L'immagine dell'universo nel mondo greco e latino

 

Prof. Alberto Righini

Docente di laboratorio di Astrofisica, facoltà di Scienze Matematiche Fisiche e Naturali presso l'università di Firenze; ha svolto ricerche in Fisica solare e in sviluppo della strumentazione relativa

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Introduzione

La parola cosmo in greco significa ordine e per senso traslato significa anche ordine dell'universo per cui la cosmologia è la scienza che studia l'ordine, ovvero la struttura, dell'Universo. L'immagine che le diverse civiltà si sono fatte di questo ordine fondamentale delle cose dipende dal livello di approfondimento dei fenomeni fisici che cadevano sotto la loro diretta esperienza. Naturalmente, quando parliamo di diretta esperienza di un popolo, intendiamo tutte quelle conoscenze che un'insieme di individui accumula grazie alla tradizione orale e scritta. L'esperienza che una civiltà avrà del Cosmo sarà tanto più ampia quanto maggiore sarà la mobilità degli individui che le appartengono. Un insieme di individui essenzialmente stanziali difficilmente si potrà rendere conto della curvatura della Terra, mentre invece una civiltà di navigatori e di viaggiatori sarà costretta a riflettere sul diverso aspetto che i cieli presentano nei diversi luoghi della Terra.

Naturalmente le osservazioni che i singoli individui andranno compiendo non avranno rilievo alcuno se non si passerà ad una fase di analisi e valutazione dei risultati, possibile solo se le diverse informazioni disponibili siano veramente raccolte, siano comprese e analizzate e i risultati siano poi tramandati nella letteratura scientifica. Quindi per lo sviluppo della cosmologia, ma anche di qualunque altra scienza, ha una grande importanza la comunicazione in tutte le forme in cui questa può avvenire, scritta, orale e adesso anche telematica. Gli studi dei documenti lasciati delle grandi civiltà che ci hanno preceduto hanno in genere privilegiato i testi letterari, ma accanto a grandi poemi, opere storiche e filosofiche esiste una grande quantità di testi scientifici, ignorati per lo più, forse a causa della difficoltà della materia trattata e di cui cominciano solo adesso ad apparire estese traduzioni.

Nella fase dell'elaborazione scientifica delle informazioni possono avere, e in genere hanno, grande rilievo altre discipline, sviluppatesi in modo indipendente, come la matematica, la geometria e la fisica. In molti casi si assiste ad una interazione reciproca tra lo sforzo di raffigurare l'Universo e lo sviluppo delle discipline connesse. Un esempio chiarissimo di questa interazione è la svolta newtoniana praticamente imposta dall'affermarsi della cosmologia di Aristarco da Samo rivisitata dal canonico Nicola Copernico. Altrettanto evidente è come l'intreccio tra una fisica inadeguata, e i pregiudizi politici e filosofici, ostacolò l'affermarsi della nuova cosmologia copernicana, cui invece dette un aiuto determinante la tecnologia delle lenti che si era andata affermando, specialmente in Olanda, per costruire occhiali. Infatti il cannocchiale poté essere realizzato perché vi era un'ampia disponibilità di lenti e potremmo dire che la sua invenzione fu di questa disponibilità una conseguenza quasi necessaria.

Nei tempi moderni le cose non vanno diversamente. Le nuove cosmologie dipendono in maniera essenziale dalla fisica delle particelle e dalla disponibilità dei metodi matematici avanzati, necessari per costruire i modelli matematici della materia, ma dipendono anche dalla ricerca astronomica e dalla possibilità di ricorrere a nuove tecnologie di misura.

 

 

 

L'universo per gli antichi egiziani

Per gli antichi egizi, l'Universo aveva la forma di un parallelepipedo il cui lato maggiore era orientato nella direzione Nord-Sud parallelamente alla Valle del Nilo. Il cielo era cosparso di lampade appese a funi o trasportate da divinità. Le lampade di giorno erano spente o erano invisibili mentre splendevano durante la notte. Il cielo era sostenuto da quattro montagne che fungevano da pilastri. Sotto le montagne scorreva il grande fiume Nu. Sul fiume navigava l'imbarcazione del dio Sole identificato con Rha, che veniva partorito al mattino dalla dea del cielo, cresceva fino a mezzogiorno e oramai vecchio si avvicinava al tramonto ed alla morte. Traccia di questa antichissima raffigurazione del giorno la troviamo ancora nel nostro linguaggio quando diciamo che il sole sta nascendo. Alcune lampade stellari non tramontavano mai, mentre altre ciclicamente sparivano nel cielo di Ovest e poi ricomparivano dopo qualche tempo nel cielo di Est. I pianeti viaggiavano su barche indipendenti nella stessa direzione del Sole e della Luna mentre Marte veleggiava talvolta indietro (le retrogradazioni di Marte). Venere aveva un doppio ruolo: di sera era la stella che nasce per prima, mentre di mattina annunciava la comparsa del Sole.

Il modello dell'universo era raffigurata dagli egiziani anche in maniera antropomorfa. Il cielo era una dea dal nome di Nut che sopportava sul proprio corpo il peso della barca del Sole e racchiudeva con il proprio corpo il mondo abitato. Una rappresentazione simile si trova anche sul soffitto della tomba di Ramsete II. A fronte di una cosmologia così povera gli egiziani avevano sviluppato metodi molto raffinati per valutare il tempo. Questa grande attenzione era dettata dalla necessità di sincronizzare il ciclo agricolo con il ciclo delle piene del Nilo per evitare le distruzioni dovute alle esondazioni e sfruttare i limi fertili lasciati dalle acque quando si ritiravano. Con l'avvento delle dinastie, intorno al 3000 a. C., fu definita la durata dell'anno solare in 360 giorni più 5 giorni addizionali ovvero 365 giorni e già nel XXIV sec. a. C. il giorno e la notte erano stati divisi in 12 intervalli ciascuno. Siccome però l'anno solare è più lungo di 365 giorni, gli astronomi e i sacerdoti egiziani avevano escogitato un sistema molto ingegnoso per stabilire in maniera sicura la posizione del Sole tra le stelle, aiutati in questo dalla purezza cristallina dei cieli del deserto al sorgere del Sole. Infatti se il cielo è sufficiente terso, al nascere del Sole è possibile osservare per un attimo la posizione delle stelle più brillanti, o addirittura individuare quale stella brillante stia nascendo insieme al Sole in altri punti dell'orizzonte (sorgere eliaco della stella). Il giorno dopo, muovendosi il Sole tra le stelle in senso detto diretto (verso Est), la stella sorgerà prima del Sole, mentre i giorni precedenti non poteva essere osservata perché sorgeva dopo il Sole. Con questo sistema, prendendo a riferimento la stella Sotis (la nostra Sirio), fu possibile, per gli astronomi egiziani, ancorare al moto del Sole in cielo le date delle diverse attività agricole, scandite da opportuni rituali e festività tutte temporalmente dipendenti dal momento del sorgere eliaco di Sirio.

 

 

 

L'astronomia in Mesopotamia

I primi testi astronomici a noi noti risalgono ai tempi di Hammurabi (1955-1913 a.C.). In alcuni si indicano le stelle come "divinità della notte" e se ne elencano in particolare dodici, in collegamento con i mesi dell'anno. Il documento astronomico più importante di questo periodo è il testo Enuma Anu Enil che raccoglie circa settemila profezie astrologiche formulate in collegamento con i diversi aspetti degli astri.

Particolare attenzione veniva dedicata a Venere Nin-dor-an-na, la Splendida Signora dei Cieli, identificata con Isthar, la dea dell'amore. Per esempio si legge in una profezia:

Quando il decimo giorno di Arashamma Venere sparirà ad est e rimarrà invisibile 2 mesi e 6 giorni, e riapparirà il sedicesimo giorno di Tebetu, il raccolto sarà buono

Arashamma è l'ottavo mese dominato da UR.IDIM che è il Lupo, mentre Tebetu è regolato da MUL.GU.LA, cioè lo Scorpione. Nell'astrologia di quel tempo non si era ancora sviluppato il concetto di segno zodiacale e veniva attribuita poca importanza alla posizione in cui si trovavano le stelle al momento della nascita.

Più tardi, sotto la dominazione Assira, tra il 1400 a.C. e il 900 a.C., si perfezionarono le tecniche per il calcolo della durata del giorno e del sorgere della Luna. Queste tecniche erano puramente aritmetiche e impiegavano il concetto di progressione numerica e si svilupparono ulteriormente nel periodo tardo-assiro. Conosciamo molto bene i testi astronomici di questo periodo perché sono stati conservati intatti sulle tavolette di terracotta, ritrovate dagli archeologi, sotto le rovine della biblioteca di Assurbanipal (669-626 a.C.), a Ninive, distrutta nel 612 a.C.

Tra questi testi troviamo un gran numero di lettere di astrologi ai re assiri in cui si spiegava il significato astrologico dei diversi aspetti del cielo. Ma soprattutto sono state ritrovate liste dei tempi di culminazione delle stelle fisse, registrazioni accurate delle eclissi osservate in Babilonia dal 748 a.C. ed un eccellente compendio di astronomia chiamato MUL.APIN, costituito da due tavolette scritte intorno al 700 a.C., da cui apprendiamo che i babilonesi conoscevano già i cicli solari e lunari. Il cammino del Sole in cielo è individuato da 6 gruppi di stelle, il cui sorgere eliaco scandiva lo scorrere dell'anno. Tra queste stelle ricordiamo Regolo, la stella più brillante del Leone, chiamata Sharru (il Re). Al concetto di zodiaco si arriva più tardi, al tempo della conquista persiana, intorno al 538 a.C. In quel periodo vengono introdotti sistemi abbastanza precisi per la misura del tempo e per rilevare l'altezza del Sole e delle stelle al loro passaggio in meridiano. Questo salto di qualità è dovuto all'uso dell'orologio ad acqua e a sabbia, che molto probabilmente viene importato dall'Egitto. Per i babilonesi, l'acqua era all'origine di tutte le cose; il mondo abitato era una montagna scaturita dall'abisso, circondata dall'oceano oltre il quale il Dio Sole pascolava le sue greggi.

