, 18\12\1623 - 1634 ; Pinelli Pietro 27\6\1635 - 8\12\1651 ; Gallarini Angelico, 26\9\1652 - 1679 ; Cortesi Carlo, 17\7\1679 - 3\11\1711,Rinaldi Lazzaro, 12\8\1749 - 8\9\1768 ; Bruni Pietro, 14\12\1768 - 26\9\1822 ; Bruni Luigi, 17\4\1823 - 27\9\1868 ; Boschi Innocente, 16\6\1909 - 7\6\1916 ; Consigli Giovanni, 1\4\1933 - 1\1\1936 ; Rozzi Gino, 1\7\1948 - 16\7\1952 ; Bellingeri Celso, 16\7\1952 - 1\10\1954 ; Porta Dario, 20\7\1955 - 11\2\1957 ; Canetti Giuseppe, 25\7\1957 (13)(16)
La chiesa di Trefiumi (fig. 33)
Una chiesa di Trefiumi , dedicata a San Lorenzo, viene ricordata per la prima volta in una collazione del 26 agosto 1501 (rogito Pelosi)
La chiesa di Trefiumi fu unita a quella di Rigoso dal 1549 fino al 1578
Nel 1564 diventò parrocchiale.
La chiesa venne riedificata nel 1628, datazione che ancora nel 1726 don Ottavio Tacchini ricordava segnalata sull’arcone che separava il presbiterio e l’altare maggiore e sul portale di ingresso principale. Il concio sul lato meridionale della chiesa datato 1680 non risulta riferibile a nessuno degli interventi sulla chiesa .
L’edificio originario ha subito ripetuti interventi di consolidamento e ristrutturazione nel 1911, anno in cui avvenne l’erezione della torre campanaria. La chiave di volta della porta, costituita da un unico concio in arenaria, reca scolpita a bassorilievo la scritta L’OFFERTA E IL PAESE F. N. A. 1911.
Nel 1925 venne ampliata la navata con conseguente rifacimento della facciata e decorazione a fresco dell’interno. La decorazione della cupola raffigura lo Spirito santo in gloria e i quattro evangelisti nei pennacchi. Potrebbe riferirsi al pittore parmigiano Vighi Igilio a cui si deve l’ornamentazione delle navatelle del santuario di Rimagna(fig.34) .
Nel 1954 ebbe importanti restauri e un lacunare per interessamento di Don Amedeo Cavatorta .
Altri lavori sono stati eseguiti da don Roberto Ferrari con la perdita di tutte le pitture escluse quelle della volta presbiteriale.
Il potale architravato laterale riecheggia schemi e modi di esecuzione ricorrenti nella produzione locale in arenaria del XVII di ottima fattura.
Parroci.
Mariotti Francesco,1564 ; Bianchi Biagio, 12\3\1625 ; Penelli Pietro, 2\5\1625 - 1635 ; Cortesi Simone , 12\7\1635 - 1691 ; Cortesi Domenico, 7\5\1692 - 17\7\1704 ; Mori Vincenzo, 24\11\1724 - 24\7\1758 ; Tacchini Ottavio, 15\3\1760 - 1803 ; Ricci Domenico, 11\2\1804 - 1812 ; Sandei Giuseppe, 3\12\1803 - 10\11\1834 ; Soldati Giuseppe , 28\5\1836 - 24\21840 ; Antognotti Carlo, 3\4\1900 - 27\4\1903 ; Sibilloni Amadio, 2\10\1093 - 7\7\1908 ; Rinaldi Pietro,, 22\9\1908 - 27\3\1914 ; Cagna Giuseppe, ,1\7\1936 - 1\1\1939, ; Ceresini Achille, 1\4\1940 - 18\10\1951 ; Cavatorta Amedeo 9\7\1952 - 1\7\1954 ; Ferrari Roberto 1\7\1954.(13)(16)
Da allora la parrocchia non ha avuto più parroci residenti.
La chiesa di Valditacca (fig.35)
Fu sempre unita dalla sua origine a Pianadetto. All’inizio del ’600 ,Valditacca aveva il suo oratorio dedicato a San Rocco.
Il 23 settembre 1660 fu smembrata da Pianadetto per erigersi in parrocchia autonoma . L’oratorio iniziale fu ampliato .Giovanni Canuti e la moglie Elisabetta donarono la propria casa e il territorio circostante perché vi fosse edificata la nuova chiesa parrocchiale , come si ricava dal rogito registrato dal Cancelliere Niccolò Busseti il 23 settembre 1660. Sul portale è incisa la data del 1663
Nel 1910 l’edificio è stato notevolmente rimaneggiato. In quel momento venne creata una lunga navata, sostituito il pavimento fatto di pietre di arenaria ,rifatta integralmente la facciata ,innestandovi il portale preesistente. Nel 1955 venne sostituito il soffitto originario in legno, a capriate, con una volta in mattoni stuccata e intonacata. Nel 1970 per adattarsi alla nuova liturgia fu disperso l’originario altare.
La chiesa possiede un piatto d’ottone sbalzato del secolo XVI, opera di associazioni tedesche.
Il primo altare laterale a sinistra è dedicato alla Madonna del Carmine . La statua è collocata entro un’ancona lignea dell’ultimo quarto del secolo XVII
probabilmente opera dei Ceretti (fig.136) .E’ attestata negli inventari del 1783
Altra ancona all’altare laterale di destra. Affine al confessionale di cui ripete la struttura valorizzandola con la doratura e la policromia.. La descrive don Pietro Bruni nell’inventario del 1783 .La struttura ha colonne tortili, con grappoli e pampini, capitelli corinzi, la trabeazione ornata da un fregio continuo con foglie di acanto. Il frontone è a semitimpano con una cartella che reca il nome della donatrice, LILIA FLORENTIA. DEDIT (fig.36) Domina la chiesa la dolce figura del buon Pastore, dipinto di Barilli ; in lontananza si intravede la chiesa di Pianadetto, memoria del tempo in cui le due comunità avevano un’unica chiesa (fig. 37)
Parroci .
Pedrelli Giovanni 23.10.1660 - 1666 ; Pedrelli Valente 17.3.1667 - 1667 ;Albertini Pietro 3.5.1668 - 1720 ; Guatteri Giovanni Antonio 7.3.1721 - 8.12.1738 ; Zani Zaccaria 21.12.1739 - 1743 ; Sandè Pietro 17.8.1743 - 1783 ; Guatteri Giovanni 5.11.1783 - 25.9.1817 ; Travaglini Girolamo 18.5.1818 - 4.6.1829 ; Vicini Domenico 4.6.1829 ; Pellegri Giovanni 6.6.1910 - 24.11.1922 ; Ricò Pietro 1.7.1941 - 13.12.1952 ; Bianchi Antonio 1.7.1953 - 9.2.1955 (13) (16)
.
La chiesa di Grammatica (fig. 38)
Prima del secolo XVI la Corte era semplicemente frazione di Casarola. Fu smembrata già nel secolo XVI. I parrocchiani restaurarono ed ampliarono la cappella esistente, provvedendola di un beneficio per il parroco. Per questo divenne di Patronato dei parrocchiani " qui illam aedificaverunt et dotarunt , anno 1530, die 30 martii". La chiesa fu eretta come parrocchia nel 1564. Come direttiva del Concilio, il vescovo di Parma cercò di creare più parrocchie con parroco residente per una maggiore cura pastorale.
Nel 1835 fu eretta la torre campanaria. La torre ad ovest, simmetrica alla prima , fu costruita nel 1908, quando la chiesa ebbe importanti restauri, rinnovato il pavimento ed innalzato l’arco trionfale del presbiterio. Nel detto anno furono collocati i due altari laterali in marmo, l’uno dedicato alla Madonna del Rosario, l’altro ai santi Luigi Gonzaga e Antonio da Padova e Antonio Abate .
Nel 1923 l’incendio distrusse l’altare maggiore in legno scolpito e dorato, ornato di un pregevole tabernacolo di stile rinascimentale del secolo XVIII. Essendo stata donata a questa chiesa nel 1938, una statua raffigurante la Madonna di Fontanellato da Mons. Ormisda Pellegri, nativo di questi posti, Mons. Evasio Colli, vescovo di Parma, elevò il 15 agosto dello stesso anno questa chiesa a Santuario dei Monti della Beata Vergine di Fontanellato. Sul trono della Madonna ci sono i nomi del donatore, del vescovo e altri benefattori.
La chiesa possiede una pregevole tela raffigurante la Madonna del Rosario, una lampada di bronzo, un ostensorio, un turibolo ed un calice in argento sbalzato del XVII sec.
Parroci.
Simone da Creverola 1530 - 1584 ; Ferrari Andrea 26\5\1584 - 1622 ; Guidetti Michele 2\5\1622 - 1631 ; Ricci Giovanni 21\11\1631 - 1653 ; Bianchi Giacomo Giovanni 6\11\1653 - 1667 ; Bianchi Andrea 2\4\1667 - 1707 ; Zenoni Giovanni 7\9\1707 - 14\21765 ; Morelli Giuseppe 20\3\1765 - 14\12\1790 ;Albertelli Domenico 30\3\1791 - 1795 ;Albertini Pietro 21\5\1795 - 1838 ;Schiappa Domenico 11\12\1838 - 1863 ;Schiappa Pietro 1863 - 1881 ; Barilla Giovanni 2\7\1901 - 31\7\1903 ; Barbieri Vittorio 22\9\1904 - 12\10\1909 ; Delsante Domenico 4\9\1911 - 4\8\1916 ; Musini Giuseppe 17\10\1923 - 29\11\1924 ; Percudani Mario 25\11\1936 - 20\10\1937 ; Foussreau Luigi 13\12\1937 - 1\6\1944 ;Bernardi Aldo 3\5\1944 - 1\4\1946 ;Spagnoli Alberto 15\5\1946 - 8\2\1948 ; Sorenti Carlo 1\7\1948 - 1952 ;Leporati Domenico 9\7\1953 - 1\1\1954 ; Paini Learco 20\7\1955 - 1\11\1958 ;Ferrari Enzo 14\11\1958 - 23\9\1963 ; Agnesini Angelo 11\10\1963.(13)
Nella piazza del paese il vescovo fondatore delle Missioni estere di Parma. Guido Maria Conforti nel 1902 fece collocare una pregevole maestà di Maria col bambino che si guardano giocosamente e teneramente.
MARIA GUIDO CONFORTI
ARCIVESCOVO DI Ravenna
Fece dono e benedisse 1904
Come perenne mormora ai piedi tuoi Maria
Fresca la fonte e limpida
Salga la prece mia
Fervida innanzi a te(fig. 39)
La chiesa di Riana
(fig. 40)
La corte è ricordata la prima volta in una donazione fatta nel maggio del 953 dalla contessa Leigarda di alcuni beni posti nel parmense alla canonica di Parma, firmata con la croce da un certo "Gausoni de Riana teste"(Drei, I - 186). Fu sempre unita dalla sua origine alla parrocchia di Casarola fino al 1618, anno in cui fu smembrata . (La leggenda vuole che gli abitanti di Riana avendo avuto dei contrasti con quelli di Casarola, mentre ritornavano dalla Messa domenicale portavano in spalla una pietra per edificare la nuova chiesa parrocchiale). Un motivo solido, come appare dall’atto di fondazione riportato in appendice (figg.262, 263) , era per la notevole scomodità . A quei tempi non c’era quella che ora è la strada provinciale, per cui i fedeli per recarsi alla messa dovevano passare nella strada del mulino molto disagevole.
Il vecchio oratorio divenne la chiesa parrocchiale : era dedicato a San Rocco. Proviene da quell’oratorio una finestra monolitica quadrangolare a luce circolare in cui è iscritta una rosa a sei punte posta sul campanile. Il motivo decorativo della rosa a sei petali era stato divulgato dai magistri lapidum di provenienza lombardo comasca usato di frequente già a partire dalla fine del ‘300 innestate di solito su piccoli campanili , colombaie(16).
Sul principio del secolo XVII questa chiesa venne rinnovata e intitolata a San Carlo Borromeo. Poiché la popolazione stessa dotò la chiesa , acquistò il diritto di patronato.
Durante la permanenza in questa parrocchia di Don Erminio Lazzari la chiesa subì importanti abbellimenti (cornicione e decorazione con pitture). .L’artista fu Annibale Bettini che si data del 1935 ; sulla parete interna della facciata c’è la data del restauro e della fine dei lavori 1936. Sicuramente la gente che era emigrata in Francia e America , mandava a casa offerte con cui si affrontò la spesa non indifferente.( C’è chi si ricorda la somma enorme di lire 35.000 sborsata dall’opera parrocchiale aiuta da tutta la popolazione).
Fu una chiesa sempre ben tenuta , lo dimostra la ricchezza dei paramenti e della suppellettile sacra. Per questo dispiace ancor più lo scempio dei mobili (banchi., confessionali,...) per mettere una mobilia nuova non intonata con la chiesa stessa . Ci si può domandare a che pro fare queste cose , quando non ce n’è assolutamente bisogno ?
Alla prima chiesa appartengono l’ancona a destra a stucchi rococò e gli analoghi capitelli dell’arcone presbiteriale .
Parroci.
Zammarchi Domenico 1616 - 1628 ; Pini Giovanni 28.3.1628 - 1631 ; Bianchi Agostino 3.9.1631 - 2.4.1642 ; Guatteri Filippo 14.5.1642 - 23.3.1671 ; Zecconi Giovanni 8.10.1671 - 3.5.1701 ; Malmassari Natale 31.5.1701 - 10.11.1708 ; Cecconi Carlo 8.12.1709 - 4.12.1733 ; Laurenti Celestino 7.5.1734 - 9.4.1778 ; Pigoni Carlo 16.10.1778 - 30.12.1815 ; Basteri Pellegrino 27.9.1817 - 1.6.1827 ; Ottoni Michele 1.10.1827 - 1852 ; Zammarchi Michele 22.2.1853 - 9.5.1897 ; Bertoli Ulisse 18.4.1901 - 6.6.1906 ; Spalazzi Moderanno 19.8.1907 - 21.5.1912 ; Franceschini Luigi 7.1.1920 - 3.10.1923 ; Zatti Aldino 1.7.1948 - 2.1.1951 (13)
La chiesa di Ceda (fig.41)
La corte fu sempre unita ecclesiasticamente alla chiesa di Monchio. Il vicario della diocesi dietro autorizzazione avuta dal vescovo Cornazzani, consenziente il parroco e il coadiutore della parrocchia di Monchio, smembrò il 26 giugno 1637, dietro richiesta degli abitanti di Ceda, dalla parrocchia di Monchio 25 famiglie ed eresse la nuova parrocchia di San Rocco di Ceda. Gli abitanti di Ceda diedero la dote alla loro nuova parrocchia alla condizione che vita natural durante del parroco e del coadiutore di Monchio, ambedue rettori di un beneficio, questi dovessero possedere la nuova chiesa con tutti suoi diritti e le sue rendite , con l’obbligo di mantenere a Ceda un cappellano per fare le funzioni e amministrare i sacramenti. Morto uno di essi, dovesse diventare unico parroco di Monchio sempre con l’onere di tenere un cappellano a Ceda. La nuova chiesa doveva poi essere eretta da un parroco eletto per concorso secondo le leggi canoniche..
La chiesa di Ceda si mostra all’interno artisticamente ben proporzionata, come un vero gioiello del barocco delle nostre montagne. Siamo agli inizi del ‘700. Vi si trovano due portali datati 1686 e 1792. Sempre all’interno ci sono due rustiche ancone a stucchi del settecento. L’ancona dell’altare è in legno intagliato opera della fine del secolo XVII o inizi del XVIII con inserita una tela di San Rocco in gloria più recente(fig.89).
Nel 1747 ci una grave epidemia del bestiame che è ricordata in una lapide a fianco dell’altare di San Rocco.
DOM
ET DIVO ROCCHO
PATRONO
OB GRASSANTEM
ARMENTORUM
MORBUM EXPVLSVM
ZACHARIAS ZANI
RECTOR CEDAE
IN GRATIAR, ACTIONIS
MONVMENTVM
SUMPTIB’
BENEFACTOTORUM
P.D.S
A MDCCXXXXVII
"A Dio Ottimo Massimo e a San Rocco, patrono per l’allontanata epidemia degli armenti che infuriava, Zaccaria Zani rettore di Ceda dedica in ringraziamento questa lapide eretta con offerte di benefattori. Anno 1747".
Questa parrocchia ebbe un oratorio a Tichiano intitolato alla Beata Vergine delle Grazie. Eretto dai Monticelli nel 1705. Durante l’ultimo conflitto mondiale per incuria fu lasciato cadere. Custodiva una tela raffigurante Santa Lucia (fig.42) .
A partire dal 1673 ,la parrocchia ebbe la serie ininterrotta di parroci.
Parroci.
Pigoni Paolo 1637 - 13.9.1673. Pigoni Domenico 14.2.1674 - 1686. Malmassari Giovanni 3.2.1687 - 18.8.1707. Zani Antonio3.10.1707 - 1720. Cavalli Giovanni 16.2.1721 - 26.1.1743. Zini Zaccaria 14.6.1743 - 5.5.1760. Barbieri Antonio Maria1.8.1760 - 1804. Penelli Pietro 6.10.1804 - 28.1.1847. Molinari Pietro 16.2.1848 - 22.2.1889. Comelli Ismeraldo 22.12.1906 - 13.10.1919. Toscani Ferruccio 13.4.1921 - 12.8.1926. Superti Giovanni 1.11.1933 - 1942. Vignali Arnaldo 1.10.1942 - 30.11.1945. Paglia Dante 1.7.1950 - 30.4.1958.Agnetti Bruno.(13)
La chiesa di Valcieca (fig.43)
Sorgeva in questo territorio alla fine del 500’, l’oratorio di San Rocco che dipendeva dalla parrocchie di Nirone.
Questo territorio fu smembrato da Nirone il 5 giugno 1618, e l’oratorio di San Rocco divenne chiesa parrocchiale. Questa venne riedificata nel 1713, restaurata nel 1755. Dopo un secolo era diroccante insieme alla canonica ; allora fu imposto alla popolazione di rifarla "reedificetur expensis popoli".
Il terremoto del 7 settembre 1920 la rese inservibile ; per cui fu subito iniziata la costruzione della chiesa attuale , che venne benedetta il 16 ottobre da Mons. Angelo Micheli , arciprete di Pellegrino, per delegazione di Mons. Conforti , vescovo di Parma .
Parroci
Mariotti Francesco 15\6\1618 - 9\5\1625 ; Cortesi Domenico 9\5\1625 - 1625 ; Issa Giovanni Antonio 16\5\1626 - 1648 ; Ferri Alessandro 5\12\\1648 - 1649 ; Baccheri Domenico 14\3\1650 - 1706 ; Mariotti Francesco 13\10\1706 - 29\6\1730 ; Isi Giuseppe 31\10\1730 - 13\7\1743 ; Mori Domenico 1\4\1745 - 1786 ; Baccheri Michele 3\8\1786 - 21\4\1817 ; Isi Giuseppe 23\8\1817 - 11\11\1879 ; Scanzaroli Giuseppe 16\1\1907 - 1911 ; Solari Avvertito 22\11\1911 - 19\6\1917.(13)
Oratorio di Vecciatica (fig. 44)
In località Vecciatica esisteva nel 1564 l ‘oratorio di Santa Maria della neve , fondato nel 1541 da Andrea Cerati, officiato allora da don Andrea Cortesi. Esisteva ancora nel 1579, durante la visita di Mons. Castelli . Dopo due secoli dalla sua erezione fu distrutto da una frana e sepolto insieme alle case degli abitanti. Rimangono ancora tracce in un campo che porta ancora il nome derivante dalla chiesa. Il titolo della Madonna della neve è passato alla chiesetta fatta costruire sul crinale (fig.45). Il tempietto è ben decorato anche all’interno.(fig.46)
L’ultima arrivata nelle Corti
La chiesa di Cozzanello (fig,47)
Questo villaggio ebbe la sua prima cappella il 17 febbraio 1632, eretta da Don Cesare Terrarossa. Venne smembrata da Zibana ed eretta in parrocchia, il 15 marzo 1636.(La chiesa porta il segno nella costruzione di essere derivata dalla chiesa di Zibana).
La chiesa fu consacrata dal vescovo Nembrini il 22 maggio 1656. Una lapide in pietra arenaria collocata nella parete di fianco l’altare ricorda l’evento(fig.48)
PYS FVNDATORV POPVLIQUE
SUPLICATIONIBUS ANNVENS
CAROLVS NEBRINVS ANCONI.T
PARMENS. EPVS PARVAM HANC
AEDEM IN HONOR NATIVITAT.
DEIPARE VIRGINIS DIE XXII MAJ
D.O.M. CONSECRAVIT AN
SALVT. M. DC. LVI
XXV. HOC ERREXIT D. CAESAR TERRAROSS
ET LIBERE DOTAVIT DE IVRE PATRONAT.
EIUSDEM CASATAE QUOD ACTVM FVIT
……. MDCXXXII DIE XVII FEBRVAR
HERCVLES TERRAROSSA PRIMUS RECTOR
.CONSACRATIONIS …..AVCTOR
(venendo incontro alle pie suppliche dei fondatori e del popolo, Carlo Nembrini di Ancona e vescovo di Parma, questo piccolo tempio in onore della Natività della Vergine Madre di Dio il 22 maggio nell’anno della salvezza 1956 consacrò a Dio Onnipotente Massimo.
Nel ’25 era stata eretta da D. Cesare Terrarossa e la dotò liberamente con diritto di patronato per il suo casato. Questo avvenne il 17 febbraio 1932. D. Ercole Terrarossa fu primo rettore.
..lapide della consacrazione….autore)
Nella visita pastorale di mons. Pettorelli Lalatta 1762,non aveva ancora il campanile e le due campane erano state istallate sul tetto della chiesa . Di recente è stata restaurata mettendo in evidenza le pietre tanto la sembrare un’antica chiesa romanica. Questa chiesa custodisce due ancone in legno scolpito del XVII secolo.(fig.142)
Grandi sono stati i rivolgimenti operati da questo prete nelle chiese per attuare la riforma del Concilio. Tanti credevano di cambiare in poco tempo abitudini antiche e tradizioni secolari. Altari, muri, e tutte le altre cose che appartengono all’edificio di una chiesa si possono spostare, cambiare, abbellire, deturpare a seconda dei casi in poco tempo : le cose stanno diversamente per la religiosità popolare che ha radici secolari avvallate spesso anche dalla gerarchia ecclesiastica .
Il tabernacolo recente di Cozzanello porta la firma don Evio Busani: combinato con pezzi presi da parti diverse e accostate in modo personale . Sulla pietra lavorata di recente l’autore ha scolpito il sepolcro vuoto con la croce soprastante che vuol rappresentare la risurrezione ; la porticina è in rame sbalzato con la scritta : Ecco l’agnello di Dio che toglie il peccato del mondo. E’ sormontato da una cuspide in pietra di un pilastro della cinta muraria che esisteva attorno alla chiesa prima dei restauri.. Alla base ha posto la scritta in cui dichiara di essere l’autore dell’opera.
Parroci.
Terrarossa Ercole,15\3\1636 - 1662 ; Terrarossa Giovanni, 23\10\1662- 1683 ; Ferrari Leonrdo, 1\10\1683 - 1\4\1715 ; Petrucci Antonio, 25\5\1715 - 30\1\1757 ; Dinni Giuseppe, 8\10\1758 - 1782 ; Pioli Camillo, 14\9\1782 - 1803 ; Pinelli Pietro, 31\3\1804 - 1804 ; Bianchi Pietro, 15\9\1804 - 3\12\1841 ; Cermaglia Angelo, 15\9\1842 - 3\1\1886 ; Casoni Giuseppe , 1\7\1896 - 27\1\1928 ; Savi Antonio, 1\10\1940 - 30\9\1942 ; Vignali Arnaldo, 16\7\1943 - 1\12\1945 ; Agnetti Bruno , 1\7\1954.
Da tempo Cozzanello non ha più un parroco residente , anche perché non esiste più una canonica da molto tempo(solo qualche anziano ne conserva un vago ricordo).
A Canova di Cozzanello esiste ancora uno stemma dei Terrarossa con il simbolo bernardiniano. Da questo casato presero origine quattro preti che ressero le due comunità parrocchiali Giubbana ( Zibana) e Cozzanello. Le due parrocchie furono unite fino al 1636. Parroco allora era Don Ercole Terrarossa.
A Don Orlando Terrarossa morto nel 1591 era succeduto Don Cesare. E’ il parroco della peste che infuriò da queste parti .Don Cesare annota il primo decesso con la morte di Giacomo Ponticelli di anni 35."Il morbo che l’oppresse fu morbo di varoli, et disordini che fece la bocca , però non fu mal di peste, la quale comenciò il mese di Xbre e seguita a tutto andare nella città di parma, con grande mortalità di persone, et comencia ad allargare a poco a poco per li contadi, e di questa peste ne son già morti 7 nella villa di Trevignano".
Addì 11 settembre Don Cesare annota. "Nota qui come quest’anno pestifero sin hora son morti cento e otto persone a Musiara. Nella villa di Balone fino a settanta e più persone, 18 a Rimagno et nel Monte Cheio a S. Matteo ne sono morti quattro, a Trevignano fino a undici, tutti di peste".
Il 2 settembre 1631 annota :" Qui comincia la peste". Enumera 52 atti di morte che terminano il 17 ottobre 1631. Questo prete non solo si è preoccupato di dare assistenza a tutti ma anche di indicare ai congiunti il luogo della morte e della sepoltura di ciascuno (Matteo de’ Solari fu sotterrato in un canevaro in luogo detto al Perduro; altre in un canevaro dove si dice a Pozza sotto la teggia della Costa; morti i genitori Margherita , Domenica e Caterina vengono sepolte davanti l’uscio di casa…)
Tre anni più tardi il successore di don Cesare annota: "D. Cesare Terrarossa rettore di S. Maria di Giubbana, d’anni 63 circa morse l’anno 1631 di male di peste nella casa parrocchiale in comunione di S.a Chiesa e fu sepolto nel cimitero alli 22 di ottobre". Dal 2 settembre fino al 17 di ottobre 1631 Don Cesare era corso da un casolare all’altro per portare il conforto e l’assistenza a tutti .(18)
Sulla chiesa, innestata sul portale d’ingresso è stata collocata una maestà della natività della vergine . Proviene da un distrutto pilastro votivo, innalzato a lato della strada selciata diretta alla parrocchiale :è da porsi in relazione con la fondazione della chiesa .E’ una maestà ricca di personaggi e con una descrizione a attenta dei particolari. Sant’Anna sorregge Maria neonata ; accanto a lei una fantesca predispone una culla e un ragazzo nudo prepara il lavacro. Emergente fra le pesanti cortine di un tendaggio si nota un’altra figura femminile che alza le braccia in segno di gioia. Tutti particolari curati, culla , catino, caminetto ,la tenda tenuta da un nodo fanno rivivere, a chi guarda con attenzione, in modo suggestivo ciò che i vangeli apocrifi raccontano della nascita della beata Vergine(fig.48).
All’interno della chiesa è posta un’altra maestà, che a detta della gente, proviene da Canova . Porta la scritta D. Camillus Pioli RCDP ANNO DON MDCCXCIII
Documento per la posa della prima pietra del nuovo oratorio". L’anno 1902 in giovedì del giorno primo del mese di maggio il rettore di Lugagnano benedice e pianta la croce nel luogo dove deve erigersi l’altare maggiore. Il venerdì del giorno due il detto rettore Ianelli don Giovanni alle ore 17 , benedice e posa la prima pietra del costruendo Oratorio nella cantonata sud - ovest, coll’intervento degli abitanti di Vecciatica con grande gaudio di tutti. L’estensore della presente memoria Vescovi Vittorio fu Pellegrino, il quale coadiuvò come muratore il sacerdote nel posare la prima pietra".(Dall’archivio parrocchiale )
L’oratorio venne ricostruito e benedetto l’undici giugno 1922
Capitolo quarto
LA FONDAZIONE DELLA COMUNITA’
I SANTI FONDATORI DELLA CHIESA (ANTICHI MARTIRI )
Il culto dei martiri
E’ difficile seguire il cammino della fede nei primi mille anni : rare le tracce Molto limitate anche nei primi cinquecento anni del secondo millennio; dopo il concilio di Trento, invece, ci sono documenti, associazioni, forme di pietà popolare che si sono protratte fino ai nostri giorni .Un fatto si può constatare che da quando le nostre comunità cristiane si costituirono, si diffuse anche il culto dei martiri. Perché? Un po’ sbrigativamente ci si riferisce ai culti degli dei pagani, quasi affermando una sostituzione di antichi idoli con nuovi . Il punto di partenza è la dottrina della comunione dei santi .L’averla richiamata in forza nella coscienza della cristianità è un merito particolare del culto dei martiri. Questo culto è una delle radici che ha fatto fiorire il culto dei santi in genere. E’ una delle espressioni più importanti e più significative della pietà cattolica nei primi secoli .
Vari furono i motivi che indussero l’impero a perseguitare i cristiani, comunque a cominciare da Nerone si intendeva annientare la fede cristiana. Questi uomini e donne pur tra mille tormenti non rinunciarono alla fede , la confessarono anche nelle torture. Per questo divennero dei testimoni della vera religione : martire è testimone. Non c’è testimonianza più alta di chi paga con la vita la fede che professa .La morte cruenta del martire non era per i cristiani una sconfitta ma come era stato per Gesù una glorificazione .Per l’evangelista Giovanni la croce è il trono di Cristo, Signore della vita e della storia . Gli uomini del medioevo raffiguravano volentieri Cristo come lo vediamo nel crocefisso di San Francesco : Cristo sulla croce guarda il suo popolo in mezzo ai santi che gli fanno corona (non quindi un Cristo morto che non può salvare nessuno ). Il martirio era la vittoria su tutto ciò che si opponeva al Regno di Dio, la vittoria sullo stato persecutore, sul paganesimo, sui demoni .
Entrare come martire nella vita eterna significava una felicità incondizionata . Sono da leggere in questo senso le lettere di Sant’Ignazio, vescovo , martire "A nulla mi gioveranno i piaceri del mondo o i regni della terra : preferisco morire per Cristo, piuttosto che regnare su tutto il mondo . Io cerco colui che è morto per noi : si, io voglio colui che per noi è risuscitato. La mia rinascita è vicina . Perdonatemi, fratelli, non vogliate impedirmi di entrare nella vera vita ; non vogliate che io muoia della vera morte , non vogliate darmi in braccio al mondo e ingannarmi per amore delle cose temporali ; io voglio essere tutto del mio Dio !... Chiedete per me soltanto la forza esterna ed interna perché io sia deciso non solo nel parlare , ma anche nel volere , perché non solo sia detto cristiano, ma sia anche trovato tale. Se tale sarò trovato , potrò essere chiamato cristiano e quando il mondo non mi vedrà più allora sarò un vero fedele . Niente di quel che si vede ha valore . Il nostro Dio Gesù Cristo , ora che è tornato al Padre , si manifesta di più ... Vi scongiuro, non dimostratemi una benevolenza che sarebbe inopportuna . Lasciate che io sia pasto delle belve , per mezzo delle quali mi è dato di raggiungere Dio. Sono frumento di Dio, e sarò macinato dai denti delle fiere per divenire pane puro di Cristo. Sollecitate piuttosto le fiere perché diventino mio sepolcro e non lascino nulla del mio corpo e nel mio ultimo sonno io non sia di incomodo a nessuno . Quando il mondo non vedrà più il mio corpo, allora sarò veramente discepolo di Gesù Cristo. Supplicate Cristo per me , perché per opera di queste belve io divenga ostia per Dio. Io non vi do ordini, come Pietro e Paolo. Essi erano apostoli, io sono un condannato ; essi erano liberi io finora sono uno schiavo. Ma se soffrirò il martirio , diventerò un liberto di Gesù Cristo e in lui risorgerò libero. Ora, in catene imparo a rinunziare ad ogni desiderio "(19)
I martiri furono ritenuti strumenti particolarmente benedetti dalla grazia : si attribuì ad essi un particolare posto di fiducia presso Dio. Erano scampati da quel giudizio che i cristiani dei primi secoli ritenevano sempre imminente e sarebbero ricomparsi al giudizio finale per giudicare insieme a Cristo. "Essi sono coloro che sono passati attraverso la grande tribolazione e hanno lavato le loro vesti rendendole candide col sangue dell’agnello. Per questo stanno davanti al trono di Dio e gli prestano servizio giorno e notte nel suo santuario e Colui che siede sul trono stenderà la sua tenda sopra di loro" (Ap 7, 14 ).
Le loro vicende sono raccontate negli Atti dei martiri che sono di una commovente semplicità. Penso che loro modello di riferimento letterario sia stato il libro 2 Mac : per esempio il martirio di Eleazaro. "Infatti anche se ora mi sottraessi al castigo degli uomini , non potrei sfuggire né da vivo né da morto alle mani dell’Onnipotente. Perciò, abbandonando ora da forte questa vita, mi mostrerò degno della mia età e lascerò ai giovani nobile esempio, perché sappiano affrontare la morte prontamente e generosamente per le sante e venerande leggi ... Il Signore, cui appartiene la sacra scienza , sa bene che , potendo sfuggire alla morte, soffro nel corpo atroci dolori sotto i flagelli, ma nell’animo sopporto volentieri tutto questo per il timore di lui. In tal modo egli morì, lasciando non solo ai giovani ma alla grande maggioranza del popolo la sua morte come esempio di generosità e ricordo di fortezza" (2 Mac 7, 28 - 29).
I resti di coloro che in vita avevano ricevuto una grazia così straordinaria venivano circondati di speciale venerazione. Di qui sorse il culto dei martiri . I martiri appartenevano a tutta la comunità. E come allora si visitavano le tombe dei cari, si tenevano banchetti presso di esse, così fece la comunità cristiana con i defunti che appartenevano a tutti , cioè i martiri .
A partire dalla prima metà del secolo terzo, tutta la comunità celebrava annualmente il giorno della morte dei martiri con culti eucaristici presso le loro tombe. Le catacombe divennero luoghi di culto anche se non tutti i sepolti erano martiri ma semplici cristiani . Gli Atti dei martiri erano letti a comune edificazione, i vescovi tenevano cataloghi delle feste dei martiri :cominciò così il calendario cristiano. La fama di alcuni di loro si diffuse rapidamente in tutto l’impero fino a pervenire lungo i tempi presso le nuove comunità che si andavano costituendo. Era naturale che dove si costituivano comunità e si consacravano luoghi di culto in tutta la cristianità fossero venerati i martiri o speciali confessori della fede perché la loro testimonianza forte era come un solido fondamento per la nuova comunità .
A contatto poi con l’elemento pagano e germanico, nella religiosità popolare , questo culto poté subire deviazioni (esempio la ricerca ossessiva della reliquia ) tanto da apparire ai nostri occhi come la sostituzione degli antichi dei protettori con i nuovi. La Chiesa aveva visto nella testimonianza, anche col sangue, il modo giusto di rispondere all’invito del maestro : Andate siate miei testimoni.
Il paganesimo che era durato millenni ed era scritto nella coscienza popolare aveva trovato il suo sbocco positivo .Le deviazioni possono esistere anche oggi nel culto dei santi quando non supportato da una formazione biblica e cristocentrica . Il martire ( o il confessore della fede ) va preso per quello che è veramente : nostro fratello che prima di noi ha testimoniato in modo eroico .La fondazione di una comunità è sempre legata alla testimonianza : è la Chiesa che deve essere luce posta sul candeliere e non sotto il moggio ( Mt 5, 14- - 16) . Prima di ogni forma deve stare una coscienza cristiana ferma : la fede costa sacrificio , bisogna essere disponibile a tutto pur di non svenderla con facili soluzioni e compromessi . Nel dialogo , non deve mai venire meno la propria convinzione profonda (" pronti sempre a rendere ragione della speranza che avete in voi" 1Pt 3,15).Ecumenismo non vuol dire sincretismo o indifferenza religiosa. Il dialogo è possibile quando ognuno degli interlocutori conserva la propria identità .
San Pietro
Simone era un pescatore di Betsaida, che si era più tardi stabilito a Cafarnao. Il fratello Andrea lo introduce al seguito di Gesù ; ma Simone era stato certamente preparato a questo incontro da Giovanni Battista. Il Cristo gli cambia nome e lo chiama Pietra, per compiere nella sua persona il tema della pietra fondamentale. Simone Pietro è uno dei primi testimoni che vede la tomba vuota ed ha una speciale apparizione di Gesù risorto.
Dopo l’ascensione egli prende la direzione della comunità cristiana, enuncia lo schema della buona novella e , per primo, prende coscienza di aprire la Chiesa ai pagani. Questa missione spirituale non lo libera dalla condizione umana né dalle deficienze del suo temperamento. Paolo non esita a contraddirlo nella famosa discussione di Antiochia, per invitarlo a liberarsi dalle pratiche ebraiche. Pare, come abbiamo detto, che su questo punto Pietro abbia tardato ad aprire lo spirito e che egli tendesse a considerare i cristiani di origine pagana come una comunità inferiore a quella dei cristiani di origine ebraica . Quando Pietro viene a Roma , egli diviene l’apostolo di tutti. Allora Pietro compie pienamente la sua missione di pietra angolare, riunendo in solo edificio i Giudei e i pagani e suggella questa missione con il suo sangue(20).
Il quadro dell’abside della chiesa di Lugagnano(fig.50), circa metà del seicento, ad opera di anonimo parmense attorno ai Bernabei, raffigura l’apostolo Pietro che riceve le chiavi. Le riceve da Gesù nella gloria ; ai pedi c’è una santa (santa Caterina dato che un beneficio a Lugagnano era intitolato alla santa) e un santo vescovo. Pietro è raffigurato sempre con le chiavi (simbolo usato da Gesù stesso Mt 16,13 - 20 ) come nel quadro della chiesa di Casarola, Compianto sul Cristo morto (fig.126)e in diverse maestà. Le chiavi della reggia venivano affidate al maggiordomo(Is 22,19 – 23) . Stanno ad indicare il potere che ha la Chiesa di pascere, di santificare, di perdonare ed assolvere . Non c’è una via diretta a Dio che passa attraverso l’esclusione della comunità . Per la salvezza ci vuole la mediazione della Chiesa perché questa è stata la volontà di Cristo Ma c’è un motivo umano profondo in più che l’uomo non è un’isola ma realizza la sua vita, anche quella soprannaturale, attraverso la comunità che fin dall’inizio lo ha accolto come una madre .
La chiesa di Lugagnano è dedicata a San Pietro e celebra la festa il 29 giugno.
San Paolo
Paolo, dopo la sua conversione sulla strada di Damasco, percorre, in diversi viaggi, il Mediterraneo. Fa il primo viaggio in compagnia di Barnaba : partono da Antiochia , si fermano nell’isola di Cipro e poi percorrono l’attuale Turchia. Dopo il convegno degli Apostoli a Gerusalemme, Paolo inizia un secondo viaggio, questa volta espressamente come inviato dei dodici. Riattraversa la Turchia, evangelizza la Frigia e la Galazia ove si ammala. Passa poi in Europa assieme a Luca e fonda la comunità di Filippi (Grecia settentrionale). Dopo un periodo di prigionia evangelizza la Grecia : ad Atene la sua missione si incaglia davanti ai filosofi ; a Corinto fonda la comunità che gli darà più fastidi. Poi rientra ad Antiochia. Un terzo viaggio lo riporta alle Chiese fondate nell’attuale Turchia, specialmente ad Efeso, poi in Grecia e a Corinto. Di passaggio a Mileto, annuncia agli anziani le sue prossime prove. Infatti, poco dopo il suo ritorno a Gerusalemme, è arrestato dagli Ebrei e imprigionato. Come cittadino romano, Paolo si appella a Roma
Intraprende così un quarto viaggio, verso Roma, ma non più in stato di libertà. Raggiunge Roma verso l’anno sessanta o sessantuno ; è trattenuto in prigione fino al 63 ; intanto, approfittando di alcune facilitazioni, entra in frequente contatto con i cristiani della città e scrive le lettere della prigionia,
. Liberato dalla prigione nel 63, compie, come vuole la tradizione , un ultimo viaggio in Spagna o verso le comunità dirette da Timoteo e Tito, ai quali scrive delle lettere che lasciano intravedere la sua prossima fine. Arrestato e di nuovo imprigionato, Paolo subisce il martirio intorno all’anno 67.(20)
Nell’arte religiosa delle Corti è sempre raffigurato con la spada in mano, segno del suo martirio da cittadino romano o la parola ardente che usciva dai suoi scritti, così la raffinata scultura dell’altare maggiore di Lugagnano (fig.51).
San Matteo
Apostolo ed Evangelista del primo secolo, Matteo è davvero quel conoscitore della sacra Scrittura che ha imparato ciò che riguarda il Regno di Dio, ed è come il padrone di casa che trae fuori dal suo deposito cose nuove e cose antiche. Egli era un uomo di una certa cultura, esattore delle imposte a Cafarnao ; di formazione ellenistica , pare che abbia grecizzato il suo nome, Levi , di origine ebraica. Il compito svolto da questo discepolo di Gesù nella trasmissione del Vangelo è di capitale importanza. Dopo la risurrezione si erano raccolti alcuni episodi della vita del Signore, e organizzati dei discorsi (raccolte di parole del Signore) attorno ad alcune parole chiave. Questi elementi di lieto annuncio del Cristo, potevano servire ai primi cristiani, a compimento delle letture delle Scritture Ebraiche che ascoltavano ancora nelle sinagoghe. Matteo, anche in base a queste prime redazioni, scrisse in aramaico un’ampia sintesi di parole e di fatti di Gesù mettendo in rilievo la sua messianità e la posizione dei cristiani, cioè della Chiesa di fronte alla legge e al culto dell’Antica Alleanza. Il Vangelo di Matteo, quale ora lo possediamo in greco, ha subito l’influsso di Marco e di Luca, pur conservando la sua spiccata fisionomia.. E’ il Vangelo del Regno di Dio, del compimento in Cristo dell’Antica Alleanza. E’ il Vangelo delle beatitudini, del Discorso della Montagna, delle parabole del Regno, del giudizio universale. E’ il Vangelo della Chiesa, fondata sulla roccia che è Pietro, e del suo mistero. Nulla sappiamo di storicamente certo del suo apostolato né del suo martirio o della sua morte(fg.53).(20)
San Bartolomeo
La parola aramaica Bartolomeo significa figlio di Tolmai o Talmai. E’ uno dei dodici apostoli (Mt 10,3; Mc 3,18; Lc 6,14; At 1,13).
Bartolomeo di Cana di Galilea figlio dell’agricoltore, uno dei primi discepoli di Gesù, sarebbe secondo una interpretazione sorta in Siria nel secolo IX e accolta lentamente di latini, quel Natanaele, israelita genuino in cui non c’è frode (Gv 1, 45 - 51) che era passato da uno scetticismo ironico e quasi offensivo (da Nazaret , può venire qualcosa di buono ?) a un atto di fede ardente :"Maestro, tu sei il Figlio di Dio, tu sei il re d’Israele !".