Quando il dominio babilonese si spinse oltre il Tigri e l'Eufrate, la concezione del mondo si modificò: il cielo fu considerato come una grande volta solida sostenuta da fondamenta che poggiavano sull'oceano e che sostenevano anche la Terra. Al di sopra della volta del cielo c'erano le acque superiori e ancora più in alto la dimora degli Dei illuminata dal Sole. Il Sole usciva, al mattino, dalla sua dimora dalla porta ad oriente e rincasava la sera, dalla porta ad occidente, per tornare ad oriente attraverso un cammino sotterraneo. Ad occidente, verso il buio era collocato l'ingresso del mondo dei morti, che occupavano l'interno di una grande montagna cava: la Terra.

La volta celeste era immobile: il Sole, la Luna, le stelle erano divinità che si muovevano su di essa in orbite circolari.

 

 

 

L'astronomia dell'antichità greca

I primi riferimenti astronomici del mondo greco li troviamo nei poemi omerici e nell'opera di Esiodo. Omero, oltre al Sole e alla Luna, ricorda la stella del mattino, la stella della sera (cioè Venere), le Pleiadi, le Iadi, Orione, l'Orsa Maggiore (che è ricordata anche con il nome di Carro. L'Orsa, secondo Omero, gira sempre intorno al polo rimanendo sempre sopra l'orizzonte, Orione, invece, non teme di immergersi nei lavacri del mare, ovvero di tramontare. I Greci quindi, al tempo di Omero, si erano già resi conto che l'Orsa è una costellazione circumpolare, mentre Orione è occidua. Nella descrizione dello scudo di Achille, Omero illustra così il cielo (Iliade XVII, 656-664):

Ivi ei fece la terra, il mare il cielo

e il sole infaticabile, e la tonda

luna, e gli astri diversi onde sfavilla

incoronata la celeste volta,

e le Pleiadi, e l'Iadi, e la stella

d'Orion tempestosa, e la grand'Orsa,

che pur Plaustro si noma. Intorno al polo

ella si gira ed Orion riguarda,

dai lavacri del mar solo divisa.

Riferendosi invece ad Ulisse, che stava navigando dopo aver lasciato l'isola di Calipso, Omero ci indica che i suoi contemporanei usavano le stelle per navigare (Odissea V, 271-77):

..... mai sonno sugli occhi gli cadeva,

fissi alle Pleiadi, fissi a Boote che tardi tramonta,

e all'Orsa, che chiamiam pure con il nome di Carro

e sempre si gira e Orione guarda paurosa,

e sola non ha parte ai lavacri d'Ocean;

quella infatti gli aveva ordinato Calipso, la dea luminosa,

di tenere a sinistra nel traversare il mare

La Terra era immaginata come un disco piatto, circondato dal grande fiume Oceano, che nasceva a nord delle colonne di Ercole; piegava in direzione nord, poi ad est e a sud chiudendosi su se stesso. La Terra era parzialmente coperta dal mare; ad Oriente si trovava il lago del Sole, il Mar Caspio, che era un grande golfo nel fiume Oceano, a Sud dell'Egitto e della Libia, la terra raggiungeva l'Oceano. Oltre l'Oceano a sud-ovest si trovava il tenebroso paese dei Cimmeri, che vivevano in prossimità delle porte del paese dei morti. Al di sopra della Terra, sopra la regione dell'etere, c'era la volta bronzea del cielo. Sotto la cupola del cielo si muovevano il Sole, la Luna e le stelle.

Esiodo ne Le opere e i giorni che sono, tra l'altro, anche un grande calendario agricolo, ricorre spesso alla posizione degli astri al tramonto o al sorgere del Sole per individuare i diversi periodi dell'anno. Per esempio:

Quando le Pleiadi, figlie di Atlante, si innalzano in cielo, tu comincia il raccolto, e quando tramontano comincia anche a coltivare il campo. Esse invero per quaranta notti ed altrettanti giorni stanno nascoste, poi di nuovo col volgere dell'anno ricompaiono subito quando si affila la falce. Questa è la legge dei campi....

Con queste parole Esiodo descrive il cielo poco prima dell'alba ai primi di Maggio, mentre nella seconda parte del discorso, quando ci indica che le Pleiadi stanno tramontando al sorgere del Sole ci vuole indicare il mese di ottobre, quando si debbono seminare i campi.

Quando, poi, Zeus avrà fatto passare sessanta giorni invernali dopo il solstizio, ecco l'astro di Arturo, che lasciate le sacre correnti di Oceano, appare e sul far della sera per primo ed è il più fulgente di tutti

La primavera ha inizio per Esiodo in febbraio. Risulta evidente che Esiodo ha una conoscenza molto approssimata della divisione dell'anno in stagioni, infatti non menziona mai gli equinozi, che non conosce.

Un modo nuovo di concepire ed interpretare le osservazioni sistematiche del cielo nasce intorno al VI sec a.C., a Mileto, con il costituirsi della "scuola ionica". Iniziatore della scuola è Talete che, pur professando una concezione cosmologica del tutto simile a quelle animistiche, sembra che avesse intuito la sfericità della Terra. Il suo successore Anassimandro affermerà invece che la Terra è cilindrica e che è isolata nello spazio. La volta celeste visibile viene pensata come una sfera cosparsa di fori da cui penetra il fuoco esterno. Gli astri che si vedono sorgere ad oriente sono gli stessi che sono stati visti tramontare ad occidente, e durante la notte girano a fianco della Terra. Il Sole, la Luna e le stelle si trovano a diverse distanze dalla Terra, essendo il Sole il più distante e le stelle fisse le più vicine. Questa nuova concezione è la base del modello geocentrico: la Terra al centro dell'Universo e la volta celeste le ruota intorno, trascinando gli astri. Ma la prima intuizione di un sistema costituito da sfere concentriche intorno alla Terra si deve ai filosofi della scuola pitagorica i quali postularono che in natura tutto è regolato da relazioni matematiche.

Pitagora nacque a Samo intorno al 572 a.C., a 40 anni si recò a Crotone, nella Magna Grecia dove fondò una scuola mistico-filosofica detta scuola pitagorica. Pitagora non lasciò alcun testo scritto e così fecero i suoi discepoli vincolati dal Maestro alla segretezza. Filolao, che fu il primo discepolo di Pitagora che mise per scritto le teorie del maestro ci tramanda che, secondo Pitagora, la Terra era sferica, ed era divisa in cinque zone climatiche La Terra inoltre non occupava il centro dell'Universo e ruotava attorno a un fuoco centrale in cui risiedeva il principio che governava l'Universo.

 

 

 

Platone e l'astronomia

L'approccio di Esiodo all'Astronomia, di natura essenzialmente pratica, è duramente contestato da Platone, il quale, nell' Epinomide, sostiene che l'astronomo deve essere il più perfetto degli uomini, perché dalla osservazione della complessità del moto degli astri deve risalire alle leggi fondamentali dei loro movimenti cercando di avvicinarsi il più possibile al mondo delle Idee.

....Si ignora, infatti, che il vero astronomo ha da essere un grandissimo saggio, non l'astronomo che si occupa di astronomia seguendo Esiodo e tutti quelli simili a lui, che solo osservano il sorgere e il tramontare degli astri, ma colui che delle otto rivoluzioni ne ha osservate sette, perché ciascuna compie il proprio ciclo sì che non è facile a qualunque natura d'essere capace di indagare, a meno che non sia meravigliosamente dotata.. [Platone, Epinomide, 990 a,b]

 

Al Tempo di Platone, i greci avevano viaggiato in tutte le direzioni, si erano spinti oltre le colonne d'Ercole e costeggiando le coste dell'Europa continentale erano giunti in luoghi dove

 .......un pastore, che fosse stato capace di non dormire, avrebbe potuto guadagnare doppio salario perché c'era luce di giorno e di notte.... (erano giunti cioè oltre al circolo polare artico).

Altri si erano spinti verso gli altipiani iranici ed oltre. Con le guerre persiane e con il contatto intenso con le popolazioni che abitavano in Mesopotamia tutta la cultura astronomica di quei popoli era diventata disponibile per i greci. Altri filosofi avevano passato parte della propria vita in Egitto acquisendo la cultura medica ed astronomica di quelle popolazioni.

Come conseguenza di tutto questo, per Platone la Terra è sferica ed è situata al centro del mondo, attorno alla Terra ruotano i diversi pianeti e il Sole e la Luna.

...Io sono convinto, egli disse, che in primo luogo, se la terra, essendo una sfera, si trova al centro dell'Universo, non ha necessità dell'aria o di qualsiasi altra forza simile che la trattenga dal cadere......Inoltre io sono convinto che la Terra è molto grande e che noi che viviamo nella regione che va dal fiume Fasi alle Colonne d'Ercole ne abitiamo una piccola parte di essa....[Platone, Fedone, 108c-110a.]