Non si sa nulla di preciso sulla sua attività. Molte fonti parlano di diversissime regioni, e ciò potrebbe far pensare che abbia effettivamente avuto un vasto raggio di azione. Il martirio subito - scorticato vivo - figura nel costume penale dei persiani. E’ venerato a Roma nell’isola tiberina (20)
Una statua policroma di San Bartolomeo è posta nella chiesa di Rimagna (fig.54). E’ di arte ligure, in legno. Fu donata alla chiesa da un devoto, per grazia ricevuta, come attesta una lettera dell’arciprete di Rigoso , don Giuseppe Baldisseri , in data 30 giugno 1930. La statua è collocata in una nicchia sull’altare dedicato a San Rocco( al posto del dipinto raffigurante san Rocco, in cornice di noce, citato da don Pietro Bruni nell’inventario datato post 1769 e che non trova più riscontro negli inventari posteriori.).
San Lorenzo
(diacono e martire, morto nel 258 )
Un antico documento del 354, la Depositio Martyrum, annovera ‘fra gli altri santi anche il popolare diacono della Chiesa di Roma, sepolto il 10 agosto presso l ‘ager Veranus (l’attuale cimitero grande di Roma sulla via Tiburtina ): lì vi è ora la basilica in suo onore. La sua figura già nel IV secolo appare aureolata di leggenda. Arrestato insieme al papa Sisto II, Lorenzo non sarebbe stato subito ucciso (perché i persecutori speravano di strappargli i beni della comunità cristiana ) ma bruciato vivo alcuni giorni più tardi, dopo che egli aveva dichiarato di non possedere altre ricchezze che i poveri a lui affidati dalla Chiesa . La sua festa era di precetto fino al secolo scorso.
L’esempio di Lorenzo, caduto in terra come grano pronto per la semina , ha portato frutti abbondanti, suscitando una schiera di generosi giovani al servizio della Chiesa e dei poveri. Il diaconato (= servizio ) è sempre stato un ufficio di primo piano nelle assemblee liturgiche . Il Concilio Vaticano II lo ha rimesso in luce, facendone anche un ministero a se stante e permanente, con caratteristiche liturgiche e caritative tutte proprie.(20)
Nelle Corti due sono le chiese dedicate a San Lorenzo, dimostrazione della importanza avuta dal nostro nella fondazione delle comunità. Il tempo ha fatto dimenticare la sua limpida testimonianza e anch’egli è entrato nella devozione, mischiata a sagra paesana.
Due sono le immagini caratteristiche del santo che escono dal luogo comune delle statue: San Lorenzo sulla fontana del paese a Trefiumi e San Lorenzo sulla facciata di Monchio.
L’anonimo marmorino che ha eseguito la statua di Trefiumi (piazza) mescola in modo curioso gli attributi del martire cristiano di Roma martirizzato sotto Valeriano e l’immagine di un santo frate (santi Lorenzo da Brindisi e Lorenzo da Porto Maurizio) : così è un frate (ha la tonsura e il saio) e ha anche in mano la graticola. Porta la data del 1877 e la scritta FRANCESCA RINALDI F.F. P.S.D. 10 A. 1877.(fig.54)
San Lorenzo sulla facciata di Monchio (fig.55). Il santo ,presentato in posizione eretta ,vestito dal camice e da una ricca dalmatica, con volto giovanile e con chioma ricciuta, è colto nell’atto di sorreggere , con la sinistra lo strumento del martirio e, con la destra, la palma attualmente perduta , ma documentata fino al 1934. La statua è inserita in una edicola con cornice costituita da quattro conci in arenaria . L’ornato della calotta , in stucco, presenta un elegante motivo a conchiglia Il lavoro è di ignoto marmorino lunigianese del secolo XVII. Gli esperti suppongono che le due statue di San Lorenzo e San Michele in facciata provenissero dai presbiterio.(16)
La statua di San Lorenzo a Monchio ,che viene portata in processione il dieci agosto, è inserita in una bella ancona che mostra palesi affinità di stile con analoghe opere del Ceretti, e ad essa avvicinabile, databile intorno alla metà del secolo XVII. E’ eseguita in legno intagliato e ridipinta in tempi recenti in azzurro, presenta un gradino a doppio ripiano (con specchiature lisce, formelle dipinte e cornici riccamente modanate ) su cui si imposta una ricca cornice architettonica, caratterizzata da una coppia di colonne corinzie rudentate che sostengono un frontone a timpano spezzato. Opera che esalta il santo e i sacri misteri che vengono davanti essa celebrati.(fig.57)(16)
Nella sagrestia di Monchio è conservato un quadro del XVII secolo raffigurante il crocefisso in gloria e San Giovanni Evangelista e San Lorenzo martire d’ignoto pittore di scuola emiliana. La croce di Cristo è sostenuta da due cherubini alati. San Giovanni è raffigurato col volto giovanile, col vangelo e l’aquila appollaiata ai suoi piedi; San Lorenzo con gli attributi soliti(volto giovanile, dalmatica, palma del martirio, la graticola). L’opera denota notevole accuratezza formale, morbida trattazione chiaroscurale dei volti, mani fini. La cornice sembra originale. Dagli inventari non appare appartenente alla chiesa di Monchio.(16)
San Donnino
Donnino era un ufficiale romano al tempo degli imperatori romani Dioclesiano e Massiminiano, che rinfocolarono la persecuzione contro i cristiani.
Durante una sosta nel corso della marcia verso la Germania ,Massiminiano scoprì che in una delle sue legioni i soldati professavano apertamente la fede cristiana. Tentò di dissuadere i suoi militari .Donnino, che prestava servizio nella legione Tebea, rincuorò i suoi amici a non recedere dalla fede. Cinquecento soldati decisero di partire verso Roma. Massiminiano li fece inseguire. Donnino aveva già superato lo Stirone quando fu raggiunto dai legionari dell’imperatore. Fu ucciso con la decapitazione.
La leggenda dice che Donnino camminò ancora col capo in mano e che nel luogo dove era avvenuta l’esecuzione dopo la persecuzione per diverse notti apparve una luce . Il vescovo fece ricercare la tomba. Una volta trovata vi fece erigere una cappella. Molti fedeli cominciarono ad accorrere ; tanti erano i prodigi che vi si operavano.
Per alcuni , il santo è originario di Tebe ma per i più di Roma nel 240 circa. Subì il martirio tra il 290 – 295. Il luogo della tomba era un villaggio sorto sull’antica Fidentia romana che poi diventerà Borgo San Donnino.(21)
Il santo è onorato in particolar modo a Fidenza, Nell’architrave del duomo è raffigurato il suo martirio. La scultura è di scuola antelamica. Raffigura il santo che viene inseguito : è a cavallo con l’aureola e la croce. Passata Piacenza, la torre con teste umane alle finestre, viene raggiunto in riva allo Stirone. Un soldato lo affronta e lo decapita. Due angeli portano in cielo la sua anima.
E’ particolarmente venerato come patrono di Casarola . Due opere di notevole interesse ricordano il suo martirio : la croce astile d’argento di cui abbiamo detto (fig.58) e un quadro fatto restaurare di recente. Rappresenta il santo con il capo in mano, la vergine nella gloria col bambino, una scritta che ricorda che chi dà la vita per Cristo la ritroverà e un nobile guerriero in piedi in modo devoto. Il quadro è della fine del ‘600(fig.59)
San Sebastiano
Martire all’inizio del IV secolo. Sodato imperiale di Narbona (Gallia) o di Milano (secondo Sant’Ambrogio) subì il martirio a Roma in testimonianza della sua fede in Cristo al tempo di Dioclesiano. L’ininterrotto culto popolare mostra il luogo della sepoltura nel cimitero della via Appia antica ad catacumbas (avvallamento), le Catacombe di San Sebastiano. La liturgia di Roma gli riservò sempre un posto di privilegio. L’iconografia lo ritrae nel martirio, bersagliato da frecce.
Per le sue piaghe fu invocato protettore degli appestati. Viene festeggiato a Trefiumi. Ricorre spesso anche nelle maestà.(figg.60-61-22)
San Fabiano
La Chiesa di Roma ricorda il 20 gennaio Fabiano, papa (236 - 250) e martire , che fu buon organizzatore, fedele e irreprensibile amministratore dei beni della Chiesa. Divise la città in 7 diaconie, zone pastorali dipendenti da diaconi che avevano competenza per gli affari temporali e caritativi ; curò la buona manutenzione dei cimiteri, le catacombe.
Del suo martirio all’inizio della persecuzione di Decio, dà testimonianza San Cipriano di Cartagine, in una lettera che ci è pervenuta. Fabiano ebbe grande reputazione in tutto il mondo cristiano. Fu sepolto nella cripta dei papi nelle catacombe di San Callisto.
Viene festeggiato a Trefiumi.(figg.60-61)
Santa Liberata
Dal Martyrologium romanum Gregorii XIII jussu editum et Clementis X(Venetiis, MDCCXX, ex typographia Balleoniana):Vergine e martire . Morta a Como il 18 gennaio
La statua nella chiesa di Monchio, collocata nel 1934 nella prima cappella a sinistra, detta di San Giuseppe, appartiene probabilmente alla stessa scuola del San Michele Arcangelo posto ora nella III cappella di sinistra dell’altare maggiore .E’ di artigianato altoatesino degli inizi del XX sec.
Anche al Prato abbiamo la santa raffigurata crocefissa.(fig.62). La santa è raffigurata crocefissa secondo le leggende legate alla Passio della Vergine Vilgefortis, nota in Italia, anche sotto il nome di Liberata.
Nella maestà di Trefiumi, sulla strada del Ballano, è rappresentata a mezza figura, con le braccia raccolte al petto e il capo nimbato lievemente chinato verso il basso, in atteggiamento di umiltà.
La santa veniva invocata soprattutto per la guarigione delle malattie e l’aiuto quando la malattia diventava dolorosissima e mortale. Invocata anche dalle partorienti .
Santa Lucia
Vergine e martire (inizio del secolo IV sotto l’imperatore Dioclesiano) .
Una santa popolare . I racconti della vita di Santa Lucia, proprio come quelli che riguardano San Nicola, sono presi dalle tradizioni popolari più che dalla storia. Questa ci dice solamente che una vergine di Siracusa , in Sicilia fu martirizzata verso il 304, al tempo della persecuzione di Dioclesiano. Una splendida iscrizione, che risale al quinto secolo, testimonia il culto che le fu reso nella sua città. Un secolo più tardi la pietà popolare impose questo culto alla Chiesa di Roma .Da allora il suo nome fu menzionato nella preghiera eucaristica che rievoca i primi martiri della fede cristiana.
Una santa di luce. Figlia del sole di Sicilia, Lucia (il cui nome significa luce) è molto popolare nei paesi scandinavi. Il suo ricordo è celebrato da gruppi di ragazze incoronate di candele accese.(22)
E’ molto popolare anche nel nostro popolo. La festa , celebrata a Lugagnano , attirava numerosi pellegrini che venivano da tutte le Corti. La santa è venerata come protettrice della vista sia interiore che corporale. Dante nella Divina Commedia la rende forte simbolo della fede.(fig.64)
Santa Barbara
Vergine e martire
Morì per la fede nell’Asia minore verso il 235.Questa santa martire insieme con santa Margherita fu sempre invocata con grande fiducia ed efficacia dal popolo cristiano, per ottenere il dono della perseveranza finale e la grazia di una santa morte. Nelle Corti è devozione diventata grande da quando molti uomini adulti andavano a lavorare in miniera o in galleria
A Rigoso si arrivò a questa devozione in questo modo. Nel 1910 circa una ditta genovese cominciò a Rigoso i lavori per la costruzione della diga del lago dei Paduli e della centrale elettrica e di tutte le dighe di raccordo. La manodopera fu ingaggiata sul posto e per capo fu scelto Pietro Quaretti, fratello di Mons. Guglielmo.
Gli uomini che lavoravano nelle gallerie si specializzarono nei lavori sotterranei e si consideravano minatori, perché, anche se non erano in miniera, avevano a che fare con le mine e la dinamite.
Il nipote acquisito del cavalier Quaretti, Mario Ricci era di Lugagnano. Mise un’impresa per conto suo, fece studiare il figlio da geometra e lo introdusse nelle grandi imprese per la costruzione di dighe e di centrali idroelettriche.
Dopo la seconda guerra il governo italiano doveva risarcire i danni di guerra alla Grecia. A tale scopo fece costruire, tra l’altro, una centrale a Salonicco. Con l’impresa Girola partirono Mario Ricci, suo figlio e alcuni operai di Rigoso, Rimagna, Lugagnano, Ceda. Si trattava sempre di lavori pericolosi, per imprevisti dovuti all’esplosione anticipata.
I minatori erano devoti a Santa Barbara, loro protettrice. Spesso tornavano con i polmoni malati di silicosi, ma riuscivano a mantenere meglio le famiglie che facendo i pastori
A Pianadetto una maestà delle strade è dedica alla santa : LAZZARI LUCR- MEMORE 1915 = 1918.(fig. 64) La santa ha il capo sormontato da una corona , alludente alla sua nobiltà di stirpe, e da un nimbo a raggi continui. Sostiene con la destra un calice sormontato dall‘Ostia consacrata, simbolo di una morte confortata dai sacramenti, e regge nella sinistra la palma del martirio. Alle sue spalle la torre che ricorda la sua prigionia . Poter ricevere i sacramenti prima della morte era considerata una fortuna immensa nella popolazione delle Corti nel passato . Si dava all’atto grande solennità con partecipazione di molti paesani .Nelle litanie dei santi si pregava sinceramente " a morte improvvisa libera nos Domine" dalla morte improvvisa liberaci , o Signore , perché non era dato il tempo per prepararsi al grande incontro .La mentalità oggi è cambiata : morte improvvisa è considerata morte bella perché non accompagnata dalle innumerevoli sofferenze che affliggono il malato e i familiari che lo assistono.(fig.65)
A Lugagnano la santa ebbe sempre una particolare devozione, dati i molti emigrati per lavoro.(fig.66)
San Biagio
Vescovo di Sebaste in Armenia, San Biagio subì il martirio sotto Licinio nel 316. Il suo culto, popolarissimo in Oriente, fu ben presto introdotto anche in Occidente. Tra i numerosi prodigi che operò si cita specialmente la guarigione di un fanciullo che si dibatteva fra spasimi di morte per una spina rimastagli attraverso la gola: donde l’invocazione di San Biagio nelle malattie della gola.
Il recente restauro della statua di Casarola ha dato all’opera grande splendore . E’ stata riportata a legno da Malmassari Ilvio: raffigura il santo vescovo col pastorale e tutti i paramenti, un bambino che guarda a lui fiducioso e un pesce ai piedi. (fig.67)
Nuovi aspetti della santità e del martirio nella chiesa contemporanea
Nella Chiesa contemporanea sono stati aperti nuovi orizzonti della santità e del martirio . Giovanni Paolo II ha proclamato in vent’anni di pontificato una vera schiera di martiri . Il papa vuol arrivare a proporre figure ancora presenti nella memoria dei contemporanei come già avveniva agli esordi della cristianità :Paolo VI nel 1969 aveva snellito le procedure, poi Giovanni Paolo II nel 1983 portò a compimento la riforma. Sono state sbloccate le cause di martiri collettivi (coreani, vietnamiti, messicani, inglesi, francesi , spagnoli, polacchi ) . Vuol arrivare a segnalare una santità sempre più attuale, riducendo l’intervallo tra la morte del testimone e la sua indicazione alla Chiesa e al mondo. Vuole che si faccia presto a raccogliere le testimonianze del martirio, prima che vadano disperse con le generazioni. Usa un criterio più ampio di martirio: non solo quello per la fede, ma anche quello per la carità, la giustizia e la dignità dell’uomo. Ha fatto santo Massimiliano Kolbe con il titolo di martire, contro tutta la tradizione che riservava questo titolo per gli uccisi per la fede, mentre il francescano polacco era stato ucciso per un gesto eroico di carità . In quella carità il papa ha visto la manifestazione piena della fede della nostra epoca . Ha riconosciuto il titolo di martire a Edith Stein e a Titus Bradsma e altre vittime de dei campi nazisti . Così ha implorato la misericordia di Dio sui vescovi, catechisti, sacerdoti, monaci uccisi in Ruanda, Burundi, Algeria . Ha chiamato martiri della giustizia e indirettamente della fede , gli uccisi in Sicilia (come il giudice Rosario Livatino ).Nella Veritatis splendor ritorna sul martirio come fatto fondante la Chiesa : il martirio è esaltazione della santità inviolabile della legge di Dio; nel martirio risplende l’intangibilità della dignità personale dell’uomo; il martirio è segno della santità della Chiesa e testimonianza alla verità morale .Tutto questo ci fa capire che la comunità cristiana sentiva al sua identità in modo forte riferendosi ai martiri che con la vita avevano pagato la fedeltà a Cristo. "Agli occhi degli stolti sembrano che muoiano : essi in realtà sono nella pace "(Sapienza).
Con l’andar del tempo, venendo sempre meno la conoscenza diretta della persona del martire tutto si è andato fossilizzando riducendo il culto ad una sagra paesana , e al più una devozione che non aveva e non ha più incidenza nella vita sociale. Era ed è una meravigliosa risorsa, neutralizzata e banalizzata, quando, invece, si potrebbe far risalire la propria esperienza di fede a qualcosa di forte e di impegnato per la vita( il mondo attuale non ha bisogno di coreografia( ha già le sue coreografie senza quelle dei preti) ma di veri testimoni: solo così la fede, come la fiaccola olimpica, potrà passare di mano in mano alle giovani generazioni e "varcare le soglie della speranza".
Capitolo quinto
HOMO VIATOR ET PEREGRINANS
Il viandante che passava sui sentieri che portavano all’abbazia di Linari passando dal Bocco , si incontrava in capanna di pietra , nella zona in cui arrivano gli impianti sciistici di Prato Spilla, la capanna dei Biancani in pietra, rifugio dei pastori. C’era una pietra scolpita con la figura del pellegrino (fig. 68) , una pietra in arenaria forse del XIV secolo. Ha in mano il bordone col manico arrotondato, è vestito di un saio ed ha alla cintura il cordiglio francescano, con una delle estremità pendenti annodata, e l’atra terminante con una croce. I due monogrammi che gli stanno di fianco stanno a significare il primo, l’Alfa e l’Omega, cioè il principio e la fine, il secondo, Cristo, i cui nome è espresso dal monogramma cristologico greco. Al sole raggiante doveva probabilmente fare riscontro, sulla destra , la raffigurazione della luna, ora andata perduta(come nella lunetta del portale a sud del battistero di Parma ). La scritta PELI può essere interpretata come PELIGRINO.
Camminavano quasi sulle cime dei monti per evitare i grossi guadi di torrenti impetuosi, canaloni impervi Dal xenodochio di San Matteo fino al convento di Linari, era la via di comunicazione dei due versanti dell’Appennino tra le terre della Val Parma e la Val del Taverone. Anche in una capanna di pietra sul sentiero che porta ai laghi del Sillara un’altra scritta con simboli enigmatici che indicava il sentiero da percorrere. Sono un po’ il simbolo dell’uomo viator et peregrinans.(69)
Compagni di viaggio del pellegrino erano la benedizione ricevuta dal sacerdote, la divina Provvidenza e l’ospitalità ricevuta negli Hospitalia. Se pellegrino era considerato un uomo di pace, che intendeva intraprendere un cammino di conversione alla ricerca di Dio. Già dagli inizi della cristianità , il pellegrinaggio rappresentava una delle pratiche più intense di pietà . Per la storia della liturgia ha importanza la Peregrinatio ad loca sancta (fine IV secolo) attribuita alla nobil donna aquitana Silvia (scritto probabilmente da una monaca spagnola della Gallia meridionale di nome Eteria ). Si descrive il pellegrinaggio ai luoghi della Palestina santificati dal cammino terrestre del Salvatore .
Simbolo del pellegrinare dell’uomo sono la ricerca del sacro Graal(la leggenda del Parsifal )e la ricerca dell’Arca della Alleanza perduta. Simboleggiano la ricerca continua dell’Assoluto, quasi un voler trovare la tracce del divino già in questa "valle di lacrime "per poi vedere il volto di Cristo nella verità .
Un sonetto del Petrarca XVI del Canzoniere.
Movesi il vecchierel canuto e bianco
del dolce loco ov’ha sua età fornita
e da la famigliola sbigottita
che vede il caro padre venir manco ;
indi traendo poi l’antico fianco
per le estreme giornate di sua vita
quanto più con buon volere s’aita,
rotto dagli anni e dal cammino stanco ;
e viene a Roma, seguendo ‘l desio,
per mirar la sembianza di Colui
ch’ancor lassù nel ciel vedere spera :
così, lasso, talor vo cercand’io
Donna, quanto è possibile in altrui
la disiata vostra forma vera.
L’immagine prevalente è quella del pellegrino, del romeo anche se poi nella terzina finale ritorna il tema dell’amore per la sua donna (immagine anch’esso del divino che si rivela ).
Il medioevo ci ha consegnato un’altra immagine dell’uomo pellegrino: Dante viator nella Commedia che passa attraverso i regni dell’oltretomba per purificarsi. Il camminare dall’amore impuro ad una amore sempre più puro cioè la caritas. L’uomo deve sperimentare , quasi toccare con mano, attraverso le pene e le ricompense che solo l’amore salva e redime come l’amore che Gesù ha per noi .
Homo viator. Fin dai primordi della civiltà l’immagine dell’uomo in movimento esprime la sua natura mobile , la sua instabilità costitutiva : E’ spinto da una nostalgia struggente verso una conoscenza infinita , verso un Bene infinito, desiderato, verso una giustizia senza confini , verso un bisogno di immortalità . E’ il tema del poema sumero - accadico di Ghilgamesh che peregrina a lungo affrontando varie sventure. E’ un uomo che non retrocede (non per nulla egli ha tre parti dio e una parte uomo).Esce vittorioso dalle esperienze più profonde e terrificanti, va alla ricerca dell’immortalità per l’amico Enkidu morto . Arriva oltre l’oceano per farsi iniziare da Utnapishtim (colui che ha trovato la vita ) uomo scampato dal diluvio universale. Mentre sta per condurre a termina l’impresa, il serpente gli ruberà la pianta della vita: l’immortalità rimane agli dei .
L’uomo è eccentrico per natura perché ha il baricentro fuori di sé. Per questo è sempre alla ricerca della verità "E’ inquieto il nostro cuore fino a quando non trova in te riposo " (Sant’Agostino nelle Confessioni ). L’uomo è essenzialmente desiderio, apertura ad altro, all’altro . Non si può annullare il desiderio anche se andrà incanalato. Va incanalato perché diventi apertura all’altro. E’ l’altro che mi permette di essere persona, che mi riconosce come persona .La ricerca trova al sua verità nell’Altro .
L’uomo viator è anche peregrinans. "Per grazia di Dio sono uomo e cristiano, per azioni grande peccatore , per vocazione pellegrino della specie più misera , errante di luogo in luogo. I miei beni terrestri sono una bisaccia sul dorso con un po’ di pana secco e , nella tasca interna del camiciotto, la sacra Bibbia . Null’altro" .
Una maestà di Rimagna raffigura San Rocco (fig. 70) come un pellegrino . Ha il mantello ampio, ornato sulle falde anteriori della conchiglia di Campostela .Ha un cappello a lucerna e calza alti stivali a sbuffo. Si appoggia con la destra al tipico bordone coronato da un drappo. Mostra naturalmente la gamba piagata. Santo pellegrino di carità .
Pellegrino è colui che cammina verso una meta alta, santa. L’uomo biblico è peregrinans: Abramo deve andare, lasciare la sua terra: dove gli sarà indicato solo da Dio che parla nel suo cuore . Hai una meta ma solo Dio la conosce. "Quando sarai vecchi, andrai dove tu non vorrai" Gv 21,18. Così dice Gesù a Pietro.
"Non abbiamo quaggiù una città stabile ma cerchiamo quella futura " (Ebr 13, 14.) "Viaggia tra le genti straniere , investigando il bene e il male in mezzo agli uomini"(Sir39, 5).Tutta l’esperienza dell’Esodo è un pellegrinare verso la Terra Promessa .
Il pellegrinare è una categoria ancora attuale: dopo una molteplice e spesso deludente esperienza di vita , si tenta un recupero di credibilità verso se stessi e ci si mette seriamente a ripensare le verità essenziali sull’uomo. Non è detto che l’approdo si la fede cristiana , spesso sono altre forme di religiosità che forniscono risposte ancorché incomplete.
Vivere la fede come pellegrini , in ricerca. E’ vero che le verità son tutte contenute nel credo che ci è stato trasmesso ma la verità si va facendo nella storia personale. La fede è inserita nelle storie dei singoli e nella vicenda di un popolo. Sta in questo la diversità con le altre grandi religioni : spesso queste sono astoriche , immutabili. Qui invece si parla di fatti di imperi, di storie di clan , di nomadi spesso coperti dalla patina culturale del tempo che li ha trasmessi o dal redattore che li ha messi per iscritto.
Non c’è da aver paura di calarsi nella storia del nostro tempo, il primo è stato Dio quando ha voluto la creazione col tempo e lo spazio ; è stato il Verbo eterno di Dio che si è incarnato in un tempo, in un’epoca, in un popolo.
Anche il patrimonio delle verità di fede subisce la colorazione del tempo e delle culture, pur rimanendo intatta la verità. L’idea di fede dinamica è decisiva per l’uomo del nostro tempo. La fede come dunamis, forza di movimento, di cambiamento. Il passato aveva dato tutto il possibile per la glorificazione di Dio attraverso il culto, pontificali interminabili, messe senza limiti di tempo. I fedeli erano spesso chiamati al suono della campana. Le opere dell’arte barocca cristiana sono sofisticate, quasi al limite delle possibilità. Vedremo il decoro elaborato finemente degli altari, dei paramenti , dei battisteri.
I pellegrini che si recano a Fatima e poi vanno a fare qualche escursione rimangono sempre stupiti di fronte al così detto manuelino di Alcobaca dove la pietra è ricamata, traforata come fosse un pizzo per rendere ancor più sontuoso il luogo di culto.
Nonostante tutto questo la fede era statica in tutti i sensi, dottrinale, rituale. Si trasmetteva sempre uguale per generazioni. Era come se il tempo si fosse fermato. Parlo sempre di una immagine generale perché ci sono state tante grandissime eccezioni.
La fede dinamica porta al rinnovamento, al cambiamento. Spesso questo è faticoso e molti, dopo averci provato, abbandonano e vanno alla ricerca dei luoghi dove avvengono ancora le cose in modo tradizionale . Cambiare esige prima di tutto una fatica intellettuale. Bisogna istruirsi, quindi bisogna convincersi che senza istruzione sistematica non sono possibili cambiamenti veri. In particolare spesso l’adulto non vuol neppure prendere in considerazione la necessità di approfondire: diventa di fatto incapace di nuovi apprendimenti. Permane, quindi, negli stessi atteggiamenti ereditati dalla tradizione. L’adulto è il soggetto di gran lunga più difficile da essere catechizzato perché per imparare bisogna prima "convertirsi". Di fronte al computer per imparare bisogna essere convinti della bontà dello strumento e della sua utilità per la vita.. Questo porta a dire che , nell’attuale contesto storico, il cambiamento dei preti diventa quasi necessario. Quella stessa voce sentita per un certo numero di anni scorre senza lasciare tracce perché nell’ascolto la persona si è già immunizzata dicendo, anche inconsciamente :"Non ascolto , son tutte cose che so già ". Sapere è diverso da sentire. Si sente con le orecchie, ma si sa e si comprende col cuore (Mt 13, 15). La fede vissuta in modo dinamico diventa ipso facto operativa. I santi venerati nelle Corti, di cui abbiamo detto e di cui diremo ,sono persone che hanno operato con ogni mezzo per il Regno di Dio e, dunque, per l’uomo.
"La mistica cristiana di tutti secoli sino ai nostri tempi - e anche la mistica di meravigliosi uomini d’azione come Vincenzo de’ Paoli, Giovanni Bosco, Massimiliano Kolbe - ha edificato e costantemente edifica il cristianesimo in ciò che esso ha di più essenziale. Edifica anche la Chiesa come comunità di fede, speranza e carità. Edifica la civiltà: in particolare, quella "civiltà occidentale" segnata da un positivo riferimento al mondo e sviluppatesi grazie ai risultati della scienza e della tecnica, due branche del sapere radicate sia nella tradizione filosofica dell’antica Grecia, sia nella Rivelazione giudeo - cristiana. La verità su Dio creatore del mondo e su Cristo suo Redentore è una forza potente che ispira un atteggiamento positivo verso la creazione e una costante spinta a impegnarsi nella sua trasformazione e nel suo perfezionamento" (24).
La fede operativa e dinamica si esprime in modo naturale nella giustizia verso il prossimo. Siamo sempre abituati a dire "nell’amore". Questa è una categoria che viene facilmente confusa con i buoni sentimenti con il buonismo delle persone dabbene. La Bibbia parla di giustizia: non è una parola ambigua. Ognuno deve dare all’altro ciò che gli spetta secondo la dignità della persona . "Se qualcuno, in possesso delle ricchezze che offre il mondo, vede il suo fratello nella necessità e chiude a lui le sue viscere, come potrebbe l’amore di Dio abitare in lui ?"(1Gv 3,17). Si sa con quale fermezza i Padri della Chiesa hanno precisato quale debba essere l’atteggiamento di coloro che posseggono nei confronti di coloro che sono nel bisogno: " Non è del tuo avere , afferma Sant’Ambrogio, che tu fai dono al povero ; tu non fai che rendergli ciò che gli appartiene. Poiché è quel che è dato in comune per l’uso di tutti, ciò che tu ti annetti. La terra è data a tutti, e non solamente ai ricchi". E’ come dire che la proprietà privata non costituisce per alcuno un diritto incondizionato e assoluto. Nessuno è autorizzato a riservare a suo uso esclusivo ciò che supera il suo bisogno, quando gli altri mancano del necessario. In una parola , "il diritto di proprietà non deve mai esercitarsi a detrimento della utilità comune, secondo la dottrina tradizionale dei Padri della Chiesa e dei grandi teologi". Ove intervenga un conflitto "tra diritti privati acquisiti ed esigenze comunitarie primordiali", spetta ai poteri pubblici "adoperarsi a risolverlo, con l’attiva partecipazione delle persone e dei gruppi sociali" (25).
La fede del pellegrino è quella di chi è chiamato a guardare avanti . La meta sta sempre oltre. Ci vuole un distacco continuo dai beni, dalle proprie idee, dalla propria efficienza fisica e occorre guardare al futuro (il Regno che viene). C’è sempre una nuova possibilità perché Dio è il futuro dell’uomo anche quando ogni orizzonte terreno sembra chiuso. L’icona è Abramo : andare via dalla sua terra , vivere di una promessa che sembra sempre lontana, accettare di perdere pure il frutto della promessa quando Dio chiama, credere che Dio può dare una discendenza anche da un figlio morto.
Mi son sempre chiesto come mai nel buddismo c’è una dura ricerca per eliminare il desiderio, quando è così scritto nella natura dell’uomo. E’ vero che il desiderare produce ansia, è frutto di tendenze che nell’uomo non finiscono mai. E’ anche vero che più il desiderio è messo a tacere e più l’essere umano vive in serenità. Arriva al controllo di se stesso. Il tendere, però, è parte costitutivo dell’essere umano: è vita, è tensione verso qualcosa che completi la vita, che la definisca , che dia il senso. Rimane ,quindi, questa la grande differenza tra il buddismo (metà religione , metà filosofia ) e i credenti che hanno come padre Abramo: questi sanno che alla fine c’è Qualcuno aspetta di incontrarti, che la tensione avrà pace.
"La soteriologia del buddismo costituisce il punto centrale, anzi l’unico, di questo sistema. Tuttavia, sia la tradizione buddista sia i metodi da essa derivati conoscono quasi esclusivamente una soteriologia negativa.
L’illuminazione sperimentata da Buddha si riduce alla convinzione che il mondo è cattivo, che è fonte di male e di sofferenza per l’uomo. Per liberarsi da questo male bisogna liberarsi dal mondo ; bisogna spezzare i legami che ci uniscono alla realtà esterna: dunque, i legami esistenti nella nostra costituzione umana, nella nostra psiche e nel nostro corpo. Più ci liberiamo da tali legami, più ci rendiamo indifferenti a quanto è nel mondo, e più ci liberiamo dalla sofferenza, cioè dal male che proviene dal mondo.
Ci avviciniamo a Dio in questo modo ? Nell’illuminazione trasmessa da Buddha non si parla di ciò. Il buddismo è in misura rilevante un sistema "ateo". Non ci liberiamo dal male attraverso il bene che proviene da Dio; ce ne liberiamo soltanto attraverso il distacco dal mondo, che è cattivo. La pienezza di tale distacco non è l’unione con Dio, ma il cosiddetto nirvana, ovvero uno stato di perfetta indifferenza nei riguardi del mondo: Salvarsi vuol dire , prima di tutto, liberarsi dal male, rendendosi indifferenti verso il mondo che è fonte di male. In ciò culmina il processo spirituale" (26).
Il pellegrino vive la vita come appello e promessa .Dio chiama , promette e le promesse di Dio non vengono meno. Come chiama ? Come l’occhio è fatto per vedere, il desiderio profondo del cuore umano di amore e di farsi amare deve avere il suo compimento. Se Dio ha fatto l’uomo e la donna in modo tale che passando attraverso l’attrattiva, l’innamoramento, l’amore e il volere il bene dell’altro sentono scritta in sé la promessa di Dio: questa deve realizzarsi perché Lui dà lo Spirito per portarla a compimento .
Non siamo figli di un Dio che dobbiamo placare con preghiere e sacrifici, oppure di un Dio ignoto, e neppure figli del caso ma figli di un Dio Padre - Madre che attende e chiama alla vita.
Il pellegrinaggio
Appartiene come esperienza a tutte le religioni: l’uomo va alla ricerca di Dio e delle sue tracce, nei luoghi dove maggiormente è percepibile la sua presenza, quasi in modo sensibile. Si possono toccare degli oggetti, c’è una determinata immagine, si calpesta il suolo calpestato dall’essere celestiale a cui ti vuoi affidare. E’ pure un’esperienza fondamentale della Chiesa, nuovo popolo di Dio in perenne esodo, perché vuol amare come il suo Signore e l’amore è esodo verso l’altro.
La dimensione del cammino contrassegna la vita dei primi cristiani che definiscono la loro esperienza come una via, la nuova via. Non vengono proposti particolari luoghi di culto per ribadire che il primo tempio è la chiesa stessa, è il cristiano, è fondamentalmente Cristo in rapporto col quale io vivo. Incominciarono i pellegrinaggi alle tombe dei martiri, poi alla ricerca dei luoghi sacri della Palestina, poi San Michele al monte Gargano, poi Santiago di Compostela .I pellegrinaggi faranno sentire in modo forte di appartenere ad un’unica res publica christiana pur con tante lingue diverse e pur frammentati in tanti domini. Il pellegrino è cittadino dell’Europa ante tempus. I pellegrini hanno contribuito a creare questa entità culturale alla quale ci sentiamo di appartenere
Il pellegrinaggio ha un significato cristologico. La fede porta ad un capovolgimento del senso del pellegrinare e porta a capire che il primo pellegrino è Dio che si incarna. Il cammino di Dio precede quello dell’uomo, quindi il significato più profondo del pellegrinaggio è il riferimento all’Incarnazione e al mistero della Pasqua, esodo di Cristo. Gesù dice di essere uscito dal Padre e deve ritornare al Padre. Il Verbo assume tutta la storia umana con tutti i suoi dinamismi e movimenti. Questo è il mistero dell’umanità nuova che si attua attraverso il tempo. Il discepolo partecipa alla Pasqua del suo Signore e ne è coinvolto. Anche il pellegrinaggio cristiano assume un significato pasquale. Camminare insieme verso un luogo santo diventa segno espressivo della partecipazione alla Pasqua del Signore, soprattutto quando culmina nella partecipazione ai sacramenti della Riconciliazione e dell’Eucarestia. Dio si lascia incontrare in un determinato luogo e tempo: la sua grazia è mediata da persone, avvenimenti, case , ambienti.
Le numerose maestà dedicate alla Madonna di Loreto sono il segno che molti andavano ad incontrare Dio in quel luogo(fig.71), dove la fede popolare diceva essere stata trasportata dagli Angeli la casa in cui abitò la Madonna a Nazaret, e in cui avvenne il mistero dell’Incarnazione .
Il pellegrinaggio è una metafora della Chiesa e dei popoli in cammino verso Dio. "Finché abitiamo nel corpo siamo in esilio lontano dal Signore, camminiamo nella fede e non ancora nella visione"(2Cor 5,6- 7).Nell’esperienza del pellegrinaggio la Chiesa percepisce di essere lei pure pellegrina . Le belle chiese, i monumenti, gli ornamenti aurei e argentei fanno in qualche modo dimenticare che non abbiamo qui la dimora stabile. La Chiesa deve, invece, vivere questa continua condizione di attesa del suo Signore. Il pellegrinaggio tiene desta l’attesa della parusia(il compimento che deve venire).La struttura gerarchica di potere, che la Chiesa si è data, è stata una eresia di fatto perché ha fatto dimenticare la sua vera natura, di essere in cammino verso la Gerusalemme celeste." La Chiesa percorre la sua via peregrinando tra le persecuzioni degli uomini e le consolazioni di Dio"(...)La tensione tra le due città, quella di Dio e quella terrena, è destinata a risolversi nel Regno finale. Bisogna, quindi, liberarsi da tutto quello che non è essenziale, che è zavorra. Chi deve compiere un cammino prende lo zaino, ma non lo riempie di cianfrusaglie, non lo appesantisce più del necessario. E’ significativo a questo proposito l’esperienza della strada, della route nel cammino pedagogico dello scoutismo.
In tale prospettiva il pellegrinaggio viene vissuto come una esperienza di essenzialità: si vive dello stretto necessario, non ci si lega alle persone, non ci si lascia condizionare dalle strutture. Il credente sa di non appartenere totalmente a questo mondo, non per superiorità o disinteresse, ma perché sa di essere orientato al Regno di Dio. In questo si sente solidale con tutta l’umanità che pellegrina alla ricerca della pace e della giustizia. Il pellegrinaggio rappresenta una forte esperienza religiosa della presenza di Dio: fa sperimentare la precarietà del mondo attuale e, nello stesso tempo, anticipa il mondo futuro. Tutti i santi, di cui parla questo libro, sono in questo senso pellegrini: hanno dato tutto distaccandosi da questo mondo, vivendo l’impegno nel mondo ma orientati alla terra promessa.
Nel pellegrinaggio il credente sperimenta la gioia della vicinanza di Dio e della salvezza già avuta: in questo senso vive in modo forte l’attualizzazione della salvezza nel sacramento(riconciliazione, eucarestia). Non è pellegrinaggio se non si fa esperienza profonda di preghiera e di conversione..
Il pellegrinaggio può diventare segno di comunione con gli uomini e con il creato perché porta a preparare un cielo nuovo e una terra nuova, a contemplare con occhi nuovi la creazione e l’umanità tutta perché apre gli occhi sulla realtà umana e religiosa della vita dei popoli.
Per viverlo profondamente va preparato interiormente: non può essere una specie di turismo religioso. A fondamento sta una fede in cammino , figura della conversione. Il pellegrinaggio ha i suoi ritmi e i suoi tempi: la partenza, l’arrivo, la visita, il ritorno.
C’è il tempo del cammino: distacco dai luoghi abituali. Avviene in due momenti: la decisione e l’itinerario. Per vivere la prima bisogna arrivare a purificare le intenzioni non limpide che stanno alla base. Poi l’itinerario, il camminare anche a piedi, per arrivare al luogo santo. Va vissuto insieme con gli altri, consapevoli che c’è un motivo profondo che lega tutti coloro che hanno preso la decisione per la via della penitenza e della conversione.
Il tempo della visita. E’ un andare verso Gesù che si accompagna con i due discepoli verso Emmaus, dove lo riconosceranno. Il simbolismo del luogo aiuta il pellegrino a vivere l’esperienza di fede. In primo luogo nella dimensione del culto. I sacramenti sono il mistero della divina presenza che aiuta, consola, converte, rinfranca. Il pellegrino vive in quel luogo la dimensione dell’annuncio. Spesso nella nostra epoca capita che qualcuno per mille ragioni non mette mai piede nella sua chiesa, neppure per un funerale. Accade che da anni o decenni non ha più sentito una spiegazione del Vangelo o di aiuto alla comprensione del mistero. Nel santuario ascolta perché non ci sono elementi di disturbo (rispetto umano... ). Diceva Paolo VI: "I santuari possono fare moltissimo, moltissimo; siete in un certo senso, le cliniche spirituali dei pellegrini, che forse nelle loro rispettive parrocchie, Chiese o diocesi non trovano il conforto spirituale di cui hanno bisogno, come singoli e come gruppi . Nei santuari si aprono". Nel pellegrinaggio il fedele vive anche una dimensione culturale: il santuario è testimone della fede che si è fatta espressione artistica . Il linguaggio dell’arte, che non comunica a chi vive nella distrazione quotidiana, parla invece nel silenzio del santuario.( Bisogna anche dire che ci sono in quei luoghi altri fatti che non aiutano la crescita della fede ma spesso consolidano dei dubbi (vendita di oggetti sacri...)
Il tempo del commiato. Mentre t’allontani dici dentro di te : voglio ritornare perché desidero " i tuoi altari, o Signore ". Il pellegrino esprime il suo grazie interiore dicendo a se stesso voglio essere fedele discepolo perché se così farò sarò felice . La fede ne esce rafforzata, e nel cuore rimane il desiderio di ritornare per dare continuità all’esperienza vissuta.
Il pellegrinaggio è stato una costante nell’esperienza religiosa delle Corti: tante maestà come abbiamo accennato a quella di Loreto e come in seguito diremo sono state erette dopo la visita a un santuario , specialmente verso la Toscana dove il commercio o il lavoro portava. Il camminare tanto a piedi aiutava la riflessione sulla vita e sulle verità eterne ( sentire la vita come esilio ): era esperienza comune e in fondo liberatoria. Camminare aiuta la meditazione e il colloquio con Dio: camminavano per arrivare sul posto di lavoro, camminavano per andare a fare visite lontane, camminavano per andare al santuario. Quanti dai nostri monti andavano a Fontanellato a piedi !
I pellegrinaggi ai santuari mariani
Sono segno del posto eminente che Maria occupa nella fede del popolo di Dio. Particolarmente cari sono quelli legati alla malattia e alla sofferenza. Il fedele vi vede l’attenzione materna di Dio. Generalmente infondono consolazione e speranza. I santuari si presentano come segni di una particolare benevolenza di Dio dal momento della loro fondazione. Miracoli e segni protraggono nel tempo questo intervento divino. Grazie e conversione sono il segno di autenticità del santuario, la prova della presenza del dito di Dio.