E dovendo racchiudere l'Universo tutte le forme secondo Platone Egli, il Creatore, lo fece di:

.....una forma che raccogliesse tutte le forme, Perciò lo arrotondò a mò di sfera ugualmente distante da ogni parte in ogni parte dal centro alle estremità, in orbe circolare che è di tutte le figure la più perfetta e la più simile a se stessa, giudicando il simili infinitamente più bello del dissimile. [Platone, Timeo 33b-34b]

In Platone è chiarissimo il legame tra misura del tempo e posizione degli astri:

Il tempo dunque fu fatto insieme col cielo, affinché generati insieme, anche insieme si dissolvano...Adunque per tale ragionamento e pensiero di Dio intorno all'origine del tempo, affinché il tempo fosse creato, furono fatti il Sole e la Luna e gli altri cinque astri, che si dicono pianeti, per distinguere e guardare i numeri del tempo. E Dio formati i corpi di ciascuno di essi, ch' erano sette, li pose nelle orbite, sette anch'esse nelle quali si muoveva il circolo dell'altro: la Luna nella prima intorno alla Terra, Il Sole nella seconda sopra la terra, Lucifero e il pianeta che è detto sacro ad Hermes nell'orbita uguale per celerità a quella del Sole, ma con direzione contraria ad essa: sicché il Sole e il pianeta di Hermes Lucifero, ciascuno raggiunge l'altro e nello stesso modo è da quello raggiunto..........Ora perché vi fosse una misura chiara della relativa lentezza e velocità con che i pianeti compiono le loro otto rivoluzioni, Dio accese nel secondo giro, dopo la Terra quel lume che ora chiamiamo Sole, affinché risplendesse quanto più è possibile per tutto i cielo...La notte e il giorno nacquero così, e sono essi il periodo del movimento circolare unico e sapientissimo: e il mese quando la Luna percorsa la sua orbita raggiunge il Sole e l'anno, quando il Sole ha percorsa la sua orbita......[Platone, Timeo 38c-39c]

Da questo brano emergono chiaramente la cosmologia platonica e le varie unità del tempo: il giorno, il mese lunare e proseguendo nella lettura del Timeo si scoprirebbe anche la definizione di un grande anno, definito come l'intervallo di tempo che intercorre tra gli istanti in cui il sistema planetario riassume la stessa configurazione. Questo avviene circa ogni 15.000 anni.

È interessante domandarsi quali osservazioni abbiano indicato ai Greci prima di Platone che la Terra non fosse perfettamente piana ma curva nel senso Nord Sud e nel senso Est Ovest. Partiamo intanto dal problema della curvatura nel senso Nord Sud. La prova della curvatura terrestre nasce dall'osservazione che spostandosi verso Nord la stella polare si alza sull'orizzonte e stelle che al loro transito al meridiano sono basse, diventano affatto invisibili.

La curvatura della terra nel senso Est Ovest richiede delle osservazioni più raffinate e una riflessione sul concetto del tempo solare locale. Cominciamo dal tempo. La vita di tutti i giorni è scandita dalla posizione del Sole in cielo. Ci si alza quando il Sole sorge, almeno si dovrebbe e ci si corica con il Sole. L'intervallo di tempo tra il sorgere e il tramontare del sole è misurato dalla posizione dell'ombra dello gnomone, dove per gnomone si intende uno stilo posto in posizione verticale con l'ausilio di un filo a piombo, che proietta la sua ombra sul piano verticale. L'osservazione dell'ombra durante il giorno ci dimostrerà che c'è un istante in cui l'ombra dello gnomone è minima. Questo avviene quando il Sole raggiunge in cielo la sua massima altezza sopra l'orizzonte, ovvero quando il Sole passa al meridiano del luogo. Se la Terra fosse piana, in tutti i luoghi della Terra il sole passerebbe al meridiano nello steso momento. E non vale l'obbiezione che questo non sarebbe vero per i luoghi vicini ai bordi della Terra, perché l'esperienza ci dice che in ogni luogo la sfera del cielo ci appare perfettamente simmetrica rispetto a noi, il che vuol dire che se di sfera veramente si trattasse, questa deve avere un raggio molto più grande delle distanze che intercorrono tra i luoghi conosciuti. Non era possibile tuttavia per gli antichi greci verificare se in effetti il Sole in luoghi diversi passasse contemporaneamente o meno al meridiano, infatti mancavano di cronometri e di sistemi di comunicazione. Ci sono tuttavia alcuni fenomeni astronomici che fanno egregiamente la funzione del segnale orario, questi sono le occultazioni di stelle da parte di pianeti e l'istante di inizio e di fine di un'eclisse di luna (le eclissi di Sole non servono a questo scopo). Già Talete aveva capito che questi fenomeni avvengono contemporaneamente in tutti i luoghi della Terra e che quindi potevano costituire degli ottimi segnali orari. In media, in un anno ci sono due eclissi di sole e due eclissi di Luna, e quindi si comprende come fosse ovvio che dai racconti dei viaggiatori che provenivano da occidente o da oriente emergesse una notevole discrepanza tra gli istanti di inizio della stessa eclisse, valutati per esempio, rispetto all'istante del tramonto o dell'alba. Queste differenze portavano all'ovvia conclusione che le direzioni verticali dei luoghi non coincidevano. Per passare poi alla coscienza che la terra sia sferica, è necessario di nuovo ricorrere alle eclissi di luna. Durante le eclissi si osserva sempre che l'ombra della Terra sulla Luna è circolare e sempre dello steso diametro, se paragonata al diametro della Luna Questo non avverrebbe se la Terra avesse una forma diversa da quella sferica.

Possiamo quindi dire che al tempo di Platone, la sfericità della Terra era accettata. Alle prove astronomiche si univa anche la famosa osservazione del progressivo sparire della nave che si allontana, prima sparisce il bordo e poi l'alberatura proprio a causa della curvatura della superficie terrestre.

 

 

 

Aristotele

La sfericità della Terra, unita a semplici osservazioni sul moto comporta la nascita della cosmologia aristotelica che dominerà la cultura fino al XVII secolo cioè fino al tempo di Galileo, Keplero e Newton.

Per seguire il ragionamento aristotelico si deve osservare che l'universo sembra composto di cinque sostanze. La sostanza solida detta genericamente terra, quella liquida detta genericamente acqua, quella gassosa, detta aria e infine una quarta che è il fuoco. La terra e l'acqua. Queste sostanze, una volta libere, si muovono verso il centro della Terra, o se ne allontanano, sempre lungo la verticale per la loro intrinseca natura. Si possono presentare anche moti diversi, come quello di una freccia che descrive una parabola, ma in tutti i casi si osserva che vi è stata su di loro una azione esterna, per es. una freccia (che è solida e quindi è fatta di terra) si può muovere addirittura verso l'alto, se opportunamente scagliata, ma poi, finita la vis impressa ecco che comincia a scendere. Inoltre, nella fisica aristotelica si suppone che la velocità con cui un corpo si sposta dipende dalla forza applicata, fatto che in molti casi si verifica anche, come nel moto in un mezzo viscoso, ma che non risponde, come ci ha spiegato Newton, quasi duemila anni dopo Aristotele, ad una legge generale della dinamica.

L'osservazione del cielo, da qualunque luogo della Terra ci dà la sensazione di essere al centro dell'universo. È facile quindi fare un breve salto logico ed affermare che tutte le sostanze cercano nel loro moto naturale o tendono ad allontanarsi dal centro dell'Universo. Se la Terra poi non fosse al centro dell'Universo essa, essendo appunto formata di terra e di acqua ci si precipiterebbe , ma, essendo più pesante di tutto ciò che le sta sopra lascerebbe uomini, case foreste e via dicendo dietro di se nello spazio. Inoltre la Terra non si può muovere, infatti se la Terra si muovesse, questo comporterebbe secondo Simplicio - l'Aristotelico del Dialogo dei due Massimi sistemi di Galileo - che un sasso lasciato cadere non cadrebbe sulla sua verticale, come lo stesso Simplicio afferma succedere quando si lasci cadere un grave dalla coffa di una nave in movimento; secondo cui il punto di caduta del grave è sempre spostato a poppavia perché nel frattempo la nave si è spostata. Sarebbe come dire che se si lascia cadere una penna in un treno che si muove alla velocità di 30 m/sec (108 Km/orari) dall'altezza di un metro questa cadrebbe in un punto a 15 metri verso la coda del treno percorrendo un grave il primo metro di caduta in poco meno di mezzo secondo. Ma Simplicio ed Aristotele non avevano treni a disposizione per verificare la falsità delle loro tesi.

 

 

Aristarco da Samo

L'elaborazione aristotelica non ferma la ricerca, come potremmo dire in termini moderni. Gli studi astronomici progrediscono nel mondo greco, per merito di tre grandi personalità: Aristarco da Samo, Ipparco di Nicea e Claudio Tolomeo. Queste tre grandi figure della storia del pensiero sono modernissime, molto più moderne di quanto non lo siano state personalità pur grandi come Copernico. L'atteggiamento che le accomuna è quello di utilizzare in maniera estesa la geometria e la matematica, per analizzare i fenomeni astronomici che volevano indagare. Aristarco, descrive con rigorose dimostrazioni geometriche il metodo per misurare la distanza Terra Luna basandosi sulla dimensione dell'ombra della Terra alla distanza della Luna e della distanza Luna Sole utilizzando la relazione che sussiste in un triangolo rettangolo tra l'ipotenusa e un cateto una volta noto l'angolo compreso. Ma il nome di Aristarco è legato all'ipotesi della centralità del Sole nel sistema planetario. Infatti Aristarco praticamente per primo e basandosi su solidi argomenti geometrici fa l'ipotesi che sarebbe molto semplice spiegare le complesse pozioni assunte dai pianeti rispetto al Sole e alla Terra nel tempo, se si attribuissero alla Terra tre moti: uno di rotazione attorno al proprio asse, uno di rivoluzione attorno al sole e un terzo, molto lento, all'asse di rotazione. Aristarco fu cacciato da Samo, perché con queste ipotesi aveva bestemmiato Gea, la madre terra, sacra per i Greci supponendo che non fosse al centro dell'Universo

 

 

Ipparco di Nicea e Claudio Tolomeo

Ipparco di Nicea e Claudio Tolomeo, pur vivendo il primo nel I secolo a.C. e il secondo del II secolo d. C. sono due grandi astronomi moderni nel senso che affrontano il problema di prevedere il moto degli astri in cielo, partendo dalle misure e costruendo, poi su quelle misure dei modelli geometrici che consentissero il calcolo delle posizioni dei pianeti nel futuro, soprattutto per scopi astrologici. Nascono così gli epicicli e i deferenti, che altro non sono che artifizi geometrici, ma che furono considerati nel medioevo come enti fisici su cui rotolavano i pianeti. L'approccio di Ipparco e di Tolomeo al problema di calcolare le posizioni future dei pianeti si basa su leggi provvisorie fondate su semplici regole geometriche. Questo metodo viene tuttora utilizzato in astronomia e in tanti altri campi della fisica: quando poi l'osservazione dimostra che queste leggi provvisorie non funzionano più si tratterà di cambiare essenzialmente delle costanti (come i raggi degli epicicli e dei deferenti) o le posizioni di alcuni punti caratteristici per far tornare tutto di nuovo.

Con Tolomeo, che viveva al tempo dell'imperatore Adriano, l'astronomia raggiunge il suo massimo sviluppo. Solo la nuova astronomia del XVII secolo riprenderà il cammino interrotto dalla distruzione della scuola e della biblioteca di Alessandria dove si insegnava l'astronomia di Tolomeo.

 

 

 

L'astronomia mussulmana

I mussulmani avevano motivi profondamente religiosi per occuparsi di astronomia, il Corano prescrive ai fedeli di levare gli occhi al cielo per decifrare i segni che Dio vuole inviare loro:

È lui che ha fatto del Sole un faro e della Luna un lume

Egli ha determinato le fasi perché voi conosciate

il numero degli anni e il calcolo del tempo

Egli mostra i segni per gli uomini sapienti

Questi versetti prefigurano un calendario essenzialmente lunare, come ancora lo è il calendario mussulmano. D'altra parte l'espansione delle conquiste e dei commerci e quindi della navigazione impose agli arabi di ricorrere a tecniche astronomiche, soprattutto per attraversare l'Oceano Indiano. Infine, l'obbligo del pellegrinaggio alla Mecca almeno una volta nella vita che incombeva ad ogni mussulmano implicava che ogni mussulmano conoscesse elementari regole di orientamento e di calcolo dell'ora e della direzione della Mecca. Infatti in qualunque luogo il mussulmano si trovasse aveva l'obbligo di prostrarsi verso la Mecca e quindi strumenti, simili agli astrolabi, vennero costruiti per risolvere il semplice problema di astronomia sferica che consente di calcolare, date le coordinate di un luogo, in quale direzione si trovi la Mecca. Ma i dati i partenza del problema non sono del tutto ovvi. Le coordinate del luogo in cui ci si trova non sono banali da determinarsi, e da qui nacque la spinta a costruire la cartografia dei luoghi conosciuti.

Per tutti questi motivi l'astronomia nell'Islam si ricava un luogo privilegiato. Attraverso la conquista della Persia, gli arabi, come era accaduto ai Greci circa mille anni prima, vennero in contatto con l'India. Medici ed astrologi indiani si recarono alla corte del califfo. Narrano le cronache che nell'anno 156 dell'Egira (773 c. C.) si presentò al Califfo Al Mansur un uomo venuto dall'India, esperto nel calcolo della posizione delle stelle. Questo visitatore sapeva utilizzare la funzione trigonometrica seno. Il Califfo ordinò di tradurre i libri astronomici indiani, ma ben presto fu chiaro che questi libri erano dei sommari della Sintaxis Mathematica di Claudio Tolomeo che esisteva già nelle biblioteche del Califfo, ma che, fino ad allora pochi si erano curati di studiare. A parte la leggenda, in quel periodo ha inizio la diffusione dei testi greci nel mondo arabo a cura dei medici cristiani che appartenevano alla setta dei Nestoriani. Il primo grande mecenate dell'astronomia araba fu il califfo Al Mamum (califfo dal 813 al 833 d. C.) che eresse in Baghdad, nell'anno 829 d.C. un grande osservatorio. In questo osservatorio furono eseguite misure sistematiche di moti planetari e fu compiuto un interessante tentativo di determinare di nuovo la dimensione della Terra.

Conclusa una prima fase di acquisizione critica dei manoscritti astronomici e indiani il mondo arabo si dedicò alla ricerca astronomica, cercando di migliorare i modelli ellenistici aggiustando certe ipotesi troppo pragmatiche di Tolomeo. In particolare questo accadde nella scuola di Maragha in Persia, dove si cercava di evitare di ricorrere ai moti a velocità angolare non costante utilizzati nell'Almagesto per far tornare la teoria con l'osservazione; ciò ebbe una grande influenza sull'atteggiamento di Copernico. Oltre che a Baghdad, osservatori furono eretti a Maragha e a Samarkanda ma le terre mussulmane dove fu più attivo lo studio dell'astronomia si trovavano a Ovest, in Spagna. E sarà la città di Granada e poi di Toledo ad ospitare grandi scuole di astronomia. Fino ad arrivare alla preparazione di una grande opera di astronomia sotto la direzione di Alfonso X di Castiglia (dal 1252 al 1284) detto el Sabio. Qest'opera, redatta dagli astronomi arabi al servizio di Alfonso prenderà il nome di Tavole Alfonsine che saranno destinate ad influenza tutta l'astronomia pratica medioevale.

 

 

L'astronomia medioevale

Dopo la disintegrazione dell'impero romano di occidente, si dissolse la conoscenza della lingua greca per cui i dotti medioevali non furono in grado di attingere alle fonti ellenistiche del sapere, se non attraverso summae piuttosto rudimentali che invece di risolvere i problemi li ponevano essendo piene di errori ed inesattezze. Questo non vuol dire che fu abbandonato ogni tentativo di fare astronomia e studiare cosmologia. Anzi nell'alto medioevo si assiste a tutto un fiorire di teorie cosmologiche in cui il vago ricordo dell'astronomia tolemaica si mescola con la teologia dando luogo a dispute anche molto accese. Comunque le cosmologie medioevali sono un grande passo indietro rispetto alle brillanti soluzioni ellenistiche riflettendo anche un atteggiamento profondamente diverso con cui l'Uomo si poneva verso il creato. Tra le grandi figure di studiosi che si sono occupati di astronomia prima dell'anno mille vogliamo ricordare Boezio che ne tratta nel De consolatione philosophiae, e il venerabile Beda. Inoltre nei monasteri ci si dedicava allo studio del calendario, per fini essenzialmente pratici, ma con risvolti sociali e politici notevoli.

La situazione culturale dell'astronomia iniziò a cambiare verso l'anno mille. In quel tempo molti trattati, allora sconosciuti cominciarono a circolare sotto forma di traduzioni latine dall'arabo, fatte da studiosi, che, avendo visitato la Spagna erano entrati in contatto con la scienza araba. Tra questi vogliamo ricordare Abelardo da Bath, Gerardo da Cremona, Domenico Gundissalinus, Platone da Tivoli.

Nei secoli successivi fu molto importante, per la rinascita della scienza, l'introduzione della filosofia aristotelica nel pensiero occidentale al posto del neoplatonismo agostiniano. Alberto Magno (1194 - 1280), Tommaso l'Aquinate (1225 - 1274), Ruggero Bacone (dopo il 1292) insegnavano, seguendo Aristotele, che l'esperienza è la base di ogni conoscenza.

Dopo gli anni bui della epidemia di peste che culminò nel 1350, prìncipi e potenti presero la consuetudine di tenere presso di sé gli astrologi per leggere il futuro dai segni del cielo. Il diffondersi dell'astrologia comportò un approfondimento sempre maggiore dell'astronomia, usata come supporto tecnico per stendere oroscopi. In questo ambiente di rinnovato interesse per gli studi astronomici, ebbe molto successo il trattato Sulla sfera di John da Holywood, detto il Sacrobosco, morto a Parigi probabilmente nel 1256. Il trattato del Sacrobosco era soprattutto una dispensa universitaria di astronomia, che doveva servire per informare i lettori dei fatti fondamentali del cielo. L'opera è suddivisa in quattro libri cui dovevano, almeno nelle intenzioni dell'autore, far seguito alcune parti di approfondimento, che non vennero mai scritte dal Sacrobosco. Esiste però un seguito alla Sfera dal titolo Theorycae planetarum che non ha un'attribuzione certa, ma che non mancava in nessuna biblioteca astronomica. Nel Medioevo si cominciò a studiare il problema del moto e della posizione della Terra. Nicola Oresme (1320-1382) nel Livre du Ciel et du Monde d'Aristote afferma che tutti i fenomeni celesti apparirebbero nella stessa guisa sia se si muovesse il cielo, sia se si muovesse la Terra. Oresme aggiunge anche che sarebbe tutto più semplice se a muoversi fosse la Terra anziché il cielo. Si ricollega idealmente a Oresme, Nicola Krebs (1400-1464), Cardinal Cusano, il quale, tra l'altro, nella sua De docta ignorantia, afferma che tutti i punti dell'Universo hanno le stesse caratteristiche, per cui la Terra non può esserne al centro, né può essere immobile. Secondo il Cusano, un osservatore su Marte vedrebbe il mondo girargli intorno (compresa la Terra) e potrebbe costruirsi un sistema marziocentrico, con la stessa legittimità con cui gli uomini si sono costruiti un sistema geocentrico.