Ogni santuario dà il suo particolare messaggio, il suo particolare carisma che si protrae dalla sua fondazione. In questo modo il santuario veicola il passaggio dal mondo visibile a quello invisibile, scuote la coscienza e ridà fiato al mondo dei valori che si sono attenuati o sbiaditi. Il santuario mariano arriva dare una carica profonda di entusiasmo.(27)
Anche gli abitanti delle Corti sentono un rinnovarsi profondo della propria fede quando vanno pellegrini o San Giovanni Rotondo e San Michele Arcangelo del monte Gargano (fig.71).
E’ probabile che molte maestà siano nate come frutto di un pellegrinaggio come quelle dedicate alla Madonna di Loreto(fig.72). Sempre rimarrà impresso il pellegrinaggio alla terra di Maria a Fatima nel 1999(fig.73)
I santi simbolo del pellegrinare dell’uomo
San Giovanni Battista
Giovanni è figlio di Zaccaria, il muto, e di Elisabetta, la sterile: la sua nascita annuncia l’arrivo dei tempi messianici nei quali la sterilità diventerà fecondità, il mutismo diventerà esuberanza profetica. Il Vangelo gli dà il soprannome di Battista, perché egli annuncia un nuovo rito di abluzione nel quale il battezzato non si immerge solo nell’acqua, come nei riti e nei battesimi ebraici, ma riceve l’acqua lustrale dalle mani di un ministro. Giovanni intendeva così mostrare che l’uomo non si può purificare da solo, ma che ogni santità viene da Dio.
Giovanni è ricordato come un uomo di grande mortificazione. Forse egli era stato iniziato a questa disciplina nelle comunità religiose dl deserto. Ma la tradizione ha ricordato soprattutto il suo carattere profetico. Egli è un profeta per doppio titolo. Anzitutto è profeta nel senso in cui questa parola era intesa nell’Antico Testamento: anzi Giovanni è il più grande dei profeti d’Israele, perché egli ha potuto additare l’oggetto stesso delle sue profezie. Per risaltare questa appartenenza di Giovanni alla grande discendenza dei profeti dell’Antico Testamento, Luca ci dà un racconto della sua nascita che permette di vedere sullo sfondo il profilo delle grandi vocazioni degli antichi profeti.
Ma il profeta non è soltanto l’annunciatore del futuro messianico ; è essenzialmente il portatore della parola di Dio e il testimonio della presenza di questa Parola creatrice nel mondo nuovo.
Il più grande fra i nati di donna, secondo l’elogio di Gesù, morì vittima per la fede nei valori di conversione messianica che aveva predicato. Il racconto del suo martirio per decapitazione, avvenuto nella fortezza di Macheronte sul mar Morto, dove il vizioso Erode si era ritirato in vacanza, Gesù lo ascoltò dalla viva voce dei discepoli del Battista (trai i quali Giovanni l’evangelista e Andrea )
Nelle Corti la statua si trova solo a Pianadetto, il santo è certo più popolare almeno lo si intuisce dalle numerose maestà in cui è presente.(fig.74 )e nelle opere pittoriche come il quadro nella chiesa di Trefiumi.
Il dipinto collocato sopra il portone di ingresso di Trefiumi, raffigura La Madonna col Bimbo, San Giovannino, Angeli, del secolo XVIII. La Madonna, con la veste celeste e il manto rosso regge sulle ginocchia il bambino che riceve la croce da Giovannino. Fanno corona al gruppo tre angeli. L’opera è copia dello stesso soggetto nella chiesa di san Sepolcro a Parma. Rivela la mano di un buon artista. Da notare dunque il rapporto tra Gesù e il cugino: l’uno prepara la via della croce all’altro e la Madonna è naturalmente corredentrice.(fig.75)
San Giacomo
Tra i santi simbolo del pellegrinare dell’uomo mettiamo anche San Giacomo anche se appartiene ai martiri. La statua lignea, di ottima fattura, di Pianadetto lo raffigura con il bordone del pellegrino con borraccia e un cartiglio in mano.
L’apostolo Giacomo fu fatto uccidere da Erode nel 44 (At 12, 2).Figlio di Zebedeo e fratello di San Giovanni Evangelista era nativo di Betsaida di Galilea. Egli fu molto caro al Signore che lo scelse come testimone della trasfigurazione e della sua agonia nell’orto degli ulivi. Dopo la morte del Signore, San Giacomo predicò nella Giudea e nella Samaria, ma per poco tempo, poiché Erode Agrippa re della Giudea e di Gerusalemme allo scopo di ingraziarsi i Giudei, poco prima della pasqua del 44 lo fece imprigionare e decapitare. Il giorno della sua morte avvenne quindi poco prima di Pasqua.
Venanzio Fortunato attesta che ai suoi tempi (sec. VI) la tomba del Santo si trovava a Gerusalemme
Nella tradizione relativa a San Giacomo possiamo distinguere quattro momenti. Il primo è quello relativo al martirio(Atti); il secondo e il terzo, relativi alla predicazione in Spagna ed alla traslazione delle reliquie, sono circondati da dubbi per la scarsità dei documenti esistenti; il quarto quello del ritrovamento del corpo e del culto, è ormai attestato da documenti certi e attendibili.
Riportiamo da Gioia M. G. Lanzi Arzenton le conclusioni degli storici al riguardo, anche perché Santiago de Compostela è stato per tutto il Medioevo metà di pellegrini.
Nell’812(forse, e comunque prima del 814), il vescovo della diocesi di Iria, Teodomiro fu avvisato da un eremita(il cui nome è, nella tradizione, Pelayo, lo stesso del primo re delle Asturie) di fenomeni luminosi, come l’apparire di una luce, di una stella, che indicava il luogo in cui in epoca romana era stato un cimitero, poi abbandonato e dimenticato. Pelayo, che viveva eremita in attesa di qualcosa che non conosceva che cosa fosse, ma sapeva di dover attendere, sembra incarnare l’attesa della Spagna di ritrovare il suo primo evangelizzatore.
Il vescovo seguì l’indicazione dell’eremita, e, secondo alcuni, fu lui stesso a scoprire un "sepolcro coperto di pietra di marmo", in cui non ebbe dubbi - forse la tradizione dell’arca marmarica in cui doveva essere rinchiuso il corpo del santo, forse per altri motivi che non sappiamo – a riconoscere la tomba dell’Apostolo e i resti dei due discepoli che, secondo la tradizione a lui nota, l’avevano colà riportato.
Era allora re delle Asturie Alfonso II il Casto(739-757) che, avvertito, rese subito omaggio al santo: ritrovarne le reliquie era come un segno benedicente all’impresa della Reconquista.
Anche se non è chiaro perché Teodomiro sia stato subito certo che quella fosse la tomba di Giacomo, la tradizione è un pegno che gli storici hanno imparato a non disprezzare: e Teodomiro volle in un certo senso aggiungere la testimonianza personale a quelle precedenti, e, invece che nella sua sede vescovile, quando morì volle essere sepolto accanto all’Apostolo.
Siamo già nella storia e ampiamente. Ma si aggiunge un altro e fondamentale elemento prodigioso: non diciamo leggendario.
Nell’842 era divenuto re Ramiro I; a lui, impegnato nella lotta contro i Mori, prima di una battaglia che non si decideva ad affrontare, apparve in sogno il santo, promettendogli la vittoria se avesse attaccato per primo il giorno dopo. Il re illustrò la cosa ai dignitari; li convinse, ed attaccò.
Il Santo stesso scese in battaglia su un cavallo bianco, con un bianco vessillo con una croce rossa, impugnando la spada, e facendo strage di mori: si era a Clavijo, a 17 km da Logrono, e nacque qui una delle più popolari iconografie del Santo, il Santiago Matamoros.
In seguito a questa vittoria, finì il vergognoso tributo di cento donzelle che ogni anno si pagava agli emiri in segno di dipendenza dall’epoca di Mauregato: fu sostituito da un contributo annuo al Santuario, che tuttora viene pagato dal re, dopo una sospensione dal 1834 al 1939.
La vittoria conseguita al grido: "Adiuva nos, Deus et Sancte Jacobe", forse non fu proprio di Ramiro; c’è chi considera la battaglia leggendaria, e ne vuol nata la fama da quella, successiva, di Simancas del 939, conseguita da Ramiro II e storicamente più certa.
Consacrò comunque San Giacomo patrono della Reconquista, e da ogni parte si accorreva alla sua tomba.
Si va verso la Galizia, si porta, come prova del pellegrinaggio compiuto, una conchiglia raccolta sulle spiagge dell’Atlantico. I rudi marinai di Galizia, con le loro caravelle, fanno varcare i mari a san Giacomo, e lo rendono popolare nel Nuovo mondo. Basta pensare a Santiago del Cile.
Il 19 marzo 1989, in occasione della giornata mondiale della gioventù, il papa Giovanni Paolo II nel suo messaggio disse .
Santiago di Compostela è un luogo che ha svolto un ruolo di grande importanza nella storia del cristianesimo e, perciò, già di per sé trasmette un messaggio spirituale molto eloquente.
…Presso la tomba di San Giacomo vogliamo imparare che la nostra fede è storicamente fondata, e quindi non è qualcosa di vago e di passeggero…vogliamo anche accogliere di nuovo il mandato di Cristo: "mi sarete testimoni…fino agli estremi confini della terra"(At 1,8). San Giacomo, che fu il primo a sigillare la sua testimonianza di fede col proprio sangue, è per tutti noi un esempio ad un maestro eccellente.
San Giacomo, il minore, cugino del Signore, è ritenuto l’autore della lettera canonica. Ebbe un ruolo importante nella Chiesa di Gerusalemme. Morì martire verso il 62.
San Giacomo, il minore, è raffigurato nel quadro centrale dell’abside .Tiene il tipico bastone da battilana nella mano sinistra. Il dipinto rappresenta la Beata Vergine col Bambino, i santi Giacomo, Martino di Tours vescovo, Giovanni Battista e Maria di Cleofa. E’ descritto nell’inventario del 1694, presumibilmente di don Orazio Lazzari: forse opera di un anonimo parmense intorno ai Bernabei già operanti a Monchio e nella chiesa di Lugagnano (quadro) (16) (fig.77)
Sant’Antonio Abate
Sant’Antonio, egiziano, a diciott’anni avendo udito leggere quelle parola del Vangelo." Se vuoi essere perfetto va, vendi ciò che hai e dallo ai poveri" , si spoglia di tutti suoi beni e si ritira nel deserto dove ben presto diviene celebre per santità di vita, fama di miracoli e continui combattimenti con i demoni. E’ detto patriarca dei Cenobiti ; non già che prima di lui non esistesse la professione monastica, ma perché in realtà egli è il primo Abate, essendo stato il primo a guidare nella via dello spirito le innumerevoli anime che, nel deserto si erano date alla vita eremitica. Visse non lontano dal Mar Rosso sul monte Kolzim, ai piedi del quale si era stabilita una notevole colonia di anacoreti. Egli non ebbe cultura ma fu ripieno di spirito ascetico e di una profonda sapienza religiosa, scrisse o dettò le sue lettere in copto che poi furono tradotte in greco.
Morì in età di 105 anni nel 356.Sant’Atanasio scriverà la Vita S. Antonii che aveva conosciuto personalmente negli anni giovanili .
Il quadro della chiesa di Monchio è degli ultimi decenni del secolo XVII. Il dipinto raffigura le tentazioni di Sant’Antonio abate. Il santo è raffigurato come un vegliardo dalla barba bianca, avvolto nell’ampio saio monastico, col bastone da eremita nella forma del tau a cui è attaccato un campanello. C’è il porco, sotto il cui aspetto gli appariva il demonio, le fiamme. Probabile autore è Domenico Muzzi attivo in numerose parrocchiali dell’Appennino.(16)(fig.78)
Presente anche in varie maestà. (figg.79-80)
San Pellegrino
San Pellegrino, come dice la leggenda , è un principe celtico dell’antico popolo degli Scoti. Rinunciò al trono paterno e si fece pellegrino prima in Oriente e poi in Italia, e finalmente eremita in una foresta dell’Appennino tosco-emiliano. Il santo è venerato con particolare devozione in tutta la Garfagnana lucchese e nel Frignano modenese in Lunigiana e nel territorio di Reggio Emilia.
Sa Pellegrino è venerato a Vecciatica: la sua festa è il primo agosto che è anche la festa della colonia nocetana presente sul territorio da cinquant’anni.(fig.81)
Gli ordini mendicanti
All’inizio del XIII ebbero una influenza enorme sul rinnovamento della Chiesa, anche a livello popolare, i mendicanti. Col nome di mendicanti si intendono i frati degli ordini francescani, domenicani, serviti, trinitari, carmelitani, agostiniani, per non parlare di quelli soppressi dai decreti conciliari del 1274. I mendicanti rappresentarono una provvidenziale risposta alla crisi spirituale che affliggeva la cristianità occidentale. I profondi cambiamenti economico-sociali del XII secolo avevano trasformato l’Europa occidentale e instaurato una cultura di tipo nuovo, urbana e secolare. Emerse un mondo nel quale il denaro e il commercio svolgevano un ruolo sempre maggiore.
Le aspirazioni delle popolazioni trovarono espressione nei Comuni e nelle recenti Università. All’interno delle popolazioni urbane nacquero però anche nuove inquietudini religiose, un laicato colto, insoddisfatto delle manchevolezze culturali e morali del clero. Fu in questo clima che sorse la più formidabile sfida all’autorità spirituale della Chiesa medievale: una miriade di movimenti pauperistici. Gli ordini mendicanti furono una risposta alla crisi di un’epoca in cui si scontravano i presupposti tradizionali della vita cristiana e i bisogni della nuova cultura urbana.
Gli ordini mendicanti si resero conto di queste insufficienze e delle nuove urgenze. Seguendo la rivoluzionaria intuizione dei fondatori(specialmente San Domenico e San Francesco), una schiera di frati si diffuse in tutta l’Europa e in tutti i settori della popolazione per una capillare predicazione. Essi consideravano finito il tempo del monachesimo solitario e per questo decisero di andare tra la gente, nelle città, nelle campagne, nelle Università trasformandosi in un esercito di studiosi e di predicatori.
Una maestà delle strade di Pianadetto del 1765 raffigura Maria Immacolata e dei santi. DOM. ANTON :ZANI IN PERPETUUM DEVOTIONIS ET LACRYMARUM MONUMENTUM . P. A. MDCCLXV. La beata vergine è rappresentata in gloria tra le nubi, con le braccia incrociate sul seno in atto di umiltà e la falce di luna sotto i piedi. Ai lati , in atteggiamento di devozione, San Domenico e Antonio di Padova: era ricorrente mettere ai piedi di Maria i santi, appartenenti agli orni mendicanti, che avevano il merito di aver sostenuto e propagato al devozione alla Madonna specialmente con la diffusione del rosario. Da notare che quando il papa nel 1854 proclamerà il dogma dell’Immacolata la fede del popolo di Dio era già stabilita da secoli. I dogmi pronunciati solennemente nulla aggiungano alla fede del popolo di Dio che da sempre ha creduto a quella verità. Ricordiamo le banalità che vennero dette riguardo a Pio IX, " primo papa infallibile" dai liberal massoni del secolo scorso in polemica con la Chiesa cattolica.
Altra maestà con le stesse caratteristiche (fig.82 ).
San Francesco d’Assisi
Patrono d’Italia
(1181/82 – 1226)
Convertitosi a Cristo da una giovinezza gaudente e spensierata, Francesco prende alla lettera le parole del Vangelo e fa della sua vita una imitazione di Gesù povero e proteso a compiere la volontà del Padre, dopo aver restituito a Pietro Bernardone (suo padre terreno) anche i vestiti. Vuol servire umilmente il suo Dio nei poveri, nei sofferenti e ritrovare Dio nella natura che lo circonda.
Non fonda un nuovo ordine monastico come l’antico ordine benedettino basato sulla regola; chi si aggrega attorno a lui vive una fraternità. Le grandi famiglie francescane Minori, Conventuali Cappuccini trovano la regola nella vita di Francesco. La sua azione missionaria voleva aiutare il popolo a riscoprire il Vangelo in quel messaggio pace e bene che è arrivato al cuore di tutta l’umanità attraverso i frati. Chi vuol vivere lo stile di vita francescano, rimanendo nel mondo, può entrare a far parte del Terz’Ordine che unisce tutti quelli che pongono lo spirito sopra la lettera e vogliono vivere il messaggio di povertà francescana (ricerca dell’essenziale che poi è ricerca di Dio).(20)
Il Cantico di Frate sole composto sul letto di morte è un messaggio di pace che ingloba tutto il creato che è stato sottomesso suo malgrado all’orgoglio dell’uomo. Tutte le cose, piante, montagne, animali fanno la volontà di Dio, solo l’uomo se ne può discostare: per questo può incappare nella terribile sventura di non essere eternamente felice con i beati.
Altissimu, onnipotente, bon Signore,
tue so’ le laude, la gloria e l’honore et onne benedictione.
A te solo , Altissimo, se konfano
E nullo homo ène dignu te mentovare.
Laudato sie, mi’ Signore, cum tucte le tue creature,
spetialmente messor lo frate sole,
lo qual è iorno, et allumini noi per lui.
Et è bello e radiante cum grande splendore:
de te , Altissimo, porta significatione.
Laudato si’, mi’ Signore, per frate vento,
et per aere et nubilo et sereno et onne tempo,
per lo quale a le tue creature dai sustentamento.
Laudato si’, mi’ Signore, per sor’aqua,
la quale è molto utile et humile et pretiosa et casta.
Laudato si’, mi’ Signore, per frate foco,
per lo quale ennallumini la nocte:
ed ello è bello et iocundo et robustoso et forte.
Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra matre terra,
la quale ne sustenta et governa,
et produce diversi fructi con coloriti fiori et erba.
Laudato si’, mi’ Signore, per quelli ke perdonano per lo tuo amore
Et sostengo infirmitate et tribulatione.
Beati quelli che ‘l sosterranno in pace,
ka da te , Altissimo, sirano incoronati
Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra morte corporale,
da la quale nullo homo vivente po’ skappare:
guai a quelli ke morrano ne le peccata mortali;
beati quelli ke trovarà ne le tue sanctissime voluntati,
ka la mote secunda no ‘l farrà male.
Laudate e benedicete mi’ Signore et rengratiate
E serviateli cum grande humilitate.
Il quadro della chiesa di Pianadetto raffigura San Francesco che riceve le stigmate: è datato del 1665 , proveniva dal primo altare a destra detto di San Francesco. Al centro del quadro sta un paesaggio appenninico, il santo è inginocchiato a braccia aperte, colto nell’atto di ricevere le stimmate; a sinistra san Ruffino che dorme all’ombra di una pianta, l’angolo superiore sinistro è occupato da una gloria di cherubini. È copia, eseguita da un autore parmense attorno ai Bernabei, di un’opera a Mantova nella chiesa di Santo Spirito. Il santo è ripreso in un atteggiamento di profondo misticismo come era nei gusti dell’epoca del barocco pur in una composizione con elementi di grande naturalismo. (fig.83.)
San Domenico di Guzman
Sacerdote (1170 - 1221)
Domenico di Guzman, canonico spagnolo, scoprì a 35 anni il grave problema missionario in terre cristiane attaccate dall’eresia. Incaricato da papa Innocenzo III di una missione contro l’eresia albigese nella Francia del Sud, con tenacia, bontà, fede illuminata, umiltà, riuscì ad ottenere molte conversioni. Volle allora avere dei collaboratori coraggiosi e dotti: fondò così i Frati Predicatori, liberi da ogni ingerenza politica, modelli di povertà, ben fondati nella fede e affabili nei modi. Egli diede grande importanza allo studio teologico e alla povertà della vita, ma senza i rigorismi che sono causa di inconvenienti. Fu apostolo del rosario per la difesa della fede tra il popolo; fu pellegrino e missionario instancabile.
Domenico ha sempre avuto con sé un libro contenente il Vangelo secondo Matteo e le lettere di San Paolo. I libri lo interpellano ! Domenico è incappato in una storia, una parabola, che è circolata per tutto il Medioevo. E’ la storia di un chierico che vedendo un povero sente la voce del Vangelo, vende i suoi libri per soccorrere il fratello. Domenico scopre un giorno la terribile carestia che decima la Spagna. Si trova a Palencia. Scrive Giordano di Sassonia (uno dei primi testimoni domenicani) : "Spontaneamente Domenico vende il suo libro". Una bella storia edificante ? No ! Grido radicale del Vangelo ! Il fondatore dei domenicani vende la parola di Dio ! Vende ciò che gli è indispensabile! Se si interroga un economista o uno specialista del Medioevo risponderà: "Non si vendeva un libro a quell’epoca !". Un libro, infatti, è un oggetto raro, ricercato, un segno di lusso e di sacrifici inauditi fatti per scriverlo su pergamene valutate a peso d’oro! Domenico può soccorrere i miseri più prossimi. Obbedisce al Signore secondo lo spirito e la lettera del Vangelo. Ha appena interpellato colui che era assai ricco per acquistare questo libro ma assai povero di spirito per soccorrere i fratelli ! Domenico scrive : "Non posso studiare sulle pergamene, che oltre tutto non sono che pelli morte, quando i miei fratelli muoiono di fame". Se, lungo i secoli, tanti domenicani hanno potuto scrivere è stato perché la carità di Domenico è arrivata fino all’estremo nell’amore. Se i predicatori possono scrivere per tutti coloro che hanno fame di verità, è a causa di Domenico.
Domenico guadagna il diritto di andare verso gli eretici catari che stigmatizzano una chiesa ricca. Un povero può avviarsi con sicurezza
Quanti libri anticlericali di ogni tempo ripetono fino alla nausea questa errata interpretazione storica : "Domenico, il fondatore dei macellai dell’Inquisizione !".Questo uomo è stato descritto come un freno, mentre per la Chiesa era un acceleratore. I roghi ? Per comprenderli, sarebbero necessarie le lacrime di Domenico! Quest’uomo ha pianto giorno e notte. Ha vegliato ai piedi dell’altare nella preghiera che lo fa prostrare a terra come il suo Signore. Piange sulla propria miseria :" Io sono indegno di pregare per coloro che sono fuori della Chiesa". Piange sui peccatori. San Domenico non ha imparato il mestiere di predicatore sui libri, ma nelle lacrime di un cuore affranto. Se ancora oggi un frate predicatore può annunciare la parola di Dio (chi ne è degno ?), è perché le lacrime del suo padre Domenico sono per lui un diritto e un dovere.
Un ultima parabola rapisce a fra Domenico uno dei suoi segreti più profondi. Può essere la chiave del suo cuore ! Durante la sua vita ha avuto un desiderio e una strana nostalgia. Come il curato d’Ars, sembra aver avuto il desiderio di abbandonare tutto e di andare altrove. Un paese lontano affascina Domenico! I viaggiatori segnalano popolazioni misteriose non evangelizzate, ai limiti del mondo conosciuto. Domenico sogna di dare una testimonianza fino al martirio. Sembra che Domenico porti questo segreto e questa tenerezza per il popolo sconosciuto. Domenico ha voluto vivere con i suoi fratelli nella imitazione degli Apostoli. Il suo segreto è apostolico :" Andate, predicate al mondo intero...Andate, battezzate...". Il suo segreto nel mistero di Dio è un segreto fraterno.(22)
Morì spossato a Bologna il 6 agosto 1221. Ai suoi frati raccomandò :"Abbiate la carità, conservate l’umiltà, accumulatevi i tesori della santa povertà".
Non si celebra la festa di San Domenico nelle Corti con la statua e le processioni , ma questo santo è raffigurato spesso con Santa Caterina nelle maestà.(f ig.84 )
Santa Caterina da Siena,
vergine e dottore della Chiesa patrona d’Italia
(1347 - 1380)
Questa giovane santa è con San Francesco d’Assisi la patrona d’Italia perché rappresentativa di un periodo chiave della storia italiana e protagonista luminosa di una mentalità feconda di impegno religioso e civile insieme.
Caterina Benincasa entrò nel terzo Ordine di San Domenico all’età di 16 anni e cominciò, in casa sua, una vita austera attestata anche da alcuni suoi scritti. Attorno a lei si formò una piccola famiglia spirituale di amici. Lanciò incessanti appelli alla pace in tempi particolarmente torbidi, richiamò il papa da Avignone a Roma , gettò il seme della vera riforma della Chiesa, operò sempre per l’unità e la carità.
Paolo VI ha additato alla Chiesa intera la dottrina contenuta negli scritti della santa, pieni di afflato mistico, e l’ha proclamata dottore: prima donna accanto ai mastri della tradizione.
L’esempio di Santa Caterina farà comprendere a tutti coloro che progettano riforme che queste sono frutto d’amore e non di rivolta: frutto della tensione escatologica che stimola la Chiesa. Ogni riforma si deve proporre come fine che la Chiesa attui sempre più adeguatamente il Regno di Dio (20).
Nelle Corti non ci sono statue a lei dedicate nelle chiese ma i monchiesi sono abituati a vederla nelle maestà , nelle tele insieme a San Domenico , santi che hanno propagato la devozione alla Madonna con la recita del santo Rosario (fig.85 )(fig.161)
Omonima è santa Caterina d’Alessandria.
Caterina, nata ad Alessandria, fu versatissima nelle arti liberali e con la sua scienza confuse gli uomini più dotti del suo tempo. Subì il martirio verso il 305. Secondo la tradizione, il suo corpo fu dagli angeli trasportato sul monte Sinai.
Essa è una delle sante che maggiormente furono invocate dal popolo cristiano nelle necessità più gravi della vita spirituale e temporale. E’ una grande protettrice della nostra fede.
Una bellissima maestà è dedicata anche a lei. Vicino alla fonte dei Bacchieri di Pianadetto alla quale accorrono file di turisti e locali per attingere l’acqua della salute, c’è una cappelletta con maestà. Raffigura la Madonna col Bambino e santa Caterina d’Alessandria, vergine e martire con i suoi attributi, la corona regale, lo strumento del martirio, la ruota dentata, la palma.
Il bassorilievo è del secolo XVII , realizzato in marmo statuario a grana fine. Denota un artista vero e sapiente. E’ dimostrato dall’accurata fattura dei dettagli , dai morbidi vestiti trasparenti che lasciano intravedere le forme femminili. Le belle mani della Vergine che s’intrecciano coi piedini del figlio, i capelli del bimbo raccolti in riccioli a chiocciola, il mantello della santa che cade con negligenza sulla spalla. E’ un vero peccato che la composizione abbia subito atti micro vandalismo che l’hanno danneggiata in più punti.
Sant’Antonio di Padova
Sant’Antonio di Padova è in realtà un portoghese, il cui nome era Fernando. Nacque nel 1195 a Lisbona , era cioè un contemporaneo di San Francesco d’Assisi. Ben presto sentì la vocazione alla vita religiosa, e si orientò verso i canonici regolari di Sant’Agostino. Diventa sacerdote. Un giorno arriva alle orecchie di Fernando un racconto che viene dal Marocco. Vi si narra il martirio di Frati minori, mandati da Francesco ad annunciare il Vangelo e la pace ai Sultani . Di colpo, Fernando è toccato dalla Grazia, che lo chiama ad unirsi a Frate Francesco. Lascia un ordine sicuro conosciuto per unirsi alle strade dei francescani Ha trovato un nuovo nome : ormai sarà frate Antonio !.
Il nuovo francescano è un frate eloquente , con la passione del Vangelo. Non solo predica ma vive la sua fede. E’ uno degli uomini chiave di cui la Chiesa ha bisogno in quel momento: l’eresia catara in Italia e nel sud della Francia minaccia una rivoluzione. Antonio obbedisce e parte, con le mani nude: non ha altre armi che il Vangelo, Madonna povertà e la sua calda parola . Nel 1227 Antonio riprende la via dell’Italia, dove predica con un calore e una forza folgoranti. Arriva a Padova , dove la sua predicazione quaresimale attira e sconvolge l’intera città. E’ qui che morirà nel 1231. Subito dopo la morte , i miracoli si succedettero con un tale ritmo che Antonio , il santo invocato per ritrovare gli oggetti perduti, ha dovuto aspettare poco per essere canonizzato. E’ passato solo un anno fra la sua morte e la canonizzazione della Chiesa Il suo culto e la sua popolarità si diffusero rapidamente .(22)
In queste chiese si venera a Monchio , Valditacca , Rigoso, Trefiumi, Rimagna e in numerose maestà. Anche per questo santo si può dire che ha prevalso l’atteggiamento devozionale più che prendere in seria considerazione la sua vita errante per il Vangelo.
La statua lignea di Monchio è di buona fattura e non priva di finezza , come si evince dal fitto e mosso panneggiare del saio e nella morbida tornitura delle carni del bambino. E’ di un ignoto intagliatore emiliano della prima metà del sec. XVIII . Il santo è raffigurato in modo tradizionale in età giovanile, saio francescano, tonsura reggente con la mano destra il Liber miraculorum .(fig.86 )
Sant’Antonio è presente in numerose maestà(fgg.87-88)
San Rocco
Nacque da nobile famiglia in Francia , a Montpellier, nel 1295.
Il padre prima di morire, sul letto di morte, lascia al figlio gli ultimi ricordi :" Rocco tu vedi come io devo lasciare questa vita mortale dopo la quale io spero, se piacerà al Signore, di aver parte al Regno dei cieli. Perciò ,figlio mio, ti lascio per testamento con la mia signoria ed eredità, quattro comandamenti: Primo, che tu serva continuamente Iddio Signore nostro; secondo, che tu sia pietoso e misericordioso verso i poveri, le vedove, gli orfani; terzo, che tu faccia un pio uso dei miei tesori, dei quali ti costituisco dispensatore ed amministratore ; quarto, che tu frequenti diligentemente i luoghi pii e gli ospedali dove sono gli ammalati ed altri poveri, membra doloranti di Cristo".
Orfano a vent’anni, si spoglia di tutto per amore di Cristo e parte per Roma , umile pellegrino. Nell’Italia centrale trova la peste. La terribile peste nera che per la prima volta infieriva nella penisola. Rocco si consacra subito ai colpiti dal morbo. In Italia si ferma dal 1315 al 1321; circa sette anni, tre dei quali li passa a Roma. Nel 1322 torna in patria. Non riconosciuto è preso per una spia. Per umiltà, non rivela il suo nome. E’ condannato alla prigione. Per cinque anni vive in carcere. Cinque lunghi anni di pazienza e di rassegnazione. Totalmente segregato dagli uomini, ma più intimamente unito a Dio. Il cielo stesso lo glorifica e ne rivela la santità in punto di morte.
Giunta la sera del terzo giorno il santo entra in agonia . La prigione si illumina d’un tratto di una luce misteriosa ed una voce dal cielo si fa sentire :"Umile e fedele servo di Gesù Cristo, Dio mi manda a te, per presentargli l’anima tua . Ma prima che tu chiuda per sempre gli occhi, rivolgi a lui la tua preghiera, perché ti concederà quanto gli domanderai". E Rocco raccogliendo le ultime sue forze disse :" Poiché piace al Signore accordarmi una grazia , desidero che chiunque invocherà il mio nome, sia guarito o preservato dalla peste". "Sia come tu chiedi" rispose la voce.
Era il 16 agosto 1327
Il santo ha avuto molta devozione nelle Corti a partire dalla peste del 1630. La maestà a lui dedicata, a Rigoso, è del 1631(fig.21 )
Per la vita del santo ci sono dati molto diversi secondo gli autori.(28)
L’ancona posta nell’abside nella chiesa di Ceda è pregevole. Risale alla prima metà del ‘700. Il santo e raffigurato in gloria che sale verso Dio sorvolando il paese di Ceda(il dipinto inserito nell’ancona è di epoca recente). (fig.89)
La statua del San Rocco di Ceda è di legno, con gli usuali attributi del santo, gamba piagata scoperta, bordone del pellegrino. Il santo guarda in atteggiamento mistico profondo verso il cielo. Le movenze, i panneggi richiamano a un buon barocco.(fig.90).
Il San Rocco di Valditacca è più la figura del nobile pellegrino con capelli e barba a pizzo curati. Porta il bordone e ha la conchiglia del pellegrino. E’ del XIX secolo(fig. 91)
Numerose maestà sono dedicate a San Rocco(figg.70-22)
Capitolo quarto
IL RINNOVAMENTO DELLA CHIESA
(seconda metà del millennio)
La riforma cattolica .
Alla fine del XV secolo c’è un’ansia religiosa profonda. Le speculazioni sull’Apocalisse si diffondono e si annuncia continuamente la fine del mondo (confronta le profezie di Nostradamus). L’inquietudine circa la salvezza afferra in modo forte i cristiani, presi tra un Dio onnipotente che compie scelte arbitrarie e Satana onnipresente. In effetti il rinascimento coincide con una ripresa della stregoneria e , di conseguenza, della caccia alle streghe. Innocenzo VIII con la bolla Summis desiderantes ( !484) parla della stregoneria, descrive i malefici dei demoni e invita alla repressione. Incarica due domenicani che redigono il Martello delle streghe (1487), trattato di demonologia e procedura per ottenere una confessione . La caccia durerà fino alla metà del XVII (più di duecentomila in due secoli perirono sul rogo).
All’inquietudine del popolo si risponde con la devozione alla Vergine, la pratica del Rosario, pellegrinaggi e indulgenze. Manca però la fiducia della gente nei preti immorali e ignoranti: da ricordare che i preti non diventavano tali dopo una vita in seminario. Sia preti che vescovi una volta ottenuto il beneficio, anche pagando, non risiedono (non si curano della pastorale ).I papi sono alla ricerca continua di denaro per le loro feste e costruzioni (basilica di San Pietro) e il loro mecenatismo. Critiche alla Chiesa arrivano da Erasmo di Rotterdam e dal Savonarola (1494 - 1498) che annuncia il castigo di Dio con un linguaggio apocalittico. Erasmo vorrebbe fondare una politica nuova sul Vangelo, pacifista e a favore dell’arbitraggio tra i principi.
Di qui si invoca un Concilio per la riforma della Chiesa. Ne viene fatto uno (concilio del Laterano 1515)che elabora un progetto di riforma contro gli abusi ma non avrà seguito. Nel 1517 scoppia la bomba Lutero. Riforma della Chiesa diviene da allora sinonimo di rottura , se ne appropriano i Protestanti. In realtà la riforma è nata dalla pietà cristiana alla fine del medioevo, da una appassionata ricerca di Cristo nel Vangelo. Lutero , uomo di fede, fu mosso da uno slancio veramente religioso pur con tutti suoi difetti . La sua riforma produsse la più grande divisione dei cristiani e contribuì a formare la coscienza dell’uomo moderno (l’esaltazione della coscienza del singolo e l’accostamento diretto alla sacra Scrittura e a Dio senza bisogno di mediatori umani .
L’inquietudine e il fervore religioso hanno fatto nascere tali riformatori che si separavano da Roma ma sono pure all’origine della vera riforma cattolica .Gli sforzi per riformare la Chiesa partono dalla base ma con l’avvallo della gerarchia. Sorgono gruppi ecclesiali nuovi ( esempio l ‘oratorio del Divino Amore , una specie di confraternita di laici), nuove famiglie religiose per pregare insieme e occuparsi dei poveri e degli ammalati . Quando la Chiesa vuole riformarsi approfondisce sempre la sua identità e cerca di aiutare Cristo nei poveri. Lo slancio iniziale si andrà affievolendo ma l’onda lunga continuerà fino ai nostri giorni. Da questo bisogno di riforma escono Ordini religiosi nuovi prima e dopo il concilio ( i Gesuiti diventano un vero esercito agli ordini del papa).Un fatto da segnalare è la grande presenza femminile in tutti questi movimenti. Comincia ad apparire una Chiesa ove aumenta la responsabilità dei fedeli laici. Si intuisce, ancorché in modo lieve, l’importanza dei laici nella vita della Chiesa.
Perché non attecchì la riforma protestante in Italia ?L’Italia non aveva il complesso antiromano dei tedeschi, anche perché la Curia romana era formata da Italiani. L’Italia era stata la culla dell’umanesimo che per sua natura era ottimista quindi agli antipodi del pessimismo radicale dei Protestanti . In Italia ebbe un’importanza preventiva l’Inquisizione. Alcuni protestanti italiani finirono in Polonia , accolti da Stefano Bathory che si ispirava a questo programma in questioni dottrinarie :"Ci sono tre cose che Dio ha riservato a sé: creare dal nulla , conoscere il futuro, giudicare le coscienze" .La religiosità della penisola non aveva il carattere tetro e angoscioso per il terrore del demonio e dell’Inferno che , invece, si trovava in Germania .Inoltre, già alla fine del XV secolo l’Italia era attraversata da un forte rinnovamento("Gli uomini devono essere riformati dalle cose sante, non le cose sante dagli uomini" Egidio da Viterbo) . La riforma cattolica parte dalla base anche se papa saranno Alessandro VI, Giulio II, Leone X, persone povere dal punto di vista religioso.
Dal bisogno di riforma, nasce il concilio di Trento. "Tutti gridano : Concilio ! Concilio !", diceva il nunzio apostolico il 1521 a Worms. I papi tergiversarono a lungo, anche perché era in atto la guerra tra Francesco I e Carlo V .Poi venne convocato il 13 maggio 1545. Definirà la verità cattolica contro i Protestanti e prenderà delle decisioni importanti per il futuro della Chiesa, come l’istituzione dei seminari e la pubblicazione del catechismo Romano, l’obbligo di residenza dei vescovi e sacerdoti, l’obbligo di fare catechesi . Il Concilio di Trento ha conferito alla Chiesa la fisionomia che ha conservato fino ai tempi recenti. La Chiesa esce rafforzata specialmente il suo capo .I segni del rinnovamento conciliare li troviamo in tutte le nostre chiese .E’ una Chiesa che ha definito la sua fede e cerca di farla conoscere (dottrina , predicazione ), è riunita attorno alla presenza reale di Cristo nella Eucarestia (porterà pure ad una trasformazione dell’arredo ), insisterà sui sacramenti (in particolare sulla Eucarestia e sulla penitenza ), sulla devozione alla Madonna (rosario, processioni, santuari), sul perdono attraverso i meriti di Gesù (indulgenze, Giubilei ). E’ una Chiesa volta alla formazione personale che tace, però, di fronte a molti problemi nuovi, come le trasformazioni economico-sociali. La religiosità delle nostre zone è debitrice in tutto a questa riforma conciliare che poi sarà completata dal concilio Vaticano I 1870. Pensiamo che, avendo dovuto fare dei testi " contro", si è guardato alla fede dall’unico punto di vista antiprotestante. La riforma in questo modo è stata impoverita; ha consolidato la fede ma non la conversione verso i fratelli .
La visita di Castelli nelle Corti (documento tradotto)
Il vescovo di Rimini Castelli si rende conto di persona della realtà delle chiese da lui visitate . La sua " Visitatio Civitatits rev.mi Castelli " è un documento importante per conoscere lo stato delle chiese prima del Concilio di Trento e quale rivoluzione hanno portato i decreti del Concilio in queste zone. E’ un inviato del papa che è deciso nel far rispettare la volontà del Concilio perché consapevole che la Chiesa deve rinnovarsi anche nei particolari minimi. La visita pastorale avviene nel 1578 \ 1579. Nel 1551 era a Trento come esperto canonista, lavorando insieme con Carlo Borromeo, Ugo Boncompagni. Fu vicario generale a Milano, nel 1574 fu nominato vescovo di Rimini. Continuò un legame di amicizia profondo con Borromeo. Gregorio XIII lo nominò visitatore apostolico per varie diocesi. Suscitò varie proteste contro i suoi decreti anche da parte del clero parmense. Si è cercato da parte del clero spesso di ostacolare le riforme, specialmente quella che riguardava la residenza. Nel 1581 fu mandato nunzio in Francia. Morì il 27 agosto 1583 nell’Hotel de Sens, sede della nunziatura; fu sepolto nel coro di Notre Dame.
Nella sua visita il vescovo celebrava la Messa, faceva la predica, dava l’assoluzione ai defunti, visitava in modo accurato la chiesa, e il cimitero, parlava coi parroci, chierici, massari e ascoltava le lamentele dei parrocchiani, al pomeriggio dava la benedizione. Ancora una volta si desume la volontà tenace di dare attuazione a un concilio che nella sua celebrazione era stato di infime proporzioni.
Per la chiesa parrocchiale della Beata Vergine Maria: Corte di Grammatica.
Sia eretta entro un mese in questa Chiesa la confraternita del Santissimo Corpo del Signore. Tra quelli che saranno iscritti sieno designati ogni mese almeno dieci uomini e altrettante donne che accompagnino la Sacra Eucarestia quando viene portata da un malato e altri che li sostituiscano in questo compito quando siano impediti. Il tabernacolo di legno, dove si conserva la Sacra Ostia, entro quindici giorni sia adornato dentro e fuori secondo l’ordine dei decreti generali. Nello stesso tabernacolo si conservi con continuità la Sacra Eucarestia in una pisside d’argento con davanti una lampada sempre accesa con osservanza di ciò che è stato prescritto secondo i decreti generali per la compera dell’olio. Entro tre mesi sia confezionata secondo i decreti la lanterna infissa in un bastone con l’ombrello, da usare quando si porta la Sacra Ostia a un malato. Entro un mese si provveda ad un velo omerale che deve essere usato dal sacerdote.
Ci siano entro tre mesi le balaustre, che si usano per la comunione, con le relative tovaglie da stendervi. La Sacra Eucarestia non sia mai portata in processione con il calice, entro quattro mesi ci sia un ostensorio a tabernacolo circondato da vetro per portare la sacra Ostia in processione (fig.91 ) . Entro quattro mesi sia adattato il battistero secondo i decreti. I vasi coi quali si portano i Sacri oli e l’acqua battesimale dalla cattedrale o da una chiesa arcipretura , non siano di vetro o di terracotta ma di stagno secondo la forma voluta dai decreti. Entro quattro mesi si preparino due candelabri dorati per l’altar maggiore. Entro due mesi si prepari un armadio per i paramenti. Ogni domenica e nei giorni festivi il parroco insegni la dottrina cristiana al popolo, incorrerà in una multa di due monete d’oro ogniqualvolta la tralascerà. Negli stessi giorni inoltre il parroco spieghi il Vangelo al popolo, o almeno una parte del Catechismo romano in lingua volgare, o legga un’altra omelia approvata dal vescovo. Secondo gli stessi decreti entro due mesi ci sia un confessionale. Entro un anno le pareti della chiesa siano intonacate e imbiancate. Si dipinga sopra la porta della chiesa l’immagine della Beata Vergine Maria.
Le pianete di tutti colori, che si usano secondo i vari tempi , ci siano entro un anno, se sarà possibile secondo le disponibilità economiche secondo il giudizio del vescovo, dato che noi non abbiamo avuto notizie certe circa il reddito di questa Chiesa. Si provveda entro due mesi una navicella. Entro due mesi ci sia una cotta e una veste talare che devono essere indossate dal Chierico che serve la messa. Nel tempo invernale si chiudano le finestre o con teli o con fogli. Si metta in opera una pastorale per l’amministrazione dei sacramenti, per recita degli uffici divini e per la pietà, come è stato comandato dai decreti generali. A tutto quello che è il decoro materiale della chiesa e ai paramenti per la celebrazione della messa, che devono essere indossati dal sacerdote, provveda il vescovo, che deve conoscere le possibilità di questa chiesa , o per sua bontà o con i proventi della chiesa .