Nonostante le idee rivoluzionarie del Cusano, i problemi di astronomia pratica rendevano necessari calcoli precisi che potevano farsi solo ricorrendo al modello più perfezionato esistente allora, cioè al modello tolemaico. Nacque così una nuova generazione di astronomi che potremmo definire astronomi calcolatori. Appartiene a questa generazione di astronomi George Puerbach (1423-1462) protetto dal Cusano e dal cardinale Bessarione. Su richiesta di quest'ultimo, Puerbach iniziò a tradurre dal greco l'Almagesto. La morte non permise al Puerbach di finire il lavoro intrapreso, che fu ultimato da Johannes Müller (Regiomontano) e pubblicato nel 1496 come Epitome in Almagesto.

 

 

Nicola Copernico

Nicola Copernico (1473-1543). apportò un'innovazione fondamentale alla teoria planetaria, dando nuovo vigore all'eliocentrismo di Aristarco. Egli può essere considerato l'ultimo rappresentante di una tradizione che, partendo da Ipparco dura fino a Regiomontano, la cui Epitome dell'Almagesto, fu il testo su cui Copernico basò essenzialmente la propria cultura astronomica.

Copernico, destinato alla carriera ecclesiastica, fu avviato agli studi teologici nell'Università di Cracovia, ma presto cominciò ad interessarsi di matematica ed astronomia. Attratto dalla fama dello studio bolognese, a 23 anni, si trasferì a Bologna dove studiò anche giurisprudenza e medicina. Si sa anche che a Bologna si dedicò ad osservazioni astronomiche sotto la guida di Domenico Maria da Novara. Copernico conosceva il greco e studiò profondamente le opere Aristarco in cui si sosteneva, con vigore, l'ipotesi che la Terra fosse in moto intorno al Sole e ruotasse in 24 ore attorno ad un asse la cui direzione descriveva nello spazio un cono. Nel 1543 Copernico morì appena in tempo per vedere, fresca di stampa, una delle prime copie della sua opera fondamentale: il De Revolutionibus Orbium Coelestium.

In questo libro, e in un breve compendio concepito durante il soggiorno in Italia, detto il Commentariolus, venne avanzata l'ipotesi che i moti apparenti degli astri si potevano spiegare supponendo che il Sole fosse fermo al centro del mondo e tutti gli altri pianeti , compresa la Terra, fossero in moto. Alla Terra si riconosceva anche un moto di rotazione intorno all'asse con periodo di 24 ore. Dal punto di vista matematico il modello di Copernico comportava notevoli complicazioni, e non raggiungeva la perfezione di quello di Tolomeo. Il modello copernicano richiedeva anche di accettare dal punto di vista fisico il fatto che la Terra non si trovasse più al centro dell'Universo e che si muovesse nello spazio intorno al Sole. La teoria del moto della Terra, senza un'adeguata teoria del moto in generale, portava a dei paradossi fisici per le conoscenze di allora.

Il limite maggiore della teoria di Copernico risiedeva, appunto, nella mancanza di una nuova fisica. È, infatti, si sostenne allora, che quello di Copernico, era solo un modello matematico, come appunto sottolineò Osiander, l'editore del De Revolutionibus, nella prefazione. Non è chiaro quanto Copernico fosse convinto della realtà del moto della Terra, ma è certo che aveva compreso quanto fosse importante, per giustificare il suo modello, disporre di una nuova fisica, di cui infatti tenta un timido abbozzo.

Per rendersi conto di quanto fossero rivoluzionarie le teorie di Aristarco riprese da Copernico, si deve tenere presente che la teoria aristotelica della centralità della Terra soddisfaceva il bisogno di stabilità dei singoli individui, e costruiva una sorta di legame preferenziale tra il Motore Immobile del cielo, identificato dai cristiani con il Dio Padre, e l'Uomo sulla Terra. La corte pontificia di Roma non rifiutò però le teorie di Copernico, tanto che papa Clemente VII assistette nel 1533 ad una dimostrazione del sistema copernicano fatta dallo stesso autore. Fu piuttosto Lutero che irrise, tra i primi, alla strana teoria di far muovere la Terra.

All'inizio, il primo libro del De Revolutionibus Copernico tratta della forma del mondo, che non può essere diversa dalla sfera, perché così ci appare il cielo e anche in natura l'acqua tende ad assumere la forma sferica nelle gocce. La Terra è quindi una sfera e la Terra con l'acqua forma una sfera. Nel quarto capitolo si dimostra che il moto dei cieli non può che essere circolare, perché il moto circolare è l'unico che riporta il mobile nella sua posizione di partenza. In questo Copernico risente molto dell'influenza della scuola di Maragha, in Persia, che aveva sviluppato un sistema geometrico per costruire un moto circolare non uniforme come somma di due moti circolari uniformi

Copernico passa poi a considerare che il moto osservato dalla Terra può essere sì un moto degli oggetti esterni alla Terra, ma anche dovuto al moto della Terra stessa, per cui se la Terra avesse un moto appropriato, questo moto produrrebbe tutti gli effetti che noi vediamo prodursi in cielo e che attribuiamo tutti o in parte ai corpi celesti. Inoltre se qualcuno dicesse che la Terra non si trovasse al centro del mondo, ma affermasse che il suo spostamento dal centro è molto piccolo rispetto alla distanza delle stelle, ma al contempo grande rispetto ai raggi degli orbi dei pianeti ecco che avrebbe già risolto il problema legato alle complicazioni dei moti planetari e dell'immobilità apparente delle stelle fisse. Questo ragionamento non è originale di Copernico ma è ripreso da una descrizione del pensiero di Aristarco fatta da Archimede nello Psammite. Copernico continua affermando che la Terra, oltre a muoversi anch'essa di moto circolare, dovrà compiere una rivoluzione attorno al proprio asse in circa 24 ore. E subito Copernico affronta la prima obbiezione che veniva spontanea ai suoi contemporanei. Infatti, afferma:

se qualcuno a questo punto obbiettasse che la Terra potrebbe andare in pezzi ruotando così velocemente attorno al proprio asse, ma cosa si dovrebbe dire degli antichi come Tolomeo, che volevano fare ruotare attorno all'asse terrestre, con quella velocità angolare, addirittura la sfera delle stelle fisse?

Copernico affronta poi in maniera piuttosto inconcludente il problema che poi sarà centrale, cioè come mai non accade che, ruotando la Terra, non appena noi facciamo un salto la Terra non ci scorre sotto. Il nono capitolo dell'opera di Copernico è dedicato alla discussione se la Terra sia o meno al centro del mondo o sia essa stessa un pianeta. Secondo Copernico le irregolarità dei moti planetari dimostrano che la Terra non è al centro del mondo, e sembra logico supporre che la sensazione di centralità che abbiamo sulla Terra si possa avere anche negli altri corpi astrali come Marte, Giove o il Sole. Nel decimo capitolo Copernico provvede a situare i pianeti nel loro ordine naturale. Nessuno ha mai avuto dubbi che la Luna debba essere la più vicina alla Terra, sia per la sua velocità, sia per il fatto che essa occulta tutti gli altri pianeti, e sia anche perché presenta il fenomeno della parallasse. Come pure nessuno ha mai obbiettato che Saturno sia il pianeta più lontano, sia per la sua lentezza, che per il fatto che viene occultato da tutti gli altri. Muovendosi da Saturno verso il Sole vengono poi Giove e Marte. Per Mercurio e Venere sorgono delle difficoltà. Platone li aveva posti oltre il Sole, nel suo sistema eliocentrico, Tolomeo e i suoi seguaci tra il Sole la Terra. La discussione verteva sul fatto che se essi fossero stati sotto al Sole, non sarebbero mai stati dei dischi pieni, cioè sarebbero apparsi falcati e in più sarebbero dovuti passare sopra al Sole. Si ribatteva a questa osservazione che le distanze erano molto grandi e che i pianeti si imbevessero di luce solare che poi avrebbero restituita nei momenti in cui non erano illuminati. Copernico, davanti ad una situazione così equivoca si rifà a Marziano Capella e ad alcuni latini che riprendendo un antico modello di Eraclide da Ponto, supponevano che Venere e Mercurio si muovessero intorno al Sole su orbite piuttosto strette. Proseguendo nel suo ragionamento Copernico rileva che esiste una grande distanza tra l'orbita di Venere e quella di Marte e considera questo grande spazio come il luogo naturale del pianeta Terra.

Chiunque pensi che la teoria copernicana sia più semplice della teoria tolemaica, non deve avere approfondito il terzo libro del De revolutionibus. In un sistema geocentrico in cui la Terra si trova al centro, il problema del moto dei diversi corpi celesti può essere suddiviso tra un discreto numero di oggetti: i pianeti, il Sole, la sfera delle stelle fisse. Invece in un sistema in cui il Sole sia al centro del mondo si debbono attribuire alla Terra almeno tre moti concomitanti. I tre movimenti che Copernico attribuisce alla Terra sono ovviamente, il moto di rivoluzione attorno al Sole, che si svolge in un anno siderale, il moto di rotazione attorno all'asse terrestre in 24 ore siderali e un moto di precessione dell'asse di rotazione che si svolge in un periodo imprecisato. Noi moderni quando vogliamo spiegare il moto di precessione degli equinozi parliamo di moto conico dell'asse di rotazione terrestre. Se non ci fosse questo terzo moto il nostro pianeta, durante il suo moto attorno al Sole si manterrebbe parallelo a se stesso, invece a causa del moto conico descrive un arco di cerchio, in cielo corrispondente a circa 1´d'arco all'anno. Copernico non poteva accettare però che la Terra durante il suo moto di rivoluzione attorno al Sole potesse mantenere pressoché costante, nello spazio, la direzione del proprio asse di rotazione, in quanto la vedeva rigidamente collegata al Sole e quindi l'asse terrestre avrebbe descritto in cielo un cono completo. Copernico a questo punto doveva trovare il modo di annullare questo effetto e quindi previde per la Terra un insieme di moti che interessassero la direzione dell'asse di rotazione. Come se non bastasse Copernico aggiunse ancora altri moti all'asse della Terra, tale da rendere ineguale nel tempo il moto di precessione e produrre delle variazioni di obliquità (periodiche) fenomeni questi denominati a quel tempo librazioni. Questi fenomeni erano di fatto inesistenti, ed erano prodotti da errori nella determinazione del valore di precessione.

Vogliamo però riprendere l'incipit del libro III del De revolutionibus in cui Copernico ci da delle informazioni molto interessanti su questo argomento. Egli ci racconta che gli antichi matematici non sapevano distinguere l'anno tropico e l'anno siderale e che celebravano i giochi olimpici al quarto sorgere (eliaco) dei Canicola (Sirio o Procione). Copernico ci racconta anche che Ipparco da Rodi vir mirae sagacitatis trovò che l'anno siderale (riferito a Canicola) era più lungo dell'anno tropico e che quindi le stelle fisse possedevano un lento ma inesorabile moto verso Est rispetto ai solstizi. Copernico afferma anche che questo moto non è uniforme (errore di misura) e che naturae miraculum l'obliquità dell'Eclittica appare più piccola di quello che era al tempo di Tolomeo. Copernico basa la sua convinzione che il moto di precessione sia variabile nel tempo su nove osservazioni antiche di Spica (a Virginis), di Regolo (a Leonis) e la più settentrionale delle chele dello scorpione (b Scorpii) registrate nell' Almagesto, misurate da Al Battani riportate nell'Epitome e infine misurate da Copernico stesso.

 

Longitudine di Spica secondo diversi osservatori

Autore

Data

Anno Giuliano

Long.

Timochari

9 Mar -293

1614.107

172.33

Timochari

9 Nov -282

1618.370

172.50

Menelao

11 Gen +98

1756.863

176.15

Tolomeo

23 Feb 139

1771.881

176.30

Copernico

16 Apr 1525

2278.170

197.33

 

Può essere interessante leggere nel De revolutionibus come Copernico effettuò la misura anche se non è molto chiaro. Non spiega se il risultato sia il frutto di una singola misura o di più misure e, in questo caso quale criterio di selezione abbia usato. Ci dice solo di aver misurato la distanza zenitale della stella al passaggio al meridiano e da questa, conoscendo la sua latitudine, determina la declinazione della stella. Dall'interpretazione dei dati in suo possesso Copernico deduce che la variazione di longitudine di Spica tra Al Battani e lui stesso era stata di 10 ogni 71 anni. Il dato si riferisce ad un intervallo di 645 anni e ad una differenza misurata di 9.18 gradi decimali. Insegna la fisica che una differenza tra due misure è affetta da un errore pari alla somma dei valori assoluti degli errori probabili delle due misure. Siccome le longitudini sono calcolate in base ad osservazioni di declinazione di Spica e l'errore sulla declinazione (uguale all'errore della misura di altezza della stella al passaggio al meridiano da cui si deduce la declinazione) si raddoppia sulla longitudine, ne consegue che se attribuiamo ad ambedue, al Battani e Copernico, un errore nella misura dell'altezza di Spica di 0.50, l'errore sulla differenze è di circa 20. Se quindi i 90.18 gradi decimali stimati da Copernico per la differenza tra lui e Al Battani fossero stati 70 Copernico avrebbe ottenuto una precessione di 10 ogni 92 anni (che è il valore accettato modernamente), e si sarebbe risparmiato tante ipotesi bizzarre.

Ma c'era ancora un altro fenomeno che Copernico doveva spiegare: la continua diminuzione dell'obliquità dell'Eclittica. Ricordiamo che l'obliquità dell'Eclittica è l'angolo formato tra il piano dell'orbita terrestre e il piano dell'equatore terrestre. Dal confronto tra le misure di Aristarco (-279) e quelle di Copernico l'obliquità dell' Eclittica era diminuita di 23'. Adesso sappiamo che il fenomeno è reale e che procede al ritmo di circa 40´´ al secolo. Per cui nell'intervallo di tempo che separava Copernico da Aristarco (1794 anni) circa 12' sono reali, il resto è dovuto ad errori sperimentali.

I moti che Copernico è costretto ad attribuire alla Terra per inseguire gli errori sperimentali sia sulla precessione che nell'obliquità (detti moti di librazione), complicano inutilmente il sistema rendendolo praticamente inattendibile. Infatti la grande innovazione del moto della Terra, sarebbe stata accettata più facilmente se avesse portato veramente ad una profonda semplificazione. Invece il modello copernicano appariva da subito molto più complesso di quello tolemaico.

La Luna merita una considerazione a parte. Nel sistema copernicano esisteva un principio fondamentale che era quello della centralità del Sole, quest'ordine anche se difficile da accettare è rotto dalla presenza della Luna che viene fatta ruotare, correttamente attorno alla Terra. Questo fatto creava un elemento di disturbo che dava facili argomenti ai detrattori del sistema. Non a caso Galileo, quando annuncia al mondo , nel sidereus Nuncius edito nel 1610 le sue scoperte celesti, concludendo il libretto in cui ha largamente discusso dei satelliti di Giove afferma:

Abbiamo dunque un valido ed eccellente argomento per togliere ogni dubbio a coloro che, accettando tranquillamente nel sistema di Copernico la rivoluzione dei pianeti attorno al Sole, sono tanto turbati dal moto della sola Luna intorno alla Terra, mentre entrambi oggi la loro rivoluzione attorno al Sole, da ritenere si debba rigettare come impossibile questa struttura dell'Universo.

Ora, infatti, non abbiamo un solo pianeta [la Luna] che gira attorno ad un altro, mentre entrambi compiono ogni anno la loro rivoluzione attorno al Sole, ma la sensata esperienza ci mostra quattro stelle erranti attorno a Giove, così come la Luna attorno alla Terra, mentre tutte insieme con Giove, con periodo di dodici anni si volgono in ampia orbita attorno al Sole.

Per concludere questa parte su Copernico, ci interessa mettere in evidenza ancora una volta il fatto che gran parte della teoria copernicana, è difficile e richiede artifizi complessi per spiegare fenomeni che in realtà non esistono, e la cui esistenza è ipotizzata solo in base a poche misure di cui non è nota l'affidabilità. Il progresso da Copernico in poi sarà possibile solo impiegando nuove tecniche misura, e strumenti più precisi.

 

I due sistemi sommariamente a confronto

 

Tolomeo

Copernico

Retrogradaz planetarie

effetto degli epicicli

ovvia cons. del sistema

Distanze planetarie

non facilmente giustif.

facilmente giustif

Precessione

aggiunta di una sfera

quattro moti addizionali

Calcolo delle effemeridi

ben consolidato

complesso ed inaffidabile

Fisica del sistema

coerente con Aristotele

assurdo per Aristotele

 

 

Tycho Brahe

Di tutti gli astronomi del rinascimento Tycho è quello che è stato maggiormente studiato dagli storici, Tycho può considerarsi un moderno fondatore della disciplina astronomica e di una statura scientifica non inferiore, se non addirittura superiore, a Ipparco o a Claudio Tolomeo. Tycho introduce nella comunità degli studiosi per la prima volta il concetto della precisione della misura, e dimostra la necessità di condurre osservazioni regolari, eseguite con strumentazione affidabile. Tycho, costruendo strumenti dieci volte più precisi di quelli in uso al suo tempo, e usandoli in maniera consistente per circa un quarto di secolo, ha trasformato il quadro di riferimento in cui si sarebbe dovuto muovere chiunque avesse voluto costruire un modello planetario. Solo per questa strada si poteva sperare di risolvere il problema della rotazione della Terra, della distanza delle stelle e della costruzione di tavole di posizioni stellari. La rivoluzione ticonica consiste nel prendere coscienza dell'incertezza dei dati osservativi su cui si basava Copernico. Tycho inventa prima una grande quantità di strumenti e li costruisce secondo le più avanzate tecnologie del tempo. E inoltre, cosa non consueta per i costruttori di strumenti, li usa per ottenere il numero maggiore possibile di misure. Per rendere compatibile l'aggiornamento degli strumenti con la consistenza interna dei dati che stava accumulando Tycho raccordava sempre insiemi di misure fatte con strumenti diversi. Tycho era quindi astronomo e tecnologo insieme, ma non esauriva la sua iniziativa nella costruzione dello strumento, era anche un grande osservatore e un buon organizzatore e, almeno per un certo periodo, gli riuscì di circondarsi di assistenti che moltiplicavano il suo sforzo.

Diversi studiosi hanno ricalcolato la posizioni stellari osservate da Tycho per cercare di valutare l'accuratezza intrinseca delle misure, il risultato di questi studi ci dice che le posizioni cometarie erano accurate entro ± 49´´, mentre la posizione della stella equinoziale, la a Arietis era affetta da un errore di soli ± 6´´, è anche evidente il risultato del continuo miglioramento tecnologico. Infatti dal 1582 al 1590 l'errore medio sulle misure passò da 47´´ a soli 21´´. È questo forse il maggior risultato dell'opera di Tycho: le teorie, da allora avrebbero dovuto riprodurre il moto degli astri entro quello strettissimo canale lasciato aperto dell'errore residuo.