Offriamo alcune immagini di suppellettile per il culto di cui in seguito le chiese si dotarono per ottemperare ai decreti tridentini.(fgg.92-97,99,100,110-119)
Per la chiesa parrocchiale di San Donnino :Corte di Casarola
Le pareti interne ed esterne della chiesa siano intonacate e imbiancate entro l’anno. La santa Eucarestia con lampada accesa sia conservata in un tabernacolo ornato dentro e fuori secondo i decreti e in una pisside almeno di rame dorato che possa essere usata dal parroco quando porta la comunione osservando le prescrizioni per l’acquisto dell’olio. Sia eretta quanto prima la Confraternita del Santissimo Sacramento osservando i regolamenti scritti per ordine del vescovo. Tra gli scritti della Confraternita ogni mese siano designati dieci uomini e dieci donne che accompagnino la Santa Eucarestia quando si porta ad un malato. O se ne sono impediti altri li sostituiscono. La lanterna grande fissata su un bastone e l’ombrello quando si porta la comunione ad un malto siano fatti secondo i decreti entro tre mesi. Si provveda ad un velo omerale entro un mese. Entro un mese ci sia una balaustra di legno per far la comunione con le tovaglie da stendere. La sacra Eucarestia non sia mai portata in processione entro un calice ,entro quattro mesi ci sia un ostensorio di rame dorato e sia chiuso nel vetro(ostensorio fatto a tempietto come quelli ambrosiani di cui ce n’è ancora uno a Riana del settecento e uno trasformato in pisside a Pianadetto della stessa epoca, fig. n. ) per potare la stessa Eucarestia in processione. Tutte le domeniche e nelle feste il parroco insegni la dottrina cristiana: multa di due monete d’oro quando non lo farà. Negli stessi giorni il parroco spieghi il Vangelo o almeno una parte del catechismo romano tradotti in lingua corrente o legga una omelia approvata dal vescovo. Entro un mese ci sia un contenitore di legno decente per portare il vasetto dell’olio santo. Entro quattro mesi il battistero sia adattato secondo i decreti generali. I vasi coi quali vengono portati o i sacri oli o l’acqua battesimale dalla cattedrale o dalla chiesa arcipretura non siano né di vetro né di terracotta ma di stagno secondo i decreti . Si provveda a mettere entro un mese due candelabri di ferro e otto purificatoi. Entro due mesi si metta un armadio per i paramenti. Entro un anno ci siano almeno due casule, una sia confezionata in stoffa rossa di seta, l’altra in tela bianca. Secondo i decreti, ci sia un confessionale entro due mesi. Entro tre mesi sia dipinta l’immagine di San Donnino sopra la porta principale Si provveda pure una veste talare e la cotta con le quali si veste il chierico che serve la messa. Si chiudano nel tempo invernale con teli o almeno con fogli le finestre. Il cimitero sia recintato in modo che non sia aperto per le bestie. Sia messo in atto tutto quello che attiene all’amministrazione dei sacramenti, alla recita dei divini uffici e alla pietà. A tutto il decoro della chiesa e ai paramenti che devono essere indossati dal sacerdote necessari , il molto Reverendo Vescovo , al quale devono essere conosciuti i beni della chiesa , supplisca secondo il suo buon cuore e con i proventi della chiesa.
Per la chiesa Parrocchiale dei Santi Lorenzo e Michele della Corte di Monchio.
Don Ippolito de Grandis , rettore di San Michele Arcangelo, entro otto giorni vada a risiedere nella propria chiesa, e vi abiti di continuo, vi mangi, e vi dorma sotto pena di perdere la chiesa ipso facto , alla quale non potrà essere restituito se non dal Santissimo Nostro Signore. Compia insieme al rettore di San Lorenzo doveri della parrocchia, se mancherà in questo sia condannato allo sborso di quattro monete d’oro ogni volta. Entro tre mesi si presenti al vicario Episcopale, e previo esame ci sia la prova che avrà fatto progressi nell’approfondimento della morale, per poter ascoltare le confessioni dei penitenti. Siano sequestrati i proventi dell’altare di San Rocco: con essi si fornisca l’altare dei suoi ornamenti. Sia celebrata, almeno una volta al mese, una messa su quell’altare. La santa Eucarestia con una lampada accesa sia conservata in tabernacolo ornato secondo i decreti generali dentro e fuori e in una pisside almeno di rame dorato che possa essere usata dal parroco quando porta la comunione, osservando le prescrizioni per l’acquisto dell’olio. Tra gli scritti della confraternita del Corpo del Signore ogni mese siano designati dieci uomini e dieci donne che accompagnino l’eucarestia quando si porta la comunione ad un malato o se ne sono impediti altri li sostituiscono. Entro tre mesi si fatta secondo i decreti generali una lanterna grande infissa in bastone(fig.93) e l’ombrello (fig.94) in uso quando si porta la Sacra Ostia al malato. Entro un mese ci sia il velo omerale di seta. Balaustre di legno che si usano quando si fa la comunione, e le tovaglie per coprile ci siano entro tre mesi. La sacra Eucarestia non sia mai portata in processione con il calice per cui entro quattro mesi la chiesa deve avere un ostensorio almeno di rame dorato e racchiuso nel vetro per portare in processione la Sacra Eucarestia(92). Ogni domenica il parroco insegni la Dottrina cristiana al popolo, se la omette pagherà una multa di due monete d’oro. Negli stessi giorni spieghi il Vangelo o almeno una qualche parte del Catechismo romano tradotti in lingua corrente, o legga un’altra omelia approvata dal vescovo. Entro un mese ci sia un vaso di alpaca per gli Oli sacri per gli infermi diverso da quello del battesimo . Il Battistero sia messo a norma entro quattro mesi. I vasi con i quali si portano gli Oli Sacri dalla cattedrale o da una chiesa arcipretura non siano né di vetro né di terracotta ma di alpaca secondo le norme stabilite.
Si provvedano entro un mese due borse di seta per il calice e due sacchetti, e borse per i corporali. Entro due mesi ci sia un armadio per i paramenti(fig.95) Si faccia un sacrarium secondo i decreti entro un mese. Entro un anno siano intonacate e imbiancate le pareti della chiesa. Siano dipinte entro tre mesi le immagini di San Lorenzo e San Michele sopra la porta della chiesa. Entro un anno siano confezionate le pianete di vari colori che si usano secondo i tempi, secondo il giudizio del vescovo sulle disponibilità economiche, non avendo noi una conoscenza certa sui redditi di questa chiesa. Entro due mesi ci sia una veste talare e una cotta per il chierico che serve durante la messa. Le finestre della chiesa sia chiuse da teli o da fogli durante il periodo invernale. Si curi tutto quello che serve all’amministrazione dei sacramenti, dei divini uffici e della pietà secondo quanto comandato dai decreti generali. A tutto quello che è il decoro materiale della chiesa o ai paramenti che si indossano nella celebrazione , il Reverendissimo Vescovo, cui devono essere maggiormente note le possibilità di questa chiesa, provveda o per sua bontà o coi proventi della chiesa .
Per la chiesa parrocchiale di San Pietro e Paolo della Corte di Lugagnano
Si pongano sotto sequestro tutti frutti della cappella di Santa Caterina e della Cappella... di cui rettore dice di essere Don Matteo Rinuncino e di essi non venga rilasciata parte alcuna al rettore fino a quando gli altari non abbiano almeno una croce di legno dorata, con almeno dei candelabri di tovaglie complete, di palio, di una coperta, e di una predella di legno. Le stesse cappelle siano rese a norma. Dai proventi della Cappella di Santa Caterina si costituisca un sicuro stipendio per il sacerdote che compia i suoi doveri e compia anche ciò che è stato omesso. La Santa Eucarestia con una lampada accesa sia conservata in tabernacolo ornato secondo i decreti generali dentro e fuori, e in una pisside almeno di rame dorato che possa essere usata dal parroco quando porta la Comunione, osservando le norme per l’acquisto dell’olio. Tra gli scritti della confraternita del Corpo del Signore, ogni mese siano designati dieci uomini e dieci donne che accompagnino la sacra Ostia quando si porta la comunione ad un malato e se ne sono impediti altri li i sostituiscono. La lanterna grande fissata con un bastone e l’ombrello quando si reca la Comunione ad un malato siano fatti secondo i decreti entro tre mesi. Entro tre mesi si pongano in opera le balaustre di legno che servono per la Santa Comunione e le relative tovaglie . La Santa Eucarestia non si porti mai in processione con il calice ma si provveda un ostensorio almeno di rame dorato circondato da vetro. Il battistero sia messo a norma entro quattro mesi. I vasi con cui si portano i sacri oli (fig.97) o l’acqua battesimale dalla chiesa Cattedrale o dall’arcipretura , non devono essere di vetro o di terracotta ma di alpaca. Entro un mese ci sia un confessionale. Entro due mesi ci sia pure un armadio per i paramenti.
Ogni domenica e nei giorni di festa , il parroco insegni la dottrina cristiana altrimenti sarà multato di due monete d’oro. Negli stessi giorni il parroco spieghi il Vangelo oppure una pagina del Catechismo romano in lingua corrente, oppure legga una omelia approvata dal vescovo. Entro un anno le pareti della chiesa siano intonacate e imbiancate. Entro tre mesi si dipinga l’immagine di San Pietro sopra la porta della chiesa. Se sarà possibile, secondo il giudizio del vescovo, dato che noi non conosciamo le finanze della chiesa, entro un anno confezionare le pianete da usare secondo i tempi. Entro due mesi si provveda una navicella per l’incenso. Entro due mesi si provveda una talare e una cotta che indossa il chierico quando serve la messa. Nel tempo invernale si chiudano le finestre con teli o fogli . Il Cimiero sia recintato per impedire il passaggio delle bestie. Si metta in opera tutto quello che è necessario per l’amministrazione dei Sacramenti, dei divini uffici e per la virtù. A tutto quello che è ornamento materiale o ai paramenti che si indossano nella celebrazione, il Reverendissimo Vescovo, cui devono essere maggiormente note le possibilità di questa chiesa, provveda o per sua bontà o coi proventi della chiesa .
Per l’oratorio di Santa Maria della neve della Corte di Lugagnano (Vecciatica).
Tutti proventi di questo oratorio che è tenuto da Don Battista di Coloreto, siano dati in deposito ad un uomo onesto, nessuna parte sia data al rettore fino a che la chiesa non sia messa a norma e l’altare non sia fornito di tutto il necessario per la celebrazione. Con quei proventi vi sia celebrata almeno una volta al mese una messa.
Per la chiesa parrocchiale di San Giacomo della Corte di Pianadetto
La santa Eucarestia con lampada accesa sia conservata in un tabernacolo ornato dentro e fuori secondo i decreti e in una pisside almeno di rame dorato che possa essere usata dal parroco quando porta la comunione osservando le prescrizioni per l’acquisto dell’olio. Sia eretta quanto prima la Confraternita del Santissimo Sacramento. Tra quelli che faranno parte della confraternita si scelgono dieci uomini e dieci donne ogni mese che accompagnino la sacra Ostia quando è portata a un malato o se sono impediti altri li sostituiscano a questo incarico. Entro tre mesi sia confezionata secondo i decreti una lanterna infissa in un bastone e un ombrello da usarsi quando si porta la sacra Ostia ad un malato. In un mese si provveda un velo omerale per quell’uso. I banchi lunghi che si usano per la comunione e le relative tovaglie per coprirli ci siano entro tre mesi. Non si porti mai in processione la sacra Eucarestia con il calice , per cui entro quattro mesi ci sia un ostensorio almeno di rame dorato ,racchiuso in vetro per portare in processione la sacra Ostia. Entro quattro mesi sia messo a norma il battistero. I vasi con i quali si portano i sacri Oli o l’acqua battesimale dalla cattedrale o dall’arcipretura non siano di vetro o di terracotta, ma siano di stagno secondo la forma voluta dai decreti. Si procuri , entro due mesi, un armadio per i paramenti. Entro un anno ci siano due casule, una di seta rossa ,l’altra di tela bianca. Entro due mesi ci sia un confessionale. Entro un mese ci sia il sacrarium. Ogni domenica e nelle feste comandate il parroco insegni la dottrina cristiana, pena la multa di due denari d’oro ogni qualvolta non la farà. Negli stessi giorni il parroco spieghi il Vangelo o almeno una qualche parte del Catechismo romano in lingua corrente , o legga un’altra omelia approvata dal vescovo. Entro un anno le pareti della chiesa siano intonacate e imbiancate. Entro tre mesi sia dipinta l’immagine di San Giacomo sopra la porta della chiesa. Entro due mesi ci sia una cotta e una talare che viene usata dal chierico quando serve la messa. In inverno vengano chiuse le finestre con teli o con fogli. Il cimitero venga recintato in modo da impedire l’entrata di animali. Si metta in opera tutto quanto necessario per l’amministrazione dei sacramenti, per la recita dei divini uffici, per la pietà cristiana, ornamenti e paramenti che servono per la celebrazione , il Reverendissimo Vescovo , cui devono essere note le possibilità della chiesa , provveda per sua bontà o coi proventi della chiesa .
Per la chiesa parrocchiale di San Lorenzo della corte di Trefiumi.
Le pareti interne ed esterne della chiesa siano intonacate e imbiancate entro un anno. Don Lorenzo Fortini rettore di questa chiesa entro due mesi si presenti al vicario episcopale per sostenere l’esame di morale per avere l’idoneità alla confessione .
La sacra eucarestia va conservata in un tabernacolo ornato dentro e fuori con una lampada accesa in una pisside almeno di rame dorato che sia tale che possa essere usata per distribuire la comunione ai fedeli, per l’acquisto dell’olio si osservi ciò che è stato stabilito dai decreti.
Sia eretta quanto prima la Confraternita del Santissimo sacramento, osservando le regole fissate dal vescovo. Tra quelli che sono iscritti si designino ogni mese dieci uomini e dieci donne che accompagnino la santa Eucarestia quando viene portata agli infermi: se sono impediti ci siano altri che li sostituiscano in questo impegno. Entro tre mesi sia fatta , secondo i decreti, la grande lanterna fissata su un bastone e un ombrello da usarsi quando si porta la Comunione al malato. Si provveda un velo omerale di seta entro un mese. Entro tre mesi ci siano i banchi per la sacra Comunione e le relative tovaglie da stendervi.
La sacra Eucarestia non deve mai essere portata in processione con il calice per cui entro quattro mesi ci sia almeno un ostensorio di rame dorato incorporato in un vetro per portare la sacra Ostia in processione. Nello spazio di un mese si abbia un vaso per gli infermi distinto dal contenitore degli Oli per gli infermi, pena il pagamento di una multa di 4 monete d’oro. Entro 4 mesi sia reso a norma dei decreti il battistero. I vasi con cui si trasportano gli oli santi e l’acqua battesimale dalla Cattedrale o da una arcipretura siano non di vetro né di terracotta ma di alpaca secondo la forma tramandata dai decreti. Ogni domenica e ogni festa il parroco insegni la dottrina cristiana altrimenti sarà multato di due monete d’oro ogni volta che mancherà al suo dovere. Negli stessi giorni il parroco spieghi al popolo il Vangelo o almeno una parte del Catechismo romano tradotto in lingua volgare oppure una omelia approvata dal vescovo. Entro due mesi ci sia il confessionale come prescritto. Ci siano almeno tre casule nelle spazio di un anno: una di panno rosso di seta, altra di tela bianca, la terza bianca o di colore nero o viola. Entro un mese ci sia un sacrario Entro tre mesi sia dipinta l’immagine di San Lorenzo sopra la porta della chiesa. Entro due mesi ci sia la talare e la cotta che il Chierico che serve la messa deve indossare. In inverno siano chiuse le finestre con teli o almeno con fogli. Il cimitero sia recintato in modo che non ci vadano le bestie. Siano esercitati tutto quello che riguarda l’amministrazione dei sacramenti, la recita dell’officio, la pietà cristiana secondo gli ordini dei decreti. Tutto quello che manca per l’ornamento materiale, e la celebrazione della messa, vi provveda il vescovo , cui dovrebbero essere note le possibilità della chiesa, per sua bontà o coi proventi della chiesa vi provveda.
Per la chiesa di San Nicolò della corte di Rigoso.
Il tabernacolo di legno sia ornato dentro e fuori entro un mese come prescritto dai decreti. Sia preparata una pisside almeno di rame dorata con la quale il parroco possa amministrare la comunione al popolo e portarla pure agli infermi. Sia pure messa una lampada davanti al Santissimo seguendo le istruzioni per la compera dell’olio. Sia eretta quanto prima la Confraternita del santissimo Sacramento, osservando le regole del vescovo. Tra gli iscritti si scelgano ogni mese dieci uomini e altrettante donne per portale la Comunione al malato oppure se impediti altri possano assumere questo incarico. Entro tre mesi sia fatta una lanterna infissa su un bastone e un ombrello secondo i decreti. Entro un mese ci sia il velo omerale che deve essere indossato dal sacerdote. Entro tre mesi si provvedano banchi lunghi per fare la Comunione secondo l’uso con le relative tovaglie da coprirli. La Sacra Eucarestia non sia mai portata in processione col calice per cui entro quattro mesi si provveda un ostensorio almeno di rame dorato racchiuso dentro al vetro per portare la sacra Ostia. Nelle domeniche e nelle feste il parroco spieghi la dottrina cristiana, se non lo farà pagherà la multa di due monete d’oro. Inoltre lo stesso parroco negli stessi giorni spieghi al popolo il Vangelo o almeno una parte del Catechismo romano tradotto in lingua corrente, oppure legga una omelia approvata dal vescovo. Entro un mese ci sia un vaso distinto da quelli del battesimo siano di stagno sotto pena di 4 monete d’oro. Il Battistero sia dotato di una colonna di pietra prescritta dai canoni. I vasi che servano per andare a prendere gli oli santi in Cattedrale o ad una chiesa arcipretura, non siano né di vetro né di terracotta ma almeno di alpaca secondo la forma trasmessa. Entro i due mesi ci sia il confessionale prescritto. Entro un mese ci sia il sacrario prescritto. Entro un anno ci siano due casule di seta, una bianca e una rossa. Entro un mese ci sia due veli di seta per proteggere il calice e altrettanti due marsupi per i corporali. Entro due mesi si prepari un armadio adatto per i paramenti. Le pareti interne ed esterne siano intonacate e imbiancate entro un anno. Entro tre mesi si dipinga l’immagine di san Nicolò sopra la porta della chiesa. Si provveda una navicella entro due mesi. Entro due mesi si provveda una talare e una cotta che il chierico indossa durante il servizio alla Messa. Le finestre in inverno sia chiuse da teli o da fogli. Si recinti il cimitero in modo che non entrino gli animali. Secondo i decreti generali si metta in esecuzione tutto quello che serve per l’amministrazione dei Sacramenti, per la recita dei divini uffici, e per la pietà. Quello che manca per l’ornamento della chiesa e i paramenti che devono essere indossati provveda il vescovo che conosce le finanze della chiesa o per sua devozione o coi proventi della chiesa.
Per la chiesa parrocchiale della Beata Vergine della Corte di Nirone
Le sacre immagini che sulle pareti della chiesa sono state dipinte, ormai consunte per l’ingiuria del tempo, entro sei mesi siano restaurate , o siano imbiancate. Entro un anno le pareti interne ed esterne siano intonacate. In inverno le finestre siano chiuse o con teli o con fogli. Entro due mesi ci sia il confessionale secondo i decreti.. Entro un mese sia fatto il sacrarium. Tra quelli che appartengono alla confraternita del Corpo del Signore, ogni mese siano designati dieci uomini e altrettanto donne che accompagnino la Sacra Eucarestia quando è portata a un malato o se sono impediti altri prendono il loro posto in questo incarico. La Sacra Eucarestia sia conservata in un tabernacolo decoroso dentro e fuori con davanti una lampada accesa e dentro una pisside almeno di rame dorato, e sia tale che il parroco se ne possa servire quando amministra la comunione al popolo, siano osservate le norme stabilite per l’acquisto dell’olio. Venga fatta entro tre mesi una lanterna infissa in un bastone e un ombrello da usare quando si porta la Sacra Ostia a un malato.
Entro un mese si confezioni un velo omerale di seta che il sacerdote deve usare. Entro tre ci siano le balaustre e le relative tovaglie da stendervi che si usano per dare la Comunione. La sacra Eucarestia non si porti mai in processione in un calice ma entro quattro mesi si provveda un ostensorio a forma di tabernacolo con campana di vetro almeno di rame dorato per portare in processione la sacra Ostia.
Ogni domenica e nelle feste il parroco insegni la dottrina cristiana al popolo, pena la multa di due monete d’oro, ogniqualvolta l’avrà tralasciata. Negli stessi giorni il parroco spieghi il Vangelo o almeno una parte del catechismo romano in lingua corrente o legga un’altra omelia approvata dal vescovo. Entro quattro mesi il battistero sia reso conforme ai decreti conciliari. I vasi sacri che servono per trasporto dalla cattedrale o da una chiesa arcipretura i sacri oli o l’acqua battesimale non siano di vetro ne di terracotta ma di stagno secondo i decreti. Entro due mesi sia preparato un armadio per conservare i sacri paramenti. Si abbiano almeno due veli di seta in uso per il calice e due sacchetti di seta e nello stesso tempo (due mesi ) ci siano due borse per i corporali. Entro tre mesi si dipinga l’immagine della beata Vergine sopra la porta della chiesa. Entro un anno ci siano tutte pianete che servono per la celebrazione della messa secondo il tempo liturgico, se sarà possibile per le risorse della chiesa secondo il giudizio del Reverendissimo Vescovo dato che a noi non è stata fornita notizia certa riguardo i beni della chiesa. Entro due mesi ci siano la cotta e la veste talare che deve vestire il Chierico quando serve la messa. Il cimitero , secondo i decreti, va chiuso per non lasciarlo aperto alla bestie. Si ponga in esecuzione tutto quello che riguarda l’amministrazione dei sacramenti, la recita dei divini ufficio, la pietà, secondo i decreti tridentini. Al decoro della chiesa e ai paramenti, che veste il sacerdote per la celebrazione della messa, il Reverendissimo vescovo che conosce di più le risorse di questa chiesa , provveda per suo buon cuore o con i proventi della chiesa .
Note in margine al testo di Castelli
Il catechismo romano
La statua di San Carlo di Riana (fig.98)raffigura il santo con un gran libro in mano: è il Catechismo romano .Nel decreto conclusivo del Concilio ( 4 dicembre 1563) i Padri conciliari mettono in rilievo un’ultima volta la necessità di questa compilazione e, inviando al Papa il materiale già raccolto, ne affidano alla santa sede l’attuazione. La preoccupazione del Concilio per un catechismo ecclesiastico, teologicamente preciso e in funzione pastorale, era più che motivata. L’ignoranza dei fedeli, e non solo nelle campagne , era spaventosa e la predicazione era inferiore alle necessità. In queste condizioni era logico che l’eresia si fosse diffusa rapidamente e minacciasse di espandersi ancor più. Il testo accenna a questa situazione e all’intensa campagna libellistica condotta dai riformatori a danno dei fedeli . L’invenzione della stampa era stata abilmente sfruttata dai riformatori protestanti per la diffusione delle loro idee. L’attività della Riforma sul terreno catechistico produsse una notevole reazione in campo cattolico anche prima del Concilio di Trento. La Chiesa da sempre aveva una coscienza catechistica. Dalla catechesi apostolica alla Didaché, dal Didaskaleion alle catechesi di San Cirillo di Gerusalemme , dall’Oratio catechetica magna di San Gregorio di Nissa al De catechizandis rudibus di Sant’Agostino, dall’organizzazione ecclesiastico-liturgica del catecumenato per il battesimo alla Diputatio puerorum attribuita ad Alcuino, che segna in certo modo il passaggio della catechesi battesimale per adulti alla istruzione catechistica propriamente detta postbattesimale, la Chiesa aveva avuto la coscienza della necessità della catechesi inventando a volta delle metodologie nuove .
La Chiesa è catechistica in senso essenziale, proprio nel significato etimologico (catecheo = far eco, risuonare)di essere nei secoli l’eco, l’altoparlante della Rivelazione. Furono, quindi, la chiara coscienza dei compiti della Chiesa , l’urgenza di un impegno di difesa di fronte all’errore ed esigenze interne di metodo, che suggerirono ai Padri riuniti a Trento l’idea del Catechismo del Concilio. Pio IV nominò una commissione, il lavoro venne pubblicato nel 1566 : è un catechismo pensato in funzione pastorale dalla organizzazione di tutto il materiale attorno al crristocentrismo, dalla metodologia tutta innervata da cima a fondo di documentazione positiva e logica.
"In primo luogo bisognerà sempre ricordare che tutta la scienza del cristiano o, come ha detto Cristo, la stessa vita eterna consiste in questo: Che conoscano te, l’unico vero Dio e colui che hai mandato, Gesù Cristo (Gv 17, 3). Quindi ogni insegnamento della Chiesa tende a generare nelle anime il desiderio vivo della conoscenza di Gesù Cristo crocefisso (1 Cor 2, 2), a persuadere con certezza e con intimo senso di religiosa pietà nel cuore che non c’è sotto il cielo altro nome dato agli uomini nel quale possiamo salvarci (At 4, 12) , essendo Egli solo vittima di espiazione per i nostri peccati . (1Gv 2, 2).
Secondo rilievo. Da questo sappiamo d’averlo conosciuto: se osserviamo i suoi comandamenti (1Gv 2, 3). Da ciò deriva che il cristiano non può vegetare nell’ozio e nell’inerzia, ma deve comportarsi come Lui si è comportato (1 Gv 2, 6) seguendone con tutto il possibile amore la giustizia , la pietà, la fede, la carità, la dolcezza (cfr. 1Tm 6, 14). Cristo infatti diede se stesso per noi, per redimerci da ogni colpa, per fare di noi un popolo puro che gli appartenga , zelante nelle opere buone ( Tt 2, 14). E’ ciò appunto che san Paolo comanda di insegnare e di raccomandare.
Ancora: Gesù Cristo non soltanto ha insegnato, ma ha confermato con il suo esempio personale che la Legge e i Profeti dipendono dall’amore (cfr. Mt 22, 40). A sua volta, San Paolo rileva che la carità costituisce il fine dei comandamenti e in essa sta la pienezza della Legge ( cfr. Rm 13, 8 ). Questo dunque sarà - e nessuno ne può dubitare - il compito essenziale cui attendere con ogni impegno: suscitare in noi l’amore verso la bontà immensa di Dio, così che, accesi dal divino ardore, siamo attratti a quel sommo e perfettissimo Bene nell’aderire al quale sta la vera e sicura felicità. Lo sa per intima esperienza colui che, con il Profeta, può chiedersi : Chi altri avrò per me in cielo? Fuori di te nulla bramo sulla terra ( Sl 72, 25).
E’ questa la via aurea additata da San Paolo, quando alla carità che non avrà mai fine (1Cor 13, 8) orientò tutta la sostanza del suo insegnamento e del suo apostolato: Sia infatti che si espongono le verità della fede o i motivi della speranza o i doveri dell’attività morale, sempre e in tutto va dato rilievo all’amore di Nostro Signore, così da far comprendere che ogni esercizio di perfetta virtù cristiana non può scaturire se non dall’amore, come nell’amore ha il suo ultimo fine " (29).
Cenni sulla definizione delle verità
Il concilio di Trento approfondì e definì la verità rivelata per arginare il disordine dottrinale portato dalla Riforma protestante. Prima compie una esposizione ordinata del dato rivelato, poi, alla fine , offre sempre in poche righe il riassunto spesso in chiave antieretica. Il concilio, inoltre come abbiamo detto, prenderà delle decisioni che segneranno tutta la storia della chiesa e influiranno sulla religiosità popolare e religione di questa parrocchie . Le visite pastorali dei vescovi prendevano decisioni in merito ordinando di uniformarsi ai dettami del concilio.
Sulla sacra Scrittura e Tradizione
"il Santo Concilio, seguendo l’esempio dei Padri della retta fede , riceve e venera con lo stesso senso di pietà e lo stesso rispetto tutti i libri, tanto dell’Antico quanto del Nuovo Testamento, poiché Dio è l’unico autore dell’uno e dell’altro, così come le tradizioni concernenti sia la fede, sia i costumi, come provenienti dalla bocca stessa di Cristo o dettate dallo Spirito Santo e conservate nella Chiesa cattolica mediante una successione continua ".
La dottrina cattolica sulla divina Rivelazione verrà poi approfondita nel Concilio Vaticano II: intanto il concilio tridentino ha riaffermato il valore di pari dignità di tutti i libri della Sacra Scrittura sia le Scritture ebraiche che quelle cristiane. Ha definito in modo chiaro il canone dei libri sacri. Ha accettato anche i così detti libri deuterocanonici. Questo fu un ulteriore elemento di divisione coi protestanti per i quali sono solo libri edificanti ma non parola di Dio.
Non troviamo nelle nostre chiesa particolari segni che mettono in rialto la celebrazione della Parola. I fedeli continuavano a non capire: non potevano ascoltarla in lingua corrente. Continuavano a dipendere dalla spiegazione che ne dava il sacerdote che ora doveva comunque fare suo malgrado.
La spiritualità dei cattolici ha risentito molto di questo perché non potendo adire al tesoro della Parola si diresse ancor più decisamente ad una spiritualità fatta solo di devozione e non di meditazione.
Per tutto questo non si è prodotto nulla di rilievo che riguarda la Parola. Qualcosa di simile al pergamo di Cassio Parmense capolavoro degli scalpellini del posto qui non si trova in nessuna delle chiese.
A Rigoso c’è, come già detto, un leggio da altare datato del 1666 in legno finemente lavorato(fig.99).
Sulla giustificazione
"Se qualcuno dice che l’uomo può essere giustificato davanti a Dio con le proprie opere, realizzate sia con le forze naturali sia con l’insegnamento della Legge senza la grazia divina che viene da Gesù Cristo, sia scomunicato. Se qualcuno dice che il libero arbitrio (la libertà) dell’uomo, allorché Dio lo pone e lo spinge, non coopera per nulla, nell’acconsentire a Dio che lo spinge e lo chiama perché si disponga a ottenere la grazia della giustificazione, e che egli non può, se vuole, rifiutare il proprio consenso ma che, come un essere inanimato, egli non può assolutamente far nulla e rimane puramente passivo, sia scomunicato".
L’uomo delle Corti del passato non era ammalato di pelagianesimo: era troppo convinto che la salvezza dipende dal fare la volontà di Dio e che senza l’aiuto di Dio non possiamo far nulla di buono anche se siamo liberi.
Sui sacramenti
"Se qualcuno dice che i sacramenti della nuova legge non sono stati istituiti tutti da Gesù Cristo; o che ve ne sono più o meno di sette o che uno dei sette non è veramente e propriamente parlando un sacramento, sia scomunicato".
La Chiesa in questa occasione dichiara il potere di santificare ma questo potere è venuto da Cristo stesso. I setti sacramenti sono azioni di Cristo e della Chiesa . In questa occasione definisce anche il loro numero. La Chiesa è consapevole di essere strumento in mano di Cristo per aiutare gli uomini a incontrarsi con la salvezza che solo Cristo ci ha meritato.
Sull’Eucarestia
"Se qualcuno nega che nel Santissimo Sacramento dell’eucarestia siano contenuti veramente, realmente e sostanzialmente il corpo e il sangue congiuntamente con l’anima e la divinità di Nostro Signore Gesù Cristo tutt’intorno, ma dice che essi vi sono solo in segno o in figura o con la loro potenza, sia scomunicato ".
La presenza reale di Cristo è vista nel pane e vino consacrati. Di qui verrà tutta la devozione e l’adorazione alla Eucarestia. Le confraternite con il loro enorme potere diffonderanno il vero culto all’Eucarestia.
Sulla messa
" Se qualcuno dice che il rito della Chiesa romana, dove si pronuncia a voce bassa una parte del canone e le parole della consacrazione, deve essere condannata ; o che la messa deve essere celebrata solo in lingua volgare, sia scomunicato ".
Il concilio mette in rilevo il valore sacrificale del sacrificio di Cristo che offre se stesso. Il sacerdote agisce in persona Christi. L’altare è ara sacrificale più che banchetto pasquale. Per questo gli altari non sono rivolti verso il popolo e le parole della consacrazione vengono dette sommessamente. Il fedele più che capire doveva assistere pregando e con devozione. Tutto questo era veri ma non sufficiente per formare dei veri cattolici. Quando arriverà l’impatto del pensiero illuministico i fedeli saranno trovati impreparati.
Sul sacerdozio
"Se qualcuno dice che non si ha , nel Nuovo Testamento, un sacerdozio visibile ed esteriore, o che non si ha potere di consacrare, di offrire il vero corpo e vero sangue del signore e di rimettere o di ritenere i peccati, ma semplicemente una funzione e un semplice ministero della predicazione del Vangelo; o che quanti non predicano non sono più sacerdoti, sia scomunicato".
L’autorità dei sacerdoti fino al Concilio Vaticano II nelle Corti era molto grande, la loro parola era considerata sempre Vangelo sia in chiesa che fuori; erano profondamente convinti della insostituibilità del prete. Tra l’altro anche tanti giovani passavano un periodo in Seminario a Parma. Per molti rappresentava l’unica possibilità per studiare e fare un piccolo passo avanti nella scala sociale dove solo i signori contavano. Bisogna riconoscere che il Seminario ha svolto nel passato un ruolo sociale non indifferente per le zone di montagna.
Il Concilio di Trento ha puntato molto sulla formazione dei sacerdoti perché era convinto che senza un clero ben formato su quelle direttive la riforma cattolica non sarebbe passata e probabilmente si metteva a rischio la stessa permanenza di molti nella Chiesa .
Sulla fondazione dei Seminari
" I giovani, se non sono ben educati, si lasciano facilmente condurre verso i piaceri del mondo. Così, a meno d’essere formati alla pietà e alla religione , dalla più tenera età, in cui le abitudini viziose non hanno ancor preso possesso interamente degli uomini, è loro impossibile, senza una protezione molto grande e tutta particolare di Dio Onnipotente, di perseverare in modo perfetto nella disciplina ecclesiastica . Il Santo Concilio ordina dunque che tutte le chiese cattedrali, metropolitane e altre, superiore a queste, ciascuna a seconda dei propri mezzi e l’estensione della propria diocesi, siano tenute e obbligate a nutrire e allevare nella pietà e formare alla disciplina ecclesiastica un certo numero di ragazzi della città stessa o della diocesi, o, se non sono abbastanza numerosi, della provincia , in collegio che il vescovo sceglierà a questo scopo vicino alle chiese o in altro luogo conveniente".
Senza seminari la chiesa non sarebbe stata in grado di affrontare la sfida del mondo moderno. Le teorie contrarie alla fede cattolica e i vari ostacoli che il mondo moderno andava proponendo alla Chiesa potevano essere affrontati , solo con una cultura equivalente.
Oltre l’aspetto culturale c’era la necessità di formare spiritualmente degli uomini che potessero lottare contro le ingiustizie. Il seminario con tutti suoi educatori deve portare un giovane a dire con fede: "Non sono più io che vivo ma Cristo vive in me"(2 Cor).
Sul matrimonio
"Quanti intraprenderanno il contrarre matrimonio altrimenti che in presenza del parroco o di qualche altro sacerdote autorizzato dal parroco o dall’Ordinario, e davanti a due o tre testimoni ; costoro, il Santo Concilio rende assolutamente inabili a trattare la questione e dichiara che tali contratti sono nulli e invalidi"
Il Concilio si preoccupa che il sacramento si celebri validamente: erano ormai in atto allora fenomeni di emigrazione, di spostamenti della popolazione: bisognava avere la certezza che il matrimonio come contratto fosse valido e che non ci fossero casi di persone che avessero già contratto altri matrimoni. Di qui la necessità di scrivere l’atto. Anche i nostri libri incominciano a scrivere i vari atti nel XVII anche perché le chiese delle Corti ( nella maggior parte )diventarono parrocchie in quell’epoca. Il primo è quello di Casarola che inizia nel 1604.
Nella Visitatio civitatis Parmae di Castelli si dice a proposito della Pieve di San Vincenzo che " il parroco vada dal vicario per far conoscere il caso di due sposati in grado proibito in modo che il vescovo ispettore possa giudicare ".
In altre parole il Concilio si preoccupa del matrimonio più dalla parte di Dio che dalla parte dell’uomo. Questo significa che la verità stessa per essere annunciata ha bisogno di un’antropologia di supporto che colga almeno le istanze culturali in cui l’uomo deve vivere la fede.
Le indulgenze
Il CIC (can. 992) definisce così le indulgenze. "L’indulgenza è la remissione dinanzi a Dio della pena temporale per i peccati, già rimessi quanto alla colpa, che il fedele, debitamente disposto e a determinate condizioni, acquista per intervento della Chiesa, la quale come ministra della Redenzione, dispensa e applica autoritativamente il tesoro delle opere meritorie di Cristo e dei santi".
" Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi " (Gv 20, 22-23 )
Gesù ha affidato alla sua Chiesa il compito di dare il perdono del Padre a tutti coloro che sono sinceramente pentiti. Tutti i peccati saranno perdonato eccetto quelli contro lo Spirito Santo in quanto questi mettono le persone nell’impossibilità di pentirsi e, dunque, di essere perdonati. Attraverso l’opera della Chiesa Dio elargisce nel mondo la sua opera di misericordia in modo particolare attraverso il sacramento della riconciliazione e attraverso le indulgenze. Fin dai primordi della sua storia è sempre stata profondamente convinta che il perdono, concesso gratuitamente da Dio, implica come conseguenza un reale cambiamento di vita, un rinnovamento della propria esistenza per eliminare il male interiore. L’atto sacramentale suppone, dunque, un cambiamento esistenziale, una purificazione della colpa, la penitenza. Questa è l’atteggiamento decisivo dopo naturalmente la volontà di Dio che vuole che tutti siano salvi e riconciliati. L’atto sacramentale del perdono ci dice che viene accolto il sincero pentimento e la decisione di cambiare vita. Il perdono di Dio, secondo la dottrina cattolica duramente contestata dai Protestanti, non esclude le conseguenze dei peccati dalle quali è pure necessario purificarsi. Il peccato, se grave, rompe la comunione con Dio e ,quindi, l’esclusione dalla vita eterna. Nessuno può giudicare quando è grave in quanto la coscienza è nota solo al singolo e a Dio.
Il peccato grave o leggero provoca un attaccamento malsano alle creature che ha bisogno di purificazione sia quando la persona ha ancora tempo sia quando il tempo non ci sarà più (il Purgatorio). I fedeli delle Corti fanno celebrare tante messe per i loro defunti perché consapevoli che il cammino della vita pur costellato dalla misericordia divina è pure segnato da continue ricadute nella colpa che portano con sé una pena da espiare sia in questa vita che dopo la morte.
Con l’indulgenza al peccatore pentito è condonata la pena temporale per i peccati già rimessi quanto alla colpa. La Chiesa di questo millennio ha fatto abbondantemente uso delle indulgenze parziali o plenarie ma il modo richiesto per acquistarle ha suscitato perplessità e contestazioni: ha suscitato poi un moto di ribellione che ha portato la frattura più grave della cristianità. La predicazione delle indulgenze per la costruzione della Basilica di San Pietro aveva, diremmo oggi, aveva più dello spot pubblicitario che esortazioni alla penitenza e alla conversione. Anche il recente documento papale in vista dell’indulgenza plenaria del Giubileo ha suscitato contestazioni nel mondo protestante. Dio interviene con la sua misericordia liberando il peccatore pentito dalle conseguenze negative o dai residui di ogni peccato, aiutandolo a vivere nell’amore e non nel disordine del male. Questa possibilità è offerta a coloro che compiono un’opera penitenziale della Chiesa che è una comunione di vita con Dio e con gli uomini, elevando a Dio la sua efficace intercessione per il vincolo che unisce tutti a Cristo. In forza della Comunione dei santi che vige tra tutti i credenti, ci si può appellare alla misericordia di Dio perché egli venga in soccorso anche alle persone defunte, non ancora giunte alla gloria.
La verità che sta alla base è il Corpo mistico di Cristo e il legame di solidarietà spirituale profonda che lega il Capo (Cristo) alle sue membra(noi). Siamo così pure in profonda comunione con tutti coloro che hanno meritato per la salvezza("la veste di lino sono le opere giuste dei santi" Ap 19, 8).E’ il tesoro della Chiesa. Pregare per ottenere l’indulgenza significa entrare in questa comunione spirituale e aprirsi totalmente all’altro, entrare in unione con gli altri. Alle nostre debolezze e mancanze suppliscono i meriti di Cristo e della Chiesa tutta .
Il dono dell’indulgenza presuppone un profondo cammino penitenziale, una vera conversione interiore del cuore, che si esplicita nel sacramento della penitenza e che si completa con la partecipazione alla mensa eucaristica. Essa giunge pertanto al termine come gesto di somma misericordia di Dio per la mediazione della Chiesa.
Fede e arte nelle chiese dopo il Concilio di Trento
Dopo aver dato le conclusioni del Sacro Concilio di Trento sui sacramenti, vediamo quali testimonianze l’arte e la fede ci hanno lasciato nelle nostre chiese.
I battisteri
Il battesimo è il sacramento di ingresso nella comunità , santifica l’inizio della vita di una persona e lo dichiara pubblicamente figlio di Dio. Con particolare onore e abbellimenti le nostre chiese hanno circondato il fonte battesimale
Fonte battesimale di Pianadetto . E’ il più antico e risale all’epoca stessa del Concilio di Trento. L’iscrizione incisa sulla colonna ne attesta l’esecuzione nel 1544. EX CO SORT O MDL IIII cioè fatto con il concorso degli abitanti di Pianadetto e Valditacca che costituivano fino dal 1660 una sola parrocchia. E’ un fonte battesimale in arenaria costituito da una base ottagonale ,sormontata da un plinto, da una colonna e da una conca. E’ di fine lavorazione. (fig.101 )
Fonte battesimale di Valditacca. Presenta una tipologia caratteristica dell’antico territorio delle Corti con struttura in pietra battuta o fittamente lavorata a zigrino costituita da due dadi sovrapposti(destinati ad accogliere il sacrarium, in basso, e la vaschetta lustrale in alto), delimitati da una cornice sobria modestamente aggettante e conclusi da una trabeazione decorata da motivi a rosette a più petali, sormontata da una cornice modanata su cui in origine, si innestava un elemento cuspidato ottagonale perduto. E’ della seconda metà del sec. XVII (Fig.102). Della stessa epoca la pila dell’acqua santa(fig.103)
Il più bello e completo è quello di Casarola che risale alla stessa epoca. Il lapicida sembra essere quello stesso che creerà il capolavoro nell’altare di Pianadetto. E’ datato 16.5, con i gigli farnesiani, conservante ancora la vaschetta lustrale originaria.