Comunque, gli strumenti di Tycho hanno dato un contributo indiretto all'astronomia copernicana anche mentre venivano utilizzati. L'impossibilità di determinare una qualsiasi parallasse della nova del 1572 dimostrò senza equivoci che la a stella trovava ben oltre il cielo della Luna, dando chiara prova che anche nei cieli possono avvenire dei mutamenti contro quanto stabilito dalla fisica di Aristotele.

 

 

Johannes Kepler

Usando le lunghe serie di dati accumulati da Brahe, Keplero per più di venti anni si sforzò di rivelare il mistero delle orbite planetarie. Una volta stabilite le posizioni assunte dal pianeta Marte al passare del tempo, Keplero cercò con i vari strumenti matematici del tempo di trovare una descrizione matematica semplice dell'orbita. I dati dimostravano a Keplero che l'orbita del pianeta era un'orbita piana e che il piano dell'orbita conteneva il Sole. Nel 1609 Keplero fu in grado di annunciare le sue tre leggi dei moti planetari:

Le orbite planetarie sono piane e hanno la forma di un'ellisse con il Sole che occupa uno dei fuochi.

Il raggio vettore che collega il Sole ad un pianeta spazza aree uguali in tempi uguali

Nelle orbite planetarie il quadrato dei periodi siderali di rivoluzione sono proporzionali ai cubi dei semiassi (raggio medio dell'orbita).

Nel 1621 Keplero fu anche in grado di dimostrare che le quattro lune di Giove scoperte nel 1607 da Galileo obbedivano alle sue leggi.

 

 

Galileo Galilei

Galileo nacque in Pisa il 15 febbraio del 1564 da Vincenzo di Michelangiolo di Giovanni Galilei e da Giulia di Cosimo di Ventura degli Ammannati da Pescia. Vincenzo era un eccellente suonatore di liuto, e i suoi studi dell'antica musica greca e le sue ardite innovazioni hanno un ruolo importante nella storia della musica. Per seguire la volontà del padre, a 17 anni, Galileo si iscrive nello Studio Pisano per ottenere la laurea in medicina, ma la passione del giovane Galileo per le matematiche prevalse sui progetti paterni che lo volevano medico, così ritroviamo Galileo professore di Matematica dieci anni dopo nella stessa Università pisana. Al periodo pisano appartengono gli studi sul moto che condurranno Galileo ad accettare la teoria copernicana dell'Universo, cioè a spiegare i moti degli astri in cielo come dovuti ai moti della Terra: quello di rotazione attorno al proprio asse e quello di rivoluzione attorno al Sole. Galileo considera la Matematica come il linguaggio con cui è scritto il libro della natura di cui l'astronomia non è che un capitolo. Galileo è un astronomo diverso da quelli che lo hanno preceduto, forse meno attento all'astronomia di posizione, che tuttavia conosce molto bene, ma molto più curioso di tutti quei fenomeni che potevano gettare una qualche luce sul funzionamento del mondo o avere qualche applicazione pratica. Galileo, che si era formato una solida cultura astronomica nel periodo pisano, aveva probabilmente studiato il De revolutionibus di Copernico, forse l'Almagesto di Tolomeo o i suoi compendi medioevali come la Sfera del Sacrobosco e l'Epitone Almagesti Tolemaici dell'astronomo austriaco Puerbach.

Un principio fondamentale che informa l'opera di Galileo è il rispetto aristotelico del primato dell'esperienza fisica nello stabilire la verità o la falsità delle tesi che venivano avanzate per creare dei modelli plausibili del mondo fisico. Probabilmente questo atteggiamento gli era stato instillato dal suo maestro pisano di matematica Francesco Buonamici intelligentemente aristotelico. Galileo chiama l'esperienza con il termine sensata esperienza e non si stanca di ripetere che le indicazioni della sensata esperienza, opportunamente interpretate, debbono sempre e comunque prevalere su ciò che si trova scritto in un mondo di carta.

SIMP. Aristotile.....stimò nel suo filosofare, che le sensate esperienze si dovessero anteporre a qualsivoglia discorso fabbricato da ingegno umano, e disse che quelli che avessero negato il senso, meritavano di esser gastigati col levargli quel tal senso:......

VII, 57

Dialogo, giornata prima

La sua curiosità per la natura e la ricerca della sensata esperienza trova un aiuto fondamentale dall'applicazione del cannocchiale allo studio degli astri. Nel 1609 Galileo viene a saper dall'amico Jacopo Badovere che a Parigi era stato costruito un strumento che consentiva di vedere più vicini gli oggetti lontani. Sono i primi cannocchiali la cui invenzione, se di invenzione si può parlare, si deve agli occhialai olandesi, ma già 20 anni prima Gian Battista Dalla Porta ne aveva descritto uno nella sua Magia Naturalis. Galileo, che ha in Padova una piccola officina in cui costruisce strumenti matematici, subito si mette all'opera per perfezionare questo nuovo strumento. Operando, probabilmente, per tentativi successivi, riesce a costruire un cannocchiale che ingrandisce di ben trenta volte, piccola cosa rispetto alle prestazioni dei telescopi moderni, ma risultato mirabile per quei tempi. Il cannocchiale non viene subito utilizzato per osservazioni astronomiche, infatti diventa prima uno strumento di guerra per le navi della Repubblica Veneta. Dopo averne consegnati 12 alla Serenissima, Galileo si appresta a osservare il cielo con questo nuovo strumento. L'annuncio dei risultati delle osservazioni viene dato al mondo da Galileo per mezzo di un opuscolo dal titolo Sidereus Nuncius. Molte e di diversa natura sono le scoperte annunciate da Galileo in questo libro.

Il cannocchiale, rivolto al cielo, svela a Galileo un mondo completamente diverso da quello che tutti conoscevano, tra l'altro scopre che le nubi luminose che costituiscono la Via Lattea altro non sono che una congerie infinita di stelle, la Luna poi gli appare scabra, cosparsa di monti, valli e grandi pianure:

Già nel quarto o quinto giorno dopo la congiunzione, quando la Luna ci si mostra con i corni splendenti, il termine che divide la parte oscura dalla luminosa non si stende uniformemente secondo una linea ovale, come in un solido perfettamente sferico dovrebbe accadere, ma segnato da una linea diseguale, aspra e notevolmente sinuosa......

.....Ma poi, non solo i confini tra le tenebre e la luce si vedono nella Luna ineguali e sinuosi, ma, ciò che induce maggior meraviglia, nella parte tenebrosa della Luna, appaiono moltissime punte lucenti, totalmente diverse e staccate dalla regione illuminata, e da esse non di breve intervallo distanti; le quali a poco a poco, trascorso un certo tempo, aumentano di grandezza e di luce, poi, dopo due o tre ore, si congiungono con la restante parte lucida, già fattasi più ampia.....

....Or appunto sulla Terra, prima del sorgere del Sole, le più alte cime dei monti non sono illuminate dai raggi solari mentre l'ombra occupa tuttora le pianure? (pp.11,13)

Queste osservazioni erano in palese contrasto con la cultura aristotelica del tempo che assumeva la perfetta sfericità e omogeneità degli oggetti celesti, e quindi la Luna avrebbe dovuto apparire perfettamente liscia all'osservazione telescopica.

Dalla Luna, in logica sequenza, Galileo si sposta ad osservare Giove, il più brillante dei pianeti. E qui lo attende una incredibile scoperta: Giove ha intorno a sé ben quattro lune! Nel gennaio 1610 Giove si trovava in una posizione molto favorevole per l'osservazione. Il pianeta era molto alto in cielo al tramonto del Sole e passava al meridiano alle 20h 40m . Nel Nuncius Galileo scrive:

........il giorno 7 gennaio del corrente anno 1610, alla prima ora della notte seguente, mentre guardavo gli astri celesti con il cannocchiale, mi si presentò Giove; e poiché mi ero preparato uno strumento proprio eccellente, m'accorsi, .....che gli stavano accanto tre Stelline piccole invero, ma pur lucentissime; le quali per quanto fossero da me credute del numero delle fisse, tuttavia mi destarono qualche meraviglia, per il fatto che apparivano disposte secondo un'esatta linea retta e parallela all'Eclittica, e più splendide delle altre loro pari per grandezza.... dalla parte orientale c'erano due Stelle, una sola invece verso occidente.

........essendo io ritornato, non so da quale fato condotto, alla medesima indagine il giorno 8, trovai una disposizione di molto diversa: erano infatti le tre Stelline tutte occidentali rispetto a Giove, e fra di loro più vicine che nella notte antecedente, e da uguali intervalli fra loro separate.(p.45)

La scoperta dei pianeti medicei viene utilizzata da Galileo come ulteriore argomento per sostenere la teoria copernicana. Ma non finiscono qui le scoperte di Galileo. Il 30 luglio 1610 Galileo, da Padova, scrive a Belisario Vinta a Firenze una lettera in cui tra l'altro dice:

.......Ho cominciato il dì 25 stante a riveder Giove orientale mattutino, con la sua schiera de' Pianeti Medicei, et più ho scoperto un'altra stravagantissima meraviglia, la quale desidero che sia saputa da loro Alze et da V.S., tenendola però occulta, sin che nell'opera che ristamperò sia da me pubblicata: ma ne ho voluto dar conto a loro Alzze Serme acciò che se altri l'incontrasse, sappino che niuno la ha osservata avanti a me; se ben tengo per fermo che niuno la vedrà se non dopo che l'haverò fatto avvertito. Questo è che la stella di Saturno non è sola, ma un composto di 3, le quali quasi si toccano, né mai tra loro si muovono o mutano; et sono poste in fila secondo la lunghezza del zodiaco, essendo quello di mezzo circa 3 volte maggiore delle altre 2 laterali. (X, 410)

Con questa lettera Galileo annuncia al Granduca di Toscana Cosimo II che ha osservato Saturno non circolare, ma con due grandi appendici diametralmente opposte. Sono gli anelli che Galileo non riesce a risolvere e che solo il fisico olandese Huygens osserverà compiutamente.