E’ collocato sul lato sinistro appena entrati e sono visibili solo due lati .Tutta la struttura si presenta come un grosso contenitore a forma di parallelepipedo, in pietra arenaria, scolpito a bassorilievo , con motivi geometrici semplici come fiori stilizzati e losanghe inseriti in cornici perimetrali sui due prospetti. Il volume è diviso in due parti uguali da una cornice che corrisponde al piano di posa interno che contiene una vasca battesimale in pietra. La parte inferiore, con una piccola apertura rettangolare e porticina in legno su ciascun lato è destinata a sacrario.
Quella superiore è analoga a quella inferiore munita anch’essa di due apertura con sportelli lignei. All’interno troviamo una vasca monolitica di forma ellittica divisa da una paratia. Una parte contiene l’acqua benedetta e l’altra è vuota con un foro di scarico. Quando avveniva il battesimo si aprivano le due porticine: da una parte il sacerdote e dall’altra veniva immessa la testa del battezzando sopra la metà vuota della vasca. L’acqua versata finiva nel sacrario.
La vasca monolitica è scolpita ad alto rilievo con due putti alati visibili frontalmente dalle due aperture. Questi putti sono simili a quelli che possiamo ammirare nelle cornici esterne.
Sulla sommità del volume , è posto un cappello in cui domina la linea curva per simboleggiare in modo stilizzato, forse il movimento tumultuoso dell’acqua che cresce o lo zampillo dell’acqua sorgiva che esce da una fonte, in questo caso battesimale. Sulla sommità dello zampillo di acqua per la vita eterna è posto un volume sferico per chiudere tutta la composizione che potrebbe simboleggiare i doni ricevuti nel battesimo o i fritti dello Spirito che il credente produrrà nella vita.
Questo cappello è di pregevole bellezza per l’eleganza delle proporzioni rispetto alla parte sottostante e per l’uso sapiente della linea curva, fantasia nella stilizzazione dei motivi prodotti.
Sulle cornici larghe che riquadrano i prospetti, sono scolpiti negli angoli dei gigli, simbolo della famiglia dei Farnese. In un punto della cornice è scolpita la data dell’esecuzione del manufatto parzialmente cancellata nel terzo numero(16.5). Conoscendo per certa l’anno della morte del vescovo Farnese Ferdinando nel 1606 possiamo supporre che l’anno sia il 1605.
L’opera, si può supporre, data l’affinità con l’altare di Pianadetto, sia sta eseguita dalla stessa famiglia di lapicidi, i Battaglioli
(Fig.104 )
All’ultimo quarto del XVII secolo appartiene la cuspide e la trabeazione del fonte battesimale di Riana . Porta scritta NISI QUIS RENATUS FURIT EX AQUA ET SPI. TUS . E’ riccamente decorato: foglie d’acanto spinose, grappoli d’uva, altri frutti ,la trabeazione è ornata da festoni di frutta raccordati da una testina di cherubo alato. La ricchezza di frutti sono senz’altro il simbolo dei doni del battesimo (fig.105). Penso non sia sbagliato supporre che la collocazione dell’opera denoti che fin lì arrivava l’antica chiesetta.
La pietra collocata sotto l’altare di San Michele a Monchio , reca la stessa scritta della cuspide del battistero di Riana. E’ probabile che il battistero di Monchio sia stato fatto con gli stessi moduli artistici impiegati negli altri .
Fonte battesimale di Trefiumi è documentato dal 1628, una pila da tenere il battesimo .Menzionata nell’Inventario dei bene mobili te immobili della Chiesa di S : Lorenzo della Villa di Trefiumi. Stilato da don Pietro Penelli
Ultimo arrivato ed è bello, quello della chiesa di Rigoso. Nel 1955 i coniugi Grassi, che da tempo avevano in mente di fare un’offerta alla chiesa, si offrono di rifare il fonte battesimale. Don Giovanni Lottici va a Carrara per ordinare il nuovo fonte e si innamora di un modello costoso. Non osa chiedere a Bonfiglio Grassi un’ulteriore offerta, ne parla col commendatore Alfredo Manzo che mette a disposizione la somma occorrente. Il commendatore , imprenditore edile di Torino, era in paese per la costruzione degli impianti radar nella postazione NATO al Lagastrello .
Il battistero attuale di Monchio è decorato da un pregevole quadro raffigurante il battesimo di Gesù da Attribuire a Pier Antonio Bernabei dopo il 1602, quando fu fondato a Parma il beneficio di San Giovanni Evangelista Rappresenta Gesù che in atteggiamento di umiltà riceve il battesimo da Giovanni Battista nel fiume Giordano. Vicino a Gesù sta un angelo, vicino a Giovanni Battista un’altra figura. La scena è rappresentata come un dramma nella lotta di luci e ombre: nel battesimo si consuma la lotta tra il bene e il male. Il battesimo è immersione in Cristo ( l’acqua viva ) per risorgere a vita nuova.(fig.106 )
I fedeli che entrano in chiesa trovano in genere l’acquasanta consacrata nella notte di Pasqua che ricorda il loro battesimo. Il segno di croce che subito dopo viene compiuto ricorda i due misteri principali della fede: unità e Trinità di Dio e incarnazione passione morte e risurrezione del Figlio di Dio. Per questo anche le pile dell’acqua santa venivano finemente lavorate: da quell’acqua il cristiano è rinato a figlio di Dio. L’acquasantiera di Monchio, in marmo carrarese bianco chiaro, è del 1684. Manifesta un sobrio ma elegante linearismo, secondo una tipologia decorativa largamente diffusa nel territorio delle corti in tutto il XVII secolo e nel successivo( esempi simili : il battistero di Trefiumi, la pila dell’acqua santa di Valditacca)
I Battisteri stanno lì come muti testimoni a raccontare la fede del popolo di Dio delle Corti. Fin dai primi passi della vita il Signore ci prende per mano e ci fa suoi figli, membri della Chiesa. E’ l’inizio di tutto. Nel libro viene segnato il battesimo e poi tutte le altre notizie della vita sacramentale del credente. Il battesimo è la nuova nascita che permette di entrare nel Regno di Dio. Ecco perché anche nella povertà dei tempi passati si cercava di abbellire quel luogo, porta di ingresso della salvezza .
Mobili da sagrestia e paramenti sacri
I divini misteri che vengono celebrati nelle chiese esigono una grande proprietà negli abiti. Immagino che gente molto povera e mal vestita quando si trovava in chiesa per i sacri riti provava grande gioia nel vedere il decoro degli abiti sacri e le celebrazioni fatte con compostezza e solennità
Il concilio aveva stabilito che in ogni sagrestia ci fossero armadi capienti e decorosi per conservare tutti i paramenti.
A Monchio rimane ancora una alzata di credenza in legno di noce intagliato, a due battenti e quattro cassetti, definiti lateralmente da slanciate paraste corinzie, con pannelli arricchiti da rosone a foglie. Proviene dalla bottega di Antonio (1607 - 1678) e Francesco Domenico (1642 - 1714) Ceccati (Striano di Cerneto, Re). La credenza sottostante è andata perduta. Possiamo supporre che era di fattura simile a quella della sagrestia di Casarola .(fig.96)
Gli altari
Gli altari hanno subito in questi ultimi anni , dopo il concilio, una vera bufera devastatrice naturalmente con lo scopo di adeguarli alla nuova liturgia. Alcuni di essi sopravvissuti conservano intatto il fascino anche se sono stati creati con l’uso di materiali poveri.
Altare maggiore di Pianadetto .Del secolo XVIII, è un altare in arenaria elegante e fine nella complessa decorazione. Ha un basamento a cornici di foglie d’acanto, condotte per partiture larghe e sottili desinenti in volute in cui si innestano, in corrispondenza della fronte, deliziosi volti di cherubini a tutto tondo. Al centro una grande cartella, profilata da volute affrontate, reca il simbolo bernardiniano e i simboli della Passione entro una gloria di cherubini a bassorilievo; i pilastrini di sostegno della mensa sono ornati, in corrispondenza dell’innesto da cariatidi ad alto rilievo, dalle complesse acconciature. La tradizione lo fa risalire alla bottega dei Battaglioli, lapicidi locali. Esempio di grande virtuosismo tecnico. Dolcissimi i volti e pieni di mistero il sorriso delle cariatidi.. Per fare quest’opera ci volle sicuramente molto tempo e grande ispirazione: la certezza che su quell’altare avveniva il mistero più grande della Redenzione ha portato alla creazione di un capolavoro. Lo sguardo attento viene a sua volta preso dalla potenza della fede e dalla bellezza dell’arte dell’insieme. Per gustarlo non bisogna aver fretta: ci si siede e si contempla. Le cariatidi e gli angeli sprigionano un’aria di mistero che infonde serenità e meditazione; l’autore non poteva solo vantare abilità ma sapeva trasmettere una notevole potenza creativa, considerato il materiale che doveva modellare(figg.108-109)
A Monchio si conserva una antichissima pietra d’altare che potrebbe appartenere alla prima chiesa. al centro porta l’impostazione per la pietra sacra. A tuttora non si sa quale uso sia possibile fare. Le pietre dell’altare avevano sempre al centro una pietra sacra contenente in origine le reliquie dei santi martiri (sembra che un tempo si celebrasse pure sulle tombe dei martiri). L’altare per i credenti è simbolo di Cristo, la roccia su cui va costruita la vita .
Tabernacoli
Il tabernacolo ha funzione di conservare in perpetuo la sacra Eucarestia per almeno due motivi: portare la comunione agli ammalati, permettere l’adorazione dei fedeli anche quando non c’è la celebrazione. Nel monchiese il tabernacolo diventa una reggia in miniatura che fa ricordare i capolavori architettonici dell’epoca.
Tabernacolo di Monchio. Il tabernacolo è della seconda metà del XVII probabilmente della bottega del Ceretti ( Casola di Montefiorino, Modena ). E’ in legno intagliato decorato e argentato, con struttura a tempietto caratterizzata da un basamento modanato, con cornice in rilevato aggetto, prospetto ad otto colonne corinzie con quattro edicole centinate sormontate da cartocci racchiudenti cartelle rettangolari; frontone a frontespizio arcuato con rilevate membrature, sormontate da una coppia di testine angeliche.(fig.110 )
Tabernacolo di Cozzanello. Da notare che dopo i recenti restauri, sono sparite vari oggetti della chiesa, compreso l’altare, rimane come oggetto erratico il tabernacolo, non più funzionante perché sostituito da uno più recente in pietra. Così descrive il Dall’Aglio " un altare con spalliera e tabernacolo in legno scolpito dipinto e dorato: ornati piatti e rosoncini spiccano sui due gradini dorati dell’altare. Nel tabernacolo scannellature azzurre e listelli dorati ornano le sei colonne di sostegno a capitello composito azzurro e oro. Lo sportello dorato su fondo azzurro è vegliato dalla mistica colomba e dalla testa d’angelo del soprastante timpano, lavoro del secolo XVI". Questo tabernacolo, di arte raffinatissima, rappresenta , in miniatura , una vera reggia per il re divino. L’opera dimostrava la consapevolezza per i credenti di allora che nulla più grande ci poteva essere sulla terra, così vicino alla più povera umanità.(fig.111 )
Tabernacolo di Casarola.
Il tabernacolo riproduce in modo accurato e completo un edificio che per le sue caratteristiche è assimilabile ad un tempio(cfr. il tempio che sta sullo sfondo dello sposalizio della Madonna di Raffaello che nel ricordo dei pellegrini della terra santa era l’immagine della moschea di Omar costruita sulle rovine dell’antico tempio israelita),con elementi desunti da stili di varie epoche antiche. Ci sono elementi caratteristici dell’arte greca nel volume inferiore, che comprende due coppie di colonne in stile corinzio con capitelli a foglie di acanto poste su due basi, complete di cornici e zoccolature e una architrave soprastante le colonne. Sopra a questa è posta una fascia decorata (fregio) con motivi vegetali semplici che richiamano vagamente l’arte romana.
La porticina del tabernacolo è simile una finestra in stile tardo manierista o secentesca con archetti a sesto ribassato sopra l’architrave con testa di angelo al centro. Di fianco agli stipiti ci sono altri elementi decorativi in cui si nota l’uso della linea curva e di motivi caratteristici del periodo barocco.
La parte alta presenta due tamburi degradanti costituiti da due prismi retti a base ottagonale, di cui quello in basso più slanciato presenta sulle facce degli ellissi che richiamano a dei vuoti finestra. Quello soprastante , invece, riceve una cupola a base ottagonale. Quest’ultima parte presenta uno stile che ritroviamo nei templi cinquecenteschi a pianta centrale. Il tabernacolo - tempio è perfettamente simmetrico e ben proporzionato nelle parti che lo costituiscono e la sua realizzazione probabilmente risale nella prima metà del ‘600.(fig.112 )
Altro tabernacolo in legno ma molto più semplice è quello di Ceda (fig.113)
Il tabernacolo di Riana(fig.114) era posto originariamente sull’altare maggiore, ora coi gradini dell’altare stesso all’altare di San Giuseppe per formare la cappella del Santissimo Sacramento. Risale al secolo XVII. Il gradino d’altare si presenta a doppio ripiano rialzato su zoccolo modanato, con specchiature ornate da una trama di sinuose e aggettanti volute nitidamente segnate da profilature ed arricchite da fogliette e motivi floreali. Il tabernacolo, a frontale architettonico, ha il prospetto caratterizzato da una doppia coppia di colonnine tortili, rialzate su un alto toro ornato con pendoni vegetali e nastri, e concluse da capitelli corinzi su cui si imposta la trabeazione a cornicette modanate a più risalti. Lo sportello è sagomato con motivo ornamentale di spighe entro cartouches.
La struttura mossa e slanciata, e la decorazione esuberante nell’arioso comporsi di elementi vegetali plasticamente definiti qualificano la composizione in senso squisitamente rococò.(16)
Di diverso stile e valore è quello di Valditacca (fig.115) appartenente al precedente altare maggiore e incastonato nell’attuale altare di destra. L’attuale tabernacolo sostituì con probabilità un tabernacolo antico definito scadente fin dagli anni 1843 dagli inventari. E’ della fine del secolo XIX. Si presenta a forma di tempietto in legno di noce intagliato e dorato, con basamento a cornici modanate; il prospetto è a lesene capitellate ed ornate da stilizzati motivi a foglie di acanto, che si ripetono nella cornice aggettante della trabeazione e in quella del frontone semicircolare, che reca al centro il monogramma bernardiniano. Lo sportello è centinato con il simbolo eucaristico scolpito a mezzo rilievo su fondo a motivi puntinati dall’andamento marcatamente serpeggiante.(16)
Balaustre
Con il concilio Vaticano II sono stati tolte dalle chiese le balaustre che separavano il presbiterio dal resto dell’assemblea. Nelle Corti sono rimaste a Lugagnano, Rigoso. La loro origine è da ricercare nelle norme del tridentino: Castelli nella sua visita a Casarola dice : " Scabella lignea oblonga, quae usui Sacrae Communionis sint et mappae ad ea tunc sternenda trium mensium spatio habeantur ". La stessa cosa viene raccomandata in tutte le chiese delle Corti. Vicino all’epoca di Castelli sono le balaustre di Casarola; vi è stato provveduto compiendo un’opera degna della chiesa. Le balaustre in pietra arenaria lavorate con arte e abilità dagli stessi scalpellini artisti che producevano il battistero. Dopo la riforma del concilio Vaticano II vennero ignominiosamente tolte e ammucchiate nella stanza attigua alla chiesa che serviva per passaggio degli uomini quando venivano a messa. Attualmente è in atto un ripensamento per farne un uso decoroso. Le due colonne centrali portano la scritta :A DOM 1612 MEN. IVN F.D. EX DEV. SOSS. S.F.F. C. Sono un unico masso in cui il lapicida ha ricavato da una parte due colonne unite e dall’altra ha solo battuto e zigrinato la pietra. Due colonne sono finite sotto l’altare in pietra che è stato eretto nel 1998 per avere un altare stabile rivolto verso il popolo(fig.95).
Perché la balaustra ? I fedeli anziani ricordano che si accostavano all’Eucarestia digiuni dalla mezzanotte, si mettevano in ginocchio alle balaustre quando ricevevano la comunione. Era un atto di adorazione rivolto a Gesù Figlio di Dio. Il rapporto del fedele con Cristo era basato sulla fede adorante: la spiritualità moderna cristocentrica ha riavvicinato Cristo alle folle con un atteggiamento di fede umile ma anche più immediata e più piena di confidenza.
Argenteria
Il desiderio di esprimere tutto l’onore a Cristo Signore e re dell’universo portò poco alla volta, sviluppandosi condizioni economiche migliori., a dotare le chiese di oggetti sacri in metallo pregiato come l’oro e l’argento. Portiamo come esempio di artistiche e preziose argenterie quelle di Riana e di Monchio che risalgono tutte al ‘700. La croce d’altare di Riana è in lamina d’argento su un supporto di legno .E’ sbalzata e cesellata. Della stessa epoca e oprati finemente un calice, una pisside, un ostensorio.(fig.116)
Sbalzati, cesellati, lavorati con gusto e finezza anche gli oggetti d’argento di Monchio: l’ostensorio, il calice, la navicella, il turibolo.(fig.117)
I confessionali
Il concilio di Trento aveva voluto sottolineare l’importanza del sacramento della confessione soprattutto per ricevere bene la Santa Comunione. Era stata lasciata in ombra la dimensione biblica e comunitaria del sacramento. La creazione dei confessionali aveva lo scopo di favorire l’intimità e la riservatezza del penitente. I confessori studiavano la morale come casistica e dovevano essere ben preparati per conoscere le mancanze dei penitenti in modo da dare penitenze adeguate . Era valorizzata la funzione di confessore-giudice .
Il confessionale , pur austero, doveva mettere in risalto il mistero del perdono di Dio che avveniva in quell’angusto luogo. Ecco perché cercavano sempre la bellezza artistica.
Il Confessionale di Pianadetto è dei primi decenni del secolo XVII con linee sobrie e semplici. Della stessa epoca e medesimi canoni stilistici quello di Monchio, di Trefiumi, di Ceda, di Rimagna. Più elaborati sono il Confessionale di Valditacca, il Confessionale di Vecciatica, il Confessionale di Lugagnano. Quest’ultimo è stato maldestramente trasformato in sede del celebrante.
Quello di Valditacca (fig.116) è in legno di noce finemente intagliato, con struttura elegante e proporzionata, caratterizzata da slanciate colonnine a capitelli corinzi, percorse da tralci e grappoli d’uva, che sostengono una trabeazione, ornata da un fregio a foglie d’acanto raccordate da una testina angelica, con semitimpani profilati a dentelli e cartiglio centrale; la portella anteriore reca scolpito un caratteristico motivo a rosone toscaneggiante.
Il Confessionale , vicino per schema architettonico e struttura alle ancone dei due altari laterali, ripete modi di esecuzione e concezioni stilistiche e decorative del gusto del Ceretti, attivi soprattutto nell’Appennino parmense e reggiano. E’ del secolo XVII.(16)
Il confessionale dell’oratorio di Vecciatica(fig. 117) ha caratteristiche analoghe , ma più semplificate, a quello di Valditacca ed è fratello gemello di quello di Lugagnano(fig.118), per cui penso che prima fosse collocato nella stessa chiesa.
I campanili con le campane
Per chiamare i fedeli e solennizzare le liturgie si costruirono imponenti campanili che, come successe in quasi tutte le Corti, furono rifatti perché crollarono per l’ingiuria del tempo o l’incuria degli uomini o per terremoti. Abbiamo già dato la descrizione del campanile di Casarola in quanto si discosta dagli altri e in quanto presenta un enorme vantaggio cioè è distaccato dalla chiesa e quindi non crea problemi all’edificio della stessa come quasi tutti gli altri.
Le campane venivano in genere fuse sul posto. Tutte le nostre campane sono oprate con cura. Presentano immagini e iscrizioni con dediche come quelle di Ceda(figg.121; 219)
La campana aveva anche la funzione di scandire la giornata di lavoro, suonava l’Ave Maria al mattino, mezzogiorno e a sera. La giornata doveva chiudersi con la preghiera .
In questo secolo alcuni campanili furono dotati di orologio come a Lugagnano e Casarola.
A Pianadetto si conservano ancora in chiesa le tre campane fuse negli anni quaranta; recentemente col contributo di generosi donatori, è stato collocato un concerto di cinque campane(fig.29). Così commentava don Ferruccio Siliprandi sul giornalino della comunità.
A Pianadetto il giorno 22 dicembre alle ore 15,30 saranno benedette dal vescovo Benito Cocchi cinque nuove campane.
I commenti che si possono fare sono molti e non tutti positivi. Ne esprimiamo uno fra i tanti.
Tutto ciò che ci circonda, manda ad ognuno un messaggio che ha contenuti diversi e che ognuno accoglie secondo le sue condizioni e disposizioni d’animo.
Le campane mandano pure loro un messaggio: è la comunità che annuncia la propria presenza...E C’E’ PROPRIO !
Annuncia la gioia di una nascita
la gioia del fraterno banchetto eucaristico,
la gioia di una unione nel nome del Signore,
la gioia di una comunità che celebra l’incontro definitivo dei figli con l’eterno Padre,
la gioia delle solennità che si celebrano durante l’anno,
la gioia di una comunità che mattino e sera è chiamata a raccogliersi in serena preghiera.
Le campane con i loro rintocchi ci richiameranno la verità che il tempo e la vita, nonostante le apparenze, sono nelle mani dell’Onnipotente.
Chi vorrà sentire il loro suono con simpatia riceverà un segno di eternità, culmine della nostra esistenza.
Vale la pena di gioire della loro presenza e di ascoltare con amore il loro suono.
I santi del rinnovamento della chiesa
San Carlo
Carlo Borromeo, uno dei più grandi vescovi riformatori, è nato nel 1538 ad Arona , sulle rive del lago Maggiore . A soli 22 anni lo zio, papa Pio IV, lo chiama presso di sé per farne, secondo l’usanza del tempo un cardinale nipote. Dottore in giurisprudenza presso l’università di Pavia a sedici anni, cinque anni dopo, è il primo segretario di stato del papa , nel senso che diamo oggi a questo incarico. Ecco un record che ben difficilmente sarà battuto: l’età in cui Carlo riceve questa alta responsabilità. Uno dei primi compiti che gli spettano è di portare a termine le ultime sessioni del concilio di Trento. Egli ne sarà uno dei più prestigiosi esecutori. Riceve anche il titolo di arcivescovo di Milano. Alla morte dello zio papa, Carlo Borromeo raggiunge la sua diocesi. Vi realizzerà un impegno pastorale di primaria importanza.
Il giovane arcivescovo, munito di una solida esperienza, inizia l’attuazione del Concilio: indice numerosi sinodi diocesani che permettono di riformare il clero e di educarlo, mentre con la creazione dei Seminari istituisce delle fucine di giovani chierici formati con la più grande cura. Questo vescovo modello si conforma con intelligenza ai decreti sulla vita dei vescovi, promulgati dal Concilio. Visita personalmente la sua diocesi, molto estesa : nei suoi confini racchiudeva popolazioni lombarde, venete, svizzere, piemontesi e liguri. San Carlo predica e promuove intensamente istituzioni caritative. Questo infaticabile organizzatore ha un’anima di pastore: quando la peste scoppia e decima Milano, San Carlo offre subito la vita per i fratelli.
Con una autorità e una carità pari a quella di Sant’Ambrogio, Carlo Borromeo sarà un pastore attento alla disciplina e alla...santità. Ha predicato con l’esempio, si è preoccupato di una vera permanente formazione del clero. Ha lasciato delle istruzioni ai confessori che sono citate come un modello.
Questo grande vescovo diventerà l’ispiratore di tutti vescovi riformatori. La sua influenza sarà duratura, ed ancora sensibile ai nostri giorni. Carlo Borromeo muore tra il suo popolo nel 1584.(22)
Nell’abside era collocato nel passato una grande tela del santo: al suo posto sta ora la statua del santo (fig.98).
La chiesa possiede un dipinto di San Carlo del sec. XIX (fig.121). Il santo , effigiato in ginocchio, di profilo, in atteggiamento orante ai piedi del crocefisso, veste l’abito cardinalizio di color violetto, con mozzetta in tinta foderata in pelo bianco, e reca al collo la corda annodata. Alle sue spalle una finestra, schermata da una tenda riccamente panneggiata, lascia intravedere contadini al lavoro nella campagna.
In una lettera del 7 febbraio 1852 inviata al vicario generale della diocesi di Parma, il ministro di Grazia, Giustizia e Buongoverno comunica che è stato terminato un "picciol quadro rappresentante San Carlo Borromeo a mezza figura" commissionato nel passato dal duca Carlo III di Borbone al pittore Giuseppe Bissoli "per farne dono a qualche povera chiesa di campagna" e chiede venga indicata una chiesa della diocesi dedicata appunto a San Carlo che possa approfittare del "Regio donativo". In una successiva lettera del 20 marzo 1852 indirizzata al vescovo di Parma, il ministro informa che il sovrano ha concesso in dono alla parrocchia di Riana il sopraddetto quadro, al momento depositato presso l’Accademia delle Belle Arti di Parma (16)
Dal ‘600 la Chiesa di Riana si è affidata alla protezione di San Carlo e intende imitarne le virtù. Sulla volta della chiesa sono indicati i doni dello Spirito Santo e delle virtù che riempirono l’animo del santo vescovo. Sulla volta sono pure raffigurate scene della sua vita: la vita di preghiera e l’assistenza ai malati.(Fig.123 )
San Luigi
La giovinezza , un nome risonante, grandi speranze , l’Italia dei Medici e la corte di Spagna...Se mai un giovane sapeva quel che lasciava seguendo Cristo, questo è proprio Luigi Gonzaga, nel momento in cui sentì precisarsi l’appello a seguire Gesù .
Per la più grande gloria di Dio, Luigi rinuncia al titolo ereditario dei Gonzaga e a ogni gloria mondana per entrare nella Compagnia di Gesù .
Luigi Gonzaga fin dall’inizio è tratto dalla purezza e dalla preghiera. E’ un ragazzo limpido e trasparente. Ma buon sangue non mente: sognava di comandare, di governare. Dopotutto è nato principe e ha ricevuto un’educazione orientata in questo senso. Ha lottato eroicamente contro l’orgoglio, la vanagloria che sono per eccellenza la tentazione e il peccato dei puri Ed è uno dei mille esempi della trasformazione che la grazia del Signore può compiere attraverso gli esercizi di sant’Ignazio, fatti con la volontà di ristrutturare la propria vita secondo Cristo.
Che tipo di santità è quella di Luigi Gonzaga ? La purezza, certo, ma senza dimenticare la carità verso i malati , una virtù che si potrebbe chiamare il riflesso della fede". Un fatto permette di capire meglio: Luigi sta giocando con una palla. Gli viene chiesto cosa farebbe, se sapesse che deve morire all’istante; risponde :"Continuerei a giocare ".Battuta di un giovane, forse, che rivela però l’introspezione di un anziano ! In ogni caso sant’Ignazio di Loyola, che a aveva sicuramente giocato a pelota, avrebbe amato la fede e la speranza, chiuse in una mano tanto sicura .
Luigi sognava le missioni...Dio decide diversamente, e chiama a sé il giovane gesuita , che si stava prodigando per gli appestati nel 1591. (22)
La devozione al santo è stata diffusa, nelle Corti , in concomitanza col sorgere delle varie associazioni cattoliche giovanili specialmente negli ultimi tempi. A Casarola è esistita fino agli anni del Concilio Vaticano II La compagnia di San Luigi con numerosi ascritti. Il santo è venerato anche a Monchio, Riana e Valditacca .Non veniva solo venerato ma additato come modello di virtù ai giovani. Non diamo nessuna immagine dei vari San Luigi presenti nelle nostre comunità che , d’altra parte, non rivelano nessun interesse dal punto di vista artistico, ma vi diamo la figura di un San Luigi scolpito con molta buona volontà da un artigiano locale, Malmassari Ilvio, nel 1998.(fig.124).
Capitolo sesto
LA FEDELTA’ ATTRAVERSO UNA PROFONDA DEVOZIONE A MARIA
Maria nella spiritualità dei cattolici , il volto materno di Dio
Nei ricordi della fanciullezza, rivedo quanta parte ebbe la devozione a Maria nella fede della gente del mio paese. E’ da cinquant’anni che a Careno non c’è più un prete residente. La catechesi agli adulti è venuta meno per vari motivi; già quand’ero bambino, mi trovavo con un piccolo gruppo d’amici perché la popolazione era diminuita in modo vistoso : molti erano emigrati in Inghilterra, in Argentina, o altrove. I mezzadri se n’erano andati (i padroni ormai conducevano direttamente i loro fondi che prima erano dati a mezzadria). C’era un punto che manteneva forte l’identità della mia gente: la devozione a Maria e, in particolare la sua festa del quindici agosto. La devozione alla Madonna era il cordone ombelicale che teneva tutti uniti alla fede cristiana. Questo è accaduto in tutta la montagna del parmense. Di gran lunga la devozione primaria è rivolta a Maria come via più semplice per arrivare a Dio. Maria ha sempre rappresentato il volto materno di Dio.
Ho imparato ad apprezzare due immagini di Maria che l’arte ci ha trasmesso :la Vergine di Vladimir (XI secolo) e la pietà di Michelangelo, conservata in San Pietro.
La vergine di Vladimir. Da destra scende una forte luce sul volto della Vergine e del bambino, che crea sul naso della Vergine un riflesso netto. La parte in cui volti si toccano resta nell’ombra. L’impressione ieratica, lascia il posto qui all’intimità; l’eternità sembra incarnarsi nel tempo. Il bambino abbraccia il collo della madre tenendo il volto vicino alla sua guancia. Il bimbo è più assimilabile a un adulto che a un bambino come a significare che quel bambino siamo tutti noi .
"Ad Efraim io insegnavo a camminare, tenendolo per mano,
ma essi non compresero che avevo cura di loro.
Io li traevo con legami di bontà, con vincoli di amore;
ero per loro come chi solleva un bimbo alla sua guancia;
mi chinavo su di lui per dargli da mangiare.
Come potrei abbandonarti, Efraim ,
come consegnarti ad altri, Israele ?
Il mio cuore si commuove dentro di me,
il mio intimo freme di compassione " (Osea 11, 3 - 8.8)
Quell’icona diventa così la rappresentazione della maternità di Dio
"Sion ha detto: Il Signore mi ha abbandonato,
il Signore mi ha dimenticato.
Si dimentica forse una donna del suo bambino,
così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere ?
Anche se queste donne si dimenticassero,
io invece non ti dimenticherò mai" (Isaia 49, 14 – 16).
Ognuno guardando all’immagine di Mari che tiene il bimbo tra le braccia, sa che Dio non mi dimenticherà anche se sono povero o peccatore.
Quante immagini dolci e rassicuranti nelle maestà raffigurano la Madre con il bambino da quelle più semplici a quelle più elaborate, come l’immagine della Madonna di Loreto, disseminate nei sentieri che ormai non sono più percorsi. Quante le statue della Madonna del rosario a Monchio, Pianadetto, Trefiumi, Lugagnano, Riana , Casarola, Vecciatica; le madonne del Carmelo (Cozzanello, Valditacca). Da queste immagini traspare sicurezza, serenità, abbandono fiducioso. E’ da segnalare anche una Madonna vestita con stoffa a Casarola , come nei santuari parmensi di Careno e Fontanellato: un tempo teneva il bambino su un braccio.
" L’anima mia magnifica il Signore
e il mio spirito esulta in Dio, mio Salvatore.
D’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata."
(Lc 1, 46 - 48)
Con queste parole Maria esprime l’immensità dei suoi sentimenti quando comprende appieno la grandezza della missione di pace che a lei è stata affidata; non a caso, infatti, il canto del Magnificat non avviene subito dopo l’annunciazione dell’angelo ma dopo l’incontro con Elisabetta ; è il riconoscimento di questa maternità da parte dell’anziana cugina che svela a Maria il profondo mistero che vive. Ora che tutti la possono riconoscere, e la riconosceranno come la beata fra le donne, Maria sperimenta la Misericordia del Padre, che ancora non osa chiamare Padre, ma per il timore di Dio chiama Signore. Ed è proprio in questa prima espressione del Magnificat che Maria è sommersa di Misericordia: Dio che è il Padre di Misericordia, opera in Maria perché ella stessa diventi la Madre di Misericordia , cioè la madre di Cristo nello Spirito Santo come il Padre è il Padre di Cristo nello Spirito Santo.
Maria, dunque, partecipando della totalità delle grazie dello Spirito Santo partecipa automaticamente a tutte le vicende della Santissima Trinità, tanto da divenire la Theotokos (Colei che ha generato Dio) e tanto da essere ritratta in opere pittoriche e sculture, e inneggiata in carmi e prosa, più di ogni altra creatura al mondo.
Queste immagini di Maria col bambino hanno raccolto preghiere, voti, speranze, lacrime di tanti che ci hanno preceduto nel segno della fede: lei è come la Madre che sta per noi davanti all’Eterno.
E il cuore quando d’un ultimo battito
avrà fatto cadere il muro d’ombra,
per condurmi, madre, sino al Signore,
come una volta mi darai una mano.
In ginocchio, decisa,
sarai una statua davanti all’Eterno,
come già ti vedeva
quando eri ancora in vita.
Alzerai tremanti le vecchie braccia,
come quando spirasti
dicendo: mio Dio eccomi.
E solo quando m’avrà perdonato,
ti verrà desiderio di guardarmi.
Ricorderai d’avermi atteso tanto,
e avrai negli occhi un rapido sospiro.
Giuseppe Ungaretti.
La lirica esprime la confidente fiducia del figlio nella Madre e nella Madre la decisa volontà di salvare eternamente il figlio. Il figlio ha paura di varcare da solo la soglia per presentarsi al Signore: come in vita ebbe bisogno della tenerezza materna, così ora vuole quella mano sempre pietosa e buona che affettuosamente lo prenda. E’ una Madre forte e decisa, solo intenta a salvarlo. Alza le mani pronte ad accogliere ogni sacrificio in vita e ora supplicanti davanti a Dio. Guarderà il figlio con tenerezza quando lo saprà salvo dopo la dolorosa attesa .
Quest’immagine poetica riproduce per noi molto bene la premura materna di Maria verso il suo fedele .La pietà popolare la sentiva vicino. Questa fede offriva così il volto di un Dio materno, la soddisfazione di un bisogno profondo dell’animo umano.
Anche la devozione al Sacro Cuore di Gesù è su questa linea: il bisogno di tenerezza , di vedere il volto umano di Dio .I Vangeli presentono vari volti di Cristo. Marco come il leone di Giuda che tiene tra zampe la preda ; in Matteo, Gesù è colui che compie le antiche profezie (la divina rivelazione si riteneva data per mezzo degli angeli) ; Giovanni cerca di entrare nelle profondità del mistero di Cristo, Verbo eterno (l’aquila che vola nelle altezze); il Vangelo di Luca ci offre il volto misericordioso del Padre in Gesù che si china sulla miseria umana (il bue animale mite che era aggiogato per compiere i lavori pesanti per l’uomo).
Fromm fa un’analisi psicologica del bisogno di una grande madre. Vediamo. "Geneticamente, la madre è la prima personificazione del potere che protegge e garantisce sicurezza, ma non è affatto la sola. In seguito, quando il bambino cresce, la madre come persona è spesso sostituita e completata dalla famiglia, dal clan, da tutti coloro che partecipano dello stesso sangue e sono nati sullo stesso suolo. Più tardi, quando le dimensioni del gruppo aumentano, la razza e la nazione, la religione o i partiti politici divengono le madri, i garanti di protezione e di amore. In persone orientate in senso più arcaico, la natura stessa, la terra e il mare, diventano i grandi rappresentanti della madre. Il trasferimento della funzione materna della madre reale alla famiglia, al clan, alla nazione, alla razza, presenta lo stesso vantaggio che abbiamo rilevato a proposito della trasformazione da narcisismo personale a narcisismo di gruppo. Prima di tutto, la madre di chiunque morrà probabilmente prima dei suoi figli; donde il bisogno di una figura di madre che sia immortale. Inoltre, l’obbedienza ad una madre personale ci lascia soli e isolati dagli altri che hanno madri diverse. Se, tuttavia, tutto il clan, la nazione, la razza, la religione o Dio possono diventare una madre comune, allora il culto della madre trascende l’individuo e lo unisce a tutti quelli che adorano lo stesso idolo materno; allora nessuno deve essere intralciato idoleggiando la propria madre; la lode della madre comune al gruppo unirà tutti gli animi ed eliminerà tutte le gelosie. I molti culti della Grande Madre, il culto della Vergine, il culto del nazionalismo e del patriottismo, tutti recano testimonianza dell’intensità di tale venerazione. Empiricamente, si può agevolmente sostenere che esiste una stretta correlazione tra le persone con una forte fissazione alla loro madre, e quella dei legami eccezionalmente forti con la nazione e la razza, la terra e i sangue" (31).
E’ una lettura psicologica cui oggi si dà peso. Il legame alla madre permane tutta la vita in modo conscio o inconscio. Non è da escludere che questa tendenza dell’animo umano abbia favorito il culto a Maria Madre di Dio e madre nostra. Dio era visto solo in una dimensione paterna. Solo in tempi recenti si parla spesso della maternità di Dio. Fece chiacchierare un discorso di papa Luciani che parlava di Dio Padre e Madre. Non faceva altro che mettere in risalto ciò che la Bibbia anche nell’Antico Testamento dice con frequenza, pur usando altri termini..
Non si può dire che il bisogno di madre abbia fatto nascere il culto mariano ma il bisogno di tenerezza, di guardare a Dio come un bimbo guarda con fiducia alla propria madre ha sicuramente accentuato la devozione a Maria, che, in mancanza di una forte cultura biblica, ha permesso a questa gente di perpetuare la propria fedeltà a Cristo. In Maria, Dio si faceva vicino all’uomo con un volto materno. L’analisi di Fromm va guardata con rispetto anche perché l’autore ha fornito valori positivi a chi l’ha letto anche se proviene da un’area non cattolica (i protestanti non hanno mai accettato il culto a Maria, come se togliesse qualcosa a Cristo unico mediatore dell’uomo e poi Fromm si è sempre dichiarato ateo).
A Roma nella prima cappella entrando in San Pietro c’è la prima pietà di Michelangelo. Reale e irreale allo stesso tempo. E’ una pietà che non rappresenta tutta la drammaticità del momento, ma anzi comunica con tenerezza e serenità il volto materno di Dio Padre. Maria è raffigurata come una bella giovane, Gesù come un bell’uomo. Non è una scena straziante ma serena (come due innamorati).La gloria che Cristo, morendo sulla croce e Maria, assistendo sotto la croce, hanno raggiunto davanti agli occhi del Padre è tale, che i loro corpi straziati dal dolore fisico e morale, sono diventati belli come nel giorno più bello della loro vita. La misericordia del Padre è presente in modo imponente e nascosta insieme.
Si vede negli occhi pieni d’amore e di misericordia di quella Madonna quasi bambina che sembra voglia giocare con il suo figlio morto, ma quasi dolce dormiente. E’ amore quello che traspare da ogni sguardo, tanto di Maria quanto dell’abbandono leggero del Cristo morto. Non c’è condanna sul volto di Maria, non c’è disperazione, c’è solo amore, misericordia, sembra che dica a ognuno di noi: tutto questo perché ti ho voluto tanto bene. Gesù si abbandona come ognuno di noi nelle tenere braccia della mamma e dona misericordia : guarda verso di noi e riceve quell’ultimo sguardo d’amore e dà a noi lo stesso amore. E’ una pietà trasfigurazione .
Le pietà nelle Corti
L’immagine della Pietà ritorna con frequenza nelle Corti : il fedele s’identificava con quella Madre e con il suo Figlio. Contemplava e il suo dolore, il suo peccato, la sua misera condizione si trasfiguravano. Nella sofferenza di Dio vedeva la sua sofferenza e se andava confortato.
Compianto sul Cristo morto,(fig.125) nella chiesa di Monchio. E’ dell'inizio del '600.L’autore è un ignoto pittore di scuola romana. E’ in evidente attinenza con la pietà di Michelangelo in San Pietro. La Vergine ai piedi della croce, col volto giovanile al pari dell figlio : questo dà al dramma del dolore e della redenzione una accentuazione di grazia e di mistero. Sono i forti i chiaroscuri dei volti. Maria ha in grembo il Redentore cui Giuseppe d’Arimatea sostiene il capo. A sinistra ritta in piedi la Maddalena piangente.
Il dipinto fu donato da un gruppo di monchiesi emigrati a Roma come "polaroli". Insieme venne donata una croce con sei candelieri alla confraternita del Santissimo Sacramento in occasione del giubileo del 1600.
Compianto sul Cristo morto, coi santi Pietro e Paolo, nella chiesa di Casarola. E’ della seconda metà del ‘700.La scena si svolge in modo drammatico: il dolore sul volto della Madonna come una madre che si dispera. San Pietro e San Paolo partecipano alla scena in atteggiamento di devota contemplazione. Il recente restauro ha fatto riaffiorare i colori in modo molto vivo. Il quadro risente della temperie spirituale e artistica del barocco . (fig.126 )
La pietà di una maestà di Monchio basso. Ora è collocata su un fianco di una casa per la distruzione del cippo per una bomba. E’ del sec. XIX ; richiama l’immagine del santuario di Saviore (presso Monterosso).Intensa è la partecipazione della madre al dolore del figlio E’ una immagine molto composta.(fig.224)
Pietà dell’altare maggiore di Lugagnano. E’ dello stesso artista autore dei tre altari di marmo , collocati nel 1946 (opera dell’architetto Remedi ). Evidente l’imitazione del modello michelangiolesco. Opera molto dignitosa che infonde serenità per i fedeli che assistono al divino sacrificio. Ora in bella evidenza dopo i lavori per adattare l’altare alle esigenze della nuova liturgia.(fig.127)
Pietà di Pianadetto : raffigurata dal pittore Delfitto nel suo recente affresco nella chiesa(1995).E’ una scena molto umana che fa pensare alle numerose mamme che hanno dovuto raccogliere da terra il loro figlio caduto per qualche sventura (fig.128).E’ la scena straziante che si è ripetuta nelle guerre anche vicine a casa nostra. Le guerre sono fatte dagli uomini ma spesso chi paga sono le donne.
La Madonna addolorata
Una statua pregevole in legno del ‘700 è nella chiesa di Monchio. La madonna che piange per il divin figlio: il petto, come vuole la profezia del vecchio Simeone, è trapassato da un pugnaletto in argento del secolo scorso.(Fig.129 )
La devozione ai dolori di Maria fu assai prima popolare che liturgica, diffusa particolarmente dai Serviti e Passionisti ; contempla i setti momenti messi in rilievo dai Vangeli. Fu papa Pio VII, che in ricordo delle sofferenze inflitte da Napoleone alla Chiesa nel suo capo, introdusse nella liturgia la celebrazione dei dolori di Maria. La compartecipazione dolorosa della madre del Salvatore alla sua opera di salvezza (Lc 2, 33 - 35) è testimoniata nell’ora della croce da Giovanni che l’ha ricevuta in madre(Gv19,25-27 ). Questa memoria dei dolori di Maria si concentra su di lei, l’Addolorata, e sul sacrificio di Cristo, che lei stessa offre con lui al Padre. Anche nelle maestà Maria è raffigurata in questo momento di supremo sacrificio.(figg.130,224).
Laude
29 aprile 1945
Figlio
A testa in giù, legato per i piedi
Alla trave? E non hai schifo degli altri
che gli pendono a fianco? Ah quella donna,
le sue calze da macabro can-can
e gola e bocca di fiori pestati!
No, madre, fermati: grida alla folla
Di andare via. Non è lamento, è ghigno,
è gioia: già s’attaccano i tafani
ai nodi delle vene. Hai sparato
su quel viso, ora: madre, madre, madre!
Madre
figlio: appesi alle grate delle finestre,
ad albero di nave, inceneriti
per la Croce, sbranati dai mastini
per un po’ d’erba al limite dei feudi.
E fosse solitudine o tumulto,
occhio per occhio, dente per dente,
dopo duemila anni di eucarestia,
il nostro cuore ha voluto aperto
l’altro cuore che aveva aperto il tuo,
figlio. T’hanno scavato gli occhi, rotto
le mani per un nome da tradire.
Mostrami gli occhi, dammi qui le mani:
sei morto, figlio! Perché tu sei morto
puoi perdonare: figlio, figlio, figlio!
Figlio
di macerie, le grasse mosche verdi
a grappoli agli uncini: l’ira e il sangue
colano giustamente. Non per te
non per me, madre: occhi e mani ancora
mi bucheranno domani. Da secoli
la pietà è l’urlo dell’assassinato.
Salvatore Quasimodo
Assunzione
Maria Assunta e Maria Immacolata sono due icone di Maria arrivate alla pietà cristiana da una convinzione teologica; sono entrate nel cuore del popolo diventando pure due soggetti artistici riprodotti in tanti modi diversi .Il fedele vi si è identificato vedendo in esse l’immagine della donna, della persona umana pienamente riuscita. Anche noi siamo tutti chiamati ad arrivare lì dove una persona umana è già arrivata. L’una è immagine antica: le chiese a lei dedicate dimostrano la loro antichità di origine. L’altra è di formulazione recente dopo la proclamazione del dogma .
La definizione del dogma dell’Assunzione è avvenuta nel 1950 per opera di Pio XII. Noi occidentali siamo stati abituati a vedere l’immagine della Vergine Maria che sale al cielo accompagnata dagli angeli come la dipinge il Correggio fra il 1526 e 1530 nella cupola del Duomo di Parma. Il movimento della grande spirale si dilata nello spazio della composizione pittorica dominata dall’Assunta intorno alla quale ruotano una miriade di personaggi in una fantasmagoria di colori. Per noi è difficile far passare la Madre di Dio attraverso le strettoie della morte. Ma se contempliamo le icone bizantine (o anche le tavole di Duccio di Boninsegna) ci accorgiamo subito che esse presentano Maria non già ascendente al cielo accompagnata dagli angeli, ma stesa sul suo letto di morte mentre Gesù accoglie l’anima di lei sotto forma di fanciulla biancovestita.
La Bibbia fa uso di quattro modelli circa la fine dei giusti (applicabili anche a Maria).
1) Il modello dello Scheol dove vi scendono i morti nel mondo fatto di silenzio (Sal6,5;88,10;Lc 16,19-22),
2) Il modello del rapimento o assunzione al mondo divino senza passare per la morte, come si racconta di Enoc e di Elia (Gn 5,24;2Re 2,1-11)o dei cristiani (1Ts 4,17);
3) Il modello dell’innalzamento per cui i servi fedeli di Dio dopo la morte vengono introdotti nell’immortalità beata(Dn 7,27;Fil 2,9);
4) Il modello della risurrezione secondo cui i giusti dopo la morte o alla fine dei tempi risuscitano con i loro corpi a vita eterna(Dn 12,1-3;Gv 5,28).Al di là di questi vari modi, Paolo presenta il paradiso come luogo cristologico: dimorare con Cristo(Fil 1,23;2Cor 5,8). Giovanni Paolo II può concludere che "per essere partecipe della risurrezione di Cristo, Maria doveva condividere anzitutto la morte…Si può dire che il passaggio da questa all’altra vita fu per Maria una maturazione della grazia nella gloria, così che mai come in questo caso la morte poté essere concepita come una "dormizione".
L’Assunzione è una solennità che corrisponde al dies natalis (morte) degli altri santi, quindi considerata la festa principale della Vergine. Il 15 agosto ricorda con probabilità la dedicazione di una grande chiesa a Maria in Gerusalemme .Varie sono le maestà dedicate all’Assunta.
La Vergine Assunta della chiesa parrocchiale di Rimagna è una copia dell’Assunta del Murillo(fig.131 )
La statua della Vergine Assunta di Rigoso ripete lo stesso motivo.(fig.132)
Immacolata
In Inghilterra e in Normandia si celebrava già nel secolo XI una festa della concezione di Maria ; si commemorava l’avvenimento in se stesso, soffermandosi soprattutto sulle sue condizioni miracolose (sterilità di Anna, ...).Oltre questo aspetto aneddotico, Sant’Anselmo mise in luce la vera grandezza del mistero che si attua nella concezione di Maria: la sua preservazione dal peccato. Nel 1439 il concilio di Basilea considerò questo mistero come una verità di fede, Pio IX ne proclamò il dogma nel 1854.
Maria appare accanto a Cristo, il nuovo Adamo, e perciò si presenta come figura della donna vicino all’uomo. Maria aiuta riscoprire il posto della donna nella salvezza dell’umanità. Richiama ed esalta il posto della vergine, della sposa, della madre, della vedova, nella società, nella Chiesa e nel mondo; rivendica la dignità della donna contro ciò che l’attenta.(fig.131 ) (20)
Collegata alla devozione a Maria Immacolata c’è anche quella della medaglia miracolosa. Maria apparve nel 1830 a Parigi, Rue du Banc, 140 a Santa Caterina Laboureé, figlia della Carità di San Vincenzo e le disse :"Fa coniare una medaglia su questo modello, le persone che la porteranno al collo con fiducia, riceveranno grandi grazie!" Sulla medaglia che tanti portano c’è scritto: O MARIA CONCEPITA SENZA PECCATO, PREGA PER NOI CHE RICORRIAMO A TE!
Un quadro di Riana ricorda questa apparizione.
Diverse sono le maestà che testimoniano questa verità di fede.(figg.133,192,201)
Natività della beata vergine Maria
Come quasi tutte le solennità principali di Maria anche la natività è di origine orientale. Nella Chiesa latina ve l’avrebbe introdotta il papa orientale San Sergio I alla fine del sec. VII originariamente doveva essere la festa della dedicazione della basilica di Sant’Anna in Gerusalemme. La tradizione indicava quel luogo come la sede dell’umile dimora di Gioacchino ed Anna ,lontani discendenti di Davide, genitori di Maria Santissima. Occorre cercare in questo culto della natività di Maria una profonda verità, la venuta dell’uomo - Dio sulla terra fu lungamente preparata dal Padre nel corso dei secoli. La personalità divina del Salvatore supera infinitamente tutto ciò che l’umanità poteva generare, però la storia dell’umanità fu come un lento e difficile parto delle condizioni necessarie all’Incarnazione del Figlio di Dio.
La devozione cristiana ha voluto, perciò, venerare le persone e gli avvenimenti che hanno preparato la nascita di Cristo sul piano umano e sul piano della grazia: la sua Madre, la nascita di essa, la sua concezione, i suoi genitori e i suoi antenati . Credere nei preparativi dell’Incarnazione significa credere nella realtà della Incarnazione e riconoscere la necessità della collaborazione dell’uomo all’attuazione della salvezza del mondo. La vera devozione a Maria conduce sempre a Gesù : ogni celebrazione mariana culmina sempre nella messa.(20)
Nelle Corti viene celebrata con particolare solennità nel Santuario di Rimagna l’otto settembre ( nella domenica successiva c’era la tradizione di celebrare una messa in onore di Maria: la festa , poi, era soprattutto fiera). La natività di Maria è celebrata anche a Cozzanello e a Trefiumi dove c’è pure l’immagine della celeste bambina, fasciata come un tempo usavano fare coi bimbi. A Cozzanello è stata trafugata la tela che raffigurava il prodigioso evento sostituito con una nuova tela di gusto pessimo. Di pregio rimane l’ancona lignea secentesca che la incornicia.
A Trefiumi si conserva in un reliquiario l’immagine di Maria infante.(134)
Annunciazione di Maria
Nella chiesa antica poco prima di Natale (in Oriente, a Milano e a Ravenna ) si celebrava il mistero dell’Incarnazione: vi si riferiscono ancora oggi i testi liturgici della terza domenica di Avvento. Non fu soltanto una preoccupazione di esattezza cronologica che contribuì a fissare la festa dell ‘Annunciazione nove mesi prima della nascita del Signore: calcoli eruditi e considerazioni mistiche fissavano egualmente al 25 marzo la data della crocifissione e della creazione del mondo.
Dio non è entrato nel mondo con la forza: ha voluto proporsi. Il sì di Maria realizza definitivamente l’alleanza. In lei è tutto il popolo della promessa: l’antico (Israele) e il nuovo (la Chiesa) ; il Signore è con lei, cioè Dio è il nostro Dio e noi siamo per sempre il suo popolo.(20)
La festa della Madonna Annunziata si celebra a Ceda nella seconda domenica di luglio. La statua segue i canoni stilistici del barocco: la madonna è raffigurata in atteggiamento di accentuato misticismo nel momento di ricevere l’annunzio dell’angelo.(fig.135 )
Madonna del Carmelo
Il Carmelo è cantato nella Bibbia per la sua bellezza. Su quel monte il profeta Elia aveva difeso la purezza della fede di Israele nel Dio vivente. Nel secolo XII alcuni eremiti, ritiratisi su questa montagna, vi avrebbero fondato l’Ordine dei Carmelitani, dedito alla contemplazione, sotto il patrocinio della santa Madre di Dio, Maria. La memoria del 16 luglio dedicata alla Beata Vergine del monte Carmelo è stata istituita per ricordare la data in cui, secondo le tradizioni carmelitane, il primo generale dell’Ordine, San Simone Stock ricevette dalle mani della Madonna lo scapolare con la promessa di salvezza eterna ."Prendi, dilettissimo figlio, questo scapolare, segno distintivo e privilegio di tutti i Carmelitani: chiunque morirà piamente con addosso quest’abito, non andrà nel fuoco eterno…
Ecco un segno di salute, di salvezza, di pace, e di patto sempiterno".
La Madonna del monte Carmelo nelle Corti è venerata a Valditacca, a Cozzanello, in varie maestà .
L’ancona di Valditacca con la statua per festeggiare la Madonna del monte Carmelo in luglio(fig.136).L’ancona è in legno intagliato e policromato con rilievi dorati. La struttura è a colonne su plinto a mascheroni , con fusto percorso, per circa un terzo della sua lunghezza, da larghe scanalature disposte a spirale, e per i restanti due terzi da scanalature verticali; i capitelli corinzi sostengono una trabeazione a più risalti, profilata da motivi decorativi di classica compostezza, con fregio centrale a foglie d’acanto, che si ripetono, arricciate e riportate, nella cornice della trabeazione e dei semitimpani, racchiudenti una cartella sagomata entro cartouche, sormontato da un timpano con motivo a conchiglia; fianchi esterni ornati di volute ed elementi fitoformi piumati ad alto rilievo. La nicchia interna centrale è profilata da raffinati motivi a candelabro. L’opera è simile a quella dell’altare di Sant’Antonio da Padova quindi dei Ceretti eseguita nell’ultimo quarto del secolo XVII.(16). La statua della Madonna, collocata nella nicchia, è della fine del XIX o inizi del secolo XX.. Già dal 1783 esisteva una statua della Madonna col bambino con corone d’argento.
L’altra faccia dello stendardo della confraternita del Santissimo Sacramento di Cozzanello rappresenta la Madonna del monte Carmelo che dà lo scapolare al santo carmelitano e a San Bernardo(fig.137 ). La statua che viene portata in processione per la festa raffigura la Vergine col bambino vestita da carmelitana.
Varie maestà raffigurano la madonna del Carmelo, in particolare a Tichiano e Rimagna.(figg.138-139-140)
Cuore Immacolato di Maria
A Trefiumi una bella statua lignea di ottima fattura ligure rappresenta Maria che fa vedere il suo cuore. Sotto i suoi piedi sta il serpente con in bocca la mela. In questo modo il richiamo alla Genesi è molto puntuale. Maria è la nuova donna che vince il male perché preservata da Dio e perché molto ha amato.(fig.141 )
Il giorno che segue la solennità del Cuore di Gesù, il nuovo calendario pone la memoria del Cuore Immacolato di Maria, ritornando così all’origine storica di questa devozione. San Giovanni Eudes, nel secolo XVII nei suoi scritti, non separava i due Cuori nei progetti liturgici. All’estensione di questa devozione contribuirono specialmente le apparizioni di Fatima. Nel 1942 Pio XII consacrò tutta l’umanità al Cuore di Maria e ne fissò la celebrazione al 22 agosto, ottava dell’Assunta, per invocare la pace. "Tutte le generazioni mi chiameranno beata", aveva predetto di sé la vergine del Magnificat. Ogni apertura di orizzonte sui tesori infiniti d’amore e di grazia racchiusi nel Cuore di Gesù è un richiamo anche a Maria. Per nove mesi la vita del Figlio di Dio fatto carne pulsò ritmicamente col cuore di Maria: un legame che non si è mai interrotto, anzi si è rafforzato da quando Maria è in cielo in anima e corpo(20).
Beata Maria Vergine di Lourdes
Solo da quattro anni Pio IX aveva additato alla Chiesa il segno luminoso della potenza salvatrice accordata dal Padre al Redentore, sua madre, ripiena di Spirito Santo, totalmente preservata dal peccato, è Immacolata. L’11 febbraio 1858, Maria si manifestò come Immacolata a Berdardetta Soubirous nella grotta di Massabielle negli alti Pirenei, per 18 volte fino al 16 luglio.
Il perenne miracolo di Lourdes è l’Eucarestia. Ad di là del fenomeno religioso rimangono gli effetti del messaggio fondamentale del Vangelo, richiamato con forza da Maria, la conversione, e del grande gesto di Cristo: dare il proprio corpo e il proprio sangue per la salvezza degli uomini. L’accettazione gioiosa della sofferenza insieme con Cristo da parte degli ammalati, la dedizione ammirevole di tanti giovani ai poveri e ai sofferenti, il clima ininterrotto di intensa preghiera, a Lourdes, non sono comprensibili se non alla luce della Messa che nella cittadella di Maria è al primo posto. Sempre Cristo nell’Eucarestia passa benedicente fra i malati, annunciatore e realizzatore di una salvezza più profonda(20). Nella chiesa di Riana e Cozzanello la Madonna di Lourdes ha statue a lei dedicate. A Lugagnano era stata costruita, adiacente alla chiesa, una grande grotta a lei dedicata. La devozione alla Madonna di Lourdes è diffusa in tutte le famiglie del monchiese.
Pregiata è l’ancona di Cozzanello(fine ‘600) che circonda la nicchia della Madonna di Lourdes(fig.142)
Madonna di Caravaggio
A Rigoso, una nicchia con la statua ci ricorda la devozione che in queste zone c’era alla Madonna di Caravaggio , ricordata pure dall’erezione di due maestà. Splendida è quella di Trecoste (fig.143 )
Caravaggio è il santuario più noto e frequentato della Lombardia. La Vergine nel 1432 appare a Giovannetta Varoli, sconsolata per la sua difficile situazione familiare e per la guerra che imperversava in quelle contrade. Maria annuncia la pace nella sua famiglia, fra gli stati vicini e anche fra le Chiese d’Oriente e d’Occidente. I santuario è stato commissionato da San Carlo Borromeo a Pellegrino Tibaldi.
Il Rosario
Ripercorrere le tappe della spiritualità della gente delle Corti vuol dire anche imbattersi in questa pratica così diffusa a livello individuale e comunitario. Ancora oggi il rosario rappresenta la compagnia delle persone sole, la preghiera più amata dalle persone che vogliono pregare. Le nostre maestà testimoniano la leggenda diffusa che lega il rosario a San Domenico (1170 - 1221), accreditata dal domenicano Alano de la Roche (1428 - 1478) uno dei fondatori delle confraternite del rosario. Il rosario si era già formato ancor precedentemente, preghiera ritenuta semplice anche per i conversi che non avevano cultura. Nel 1569 Sa Pio V consacrò, con la bolla "Consueverunt romani pontifices ", la forma di rosario ancor oggi in uso. In seguito lo stesso pontefice con la bolla "Salvatoris Domini" (1572) istituì la festa della Madonna del Rosario. La dottrina di Pio V si può così sintetizzare :
Il rosario da allora non è più il retaggio di alcune confraternite mariane ma entra nel popolo, è alla portata di tutti. Pietà mariana e rosario si confonderanno e l’una alimenterà l’altra. La devozione a Maria sarà sempre accompagnata dalla recita del rosario fino alle più recenti apparizioni accettate dalla chiesa, Fatima e Lourdes . Si susseguiranno continui interventi dei sommi pontefici per erigere confraternite, stabilirne privilegi, annettere indulgenze . Leone XIII, il papa della Rerum novarum incoraggia ed invita a pregare per superare l’avversione al sacrificio e alla sofferenza ponendo la propria fede e il proprio sguardo sulle sofferenze di Cristo; l’avversione alla vita umile e laboriosa si supera da parte del cristiano meditando sull’umiltà del Salvatore e di Maria; l’indifferenza verso i misteri della vita futura e l’attaccamento ai beni materiali si guariscono meditando e contemplando i misteri della gloria di Cristo, di Maria e dei santi . Pio XII nella enciclica " Ingruentium malorum " afferma: "Benché non ci sia un unico modo di pregare per conseguire questo aiuto, tuttavia noi stimiamo che il santo rosario sia il mezzo più conveniente ed efficace: come del resto dimostrano sia l’origine stessa , più divina che umana , di questa pratica , sia la sua intima natura ...Non esitiamo ad affermare di nuovo pubblicamente che grande è la speranza che noi riponiamo nel santo rosario per risanare i mali che affliggono i nostri tempi. Non con la forza, non con le armi, non con l’umana potenza, ma con l’aiuto divino ottenuto per mezzo di questa preghiera, forte come Davide con la sua fionda, la Chiesa potrà affrontare impavida il nemico infernale ...".
Paolo VI nella "Marialis cultus" ricorda gli elementi costitutivi di tale preghiera :
Il rosario ha formato generazioni di giovani alla preghiera : era un momento di forte aggregazione familiare serale quando tutta la famiglia unita recitava il rosario intonato dal capofamiglia. Nel mese di maggio tutti si ritrovavano per lodare Maria e mettere le proprie pene in mano di colei che rappresenta Dio vicino all’uomo; quando moriva un proprio caro era la preghiera che tutti avevano imparato a fare ( non c’era neppur bisogno che ci fosse un prete per condurre la veglia di preghiera ); col rosario si costellava di preghiera il mese dei morti .
Qualcuno potrà dire che si tratta di preghiera ripetitiva, non biblica, che non lascia nulla. Tutta la tradizione dimostra che veniva incontro alle esigenze popolari e alimentava la fede di tanti che trovavano difficili altri modi di pregare. I fedeli (agendo in modo scorretto liturgicamente) recitavano il rosario anche durante la Messa perché non sapevano come seguire dato che la liturgia era in latino. Nel momento in cui si metteva la corona tra le dita di una persona morta, non si compiva un gesto semplicemente formale perché di rosari ne aveva detti tanti nella vita. Il rosario aveva rappresentato tutto il cammino della sua spiritualità. Sappiamo che, anche agli inizi della cristianità, il comando del Signore di pregare sempre era interpretato spesso come l’esortazione a ripetere tante volte una preghiera fino a ritmarla col proprio respiro.
Il rosario è preghiera dai notevoli contenuti teologici. E’ una preghiera evangelica: sono meditati i vari misteri della vita del Signore come li presenta il Vangelo, incarnazione, passione e gloria: attraverso gli occhi di Maria anche noi partecipiamo a quella stessa vicenda che è anche la nostra. La vita è fatta di gioia e dolori: la gloria ,quella vera, arriva solo alla fine, nel nostro giorno eterno(l’ultimo giorno) .
E’ preghiera cristocentrica : al centro sta il mistero dell’incarnazione del Figlio di Dio che si è fatto nostro fratello per condividere la nostra realtà umana (in tutto simile a noi fuorché nel peccato). Lodando Maria, in effetti, non si fa altro che proclamare ed annunciare in continuità la grazia per la quale ella è genitrice di Dio, quindi proclamare l’incarnazione. L ’Ave Maria è lode perenne a Cristo che da se stesso all’uomo.
E’ preghiera ecclesiale. La finalità del rosario rimane l’atto di fede, cioè l’adesione a Cristo da parte di tutto il popolo dei credenti. Maria è la nuova Eva che genera con Cristo alla fede come immagine della Chiesa che genera dal fonte battesimale alla salvezza .
Il rosario contiene alti valori spirituali, che aiutano la formazione dell’uomo interiore secondo lo Spirito. E’ preghiera semplice: porta al centro del mistero cristiano senza disperdersi in forme raffinate che esigono più studio o maggiori conoscenze. Insegna l’itinerario verso la povertà e semplicità di spirito. Tutti i santi moderni si sono fatti tali con la corona in mano (pensiamo a quante volte al giorno recitava il rosario il Beato Padre Pio; Giovanni XXIII recitava la corona intera ogni giorno). E’ preghiera contemplativa , perché di un cuore che ama, che non si stanca di ripetere la parola che fa piacere all’amato. E’ contemplativa perché l’essenza del rosario sta proprio nella meditazione del mistero .
E’ preghiera che rispetta i ritmi della vita. E’ un colloquio - respiro con Dio che passa attraverso tutti sentimenti umani, gioia, dolore, speranze. Ripropone la vita come vocazione alla lotta, al sacrificio, alla responsabilità di fronte a Dio, se stessi e il creato tutto.
Il rosario inoltre è preghiera creativa : contrariamente a quanto si pensa , porta il credente a verificare se stesso su Cristo, sul suo gesto di amore, di perdono, di verità, di fermezza. In questo continuo confronto cadono le scorie della vita, ci si mette in condizione di conversione, di purificazione .
E’ una preghiera che introduce alla liturgia , in quanto questa è proprio la meditazione del mistero di Cristo anzi la riproposizione del mistero di Cristo per l’uomo contemporaneo .
Detto questo come è vissuta in realtà ? E’ difficile giudicare : a volte sembra preghiera detta senza anima, invece, per chi la dice, rappresenta un modo per vivere la fedeltà a Cristo, per mettersi in comunione con Dio, per prendere forza di fronte alle prove della vita. Dona pace al cuore. Ritengo che proprio nel mondo di oggi possa rappresentare una grande risorsa spirituale, se accompagna dalla volontà vera di pregare col cuore.
Beata Vergine del Rosario
Nel medioevo, i vassalli usavano offrire ai loro sovrani delle corone di fiori in segno di sudditanza. I cristiani adottarono questa usanza in onore di Maria , offrendole la triplice corona di rose che ricorda la sua gioia, i suoi dolori, la sua gloria nel partecipare ai misteri della vita di Gesù suo figlio. Inizialmente la festa del sette ottobre si chiamò "Santa Maria della vittoria" per celebrare la liberazione dei cristiani dagli attacchi dei Turchi, nella vittoria navale del 7 ottobre 1571 a Lepanto (Grecia). Poiché in quel giorno, a Roma le confraternite del Rosario celebravano una solenne processione, San Pio V attribuì la vittoria a "Maria aiuto dei cristiani" e in quel giorno ne fece celebrare la festa a partire dal 1572. Dopo le altre vittorie di Vienna (1683) e di Peterwaradino (1716), papa Clemente XI istituì la festa del Rosario nella prima domenica di ottobre.
Noi ci rivolgiamo a Maria, meditando e pregando, perché ci aiuti a partecipare ai misteri della vita, morte, risurrezione di Cristo. Sono i misteri che attualizzano la nostra salvezza nella celebrazione eucaristica e noi chiediamo alla sua materna intercessione che si compiono in pienezza "nell’ora della nostra morte "(20)
A Pianadetto, Riana, Casarola. Monchio, Rigoso, Trefiumi, Lugagnano, Vecciatica ci sono le statue della Madonna del Rosario che vengano variamente celebrate(fig.144).
Diverse maestà sono dedicate alla Madonna del Rosario(figg.145-146-147)
Altre forme di devozione mariana sono le processioni (di cui diremo) e i pellegrinaggi ai santuari mariani (a cui abbiamo accennato)
Il santuario di Rimagna .
La tradizione popolare afferma che il santuario di Rimagna è sorto attorno una roccia su cui era rimasta impressa miracolosamente l’immagine di Maria . I lavori incominciarono nel 1713 con l’autorizzazione del vescovo Camillo Marazzani e sotto l’assistenza di Don Lazzaro Rinaldi, rettore. Tutta la popolazione prestò la manodopera gratuitamente per anni trasportando materiale e incaricandosi della raccolta delle offerte. Nel 1723 fu terminata la copertura del presbiterio, voltato a botte, e delle navatelle coperte a crociera. Nel luglio del 1727 fu sistemata la gloria in stucco eseguita da uno scalpellino e un muratore (notizia tratta dal libro per la spesa ). Il 14 settembre 1727 fu inaugurato il santuario con la prima messa solenne. Nel 1732 fu edificato il piccolo campanile a vela e acquistata la campana. Nel 1738 infine fu realizzata la pavimentazione a piane regolari in arenaria fittamente zigrinata. Nel 1909 fu eseguita la decorazione a fresco del voltone eseguita da Vighi Icilio per conto di Giacomo Rinaldi. Negli anni 1950- 1960 una pittrice esegue la decorazione musiva sovrastante la trabeazione dei pilastri, ispirati a motivi paleocristiani. Per quanto riguarda la gloria fu restaurata e ridipinta. In origine la gloria racchiudeva entro la cornice ovale a festoni di lauro l’immagine della Madonna impressa sul Sassone. Fra gli anni cinquanta e sessanta del nostro secolo, l’immagine originaria ormai del tutto illeggibile, fu coperta con l’attuale di autore anonimo .
Il santuario è stato un perno della fede di questo popolo. in occasione della festa della natività della Vergine la gente arrivava a piedi da tutte le Corti e da più lontano per pregare la Madre di Dio. La festa religiosa era accompagnata da una fiera in cui si trovava di tutto: i commercianti venivano soprattutto dalla Toscana. Negli ultimi anni è andato in decadenza : abbiamo fatto timidi tentativi per rivitalizzare la devozione come l’iniziativa di solennizzare il tredici del mese secondo le apparizioni di Fatima con discreta partecipazione popolare ( figg. 148-149)
Nonostante la vasta devozione alla Madonna di Rimagna troviamo solo due maestà a lei dedicate: una su una casa di Rimagna (opera commissionata per sua devozione da Guatteri Maria nel 1909). La Madonna è effigiata a braccia aperte in atto di dispensare grazie(fig.150) .
Un altra, la cosi detta Madonnina di Rigoso, fatta edificare da F.C .Dalcielo (prima metà del XIX secolo )La Madonna è raffigurata come è sul Sasso, con le braccia aperte, con il manto svolazzante in ampie pieghe e la corona sospesa sul capo, sorretta da due minuscoli cherubini. Sotto c’è l’iscrizione latina propria del santuario(fig.151).
La raffigurazione della Madonna di Rimagna è molto interessante in quanto pur avendo tutte le caratteristiche di una Assunta non guarda il cielo ma il popolo: è la Madre che vuole tutti abbracciare .
Sotto la sacra immagine della Madonna sta la scritta IN PETRA EXALTAVIT ME (sulla pietra Dio mi ha esaltata ). Ricordiamo che nella Bibbia la pietra è il Signore, la roccia da cui sgorga l’acqua viva: la gloria di Maria viene tutta dal figlio e chi è devoto a Maria cammina verso Cristo. La devozione a Maria dice sempre ordine al Padre dal quale viene ogni bene .
Madonnina sul Monte Sillara
(m.1861)Sulla vetta del monte Sillara è stata collocata il 24 luglio dai miei parrocchiani di San Leonardo una statua della Madonna con la seguente scritta:
"Maria, figlia d’Adamo,
acconsentendo alla Parola divina,
diventò madre di Gesù, e abbracciando,
con tutto l’animo e peso alcuno di peccato,
la volontà salvifica di Dio,
consacrò totalmente se stessa quale Ancella del Signore
alla persona e all’opera del figlio suo,
servendo al mistero della redenzione sotto di lui e con lui,
con la grazia di Dio onnipotente"(L.G.56)
Capitolo settimo
PIETA’ CRISTIANA E CONFRATERNITE
Pietà cristiana
Il termine pietà è desunto dal latini pietas ma con un altro significato. Nel linguaggio attuale risulta una nozione impoverita come sinonimo di commiserazione, di compatimento verso chi soffre o verso chi è in difficoltà(come il senso di pietà che ci prendeva davanti alle immagini di gente disperata che fuggiva dal Kosovo); quindi è un sentimento verso i propri simili. La pietas latina caratterizzava tutti i rapporti dell’inferiore verso il suo superiore. Innanzitutto questo avveniva nella sfera religiosa : l’uomo pio dimostrava come comportarsi di fronte agli dei ( ricordiamo tutti la figura dell pio Enea del capolavoro virgiliano). La pietas si allargava dalla sfera religiosa a quella familiare sociale perché gli dei erano anche gli dei familiari (Lari e Penati). La pietas, quindi, era espressa nel rapporto con il pater familias e con l’imperatore .
La pietas cristiana è prima di tutto l’atteggiamento di Dio verso l’uomo. Dio è la sorgente della pietà che gli uomini devono poi avere tra di loro, a imitazione di quella di Dio. La Bibbia parla della sua bontà-misericordia (hesed) e della sua fedeltà (‘émet).Cristo è la piena manifestazione della pietà di Dio verso gli uomini e della pietà degli uomini verso Dio: Gesù è il tipo dell’uomo pio. Non si riduce a sentimento ma a gesti concreti. Gesù è l’esercizio della pietà.
"Esercitati nella pietà , perché l’esercizio fisico è utile a poco, mentre la pietà è utile a tutto" (1Tim 4, 7 - 8).E’ un passo biblico che ha esercitato un’influenza enorme. Sta pure all’origine della distinzione tra gli esercitia corporalia (mortificazione e ascesi cristiana) e le diverse forme di preghiera. Exercitium entra nel linguaggio cristiano per indicare l’impegno per la pratica della virtù e dell’orazione. Esercizio spirituale è prima di tutto la preghiera nelle varie forme.
Dopo il Concilio di Trento, che riformò la vita religiosa e istituì i Seminari per la formazione dell clero, alcuni esercizi di pietà (meditazione , esame di coscienza quotidiani, adorazione privata dell ‘Eucarestia, la confessione frequente, il rosario entrarono nelle costituzioni e nelle regole che sono arrivate fino ad oggi). Per il mondo dei laici le cose andarono diversamente: data l’impossibilità di istituzionalizzare la vita dei fedeli, la loro spiritualità rimase sguarnita e aperta ad ogni iniziativa privata.. Nel popolo , da una parte, gli esercizi di pietà dei religiosi rimasero l’ideale (solo loro possono diventare santi perché solo loro possono veramente praticarli )dall’altra parte nacque nella gente una larga disponibilità per ogni pratica devozionale e per gli esercizi che ne era l’espressione. L’esercizio primario sarà il rosario. La pietà cristiana si identificherà sempre più con gli esercizi di pietà: la pietà personale e quella liturgica sembrano camminare su strade diverse (i singoli fedeli, come abbiamo già detto, recitavano sommessamente il rosario durante la celebrazione della messa, la confessione avveniva spesso durante la messa.
La pietà personale si sentiva più realizzata negli esercizi di pietà più che nelle celebrazioni liturgiche, a meno che queste non diventassero popolari con canti e forme espressive di sentimento ). Il movimento liturgico di questo secolo cercherà (spesso con poco successo e poco tatto) di rimettere la vita liturgica al centro della vita dell cristiano e come momento privilegiato della pietà cristiana. Il cammino è ancora lungo anche perché spesso nuove forme devozionali prendono ancora il sopravvento quando le celebrazioni liturgiche non tengono conto del bisogno profondo di religiosità della persona umana.
Culto per i morti, Confraternite seppellitrici
La morte come riflessione è il grande tema assente nel mondo attuale. E’ come vietato prenderne coscienza dal punto di vista personale. La morte viene celebrata come spettacolo che si riferisce agli altri, agli estranei. I media la presentano come un film che si svolge lontano dall’uomo che vive. Tutto concorre, anche le imprese di pompe funebri, a renderla un fenomeno ordinario o addirittura un commercio. Perché questo silenzio sulla morte ? In primo luogo per la concezione edonistica della vita. Riconoscerla e assumerla come realtà equivarrebbe a mettere in discussione la capacità della società di soddisfare pienamente " la necessità di felicità" dichiarata come assolutamente imprescindibile.
Un altro motivo di questo silenzio è la secolarizzazione che va di pari passo con una società borghese. E’ una società desacralizzata, al posto dei riti, lo spettacolo. La morte è passata come celebrazione alla sfera privata.
Potrebbe essere un altro motivo l’atteggiamento tecnico euforico della società attuale. L’evento della morte è assunta come un fatto tecnico biologico, un incidente di percorso che va affrontato con strumenti tecnici adeguati. Questo tentativo fatto dalla società contemporanea di calare il sipario sulla realtà della morte non è riuscito che in parte. Nelle città il funerale deve essere meno visibile possibile: va sbrigato in una mezz’ora; nello stesso condominio non si sa quando è avvenuto un decesso. Per l’uomo singolo la morte rimane una minaccia, anche se inconfessabile, non essendo possibile dire all’individuo la propria finitudine in un insieme sociale che si pensa illimitato.
L’atteggiamento dell’uomo che ha vissuto la fede in queste nostre comunità era totalmente diverso. La morte era oggetto di meditazione (" memorare novissima tua et in aeternum non peccabis") da parte di tutto un popolo. Sopra un concio di una casa posta sopra il vicolo di Ceda sta la scritta " VOS ESTOTE PARATI QUIA QUA HORA NON PUTATIS FILIUS HOMINIS VENIET"( "voi state pronti perché nell’ora che non pensate , il Figlio dell’Uomo verrà"). Non è tanto la meditazione sulla precarietà della vita ma come prepararsi per un grande incontro. Ricordiamo le parole del nostro papa Giovanni XXIII: "Le mie valigie sono sempre pronte !". La scritta continua: "Qui passar dovrete!". Era la via attraverso la quale si svolgeva il funerale , ultimo pellegrinaggio dell’uomo sulla terra insieme con gli amici e le persone che vengono per "accompagnare " il defunto
Si conviveva coi propri morti sepolti nel sagrato (terra consacrata) o sotto i pavimenti delle chiese. Di alcuni, particolarmente illustri, ci sono cenotafi sulle pareti esterne delle chiese, memoria, in genere, della virtù del defunto
La signora Basteri Donatella , curatrice della trascrizione del testo dell’atto di fondazione della chiesa di Riana, ha raccolto questa testimonianza dalla bocca della nonna Basteri Anna Maria.
Il vecchio cimitero, quello menzionato nell’Atto di fondazione della Chiesa , è stato cancellato anche nella memoria degli abitanti del paese, dopo l’avvenuta unità d’Italia, sopravvive solo grazie al racconto del nonno Michele, che nacque a Riana nel 1870.
Era solito narrare che ogni famiglia al suo tempo possedeva alcuni metri quadrati di terreno sul sagrato attorno e di fianco alla Chiesa, in cui seppelliva i propri morti. In capo alla tomba si poneva una lapide con le date anagrafiche dei defunti incise sopra, così che il " lastrone" fungeva anche da registro comunale all’aria aperta ed era sempre consultabile, " perché - soleva ripetere - così si sapeva subito con chi si era parente e con chi non ci si poteva sposare".
In un secondo momento le ossa, ripulite dalle intemperie, venivano riesumate, avvolte in bende e collocate all’interno della Chiesa, sotto i lastroni del pavimento, ove ciascuna famiglia aveva il proprio posto.
E così avvenne per due secoli e mezzo circa. Gli abitanti del paese ignorarono l’Editto di S. Cloud del 1801, Maria Luigia e i Borboni non si curarono di applicarlo, finché si arrivò all’unificazione d’Italia e all’applicazione delle leggi piemontesi. Non si ottemperò all’ordine e neppure ai successivi; purtroppo una mattina arrivarono i soldati, molti per l’esattezza e armati, che intimarono alla popolazione di uscire dalle case, la radunarono nella piazzola antistante la Chiesa, la tennero a bada con i fucili spianati, mentre alcuni di essi cominciarono a scavare il cimitero, (quale sacrilegio!) divellendo persino i lastroni del pavimento della Chiesa, accatastando cadaveri e ossa insieme, tutti, senza fare distinzione tra quelli appartenenti ad una famiglia o ad un’altra. Poi fu tutto scaraventato in una fossa comune.
Il nonno Michele vide con orrore il corpo di suo nonno, Michele anche lui, scaraventato fuori dalla tomba dopo qualche tempo appena dalla sepoltura; pur bambino, ricordò quella scena macabra e sacrilega da tramandarla ai nipoti, e fu come l’ho raccontata, perché le sue parole mi rimasero impresse nella mente.
La lapide sulla facciata della chiesa di Pianadetto riporta la seguente scritta : ALLA CARA MEMORIA DEL TENENTE LAZZARI GIACOMO PROSSIMO AD ESSERE SACERDOTE A SOLI 27 ANNI IL 20 GIUGNO 1917 CADEVA DA PRODE PER LA GRANDEZZA DELLA PATRIA LA MEDAGLIA AL VALORE I GENITORI DOMENICO E ROMANA E LA ZIA BARBERINA ADDOLORATISSIMI PER LA PERDITA DELL’UNICO FIGLIO Q.M.P.P.
I funerali erano celebrati con solennità cantando gli uffici in latino; le confraternite indossavano le loro divise( la kappa veniva girata dalla parte nera) per rendere ordinato e solenne il corteo. I cantori cantavano antiche melodie (in genere si trattava di gregoriano che aveva assunto i modi della cultura locale).Il funerale nelle Corti ancora oggi riecheggia dell’antico canto del MISERE, del BENEDICTUS, del DIES IRAE tramandati da secoli. Il culto dei morti permane vivo.
Sotto a questa esteriorità stava la certezza di Dio come Padre misericordioso (anche se giudice).
" Ai nostri fratelli
dà dunque il riposo,
oh Padre amoroso
perdono pietà".
Stava ancora la fede che
"Le anime dei giusti sono nelle mani di Dio,
nessun tormento le toccherà.
Agli occhi degli stolti parve che morissero ;
la loro fine fu ritenuta una sciagura ,
la loro partenza da noi una rovina,
ma essi sono nella pace...
Nel giorno del loro giudizio risplenderanno ..."(Sap3, 1 - 9)
Anche la morte di un giovane era accettata con grande fede :
"Il giusto, anche se muore prematuramente, troverà riposo.
Vecchiaia veneranda non è la longevità,
né si calcola dal numero degli anni;
ma la canizie per gli uomini sta nella sapienza;
vera longevità è una vita senza macchia.
Divenuto caro a Dio, fu amato da lui
e poiché viveva trai peccatori , fu trasferito.
Fu rapito . perché la malizia non ne mutasse i sentimenti
o l’inganno non ne traviasse l’animo,
poiché il fascino del vizio deturpa anche il bene
e il turbine della passione travolge una mente semplice..."
(Sap 4, 7 - 15)
Chi ben aveva vissuto non aveva da temere entrando nella vita eterna. "Io, Giovanni , udii una voce dal cielo che diceva : "Scrivi :Beati fin d’ora i morti che muoiono nel Signore. Si, dice lo Spirito, riposeranno dalle loro fatiche, perché le loro opere li seguono"" .Ap 14, 13.
Se i propri defunti avevano ricevuto tutti sacramenti erano sicuramente salvi. Il periodo della vita sarà un’attesa per potersi poi ricongiungere con loro. Molto importante era ricevere il viatico, che veniva portato in modo solenne con l’ombrello e i ceri accesi( Castelli raccomanda che sia accompagnato da dieci della confraternita) e ricevere l’estrema unzione. Era invalso l’uso di chiamarla così perché era l’ultima e, quindi , si cercava di rimandarla il più possibile poiché toglieva tutti i peccati. Nel nostro tempo, dopo il concilio Vaticano II , è ritornato l’uso di chiamarla unzione dei malati, olio degli infermi che può essere data anche semplicemente quando una persona anziana e ammalata sente il bisogno del conforto del dono dello Spirito magari anche per lottare per la propria guarigione. Il fenomeno della peste era stato spaventoso anche perché non si potevano ricevere i sacramenti more solito e dunque sembrava il castigo di Dio abbattutosi sulla umanità.
La gente delle Corti sente molto il bisogno di suffragare le anime dei propri morti, di fare celebrare messe perché sia abbreviata per loro la pena del peccato in Purgatorio. Ci si iscriveva nelle confraternite soprattutto perché dopo la morte l’associazione si prendeva cura di far celebrare riti di suffragio (uffici, messe, benedizione ). Questo uso fa pensare alla "venal prece" di cui parla Foscolo nei Sepolcri : i fedeli vanno certamente educati a un modo giusto di intendere il suffragio dopo secoli di abitudini portate avanti senza essere illuminati sul significato.
Un particolare ricordo è riservato ai caduti delle guerre : il cippo davanti alla chiesa di Monchio ricorda il sacrificio dei giovani caduti per la libertà nelle guerre napoleoniche. Sul cippo è messa la croce penitenziale tipica di queste zone con tutti simboli della passione per stabilire un collegamento immediato tra il sacrificio di Cristo che ha dato la vita e quello dei giovani che hanno combattuto. Il pilastro votivo porta inciso il millesimo 1814 (fig.152)
Il dipinto nella chiesa di Rimagna ricorda la strage compiuta dai nazisti il due luglio durante i bombardamenti su una popolazione inerme e poverissima. Così Elsa Dalcielo di Rimagna racconta la sua esperienza:
"La sera precedente il dottor Mavilla ci avvertì che il nostro paese sarebbe stato bombardato il giorno seguente. La notizia gettò il panico tra tutti noi: il due luglio gli aeroplani sorvolavano il cielo di Rimagna. Noi ci incamminammo verso la macchia per poterci nascondere nel folto, così come ci era stato consigliato dal dottor Mavilla. Ma i nostri spostamenti erano stati notati dagli aerei tedeschi che cominciarono a sganciare su di noi spezzoni e ci mitragliavano. Ci furono nove morti. Io, mia madre e mio fratello eravamo insieme, in seguito io per aspettare mia nonna mi sono fermata e nascosta poi sotto un faggio dove secondo me potevamo rimanere senza essere viste; mia madre e mio fratello continuarono a camminare, fu per questo che anche mio fratello Dario fu ferito.
Vidi i feriti che giacevano a terra colpiti alla schiena, al collo. Finito il bombardamento ci riavvicinammo al paese e le altre persone ci venivano incontro per soccorrere i feriti. C’erano anche soldati tedeschi, i quali si diressero al nostro Oratorio e siccome la porta era chiusa, con il calcio del fucile la batterono più volte. La notte del bombardamento, siccome eravamo ancora sconvolti da ciò che avevamo vissuto, non la passammo nelle nostre case, ci rifugiammo nella galleria. Fu una notte terribile: io reggevo mio fratello ferito in braccio e, con i piedi e le gambe immerse nell’acqua della galleria. In seguito per un mese intero passammo le notti in quel modo; ricordo la galleria illuminata dalle candele, la puzza di cera era fortissima e dura da sopportare insieme a tutti gli altri sacrifici imposti dalla difficile situazione. Il funerale dei morti avvenne qualche giorno dopo: le bare erano costituite da assi inchiodate in qualche modo. Sul viale del cimitero vedemmo un altro triste spettacolo : due impiccati a testa in giù, orribilmente sfigurati: uno era l’ombrellaio che tutti gli anni veniva ad aggiustarci gli ombrelli "..
Il dipinto di Rimagna di Barilli (fig.153) ricorda questa strage: il due luglio la popolazione celebra ogni anno un rito di suffragio con grande partecipazione.
Altri monumenti , come quello di Lugagnano vicino alla casa canonica, ricordano i caduti delle ultime grandi guerre per dire ai giovani del nostro tempo quanto sia costata quella libertà politica che ora abbiamo.
Un cippo dell’era fascista, davanti al cimitero di Monchio, ricorda il sacrificio di un giovane nella guerra d’Etiopia.
Confraternita del Santo Rosario
Le confraternite del santo Rosario, sorte anche prima del Concilio di Trento, avevano lo scopo di alimentare la devozione a Maria con la recita del santo rosario sia in comunità che nelle famiglie. Questo ha contribuito non poco a tratteggiare l’identità del cristiano cattolico che perdura a tutt’oggi. Il cattolico sa che Gesù è l’unico mediatore di salvezza ma sa pure che una parte notevole ebbe la Vergine Maria nell’economia della salvezza, parte che continua ancor oggi ad esercitare. Diamo a lei motivatamente il titolo Madre della divina grazia. Inoltre, per il dogma della comunione dei santi, chi ci ha preceduto nel segno della fede è pure vicino a noi se è vicino a Dio.
Nelle processioni le confraternite avevano il loro stendardo. L’insegna processionale di Monchio raffigura l’immagine della Beata Vergine del Santo Rosario, con Gesù tra le braccia, seduta su un trono di nubi, fra i santi Michele e Lorenzo a sinistra e dall’altra parte Domenico nell’atto di ricevere il rosario e santa Caterina. Lo stendardo è da mettere in relazione con la confraternita del Santo Rosario istituita nel 1637(fig.154).
Lo stendardo di Pianadetto rappresenta la Beata Vergine, già inventariato nel 1829 ; era lo stendardo della confraternita del Santo Rosario, eretta in Pianadetto in data imprecisata, ma riconosciuta dalla curia di Parma nel 1639(fig.155)
Il capolavoro che risale all’epoca detta è l’ancona dell’altare della Madonna. (figg.156-157-158-159-160-161)).L’ancona è in legno intagliato dipinto e in parte dorato.
Relazione della dott.ssa Giusto durante l’inaugurazione dell’opera dopo il restauro, avvenuta a Pianadetto con grande affluenza di popolo.
"Nel dicembre del 1997 è stato completato un importante intervento conservativo sull’ancona o pala lignea raffigurante i Misteri del Rosario, custodita nella parrocchiale di Pianadetto.
Il finanziamento del restauro è avvenuto interamente con i contributi del Ministero per i beni culturali su proposta della Soprintendenza ai Beni Artistici e Storici di Parma, che da vari anni ne sollecitava il ricupero. La motivazione muoveva dal desiderio di una maggior valorizzazione e conservazione di un’opera d’arte tra le più interessanti del patrimonio seicentesco ancora in loco nel territorio parmense e i lavori sono stati diretti dalla dott.ssa Mariangela Giusto ed eseguiti dalla ditta Acanto di Gianni Piccinini di Reggio Emilia.
Già nel 1922 il Soprintendente Laudadeo Testi ne rivelò l’importanza e schedò l’ancona come opera del XVI secolo per le scene dipinte "degne di una nota speciale", pur riscontrandovi un intervento successivo in alcune parti risalente al XVII secolo.
Pure il Satagelo nel 1934 diede rilievo all’opera riproducendola in foto catalogo a stampa del patrimonio della Provincia parmense e da quella rara immagine possiamo dedurre che a quell’epoca l’ancona era composta anche d’altri elementi strutturali che ora sono scomparsi.
Al di sopra della fascia in cui sono raffigurati i Misteri gloriosi, vi era un architrave di raccordo con il soprastante timpano spezzato, in cui ad intaglio comparivano dei gigli, emblemi farnesiani e tutta la struttura appoggiava su una doppia gradinata dipinta, che al centro conteneva il tabernacolo, ora elementi mancanti, forse alienati durante i lavori di ristrutturazione della chiesa avviati nel 1939.
Pertanto l’ancona al momento del recente restauro si trovava priva di queste parti e nel rispetto del manufatto ligneo, è stato mantenuto l’assetto trovato.
Una sorpresa che non si poteva prevedere osservando l’opera solo frontalmente è stata quella della sua compattezza strutturale. A parte il timpano, tutti i riquadri con tutti i quindici Misteri del Rosario, comprese le figure di San Domenico e di Santa Caterina da Siena e gli angioletti, si trovano direttamente dipinti in unico assetto di tavole, che non possono essere smontate singolarmente e separate dalle cornici.
Tutta la pala è quindi manovrabile come un solo dipinto, la cui carpenteria è unitaria nell’intaglio e nelle proporzioni, ma da una attenta lettura delle raffigurazioni, si è giunti a comprendere la diversità di mano e di tecnica dei vari episodi narrati della vita di Cristo e della Vergine.
Nella scena dell’Ascensione di Cristo, sul sepolcro è stata trovata la data del 1640, che più fonti avevano citato, anche se in forma imprecisa ed erronea.
E’ probabile che questa data sia da far risalire alla fase delle modifiche portate all’ancona, e forse in quell’occasione sono state dipinte, per un motivo che non possiamo comprendere, probabilmente per completare un’opera presumibilmente non terminata o parzialmente modificata in corso d’esecuzione, le scene dei Misteri Gloriosi(fig.159) e dei due angioletti, diversi nell’esecuzione pittorica e più deboli nel disegno, rispetto alle raffigurazioni dei riquadri in verticale, dei Misteri gaudiosi(figg.157-158) e dolorosi, alle figure di San Domenico(fig.160) e di Santa Caterina(fig.161), tutti più intensi cromaticamente e di maggior finezza tecnica.
Globalmente si possono riconoscere nell’ancona l’intervento di tre diversi pittori: più narrativo e raffinato l’autore dei due santi e dei misteri gaudiosi a sinistra e infine un artista di cultura più debole e scarsamente interessato alla resa dei particolari quello che eseguì i sette riquadri a coronamento dell’architrave.
Certamente al centro dell’arco vi doveva essere in origine una statua della Vergine, forse simile nella tipologia alle Madonne da vestire con abiti in stoffa, di cui ancora nei territori dell’Appennino parmense persistono rari esemplari(fig.219).
E’ possibile considerare attendibile l’ipotesi che l’opera sia il prodotto di una bottega ligure o della Lunigiana, dato i collegamenti e i frequenti scambi culturali verso quei versanti geografici di confine".
Sulla sinistra per chi guarda, incominciando dal basso: L’annunciazione, la Visitazione, la presentazione al tempio, Gesù tra i maestri del tempio (misteri gaudiosi), a destra: l’orazione nell’orto degli ulivi, la flagellazione, l’Ecce Homo, la caduta sotto la croce, la morte sulla croce; in alto al centro: La risurrezione, l’Ascensione, Maria incoronata regina , la discesa dello Spirito santo, l’Assunzione della Vergine al cielo.
La confraternita del Santo Rosario non ha lasciato tracce importanti nei documenti ma l’opera più bella è stata quella di radicare il rosario nel popolo.
Il rosario verrà recitato in famiglia specialmente nei mesi più freddi, tenendo uniti piccoli e grandi. Il capofamiglia si sentiva in dovere di "segnare" il rosario. Nei nostri tempi è invalsa l’abitudine nelle veglie dei defunti di chiamare il parroco per la recita del rosario: un tempo questo non avveniva. Erano i laici che recitavano il rosario in latino ( i vecchi dicono "in dialetto" tanto era popolare).
Possiamo pensare che molte maestà, dedicate alla Madonna del rosario siano state volute da membri delle confraternite. Per esempio una maestà della Val Cedra raffigura la Madonna del Rosario e Santi, seconda metà del XVII secolo e inizi del XVIII. La Vergine è assisa in gloria tra le nubi, con il braccio sinistro sorregge il figlio. Porge il rosario a san Domenico. Sant’Antonio eleva la mano per ricevere il giglio da Cristo. E’ una maestà di origine essenzialmente domenicana perché è solo san Domenico a ricevere il Rosario: Sant’Antonio appartiene a quei santi pellegrini che diffusero la devozione a Maria col rosario. Come questa tante altre propongono lo stesso tema
.
Esercizi di pietà eucaristica
La pietà cristiana ha sempre visto nell’Eucarestia il vertice della propria vita religiosa (una volta affermato senza ombra di dubbio che Cristo è realmente presente nell’ostia consacrata ): attorno all’Eucarestia ha creato vari esercizi di pietà (processioni, benedizione eucaristica, le sante quarantore, le adorazioni solenni, l’ora di adorazione, la visita al santissimo Sacramento, lo stesso sepolcro nel venerdì santo). Hanno un’unica matrice storico-culturale : proclamare la fede nella presenza reale, la transustanziazione messa in discussione in modo accanito dalla riforma luterana. Assume importanza enorme l’adorazione: Gesù da adorare più che da saper riconoscere nei fratelli e nella com-unione. Il testo della lettera ai Corinzi di Paolo è stato interpretato in modo devozionale più che come espressione della caritas (1Cor 11,23-34). L’affermazione della presenza reale non può essere fine a se stessa. In questo modo si sono lasciate cadere in ombra le ragioni di questa presenza e l’economia salvifica a cui corrisponde. Gli esercizi di pietà eucaristica sono degenerati in una forma di trionfalismo eucaristico come dimostrano determinate espressioni "il divino prigioniero", "Ospite solitario", Cristo che "impera" nei cuori. Gesù è presente in modo reale ma sacramentale: ciò che deve essere messo in risalto è il motivo per cui lui ha voluto essere presente in mezzo agli uomini. La pietà eucaristica deve essere una attività sacramentale cioè segno efficace d’un rapporto con Cristo che si riverbera immediatamente come impegno coi fratelli. Il momento dell’esercizio di pietà deve diventare occasione di presa di coscienza che tutti dobbiamo avere per essere "custodi" dei nostri fratelli. Le processioni e le adorazioni solenni dovrebbero significare che l’economia della salvezza proclamata deve trovare applicazione nei nostri ambienti (strade , piazze , posti di lavoro) con una forte testimonianza , profetica.
La radice fortemente devozionale della spiritualità delle Corti ha impedito un cristianesimo attivo sul piano sociale e umanitario ( i bisognosi hanno dovuto arrangiarsi, i giovani se ne sono andati vedendo "la inutilità" della pratica religiosa, le comunità si sono impoverite perché incapaci di reagire alla modernità che tendenzialmente cerca di mettere Dio tra parentesi rilegandolo a un problema privato. I praticanti sono stati considerati "bigotti"). I pret1 che hanno cercato di far cogliere in tempi recenti, dopo la riforma conciliare del Vaticano secondo, anche con metodi dirompenti, la dimensione "politica" della fede sono stati amati perché popolari ma non capiti. In chi continuava a frequentare la chiesa e in chi se ne era andato rimaneva un DNA di cristianesimo antico di secoli fatto di una fede piena di belle tradizioni che lasciva tutto e tutti al loro posto senza esigere una vera conversione .
Confraternite del Santissimo Sacramento
Di gran lunga la confraternita più importante è stata quella del Santissimo Sacramento: di fatto obbligatoria per non dire imposta dai vescovi. Nella visita di Castelli del 1575 risultano essere costituite quella di Monchio, Lugagnano, Pianadetto , Rigoso. Nei decreti della sua visita dice che siano invece erette a Casarola e a Trefiumi.
In archivio esiste ancora la pergamena della omologazione della Venerabile Confraternita del Santissimo Corpo di Gesù in Monchio e Lugagnano (1636). Viene concessa l’aggregazione all’arciconfraternita romana di San Lorenzo in Damaso(fig.162). Vengono estese a quella di Monchio le stesse indulgenze, la grazie spirituali, gli indulti con gli adempimenti previsti nelle costituzioni di papa Clemente VIII dell 1604 e Paolo V del 1607 e 1611.
Ancora l’8 maggio 1900 il vescovo Magani accoglie l’istanza di don Eugenio Gastaldi parroco a Pianadetto perché sia ufficialmente eretta tale confraternita col diritto di portare la kappa.
I numerosi simboli bernardiniani(Jesus Hostia Sancta) sui portali sono da attribuire alla grande fede dei monchiesi nell’eucarestia, alla presenza di preti in una determinata famiglia e, naturalmente, alla devozione popolare alimentata dalle confraternite, costituite per animare le pratiche di pietà eucaristiche(figg.163-166).
Trascriviamo il regolamento del 1899 della confraternita di Lugagnano che ripete i privilegi detti sulla pergamena e lo statuto, naturalmente aggiornato per gli interventi successivi dei pontefici. I privilegi per chi si adoperava per il culto del Santissimo Sacramento partono dal momento in cui era costituita la festa devozionale del Corpus Domini cioè con la bolla Transiturus di Urbano IV (1264). Poi in ordine abbiamo, Martino V (26\5\1429); Eugenio IV (26\5\1433); Paolo V (3\11\\1606); Clemente X (24\1\1673) ; Innocenzo XII (3\1\1694) : Benedetto XIV (2\8\1749) ; Innocenzo XI (1\10\1678); Pio IX (13\6\1853).
Regole per la confraternita del Santissimo Sacramento eretta nella chiesa parrocchiale di Lugagnano (1896)
Dell’accettazione
1.
Qualsivoglia persona dell’uno e dell’altro sesso, purché abbia superato gli anni dodici e sia di provata fede e vita cattolica, potrà far parte della confraternita dell Santissimo Sacramento: ma il giudizio per l’ammissione spetta al parroco e agli ufficiali superiori della confraternita.
2.
Non accettasi nella confraternita colui che per inobbedienza alle leggi della Chiesa potesse trovarsi vincolato da qualche censura ecclesiastica.
3.
Non saranno accettati minori d’età senza il permesso dei loro legittimi superiori, né le donne maritate senza il consentimento dei loro mariti.
4.
All’atto della iscrizione ogni confratello pagherà la quota di cent. 50, ed in seguito di centesimi 50 ogni anno, e più Cent. 10 per ogni defunto.
5.
Colui che, trascorsi sei mesi dalla pubblicazione del presente regolamento, volesse essere iscritto nel ruolo di detta confraternita (avendo già raggiunta l’età di 50 anni ), all’atto di sua iscrizione, dovrà pagare, cominciando da quell’anno tutte le quote scadute. ..
Degli obblighi della confraternita
6.
Primo e principal dovere della confraternita si è lo zelare con tutte le sue forze l’onore di Gesù nel SS : Sacramento, la gloria del quale deve uniformarla in ogni atto.
7.
La confraternita dovrà ogni anno colla pompa e divozione possibile celebrare la solennità del Corpus Domini; assistere con decoro alle consuete processioni della terza Domenica d’ogni mese e tutte le altre processioni d’uso nella parrocchia. A questo ella provvederà ogni confratello di una candela.
8.
Quando si avesse a recare il SS. Sacramento a qualche infermo, la confraternita avrà cura di farlo accompagnare da alcuni confratelli.
9.
Qualora la famiglia di un confratello infermo chiedesse qualche assistenza, la confraternita provvederà un servigio di due suoi confratelli, i quali gratuitamente prestino all’infermo pietosa, caritatevole, cristiana assistenza.
10.
Nel trasporto funebre di un confratello o di una consorella , almeno 4 vestiti di cappa lo accompagneranno dall’abitazione fino al cimitero e tutta la confraternita presente lo accompagnerà dalla chiesa al cimitero con le candele accese.
11.
Farà poi suffragare l’anima di ciascun confratello defunto con un Uffizio da requiem e 10 messe; il primo giorno non impedito dopo la prima domenica di settembre farà celebrare per tutti i confratelli defunti ogni anno un Uffizio con messa da requiem cantata, assistita dal parroco, con l’intervento di tutta la compagnia .
Degli obblighi de’ confratelli
12.
Ogni confratello avrà cura di frequentare i SS . Sacramenti, essere d’esempio agli altri per la vita veramente cristiana, e mantenere con tutti una santa armonia ed una caritatevole benevolenza.
13.
E’ dovere di ogni confratello l’intervenire con diligenza e divozione alle parrocchiali funzioni., vestendo, richiesto, la propria cappa che dovrà provvedersi a proprie spese.
14.
Pel mantenimento del buon ordine ogni confratello dee star sottomesso al proprio priore, e prestarsi volentieri a qualsivoglia servigio cui sia chiamato nelle sacre funzioni.
15.
Quel confratello che, senza ragionevoli motivi, si rifiutasse per il trasporto funebre dei confratelli defunti (la casa dei quali non disti dalla sua oltre un miglio), dovrà pagare ad ogni mancanza la multa di centesimi 20. In quelle famiglie dove fossero più confratelli, sarà sufficiente che ne intervenga uno solo. Questa regola è fatta pei morosi: ma non menoma punto il dovere di carità che tutti hanno di assistere al trasporto dei loro confratelli defunti.
16.
Ciascun confratello, non appena avrà ricevuto l’annunzio di morte di un suo confratello, reciti in suffragio dell’anima di lui la terza parte almeno del santo Rosario.
Degli ufficiali della confraternita
17
La confraternita vien regolata da sei ufficiali che ne formano il consiglio, e
18.
Il priore, il sotto Priore, il maestro dei novizi, ed il Cancelliere vengono per la prima volta eletti, e in seguito rinnovati ad ogni triennio per voti segreti dai confratelli capifamiglia della parrocchia.
Nel fare le sopraddette elezioni ognuno non deve aver di mira altro che il puro bene della confraternita: quindi gli ufficiali saranno da scegliersi tra quelli che maggiormente si distinguono per la vita veramente cristiana e per la più esatta osservanza dei proprii doveri inverso della confraternita.
20
Nessuno quindi oserà di brigarsi per essere lui l’eletto. Eletto però che uno sia, non rinunzi alla carica cui fu assunto senza forti e legittimi motivi; ma procuri anzi di adempierne con prudente zelo e dolci maniere gli obblighi annessi.
21.
Il consiglio nomina la prima volta ed in seguito poi rinnova ad ogni triennio per le consorelle:
22.
Il consiglio è tenuto ad adunarsi ogni anno nella prima domenica di gennaio per la rivista ed approvazione dei conti presentati dal tesoriere, e per trattare di tutto ciò che può essere necessario al buon andamento della confraternita. Ma al bisogno, dietro invito dell presidente o del priore, dovrà adunarsi in qualunque tempo.
23.
Qualora l’Ordinario diocesano chiedesse i conti della confraternita, il consiglio è tenuto a darli precisi con prontezza.
24
Il parroco presiede sempre le Adunanze sia della confraternita sia del consiglio della medesima e, nella parità dei voti ha la preponderanza.
25.
Le adunanze si terranno sempre nella sagrestia della chiesa parrocchiale o nella canonica, non mai nelle case dei privati.
Dell’espulsione
26.
Un confratello che, per inobbedienza alle canoniche leggi, fosse incorso in qualche censura ecclesiastica, se entro tre mesi dalla incorsa censura non si sarà con la santa Chiesa riconciliato, verrà irremissibilmente espulso.
27.
Chi desse cattivo esempio da disonorare colla riprovevole sua condotta la confraternita, e si dimostrasse incorreggibile, verrà espulso.
28.
In qualunque caso l’espulsione deve farsi con deliberazione del Consiglio.
29
Chi lascerà passare due anni senza pagare la quota, sarà tenuto come non più appartenente alla confraternita.
30.
Chi per qualunque motivo cessasse di appartenere alla confraternita non potrà vantare diritto o rimborso qualsiasi.
Approvato il 20 gennaio 1899 dal vicario generale
Can .Guido Maria Conforti..
Mi sembra utile riportare le indulgenze concesse ai confratelli che assolveranno i seguenti compiti :
11. Indulgenza di cento giorni ai confratelli e alle consorelle ogni volta che assisteranno alle Messe da celebrarsi pro tempore nella chiesa o cappella o nell’oratorio della confraternita .
Come si può notare, in questo caso, in un clima di grandi cambiamenti sociali, culturali e politici si intende orientare la confraternita anche all’attenzione ai problemi attraversati dalla società .
L’impulso dato alla costituzione delle confraternite rispondeva alla necessità della Chiesa gerarchica di rispondere a chi aveva voluto la rivoluzione all’interno della Chiesa. C’era però largamente diffusa una religiosità popolare che si esprimeva sia in modi conformi alla dottrina ufficiale della Chiesa e sia in modi largamente difformi .
Il fiorire delle maestà è sia espressione della religiosità popolare sia risposta devozionale alla chiamata della Chiesa a riformarsi.
Gli stendardi delle confraternite del Santissimo Sacramento parlano della grande devozione vissuta con profonda intensità. Lo stendardo di Cozzanello è inserito nell’ancona lignea di sinistra. Raffigura l’Ostia santa entro un ricchissimo ostensorio ambrosiano con ai piedi un santo vescovo e Sant’Antonio di Padova in atteggiamento di mistica devozione. Anche quest’opera è vicina all’epoca della consacrazione della chiesa. I due santi adorano: l’adorazione all’eucarestia non è un atto di idolatria ma riconoscere che in Cristo ci sono due nature, quella umana e quella divina. Nella consacrazione si rende presente la persona di Cristo mediante l’azione dello Spirito Santo e del sacerdote.(fig.166).
Ricco ma povero d’immagini è pure quello di Rigoso(fig.167). E’ della seconda metà del XIX secolo, preesistente all’attuale chiesa. Finissima la decorazione che inquadra il calice con l’ostia raggiata che reca il monogramma IHS. Due putti alati, dipinti a mano libera all’acquerello, sorreggono una corona sopra l’ostia divina. E’ la fede che riconosce nel pane consacrato il re dell’universo( la fede riaffermata a Trento nella transustanziazione).
Nelle Corti Monchio, don Piero Viola ha riportato varie cose sulle confraternite. La pagina che più interessa al nostro discorso è presa dal libro delle spese delle Confraternite di Grammatica. Le due confraternite di cui abbiamo detto sono una potente organizzazione laicale anche se a capo c’è in priore prete. Le confraternite hanno avuto come scopo di rendere il culto perfetto e di propagare la devozione a Maria con il rosario. E’ chiaro che i membri dell’una sono quasi del tutto i membri dell’altra. Un sinodo diocesano del 1691 aveva dato norme istruzioni. Dovevano mantenere libri contabili e rendere conto. Anche per questo motivo era importante la scelta del priore anche se non era necessariamente il parroco. Da quel libro appare che le due confraternite si mantenevano con l’iscrizione dei soci ma soprattutto con le rendite che venivano da prati, boschi e castagneti.
Per iscriversi la persona pagava una quartarola di frumento, le rendite arrivavano in generi alimentari, formaggio, lana,…I generi venivano, poi, messi all’incanto, all’asta.
Le spese della confraternita consistevano nell’acquisto dell’olio per la lampada, finanziare il culto del SS. Sacramento, acquistare le candele per i soci, far pregare per i soci defunti. Le confraternite per le loro riunioni spesso avevano una casa (come a Grammatica ). Una usanza della confraternita di Grammatica: Nel giorno di Ognissanti la confraternita doveva regalare a ogni famiglia 4 pani di frumento. Era una festa per tutti: allora si mangiava pane di segale, di scandella .
I governi del secolo scorso si interessarono delle cose della confraternita con leggi e decreti. Il governo di Maria Luigia nel 1824.
Perché si protrassero fino al Concilio Vaticano secondo? Rispondevano al bisogno di una fede devozionale: si rimane colpiti come andarono così avanti nel tempo senza produrre qualcosa sul piano sociale o umano. Il popolo era veramente sorretto da una forte fede su determinare verità come Paradiso, Purgatorio e Inferno, sulla presenza reale. Svolsero il compito importante di bloccare ogni possibile deviazione in quanto nessuno veramente poteva permetterselo, pena di sentirsi escluso da tutti.
Chiudiamo il discorso per accenni sulle confraternite con una nota di Cignolini: "Tutte le chiese di queste parrocchie sono mantenute di arredi sacri, cera e oglio dalle rispettive Compagnie del Santissimo Sacramento e del Santissimo rosario, che ordinariamente in tutte con questo o altro titolo sono erette, ed è pur dovere di tai Compagnie di solennizzare la festività del loro titolo. Non mancano tali Corpi a tal uopo d’entrate particolari, che sono amministrate dai loro rispettivi priori colla dipendenza dal parroco, e fu ottimo consiglio de’ loro fondatori e benefattori il procurargliene, perché i benefizi parrocchiali sono quasi tutti di rendite assai limitate, non oltrepassando quelli di Lugagnano e Nirone l’annua rendita di cento zecchini circa, pochi ve ne sono di duemila e molti ad di sotto delle mille lire nostre". (5)
Le confraternite hanno permesso alle nostre chiese di essere dotate di splendidi libri liturgici come il libro per il coro di Monchio(fig.169) o oggetti decorosi per l’altare (fig.170).La cartagloria di Casarola(sec. XVI) fa il tentativo, ben riuscito, di mettere alcuni apostoli di schiena nell’ultima cena.
Le processioni
Per chi viene a fare le sue vacanze nel monchiese, le vede spesso: i santi, le madonne sono sempre celebrate con le processioni dopo la messa. L’esteriorità è ridotta al minimo indispensabile e durante la processione si prega. Un giorno ad Olbia vidi una manifestazione che ingombrava varie strade di gente festosa, allegra. Ho chiesto a un sacerdote che cosa era e mi è stato detto che era una festa popolare, un misto di sacro e profano. L’unica processione vissuta nella mia infanzia era quella mariana del 15 agosto, si portava il simulacro della Madonna attraverso i campi accompagnato da una grandissima folla che era venuta da tutte le parti a festeggiare la Madonna di Careno.
La gente delle Corti che partecipa alle sacre celebrazione desidera anche fare queste processioni. Qual è il loro significato? La processione è un rito religioso universale. Il suo simbolismo, il gesto di camminare insieme, risponde ad un bisogno primario di quell’aggregazione con cui il gruppo acquista consistenza. La processione aggiunge alla celebrazione liturgica un gesto di notevole valore psicologico, il pregare camminando insieme. La preghiera diventa più fervente e la comunità è potenziata nella sua unità. Insieme uniti si cammina come un corteo dietro a un gran personaggio. Si cammina non solo per arrivare ma anche per vivere la strada: la processione fa vedere gli uomini inseriti nella vita che si svolge fuori dall’ambiente dei riti. Si passa per gli stessi luoghi della vita quotidiana, ma quei luoghi diventano sacri. Mischiati nel cammino, uniti nella preghiera e nel canto, i credenti si scoprono affratellati, più coinvolti negli stessi problemi.
La processione è ,inoltre, un altro segno che manifesta l’homo viator et peregrinans. Processione e pellegrinaggio sono segni contigui : la processione diventa il pellegrinaggio ritualizzato della comunità.
La processione ha dunque un forte valore religioso. La troviamo già nella Bibbia : la marcia dell’Esodo, il ritorno dall’esilio, la presa di Gerico, il trasporto dell’Arca a Gerusalemme, la processione di Neemia, la processione di Giuditta, l’ingresso trionfale di Gesù in Gerusalemme.
Liturgicamente ci sono processioni che commemorano i misteri di Cristo, processioni straordinarie, e occasionali, processioni rituali all’interno stesso della chiesa.
Le più comuni nelle Corti sono le devozionali e votive: la processione del Corpus Domini, nata con l’istituzione della festa, le processioni mariane e degli altri santi.
Gli elementi delle processioni cristiane sono: riunione in determinato luogo o partendo dalla stessa chiesa, procedere con un ordine stabilito, preghiera intensa, una metà fissata, un mistero cristiano da celebrare.
Nelle Corti il folklore è molto contenuto e solo ad alcune di esse c’è ancora un attaccamento: la processione col Cristo morto e con la Madonna addolorata, san Lorenzo, san Rocco, Maria Assunta, la Natività di Maria e in genere il patrono. La carenza dei sacerdoti ha poi ridimensionato tutto. Da quanto detto ritengo importante mantenere questo segno che rivela una struttura dell’essere umano e offre la possibilità di una preghiera più intensa. Ritengo che determinati segni non vadano aboliti perché sembrano in contrasto con la liturgia ma valorizzati con una appropriata catechesi.
Non è forse un’ipotesi plausibile ritenere che molti abbiano perso il gusto della pratica religiosa perché le celebrazioni si sono impoverite e ridotte solo alla messa "letta"? Mi sembra che le forme espressive della religione debbono essere molteplici? E’ proprio vero che pregare processionalmente non interessa più ai giovani ?(figg.171-174)
Altri Esercizi di pietà cristiana :
Via Crucis
Come è ancora praticata nei nostri giorni, è nata solo nel XVII secolo, però trova i suoi precedenti storici in pratiche devozionali che risalgono al XIII secolo. In quell’epoca avvenivano drammatizzazioni dei misteri di Cristo (sacre rappresentazioni ) per la contemplazione e per la catechesi. C’era già in uso la compartecipazione alla passione di Cristo facendo un percorso che riproducesse la via dolorosa. Prevaleva l’imitazione sulla meditazione anche se vi sottostava un ricco patrimonio di fede e di dottrina. Nel XIV secolo si sente la necessità di aggiungere la meditazione al cammino. Le stazioni arrivano fino a 47 ripercorrevano un cammino voluto simile a quello percorso da Gesù (riprodurre in loco quello che il pellegrino poteva vivere andando in Palestina ). Solo in Spagna nella prima metà del XVII secolo si ha notizia della via crucis in 14 stazioni. E’ un esercizio di pietà importante, da valorizzare: in tutte le nostre chiese vi è stata collocata tanto da diventare un elemento qualificante una chiesa cattolica .Una influenza grandissima esercitano sui pellegrini le grandi via crucis a Lourdes, Fatima, San Giovanni Rotondo.
Le suggestive immagini bronzee ad altezza d’uomo che animano la via crucis del monte Castellana, scolpite da Francesco Messina, inducono a meditare sul mistero della passione di Cristo. Questo è stato uno dei temi fondamentali della vita contemplativa di Padre Pio, uomo della terra e umile servo di Dio. Nella V stazione la figura del Cireneo è quella del Padre che ha portato nella sua carne i segni della passione per tutta la vita. "Soffro e soffro assai, ma grazie al buon Gesù, sento ancora un altro po’ di forza; e di che cosa non è capace la creatura aiutata da Gesù ? Io non bramo punto di essere alleggerita la croce, poiché soffrire con Gesù mi è caro; nel contemplare la croce sulle spalle di Gesù mi sento sempre più fortificato ed esulto di una santa gioia"(32).
Questo esercizio di pietà dovrebbe essere una meditazione biblica e vi si dovrebbe inserire le stazioni della gloria di Cristo perché la via crucis sia anche via lucis e per evitare che prevalga solo il sentimento di partecipazione ai patimenti di Cristo avulsa da tutto il contesto salvifico.
Una pietra in arenaria(proveniente da Ticchiano, cm.67 x cm 29 x cm16,5), rozzamente squadrata , è da collegare con il discorso della via crucis. Ben visibili nella parte conservata segni cruciformi resi ad incisione . Tra gli altri si riconoscono in alto a sinistra: croce complessa con segni orizzontali e verticali aggiunti ai bracci. In basso a sinistra: tre croci sormontanti il calvario stilizzato a forma di triangolo. In alto a destra : cerchio tagliato dalla croce con braccio orizzontale desinente a cuspide. Raffigurazioni di questo tipo, chiaramente ricollegabili alla simbologia cristiana, sono da mettersi in relazione a espressioni di culto popolare e risultano piuttosto frequenti, soprattutto in luoghi montani.
In mancanza di associazioni ed elementi datanti sicuri (come nel nostro caso)un’attribuzione cronologica risulta assai difficile essendovi in concreto la possibilità che i simboli non siano stati tracciati contemporaneamente, ma in tempi successivi. Seppure si conoscono esempi piuttosto recenti (1600 - 1700) l’uso di tracciare graffiti di questo tipo risale al tardo medioevo quando, soprattutto ad opera dell’ordine francescano, viene istituita e propagandata la pratica devozionale del "cammino della croce" e, parallelamente, viene introdotto in modo massiccio il culto dei Sacri Monti e si incoraggiano pellegrinaggi lungo percorsi prestabiliti scanditi dalle stazioni della via crucis.
Oltre alla raffigurazione della croce semplice, di quella a più bracci e di quella entro il cerchio, legata ai concetti di macro cosmo e microcosmo presenti nella filosofia platonica dei Padri della Chiesa e in particolare di Sant’Agostino, ecco quindi il diffondersi anche il simbolo stilizzato del monte che ha visto la passione di Cristo(33)(fig.174 )
Le via crucis nelle Corti.
La via crucis di Valditacca fu acquistata a Milano nel secondo dopo guerra ma risalente ai primi dell ‘900. L’opera è di Carlo Morgari ultimo discendente artistico della casa torinese. Le scene ricche di particolari parlano al cuore e alla fantasia del devoto. Era il desiderio del credente di essere in medias res nel grande dramma della redenzione. (fig.176)
Nella chiese di Riana e Casarola ci sono due serie di via crucis che vengono da una scuola parmense del XIX secolo. Sono realizzate ad acquatinta colorata a mano ad acquerello. Rendono con dovizie di particolari le scene evangeliche per aiutare i credenti a rivivere la passione del Signore. (fig.177)
Il pensiero della via dolorosa porta in modo inevitabile a guardare l’immagine del crocefisso.
Il cosi detto crocefisso di San Francesco ci riporta al modo in cui dall’oriente era pervenuta a noi l’immagine del Cristo sulla croce cioè il sovrano vittorioso che innalzato attira tutti e tutto a sé. E’ l’immagine di Cristo in mezzo ai redenti. Nel nostro mondo occidentale è prevalsa l'immagine del Cristo morto.
L’immagine più bella delle Corti è il crocefisso di Monchio .Proviene dalla chiesa e dal convento soppressi di S. Maria del Tempio dei Cappuccini di Parma. E’ opera di ignoto intagliatore emiliano del secolo XVII (fine) o primi decenni del XVIII. La scultura presenta una moderna croce di sostituzione, in legno di noce decapato, a bracci e terminazioni lisci; ad essa sono applicati frammenti, in legno intagliato dipinto e dorato, provenienti dalla croce originaria. Il titolo è racchiuso entro cartouche con la scritta INRI dipinta in oro su fondo nero. La raggiera è fastosa ,doppia, caratterizzata da fasci di raggi continui che si dispongono simmetricamente ai lati dei montanti e dei bracci. Il Cristo moro, con perizoma annodato al fianco, reclina il capo, coronato da una aureola a piattello, sulla spalla destra. La croce perduta è descritta nel 1928 da G. Copertini come monumentale. La figura di Cristo, particolarmente sensibile, nel modellato risentito e nella posa lievemente contratta alle istanze espressive del seicento, caratterizzata da accenti di forte patetismo e dinamismo nel perizoma accartocciato e svolazzante sostenuto da una corda, rivela una buona qualità nella resa anatomica ed una spiccata incisività espressiva(16)(fig.178)
In tutte le chiese parrocchiali c’è la reliquia del santo legno della croce. La festa del 14 settembre(Esaltazione della Santa Croce) è l’anniversario della dedicazione delle basiliche costantiniane, erette sul Calvario e sul santo sepolcro; ma l’uso vi ha annesso il ricordo del ritorno della reliquia della vera croce, ripresa dall’imperatore Eraclio a Cosroe, re dei Persiani. Secondo la tradizione Eraclio, rivestito delle insegne imperiali, portò egli stesso la sacra reliquia, ma giunto ai piedi del Calvario, gli fu impossibile avanzarsi. Il patriarca Zaccaria avendogli consigliato di deporre tutto quello che nel suo abbigliamento era contrario alla povertà e all’umiltà di Cristo, l’imperatore smise subito i suoi abiti sontuosi, e vestito come uno del popolo , a piedi nudi, poté fare il resto del cammino e deporre la croce sul monte.
A Monchio si conserva il sacro legno in una stauroteca in argento del secolo XIX. Il reliquiario è a forma di croce con terminazioni e ricettacolo cruciforme, caratterizzato da un’ornamentazione esuberante e ricchissima di dettagli descrittivi connessi ai temi e ai simboli della Passione.(fig.179)
Forniamo l’immagine della croce penitenziale di Casarola in quanto si presenta nel miglior stato di conservazione anche perché recentemente restaurata. La croce serviva per fare la via crucis: è ricca dei segni della Passione. Questo modo di fare la croce è comune in tutte le Corti di Monchio(fig.180).
Collegabili con questa religiosità pietistica prima del concilio Vaticano secondo sono i vari cristi morti : chiesa di Pianadetto, di Rimagna, di Monchio e di Ceda. La celebrazione del venerdì santo più che meditazione della passione era occupata per i preparativi per la grande processione della sera, in cui la confraternite sfilavano con le loro divise.
A Monchio insieme col Cristo morto, si portava in processione la statua della Madonna addolorata con il relativo stendardo.(fig.181.) Grande era la devozione popolare dei monchiesi per la Vergine addolorata se fin dagli inizi del ‘900 sentirono il bisogno di costituirsi in confraternita dell’Addolorata che durò fino all’epoca dell Concilio Vaticano II. Notevole importanza ha sempre avuto la processione del venerdì santo(fig.182)
Capitolo nono
RELIGIOSITA’ POPOLARE
Forme della religiosità popolare
Le forme in cui si manifesta le religiosità popolare sono almeno le seguenti: un accentuato culto alla Vergine e ai santi specialmente nelle feste; pellegrinaggi ai santuari; culti e riti a carattere sacramentale interpretati e vissuti come atti celebrativi di avvenimenti biologici dell’esistenza, nascita, fecondità, la morte; culti extraliturgici indirizzati a persone morte o ancora viventi alle quali si attribuiscono particolari poteri; pratiche magico- superstiziose unite spesso a riti "cristiani"). Questo sono i fenomeni senza entrare nel merito di una loro discussione critica.
Si ritrovano in tutti gli ambienti popolari anche nella nostre montagne da tempi immemorabili (anche in persone di cultura medio alta ). A quali bisogni risponde la religiosità popolare, quale funzione ha? In primo luogo ha una funzione culturale: anche se Dio è considerato come sommo bene, come creatore, è spesso visto, inconsapevolmente, come un potere che può essere piegato a proprio vantaggio eseguendo bene determinati riti. Questo è molto vicino alla magia. Perché portare in processione il santo ?La risposta può essere: siamo sicuri della sua protezione perché abbiamo adempiuto tutto. Aver abolito, subito dopo il Concilio Vaticano II, molte processioni, aver nascosto molte statue di santi in sacrestia è stato preso come un affronto. L’agire del prete intraprendente non è stato capito e ha finito per allontanare diverse persone dalla pratica della fede nel proprio ambiente. La religiosità popolare ha bisogno di toccare con mano la presenza del sacro. L’unico modo corretto, per correggere atteggiamenti magici latenti, è quello di una paziente catechesi che ricuperi i valori che stanno alla radice dei riti.
In secondo luogo la religiosità popolare risponde alla funzione dell’impetrazione di favori materiali o spirituali, di dire un forte grazie quando si ritiene di aver ottenuto quel favore che è stato chiesto. Vengono donati gli ex voto, si compie un pellegrinaggio, si commissiona un quadretto con un cuore, si fa fare un’immagine che descriva il fatto miracoloso, si erige una maestà. A Monchio si conserva un quadro raffigurante Maria col bimbo: è un’immagine molto dolce , circonfusa di luce soprannaturale, con un arcobaleno che indica la pace del cuore riportata nella persona devota. Sotto ha la scritta ACCIPE CONSILIUM A ME (prendi consiglio da me )(fig.183).
In una parete del presbiterio di Pianadetto è appeso un quadro di una Madonna di Loreto ed i Santi Carlo Borromeo, Antonio Abate e Paolo Apostolo(fig.184). Il dipinto è un ex-voto. Il committente Giovanni Paolo di Lazzaro è lo stesso della maestà detta dei Lazzari la più antica maestà datata del territorio delle Corti, che reca scolpita l’immagine della Vergine col bambino fra i santi Carlo Borromeo e Paolo Apostolo. Il quadro è citato nell’inventario del 1694. Il quadro, come nelle immaginette, presenta la descrizioni di tanti particolari, le figure sono disposte in modo simmetrico con al centro la Beata vergine.
La religiosità risponde, inoltre, all’esigenza di rassicurazione contro le continue incertezze che contrassegnano la vita del povero per quanto concerne il lavoro e la salute: come diremo, non esisteva né una previdenza sociale né la possibilità di curarsi in un ospedale né la disponibilità economica. Si ricorreva al un santo protettore. La devozione a Santa Barbara era molto sentita a Lugagnano e a Rigoso perché molta gente emigravano per un buon periodo all’anno per andare a lavorare in miniera o in gallerie o comunque in cantieri polverosi (la silicosi era sempre in agguato ). Ci si affidava alla protezione della divina Provvidenza per intercessione della santa. Il santo protettore era sentito più vicino al devoto che si trovava in varie difficoltà.
La religiosità risponde ancora al bisogno di uscire da una vita di routine, quindi possibilità di entrare in rapporto con gli altri, di fare conoscenze, di ricrearsi. Le sagre venivano attese. Si andava per incontrare amici e parenti. Il vespro domenicale, il rosario nel mese di maggio alla sera diventavano occasioni di incontro anche per fare un affare o intraprendere una relazione.
La religiosità popolare può rispondere anche al bisogno di innovazioni sociali o religiose più vicine al popolo.
La religiosità popolare contiene sicuramente valori umani e religiosi autentici anche se bisognosi di purificazione. Del resto, quale rapporto con Dio non è bisognoso di purificazione? La religiosità esprime la sete di Dio. L’apostolo Paolo parla nella lettera ai Romani di una umanità che ricerca Dio "a tentoni "(Rm 1,18-32): questo accomuna, pure, tutte le forme religiose. La pietà popolare, quando si tratta di manifestare la fede, rende capaci di generosità di sacrifici fino all’eroismo: pensiamo ai sacrifici che l’uomo pellegrino faceva per raggiungere la Palestina o Santiago di Campostela. Ripenso ad atti di generosità come l’obolo della vedova che dà tutto quello che aveva per vivere che arriva fino ad impressionare Gesù che osserva ammirato la scena .
La religiosità popolare esprime, inoltre, un senso profondo degli attributi di Dio quali la paternità, la Provvidenza, la sua presenza amorosa e costante. Quello che Manzoni ha espresso nella conclusione del suo capolavoro era l’animo di tanta parte del nostro popolo: accettare la volontà di Dio, qualunque essa fosse, e ritenere che tutto andrà per il nostro meglio. "Dopo un lungo dibattere e ricercare insieme, conclusero che i guai vengono bensì spesso, perché ci si è dato cagione; ma che la condotta più cauta e innocente non basta a tenerli lontani; e che quando vengono, o per colpa o senza colpa, la fiducia in Dio li raddolcisce, e li rende utili per una vita migliore ". L’autore dice questa soluzione trovata da "povera gente ".
Dalla religiosità popolare sono espressi altri valori quali la pazienza, il senso della croce nella vita quotidiana, il distacco, l’apertura verso gli altri, la devozione. Sono valori autentici anche se talvolta coperti da atteggiamenti non del tutto chiari per un credente, che lascino punti interrogativi per chi va alla ricerca di una fede senza ambiguità .
Nella religiosità popolare occupa un posto importante la festa popolare. Vediamo i valori in essa contenuti. Da intellettuali vengono messi spesso in rilievo solo gli aspetti folcloristici e le reminiscenze pagane. Sono in realtà celebrazioni ricche di simboli, di fantasia creatrice , di fede narrata. La festa popolare non rappresenta una fuga dal quotidiano, dal dolore e dal lavoro come avviene nella festa borghese. Ha spesso un carattere penitenziale cioè un riconoscimento del proprio peccato e dalla volontà di espiare. Si sottolinea anche l’aspetto faticoso della vita. Mi ricordo che mia mamma andava in processione a piedi scalzi il 15 agosto nella grande processione a Careno, per ottenere la protezione della Vergine sulla nostra famiglia. I pellegrini a Fatima sono colpiti dalla fede che cerca il sacrificio vedendo tanti che percorrono in ginocchi tutta la grande piazza per arrivare al luogo delle apparizioni.
La festa borghese crea opposizione tra il festivo e il feriale. Nella cultura popolare, invece, il festeggiare non si sgancia dal lavoro, ma diviene tempo idoneo per sviluppare capacità di convivenza e rapporti nuovi. Alla sagra si univa la fiera: si aspettava l’una e l’altra . Nella festa il popolo ritrovava la forza di vivere e la capacità di ritornare con rinnovata speranza alle lotte quotidiane. La festa diventa l’esplosione di una solidarietà profonda, il ricupero di una consapevolezza di non essere soli a lottare ed ad operare per una convivenza umana più giusta.(fig. 183)Di qui si capisce la nostalgia chi parla della festa quando un tempo c’era partecipazione e la gente veniva da tutte le parti. Il tempo era scandito da un vivere non in modo uniforme ma creativo che offriva nuove possibilità alla vita. La gioia, la speranza, la solidarietà sono esaltati dal fatto di sentire la presenza amica della Madonna e dei santi vicini a noi. Ecco perché le sagre erano partecipate da tutti anche da coloro che alla domenica non andavano in chiesa. La festa popolare ha in sé una somma di valenze. Costituisce la rivincita della fantasia sulla routine: ne sono segno i vestiti nuovi, il mangiare senza parsimonia che deve come anticipare, almeno per un giorno, l’abbondanza a cui tutti siamo chiamati nel Regno di Dio, regno di giustizia per tutti dove tutti si potranno sfamare, "banchetto di grasse vivande" (figg.185-186).
Nella festa viene espresso un rapporto fiducioso e filiale con Dio e di devozione filiale a Maria e ai santi .
La religiosità popolare si esprime in modo forte nel pellegrinaggio. Non nasce dall’istituzione anche se questa lo riconosce e gli fornisce privilegi. Al santuario si svolge una preghiera semplice, spontanea, a carattere devozionale: vedi la preghiera di consacrazione nel santuario di Rimagna.
Nella religiosità rimangono delle ambiguità come la ricerca del consolatorio, del miracoloso, dell’evasione dalla realtà per cercare una gratificazione. Penso, comunque, che siano più gli aspetti positivi : integrano la freddezza di una religione "intellettuale" solo teologica o solo liturgica. La venerazione della maternità di Maria ha esercitato una funzione positiva, stimolante, ha dato energia, speranza agli emarginati (pensiamo ai fenomeni di Fatima, Lourdes, Medjugorie, Radio Mariae). Il popolo ha bisogno di segni , di avere un Dio per amico : la preghiera non deve nutrire solo la mente ma anche il cuore, la vita .
Dalla religiosità sono nate tanti racconti, leggende, preghiere, canti popolari. Nel racconto popolare religioso, il fedele diventa partecipe dell’avvenimento, del particolare intervento del divino. Il cuore si riempie di speranza di non sentirsi soli.
Una delle cause dell’allontanamento di tanti è dovuta al fatto di trovare la pratica della fede fredda e distaccata, di non trovare nei fratelli e sorelle che partecipano alla stessa assemblea amicizia e simpatia .
Le maestà
Di queste è stato abbondantemente parlato da diversi ricercatori in particolare da Anna Mavilla nel suo libro Le maestà dell’Alta Val Parma e Cedra(Longo ed. Ravenna,1996) per cui non ci fermeremo sull’argomento se non il minimo indispensabile ai fini di questa nostra ricerca.
Le maestà sono una eloquente manifestazione della religiosità della popolazione delle Corti: sono disseminate nei borghi e sui sentieri ora ben poco frequentati. Le più antiche risalgono agli inizi del secolo XVII. A Pianadetto la maestà dei Lazzari è datata 1621; su un pendio della Bastia sorge la cappelletta con la maestà dedicata alla Madonna del San Rocco datata 1631 (fig. 22 ). La nuova epoca per i nuovi cambiamenti economici sociali aveva portato anche nuovo benessere più diffuso.
Con fasi alterne la loro erezione è continuata fino ai nostri giorni. E’ stata benedetta con solenne concorso di popolo la maestà dedicata alla madonna di Fontanellato ai confini del comune di Monchio sulla strada che porta a Corniglio (1998). La maestà è stata fatta secondo le indicazioni che la storia del passato ha fornito cioè il bianco marmo è stato inserito in una piccola cappelletta di pregevole fattura degli artigiani locali. Seguendo le stessa tradizione. Pietro Cavalli ha voluto crearne un’altra vicino alla sua casa restaurata di Riana: questa volta è l’immagine di Cristo Pantocratore secondo il modello del Cristo del catino dell’abside duomo di Monreale (anche questa è stata benedetta nel 1998.) Il Cristo Pantocratore è stato riprodotto in mosaico, secondo l’antica tradizione dei mosaici ravennati, anche nella pieve di San Vincenzo, ricostruita nel 1945 (fg.187)
Altre maestà arrivate in questa fine secolo sono quella di Rozzi Giacomo(La Valle), Mariotti Teresa ( al Prato), Rossi Valerio(sulla strada per il lago Ballano) .
Sembra assodato che il nome di maestà derivi dalla parola maiestas Domini come nel IV secolo si è cominciato a raffigurare Cristo seduto in trono nella conchiglia, simbolo della sua signoria su tutto il creato. Ne abbiamo un esempio nella raffigurazione del Cristo Pantocratore nella lunetta sopra l’altare del battistero di Parma collocato ad oriente come generalmente erano collocate le chiese ( anche la chiesa di Monchio aveva probabilmente tale collocazione in quanto nella parete dell’abside esterna si vede ancora la traccia del portone di ingresso formata da pietre lavorate e le relative finestre ).Dalla raffigurazione della maestà del Signore, si passa raffigurare la maestà di Maria, anch’essa vista come regina seduta sul trono (confrontare la Madonna col bambino raffigurata dall’Antelami sulla lunetta del Battistero di Parma che guarda piazza duomo )(fig.188).
Queste maestà sparse ricordano la tradizione antica pagana e germanica di edificare sacelli o pietre votive nei boschi e sentieri che si ritenevano popolati da divinità amiche e da demoni malefici .
Ci sono maestà sulle abitazioni, maestà vicino alle fonti, e maestà delle strade: questo non già per un richiamo al paganesimo ma perché rappresentavano i luoghi o di aggregazione(tutte le donne si recavano in quel posto a lavare ) o di passaggio o per ricordare la presenza di Dio nella propria famiglia .
Un particolare interesse acquistano le maestà collocate vicino alle fonti: il lavatoio rappresentava un momento di aggregazione per le donne che andavano a lavare o per chi vi conduceva le bestie all’abbeveraggio quotidiano. L’acqua è un bene prezioso: tante volte la gente doveva fare strada per rifornirsi. Più in profondità c’è il motivo di richiamo all’acqua santa del battesimo che ogni credente ricorda nel fare il segno di croce: c’è nell’uomo il bisogno istintivo della purificazione (sono da prendere in considerazione in questo modo le acque che i pellegrini portano a casa dopo essere stati a Lourdes). E’ interessante vicino alla nostra diocesi la Madonna della Fontana di Casalmaggiore (dove si conservano le spoglie del Parmigianino ) che risale fino all’anno mille. Bevendo quell’acqua ci si sente protetti , purificati, rinforzati .
Le maestà erette vicino ai sentieri fanno pensare alla vita come a un pellegrinare continuo fino al ritorno alla casa del Padre. Non è un camminare senza meta ma è andare incontro a Qualcuno. Che ha detto di sé : Io sono la Via , la Verità e la Vita.
Le maestà delle abitazioni, oltre all’ovvio motivo della protezione sulla propria famiglia, denotano la consapevolezza che la famiglia nata dal sacramento è Chiesa domestica, dove Gesù è stato invitato.
Variano anche i motivi per cui sono collocate anche se la motivazione più dichiarata rimane quella per devozione. Sono spesso ex voto per grazie ricevute, guarigioni straordinarie, superamento di gravi pericoli, benefici materiali. S’intende affidare al santo o alla Vergine la propria famiglia, i beni materiali, la salute. Nel cimitero di Monchio è collocata una maestà (fig.189 ) dedicata alla Madonna con il bambino e a San Michele e San Lorenzo. E’ del 1665, voluta da don Pietro Penelli, esponente eminente della famiglia dei Penelli della Valle, che sarà poi parroco a Trefiumi e a Rigoso (1635 - 1651).Le maestà delle nostre zone appaiono espressione della devozione privata delle più importanti famiglie del territorio(almeno agli inizi), e in particolare dei sacerdoti che ne erano membri .
Le confraternite, inoltre, intendevano diffondere la devozione alla Madonna del Rosario, o al Santissimo Sacramento o a qualche santo protettore (San Michele era pure protettore delle confraternite seppellitrici: era raffigurato con la simbolica bilancia destinata a pesare le anime dei morti per stabilire la loro giusta ricompensa).
Dopo il concilio di Trento, le maestà diventano un aiuto per diffondere la vera fede in mezzo al popolo e difendersi dalla eresia protestante Rappresentavano un aiuto per il popolo cattolico che a differenza dei protestanti non poteva prendere in mano direttamente la Sacra Scrittura. Erano in linea con la tradizione che aveva accettato il culto delle immagini come biblia pauperum.. Arte popolare semplice ma di aiuto alla fede del popolo: la controriforma cattolica ha combattuto, con vari mezzi, la riforma protestante.
Il Concilio di Trento è stato in primo luogo un grande Concilio riformatore che ha dato nuovo fiato spirituale alla Chiesa cattolica come dimostra la figura di San Carlo che ha portato un rinnovamento nella Chiesa (nella chiesa di Riana sono raffigurate nei dipinti, ormai fatiscenti, le virtù di San Carlo che dovrebbero essere il patrimonio di ogni credente). Dalla stagione del concilio si è andata affermando una vera controriforma che ha invaso tutti campi della cultura (arte, poesia ,...)e ha controllato .in sostanza il libero manifestarsi della creatività dello spirito popolare. Anche queste espressioni della religiosità popolare dovevano uniformarsi alla fede professata.
Mentre nel mondo protestante la riforma della Chiesa si era orientata all’analisi diretta del sacro testo, alla liturgia adattata al popolo, alla nuova formazione dei capi della comunità, nel mondo cattolico si dirotta più alla devozione , venendo ancora una volta incontro alle esigenze popolari. Mai ci si doveva dimenticare della presenza di Dio e dei santi anche quando si facevano lavori profani: il sacro doveva permeare tutta la vita dell’uomo, accompagnarlo lungo il cammino della vita e consegnarlo nelle mani del Padre, ricco di misericordia, alla fine dell’esistenza terrena.
Vediamo che significa "per devozione" perché questo qualifica probabilmente il tipo di fede vissuto nelle Corti fino all’avvento della riforma del concilio Vaticano secondo: all’avvento del ventesimo secolo si preferisce una scritta più laica (in ricordo…). La devozione consiste in una prontezza d’animo nel darsi alle cose che appartengono al sevizio di Dio. E’ devoto chi si dà o si consacra interamente a Dio e vuol rimanere totalmente sottomesso a lui. I veri devoti son sempre disposti a tutto quanto si riferisce al culto o al servizio di Dio. L’esempio più sublime di devozione è quello di Cristo che disse entrando nel mondo: "Eccomi, Signore, disposto a compiere la tua volontà; in questo pongo la mia compiacenza e dentro il mio cuore sta la tua legge"(Sal.38, 8 - 9 ; Ebr.10 , 5 - 7).Se si cerca l’unione amorosa con Dio proviene dalla carità; se si cerca il culto o il sevizio di Dio è un atto di religione.
Molti fanno consistere la propria devozione nel sovraccaricarsi di pie pratiche, di numerose preghiere recitate per abitudine, nell’appartenere a gruppi ecclesiali (allora le confraternite) senza poi farsi scrupolo nel trinciare giudizi sugli altri, o voltarsi da un’altra parte quando il prossimo ha bisogno. Quando è così e falsa devozione, perché confonde la devozione con le devozioni. La devozione si riferisce sempre a Dio. La devozione ai santi non deve fermarsi ad essi, ma giungere a Dio(per mezzo di loro). Nei santi noi veneriamo propriamente ciò che hanno di Dio, noi onoriamo Dio in loro. Sarebbe errore fermarsi al santo o a quella particolare immagine.
La maggior parte delle maestà sono dedicate a Maria: le dediche riflettono motivi teologici(figurano i vari titoli mariani.),devozionali e motivi occasionali . Più comune Madonna del rosario. Con Pio V i papi avevano in tutti modi appoggiato questa pratica di pietà.
I titoli mariani raffigurati vanno dai più antichi come Madonna dell’aiuto (fig.190)fino ai più recenti come l’Immacolata (figg.191-192,209) Si trattava di una fede antica, nella donna "vestita di sole e coronata di dodici stelle" e vincitrice su Satana(così proclamata nell’Apocalisse. Nel 1854 era stato solennemente proclamato il dogma dell’Immacolata. E’ dedicata all'Immacolata la maestà creata di recente dalla famiglia Isi a Rigoso(fig.190). Era posizionata originariamente nella casa di famiglia in Valcieca: la formella marmorea rappresenta una madonna assunta: immagino che un venditore tosco l’abbia allora portata sul mercato delle Corti. Il devoto ha fatto mettere sotto la scritta Beata Vergine Immacolata perché in quel momento agli inizi del novecento era devozione diffusa.
Altre maestà mariane hanno motivi occasionali dovuti o a una particolare devozione suscitata dal particolare attaccamento verso un santuario mariano. Molte sono dedicate alla madonna di Fontanellato: questo santuario incomincia la sua bella storia per i parmigiani a partire dal seicento (figg.193-194)
Altre sono dovute a contatti avuti con altri paesi, specialmente liguri e toscani, per svariate motivazioni anche commerciali percorrendo gli antichi sentieri che per attraversavano le dorsali appenniniche come la Madonna dei Quercioli che è venerata a Massa .
Tante maestà sono dedicate ai santi: la fede preferisce rivolgersi ai santi considerati amici dell’uomo più che rivolgersi direttamente a Dio. Il rigorismo giansenista aveva comunque gettato il suo seme: meglio rivolgersi ai santi che alla onnipotenza di Dio. I santi scelti sono legati ai bisogni immediati della vita difficile, come particolari protettori: Sant’Antonio abate perché protettore degli animali, San Rocco protettore contro le malattie pestilenziali, San Michele contro le potenze del male, San Genesio contro l’epilessia, San Valentino contro il malocchio, Santa Lucia per la vista, Santa Barbara contro le folgori e più recentemente contro le malattie derivanti dal lavorare in galleria o in miniera, Santa Liberata per le partorienti e come aiuto nei mali difficili.
Dalla catalogazione delle maestà delle Corti:
Dedicate a Gesù :
La Sacra Famiglia(fig.195-196) ,Sacro Cuore di Gesù, Gesù divino fanciullo(fig.197), Crocifissione
dedicate a Maria :
titoli teologici.
Natività di Maria, L’annunciazione (fig.198), Madonna Assunta (fig.199), Madonna Immacolata (numerose)(fig.200,209),Sacra Famiglia, Sacro cuore di Maria, Madonna col bambino(numerose )(figg.201-203), Madonna addolorata .
titoli delle litanie lauretane :
Madonna delle Grazie(numerose), Madonna della misericordia(figg.204-205), Madonna degli angeli, Madonna del rosario(numerose ), Madonna della pace, Madonna del buon Consiglio
titoli derivati da santuari conosciuti dai pellegrini
Madonna dell’aiuto, Madonna di Caravaggio, Madonna del Carmine, Madonna di Greggio, Madonna di Loreto(fig.206-208), Madonna di Lourdes, Madonna di Montenero, Madonna di Provenzano, Madonna dell ‘Edera, Madonna del Sasso di Rimagna , Madonna della Guardia, Madonna della neve, Madonna dei Quercioli, Madonna di Fontanellato, Madonna di Pompei, Madonna di Soviore, Madonna di Viterbo, Maria divina Pastorella, altre(fig.210)
Dedicate ai santi :
Sant’Antonio Abate, Sant’Antonio da Padova, Santa Barbara, San Carlo, Santa Caterina d’Alessandria, Santa Rita da Cascia, Santa Liberata, Santa Caterina da Siena, San Domenico, San Michele, altre
Diamo un particolare rilievo ad una maestà che stata oggetto di attenzione di tanti che hanno parlato delle nostre contrade, la maestà dei Lazzari a Pianadetto. E’ la più antica, 1621. La Vergine è seduta frontalmente su un piedistallo secondo il modello della Vergine del Battistero di Parma. I panneggi sono ampi e abbondanti e abbracciano tutto il corpo della Vergine. Il bambino si aggrappa in modo affettuoso al vestito della madre ma le due teste non si fondono in unica forma piramidale: ognuna richiama a sé l’attenzione, sono però al centro del gruppo quasi allo stesso livello. San Paolo alla destra con gli attributi soliti: il libro delle lettere canoniche e la spada del suo martirio. I contorni sono fortemente pronunciati e quasi compressi in uno spazio esiguo per la statura del personaggio. Rende in modo visivo la statura morale dello stesso. Alla sinistra sta la figura di San Carlo quasi ricopiato dal vero: porta la mozzetta cardinalizia, la cotta e la talare. E’ in atteggiamento di meravigliato stupore davanti al mistero della Redenzione e si offre come fervente apostolo per la diffusione del credo. La scelta dei santi mi sembra che riproponga il motivo base delle maestà cioè l’offrire ai fedeli una catechesi visiva nello spirito del Concilio di Trento. La scelta di San Carlo può essere sta influenzata dall’enorme risonanza che aveva suscitato nel popolo la canonizzazione avvenuta rapidamente dopo la sua morte nel 1610. A Riana appena qualche anno prima gli avevano dedicato la chiesa. La composizione rivela una mano esperta e di raffinato gusto artistico La scritta alla base della formella: GION. PAVLO. DI. LAZARO. DAL.PIAN.ADE. M.Dc.X.X.I. (fig.211)
Da quello che abbiamo detto, la moltitudine delle maestà denota una fede semplice che, però, dimostra di credere in verità fondamentali del dogma cattolico: innanzitutto la fede nella comunione dei santi e nella sopravvivenza della persona dopo la morte. I santi non sono "addormentati" in attesa del risveglio ma sono ben vivi e presenti anche nella vita del credente. Dimostrano fiducia in un Dio amico dell’uomo, Padre che si prende cura dei propri figli anche attraverso l’intercessione dei santi. In particolare è fortemente sentita l’opera mediatrice di Maria: la mediazione di Maria è legata al mistero fondamentale della fede cioè l’incarnazione del figlio Dio. Le maestà comunicano tuttora questo diffuso della presenza di Dio. Al viandante e al passante era un ricordo continuo che siamo sempre in presenza di Dio, che non esistono azioni ordinarie della vita ma che la vita vissuta in grazia di Dio ha un valore immenso per l’eternità. Le maestà parlano di questa signoria di Dio sul tempo e sullo spazio: non esiste il profano ma tutto è sacro perché esce dalle mani di Dio: esiste la volontà cattiva dell’uomo e la forza personale del male che può rovinare l’uomo capolavoro della grazia redentrice.
Questi accenni dimostrano l’ampiezza del discorso sulle maestà delle Corti affrontato a più riprese da Anna Mavilla nella sua opera(34)
I giubilei
Incidevano enormemente nella vita religiosa anche i giubilei che i papi indicevano più frequentemente per venire incontro alla devozione popolare .
Qualche accenno a quelli del periodo post-tridentino.
Anno santo 1575 (papa Gregorio XIII. Bolla Dominus ac Redemptor noster ). E’ terminato il concilio di Trento, inizia la grande riforma morale e religiosa della Chiesa cattolica. Il papa afferma di confidare "nella esuberanza della divina bontà" e, per il buon esito del giubileo si rivolge ai re agli imperatori, in questo caso a Massimiliano I, figlio di Ferdinando I, fratello di Carlo V. Questo appello ai capi dei popoli sarà imitato in seguito da altri papi. Scrive Gregorio XIII : "Preghiamo anche nel Signore il nostro carissimo figlio Massimiliano, re romano, imperatore eletto, e tutti i re e principi cristiani, che accrescano tanto più i loro meriti presso il Signore nel favorire questa pietà dei pellegrini e vogliano provvedere alla sicurezza delle strade a vantaggio dei medesime pellegrini e soccorrere i bisognosi con beneficenza ed elemosine".
Anno santo 1600 (papa Clemente VIII. Bolla Annus Domini placabilis ). Il papa ripercorre la storia del secolo passato e lamenta la scissione dei cristiani : "Siamo presi da un pungentissimo dolore ripensando con la mente e col cuore a quante numerose nazioni e popoli si sono miseramente staccati dall’unità e dalla comunione della Chiesa cattolica e apostolica". Quasi a far vedere a costoro quale tesoro abbiano perso allontanandosi da Roma , ecco un grande elogio della città : "Questa è quella felice città la cui fede, lodata da bocca apostolica, viene annunziata in tutto il mondo. Qui la pietra della fede, qui la fonte dell’unità sacerdotale. Qui la dottrina dell’incorrotta verità, qui le chiavi del regno dei cieli e il sommo potere di legare e di sciogliere, qui infine quell’inesauribile tesoro delle sacre indulgenze della Chiesa, custode e dispensatore è il sacro romano Pontefice". Il papa spiega la differenza tra il Giubileo cristiano e quello ebraico: la consuetudine degli Ebrei nel loro Giubileo era soltanto in figura. Adesso non è come allora, non si deve pensare che " gli schiavi di servitù umana sottoposti a giogo vadano liberi o gli incatenati in carcere vengano dimessi o gli oppressi da grave debito verso gli altri vengano liberati, e neppure perché ritornino in possesso dei beni paterni. Infatti queste cose sono terrene, fluttuanti e caduche ...Ma i frutti dell’anno del nostro Giubileo santo e spirituale sono quelli abbondantissimi che le anime redente dal sangue di Cristo vengano sciolte dal ferreo giogo della tirannide diabolica e dal tetro carcere e dalle catene dei peccati".
Nessun accenno di autocritica della Chiesa per la scissione dei protestanti : la Chiesa neppure in vista del Giubileo è invitata alla conversione del cuore. Viene sottolineata l’importanza delle indulgenze: questo continuerà a favorire una spiritualità di tipo devozionale intimo che non si incarna nella storia. umana concreta. L’evento cristiano era nato dall’Incarnazione. Il Giubileo cristiano lo doveva ricordare, di fatto però continuava una religiosità avulsa dalla vita anche se la fede e la religione continuavano a impastare la vita della società. Non meglio sicuramente andava la religione nei paesi in cui si era installata la riforma protestante in quanto per sostenersi doveva appoggiare senza riserve il principe e continuare una forma di cristianesimo intimistico. C’è poi nelle parole del papa un infelice accostamento con il Giubileo ebraico: la bellezza del Giubileo ebraico stava proprio nel ristabilire rapporti sociali più equi, eliminando forme gravissime di ingiustizia. Il pensare solo all’interiorità spesso può voler dire dimenticare la dimensione di salvezza che la fede deve portare all’uomo anche sul piano umano .
Benedetto XIV invita i fedeli ad affrontare un viaggio per il Giubileo a Roma, ma, da uomo pratico, considera anche quando non si deve fare. Scrive : "Il pellegrinaggio fa parte del culto volontario, il cui compimento non riguarda gli atti di virtù da esercitare obbligatoriamente. Così il marito che in forza del vincolo matrimoniale è tenuto a stare con la moglie, farà male se, opponendosi la moglie, intraprende un lungo pellegrinaggio, lasciando lei a casa. Anzi, benché ci sia il consenso della moglie, un pellegrinaggio del marito potrebbe tuttavia contenere una irregolarità, se a motivo dell’assenza per l’uno o l’altro dei coniugi contenesse verosimilmente il pericolo di far venir meno la virtù". Così un padre, la cui presenza fosse necessaria al sostentamento della famiglia. "Lo stesso dicasi di colui che , oberato dai debiti, né avendo altro modo di assolvere i debiti, fuorché stare in luogo e lavorare, scegliesse tuttavia di vedere i luoghi santi". E’ inutile, afferma poi il papa, fare pellegrinaggi se non ci si converte. Molti credono che basti il pellegrinaggio per la remissione dei peccati, convinzione abbastanza diffusa se il pontefice cita l’abate Alberto Stadense che , nella sua Cronaca, scrive : "Raramente ho mai visto qualcuno tornare migliore di luoghi d’oltremare o dalla vista della tomba dei santi".
Il papa insiste sulla confessione e sulla severità del confessore : "Lavatevi, siate mondi, togliete il male dai vostri pensieri". I confessori di prelati, di principi, di re, di governatori, li riprendano e li ammoniscono, se non fanno i loro doveri. Al papa non piacciono quei confessori che sono troppo indulgenti con i grandi : "Se uno teme la faccia del potente, non si assuma l’ufficio del pastore".
Benedetto XIV, infine, con un’altra Bolla ,Inter praeterito, ricorda che, fin dai primi giubilei, per ottenere le indulgenze i romani devono fare le visite alle chiese per trenta giorni, i pellegrini forestieri, invece, per quindici. Ma poi si sofferma a spiegare chi si deve intendere per romani : "Vanno compresi sotto il nome di romani tutti quelli che sono nati e abitano a Roma, o che sono nati e abitano nel distretto di Roma, che è come dire nelle vigne dentro alle cinque miglia dalla città...Sotto il nome di abitante dell’Urbe vanno intesi tutti quelli che sono venuti a Roma con l’animo di abitarvi la maggior parte dell’anno e tutti quelli che stando in Roma per qualche impiego, o per trovare impiego, se non contraggono un vero e rigoroso domicilio, almeno contraggono un quasi domicilio"(35).
Trascriviamo lo scritto sul Giubileo del 1793 riportato nel volume Produzioni varie di Fr. Adeodato Turchi, vescovo di Parma , Assisi, 1802 (da p. 27 a p. 38) E’ il vescovo che ha ripristinato l’opera che caratterizza le Corti di Monchio, il ponte romano(fig.212). Il ponte sulla Cedra metteva sull’unica via per la Toscana: fu fatto costruire nel 1602 dal vescovo di Parma Alessandro Farnese ; ma pressoché cadente per l’impeto delle piene fu, nel 1801, rinnovato dal vescovo Turchi, come si legge nella lapide marmorea.
QVI PONS VERTENTE ANNO MDCII
FERDINANDO FARNESIO PARMENSIVM
ANTISTITE.ET.MVNCI. DVNASTA
IN COLONORUM COMMODUM FVERAT
EXCITATVS INIVRIA TEMPORVM
FATISCENS ET PENE LABESCENS
ADEODATI TVRCHJ E CAPPUCCINORVM
FAMILIA.EPISCOPI MAGNIFICENTIA
EST RESTITUTUS AGGERE ADIECTO
PRO MVNIMENTO AB INCHOATO
EXTRVCTO ANNO MDCCCI
(Questo ponte, che nell’anno 1602, sotto l’episcopato di Ferdinando Farnese, vescovo di Parma e Signore di Monchio, era stato di utilità degli abitanti, colpito dall’inclemenza delle stagioni, fatiscente e quasi cadente, fu ricostruito per la munificenza del vescovo Adeodato Turchi dell’ordine dei Cappuccini con l’aggiunta di un terrapieno di sostegno costruito ex novo nell’anno 1801)
Sopra la lapide sta lo stemma del vescovo Turchi e lo stemma del vescovo Farnese con i gigli .
In alto una bella e dolce Madonna del Rosario. Il bambino con tenerezza guarda il volto della madre che tiene in mano una grossa corona del rosario. Il marmo è tondo e la composizione crea una soffusa intimità fatta di grazia.(fig.213 )
GIUBBILEO
Concesso dal regnante sommo pontefice Pio VI allo stato di Parma , pubblicato il 16 febbraio 1793
E’ molto tempo, che ci va svegliando il Signore co’ suoi castighi. E quanti ne abbiamo provati nel giro di questo secolo! Guerre, carestie, inondazioni, tremuoti, mortalità di bestiame, ed altri in gran numero. Ma questo secolo stesso nato e cresciuto con indole sì funesta pare voglia terminare il suo corso con un’indole assai peggiore. Sotto i colpi e replicati della divina giustizia siamo ricorsi agli Altari per implorare la divina misericordia. Eppure in mezzo alle preghiere e pubbliche, e private sembra che la stessa divina giustizia abbia preso maggior vigore per castigarci. E donde ciò, dilettissimi miei ? Sarebbe mai vero, che essendo mai noi solleciti di pregar molto all’esterno, non siamo stati niente solleciti di ritornare al cuor nostro, mutar tenore di vita? E Tridui e Novene, e Solennità a Dio, alla Vergine, ai nostri santi Protettori, ed in mezzo a tante dimostrazioni di pentimento nessun pentimento efficace e sincero? Il mal costume è cresciuto e va crescendo ogni giorno. E sarà poi maraviglia, che le nostre preghiere siano fatte finora senza frutto nessuno, e che a misura si sono moltiplicate le orazioni, si sieno anche moltiplicati i castighi. Molte sono le maniere, che insegnano i Padri per istruirci a pregare Iddio. Io non ne conosco che una sola, che è l’anima di tutte, quella cioè di abbandonare il peccato, amare Iddio, e poi pregarlo di cuore. Ma se in noi vive la colpa, se Iddio non si ama, come si può pregar bene?
In tanta calamità dovremo dunque perder coraggio, ed abbandonarci ad una funesta disperazione? Ah no miei Figliuoli, Iddio è in collera con noi, sì; egli è forse giunto al colmo delle sue collere. Ma per questo appunto ardisco dirvi, ch’egli è anche più vicino ad usarci misericordia. Iratus, et misertus es Domine. Questo stesso conoscere ch’egli è in collera, ch’egli è in collera per le nostre colpe, è già un gran tratto della sua bontà, che ci incammina al pentimento, e per conseguenza al perdono. Eh sorgiamo una volta dal letargo, che ci opprime, apriamo gli occhi a veder quella spada, che ci aggira sul capo, disarmiamo con le lagrime e co’ singulti il nostro Padre celeste, e pieni di una tenera confidenza diciamogli una volta per sempre: Ah Padre, caro Padre abbiam peccato, ma da questo momento il peccato avrà termine nel nostro cuore .
Ad agevolarci una sì salutevole Penitenza, il Sommo Regnante Pontefice Pio VI con quella podestà, che da Dio solo ha ricevuta, ed a tutta la Cattolica Chiesa si estende, condiscendendo alle piissime preci del nostro Real Sovrano, che brama di far godere ai suoi sudditi ogni temporale non solamente, ma anche spirituale vantaggio, si è degnato di accordare a questi Reali Stati quella stessa Plenaria Indulgenza in forma di Giubbileo, che sotto il giorno 24 novembre dello scorso anno 1792 ha già pubblicata per tutto lo Stato Ecclesiastico, dando a noi per tale oggetto tutte le facoltà opportune, in virtù delle quali vi manifestiamo.
Che durerà due settimane il prefato Giubbileo, ed avrà il suo principio per questa Città e Sobborghi nella domenica seconda, e il suo termine nella domenica quarta di Quaresima inclusivamente. Nel dopo pranzo della seconda domenica verso le ore tre vi sarà nella Cattedrale un divoto Ragionamento conveniente alla circostanza, finito il quale i due Cleri Secolare e Regolare si porteranno processionalmente alla visita della Chiesa di San Pietro martire, una di quelle da noi destinate per l’acquisto della Plenaria Indulgenza .
Le Chiese da visitarsi in città fissate da noi sono sei: la nostra Cattedrale cioè San Pietro martire, la SS . Annunziata, San Giuseppe, San Rocco, e la Chiesa de’ Servi di Maria. A richiamare i cuori ad una vera conversione, e ad impetrare la divina misericordia mediante l’intercessione di Maria Santissima, del glorioso Apostolo San Pietro, del Santo pontefice Pio V, e de’ Santi Vescovi Ilario e Bernardo nostri principali Protettori desideriamo vivamente, che in tutte le accennate Chiese, previo il segno delle campane per convocare il popolo, sieno recitate la sera ad ora conveniente le Litanie de’ Santi.
Nel corso delle due settimane da noi fissate per la Città, e suoi Subborghi, e così per la Campagna nel corso di quelle, che dentro la Quaresima verranno trascelte dai rispettivi Parrochi, potranno i Fedeli tutti dell’uno e dell’altro Sesso, tutti gli Ecclesiastici non solo Secolari, ma Regolari eziandio di qualunque Ordine, Congregazione, ed Istituto scegliere a Confessore qualsiasi degli approvati rispettivamente a dette Persone. Alle Monache poi, e alle Donne tutte viventi in comunità sarà permesso in questa circostanza di eleggersi per Confessore qualsiasi degli approvati da noi per li Monasteri, e Conservatori, come da nota registrata negli atti di questa nostra Cancelleria Vescovile. A tutti questi Confessori durante il Giubbileo conferisce la Santità sua ampia facoltà di assolvere per una sola volta nel foro della coscienza da qualunque sentenza di Scomunica, Sospensione, interdetto, e da ogn’altra Censura e pena dai sacri Canoni, e dai Giudici Ecclesiastici fulminate; parimenti da tutti i peccati quantunque riservati al Sommo Pontefice, ed a noi; eccettuato però quello di eresia formale ed esterna, e del complice del delitto a norma delle Costituzioni di Benedetto XIV. - Sacramentum Paenitentiae - Apostolici muneris - .Accorda ad essi inoltre la santità sua la facoltà di commutare qualsiasi voto, eccetto li due di Castità e di Religione, in altre opere pie, imponendo però in simili casi quella salutare penitenza che giudicheranno la più conveniente allo spiritual vantaggio de’ Penitenti.
Non intende però il Santo Padre nel concedere il presente Giubbileo, come in simili circostanze mai non lo intesero i suoi Predecessori, di autorizzare i Confessori a dispensare nel foro della coscienza da qualsiasi pubblica ed occulta irregolarità, né ad abilitare e restituire i loro penitenti al pristino stato per qualunque nota, incapacità, ed inabilità contratta ex defectu. Nemmeno intende, che la concessione di questo Giubbileo possa, o debba in nessun modo suffragare a coloro, che dalla Santità sua, o da qualunque Prelato o Giudice ecclesiastico saranno stati nominatamente scomunicati, sospesi, o interdetti, qualora non avranno prima soddisfatto al loro dovere, e concordati non si saranno colle parti.
Finalmente tutti vi esortiamo giusta le intenzioni di Sua Beatitudine di aggiungere alle opere di sopra prescritte per l’acquisto della Plenaria Indulgenza qualche ulterior pratica di pietà, secondo che a ciascheduno suggerirà la propria divozione. In particolar modo raccomandiamo ai Corpi Ecclesiastici, agli Ordini Religiosi, ed alle Confraternite di portarsi unitamente per la maggior edificazione de’ Fedeli alla Chiesa trascelta per le tre Visite, recitando con divozione così all’andare alla medesima, come nel ritornare le Litanie de’ Santi, onde meritare il loro patrocinio negli occorrenti gravissimi bisogni.
Indulgenza Plenaria
In forma di Giubbileo pubblica il 17 maggio 1793 per le Corti di Monchio, Castrignano e loro adiacenze ec.
Accordatasi benignamente dal Sommo Pontefice Pio VI felicemente regnante alle istanze del religiosissimo R . Infante di Spagna Don Ferdiando Borbone Duca di Parma, Piacenza, e Guastalla ec. Per tutti i reali suoi stati quella stessa indulgenza plenaria in forma di Giubbileo pubblicata in Roma, ed estesa a tutto lo stato ecclesiastico con Breve del 24 novembre 1792, non consentiva al paterno nostro cuore, che privi restassero di tanto tesoro gli amatissimi nostri sudditi delle Corti di Monchio, e Castrignano, e loro adiacenze ec. Umiliate quindi le ossequiosissime nostre preci al Santo Padre, si è degnata la medesima Santità sua di estendere a tutti i prefati luoghi di nostra giurisdizione la suddetta plenaria indulgenza in forma di Giubbileo per corso di due settimane, che incominceranno per tutte le ville delle Corti di Monchio la domenica dopo la Pentecoste, ed avranno il suo termine nella domenica inclusivamente; e per la Corte di Castrignano, e sue adiacenze la domenica Pentecoste, e termineranno nella domenica ...inclusivamente.
E perché possano meglio disporsi gli amatissimi nostri sudditi a partecipare di questo spiritual bene vi saranno ne’ predetti luoghi durante il Giubbileo missionari zelantissimi, l’opera dei quali sarà tutta consacrata alle conversione delle anime, e ad eccitare in esse la detestazione, e la fuga del peccato.
Chiunque vorrà godere di tale tesoro, e Plenaria indulgenza applicabile anche per modo di suffragio a pro delle Anime del Purgatorio, dovrà entro di dette due settimane osservare il Digiuno nei giorni di mercoledì, Venerdì, e Sabato, e fare parimente entro la medesima settimana delle elemosine ai poveri, che suggerirà ad ognuno la propria pietà e divozione, confessarsi inoltre e comunicarsi, e nella stessa settimana visitare almeno tre volte una delle chiese parrocchiali delle ville soggette alla detta nostra giurisdizione, che vengano da noi a questo effetto destinate, ivi pregando fervidamente la divina Misericordia giusta l’intenzione, e mente del Sommo Pontefice.
Riguardo poi a quelle persone, che in tale tempo si ritrovassero detenute nelle carceri, e che per infermità, o per altra legittima causa non potessero eseguire le opere come sopra prescritte, Sua Santità concede al Confessore da loro rispettivamente eletto la facoltà di commutarle in altre opere pie più adattate al loro rispettivo stato.
All’oggetto poi di eccitare viemaggiormente ne’ nostri amatissimi sudditi una vera compunzione, ed un cuore totalmente contrito, ordiniamo, che durante il tempo di questo Giubbileo in tutte le accennate chiese parrocchiali ogni giorno, previo il segno della campana per convocare il popolo, sieno recitate la sera ad ora conveniente le litanie de’ Santi colle preci annesse, esortando tutti, giusta le intenzioni di sua Beatitudine di aggiungere alle opere di sopra prescritte per l’acquisto della Plenaria Indulgenza qualche ulterior pratica di pietà, e divozione, principalmente verso di Maria SS., dei santi Apostoli Pietro, e Paolo, del Pontefice S .Pio V e de’ Santi Ilario, e Bernardo Protettori di questa città, e Diocesi, affine di impetrare col valevolissimo loro patrocinio che il Signore Iddio plachi le sue giuste collere, e ci faccia meritevoli delle sue divine misericordie, e delle sue sante benedizioni.
Note in margine al giubileo concesso dal Papa Pio VI e trasmesso alle Corti dal vescovo Turchi.
Giubileo del duemila
Nelle parole del papa Giovanni Paolo II c’è la preoccupazione di aiutare a varcare la soglia del terzo millennio con una fede viva, a guardare avanti al futuro della Chiesa. Nella sua bolla d’indizione del gran giubileo, in primo luogo fa prendere coscienza che la storia della salvezza trova in Cristo il suo punto culminante, il suo supremo significato: l’Incarnazione non è un fatto del passato ma ha la sua valenza nel presente. Gesù è "colui che è, che era e che viene" : con la sua salvezza tocca tutta l’umanità. Il tempo non è più Cronos ma Kairos cioè tempo pieno di salvezza, è esplosivo di novità. Il giubileo deve rivolgere l’uomo a Cristo, spingerlo alla conversione e alla sua vera riabilitazione.
Il giubileo è stato preparato con tre anni di catechesi trinitaria, sul Figlio, sullo Spirito Santo, sul Padre misericordioso. Il papa spera che su queste verità convergano tutte le confessioni cristiane e che il pellegrinaggio verso la Terra Promessa trovi come compagni di viaggio le tre grandi religioni monoteistiche, ebrei, cristiani, mussulmani. L’ecumenismo è una novità assoluta nella storia dei giubilei: questo tema non è stato mai sfiorato dai predecessori. Una nuova sensibilità si fa strada che orienta una nuova pastorale della Chiesa: più che alle questioni dottrinali bisognerà attendere a gesti concreti di comunione non soltanto tra cristiani ma nella stessa umanità.
La tradizione giubilare per la Chiesa cattolica risale al 1300, giubileo indetto da Bonifacio VIII. I fedeli hanno sempre risposto in massa e con molta generosità mettendo in opera gesti concreti di carità verso i bisognosi. Nel 1550 San Filippo Neri diede inizio ad una caritas romana come segno tangibile di carità per l’accoglienza dei pellegrini. I giubilei per tanti motivi vanno incontro alla religiosità popolare e sono capiti con immediatezza(anche perché dispongono con chiarezza ciò che il fedele deve fare e quali risultati può ottenere).