L'anno 1610 fu pieno di scoperte astronomiche, tutte dovute all'uso che Galileo stava facendo del suo cannocchiale per osservare il cielo. Il cielo gli era propizio perché in quell'anno si vedevano bene Giove, Saturno e Venere Nel caso di Venere l'osservazione era facilitata essendo l'elongazione di quel pianeta di circa 370 ad est del Sole, per cui era comodamente visibile di sera. A detta del Viviani allievo e primo biografo di Galileo:

.... nel mese di novembre, nel continuare le osservazioni che fin d'ottobre aveva cominciato attorno alla stella Venere, che parevagli andare crescendo in mole, l'osservò finalmente mutare figura come la luna... (XXIX, 612)

Galileo scrivendo a Castelli il 30 dicembre 1616 descrive così Venere:

...tre mesi fa [in settembre] di figura rotonda, et assai piccola, andò crescendo in mole, et mantenendo la medesima rotondità, sin che finalmente, venendo in assai gran lontananza dal Sole, cominciò a sciemar rotondità dalla parte orientale, et in pochi giorni si ridusse la mezo cerchio (X, 503)

Galileo, insomma, ha scoperto che Venere presentava le fasi come la Luna La scoperta è controversa, c'è chi sospetta che sia stata compiuta dal devoto allievo Benedetto Castelli che poi, per ossequio al maestro, non l'abbia rivendicata. Comunque sia, la scoperta di questo fenomeno dava la prova che Venere si muoveva attorno al Sole; come è suggerito anche immediatamente dall'aspetto di Venere tra il 30 settembre e il 30 dicembre 1610.

Ma non basta, Galileo, osservando con il suo cannocchiale il Sole al tramonto, scopre che il Sole presenta delle macchie, che non sono pianeti mai visti prima di ora ma proprio aree scure sul Sole, e per di più dimostrano la rotazione solare.

...Aggiungo a queste cose l'osservazione di alcune macchiette oscure, che si scorgono nel corpo solare: le quali mutando positura in quello, porgono grand'argomento, o che 'l Sole si rivolga in sé stesso, o che forse altre stelle, nella guisa di Venere e di Mercurio, se gli volgano intorno, invisibili in altri tempi per le piccole digressioni e minori di quella di Mercurio, e solo visibili quando s'interpongano tra 'l Sole e l'occhio nostro, .............

Ànnomi finalmente le continuate osservazioni accertato, tali macchie esser materie contigue alla superficie del corpo solare, e quivi continuamente prodursene altre molte, e poi dissolversi, altre in più brevi ed altre in più lunghi tempi, ed essere della conversione del Sole in se stesso, che in un mese lunare in circa finisce il suo periodo, portate in giro; accidente per sé grandissimo, e maggiore per le sue conseguenze.

(IV, 64)

Discorso intorno alle cose che stanno in su l'acqua

Lo studio degli scritti di Copernico e i risultati delle osservazioni hanno profondamente convinto Galileo della plausibilità del modello del mondo ipotizzato da Aristarco da Samo e poi ripreso, anche con molti problemi matematici, da Copernico. La grande differenza rispetto a Copernico e a Keplero sta nel fatto che Galileo è convinto che il modello di Copernico non sia semplicemente un comodo artificio per calcolare le effemeridi dei pianeti ma che corrisponda ad una reale struttura fisica dell'Universo che allora non andava oltre l'orbita di Saturno. Erano lì in cielo eloquenti le testimonianze di questo fatto: la scabrosità della Luna che orbita attorno alla Terra, la presenza dei satelliti di Giove che sembrano volere imitare in piccolo la struttura del sistema planetario, le fasi di Venere, possibili solo se Venere orbitava attorno al Sole, Saturno tricorporeo che dimostra che la perfetta sfericità della quinta essenza, ovvero della sostanza dei cieli, era un'amena trovata dei filosofi.

Galileo doveva procedere in due direzioni: doveva demolire la dottrina aristotelica dell'inalterablità dei cieli e doveva dimostrare in qualche maniera che era fisicamente plausibile trovarsi sulla Terra senza accorgersi del suo moto di rotazione attorno all'asse e di quello di rivoluzione attorno al Sole che, secondo le misure di allora, si svolgeva alla velocità dell'ordine di qualche chilometro al secondo. Per quanto riguarda l'alterabilità della materia degli oggetti celesti, Galileo è chiarissimo:

Anzi dirò di più, ch'io stimo di contrariar molto meno alla dottrina d'Aristotele col porre (stanti vere le presenti osservazioni) la materia celeste alterabile, che quelli che pur la volessero sostenere inalterabile; perché son sicuro ch'egli non ebbe mai per tanto certa la conclusione dell'inalterabilità, come questa, che all'evidente esperienza si deva posporre ogni umano discorso: e però meglio si filosoferà prestando l'assenso alle conclusioni dipendenti da manifeste osservazioni, che persistendo in opinioni al senso stesso repugnanti, e solo confermate con probabili ed apparenti ragioni.

V, 139

Istoria e dimostrazioni intorno alle macchie solari e loro accidenti

Naturalmente ci fu subito qualcuno che obbiettò che il moto della Terra era contrario, oltre che al senso comune, anche alla Sacre Scritture. Galileo ha la risposta pronta

Stante, dunque, che la Scrittura in molti luoghi è non solamente capace, ma necessariamente bisognosa d'esposizioni diverse dall'apparente significato delle parole, mi par che nelle dispute naturali ella dovrebbe esser riserbata nell'ultimo luogo: perché procedendo di pari dal Verbo divino la Scrittura Sacra e la natura, quella come dettatura dello Spirito Santo, e questa come osservantissima esecutrice de gli ordini di Dio; ed essendo, di più, convenuto nelle Scritture, per accomodarsi all'intendimento dell'universale, dir molte cose diverse, in aspetto e quanto al significato delle parole, dal vero assoluto; ma, all'incontro, essendo la natura inesorabile ed immutabile e nulla curante che le sue recondite ragioni e modi d'operare sieno o non sieno esposti alla capacità de gli uomini, per lo che ella non trasgredisce mai i termini delle leggi imposteli; pare che quello de gli effetti naturali che o la sensata esperienza ci pone davanti a gli occhi o le necessarie dimostrazioni ci concludono non debba in conto alcuno esser revocato in dubbio, non che condennato, per luoghi della Scrittura ch'avesser nelle parole diverso sembiante, poiché non ogni detto della Scrittura è legato ad obblighi così severi com'ogni effetto di natura.

V, 283

Lettera a D. Benedetto Castelli, 21 Dicembre 1613

Ma uno dei punti più alti dell'opera di Galileo è la famosa pagina in cui, ricorrendo alla sensata esperienza, vuole affermare che il principio di relatività è plausibile, ovvero che i fenomeni meccanici (caduta, lancio di un grave etc.) accadono nella stessa maniera sia che il sistema di riferimento sia fermo o in moto rettilineo uniforme, come è appunto la Terra attorno al Sole:

.......Rinserratevi con qualche amico nella maggior stanza che sia sotto coperta di alcun gran navilio, e quivi fate d'aver mosche, farfalle e simili animaletti volanti; siavi anco un gran vaso d'acqua, e dentrovi de' pescetti; sospendasi anco in alto qualche secchiello che, a goccia a goccia, vadia versando dell'acqua in un altro vaso di angusta bocca che sia posto a basso: e stando ferma la nave, osservate diligentemente come quelli animaletti volanti con pari velocità vanno verso tutte le parti della stanza; i pesci; i pesci si vedranno andar notando indifferentemente per tutti i versi; le stille cadenti entreranno tutte nel vaso sottoposto; e voi gettando all'amico alcuna cosa, non più gagliardamente la dovrete gettare verso quella parte che verso questa quando le lontananze sieno eguali; e saltando voi, come si dice, a piè giunti, eguali spazi passerete verso tutte le parti. Osservate che avrete tute queste cose, mentre niun dubbio ci sia che mentre il vassello sta fermo non debbano succedere così, fate muovere la nave con quanta si voglia velocità; ché (pur che il moto sia uniforme e non fluttuante in qua in qua e in là) voi non riconoscerete una minima mutazione in tutti li nominati effetti, né da alcuno di quelli potrete comprender se la nave cammina o pure sta ferma

(V, 213)

Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo

Era questa la chiave di volta del nuovo sistema del Mondo: si doveva dimostrare che non è possibile, mediante esperienze meccaniche, stabilire se il proprio sistema sia fermo o in moto rettilineo uniforme. Naturalmente si approssima, per brevi periodi il moto orbitale, e il moto circolare dovuto alla rotazione della Terra, ad un moto rettilineo uniforme.

Galileo costituisce il terzo elemento di una triade di grandi uomini: Tycho, Keplero e Galileo stesso. Lasciamo in disparte Copernico perché in lui parlano ancora in modo chiaramente intelligibile le voci del grandi astronomi arabi ed ellenistici: Sono queste tre grandi figure della scienza a porre le basi su cui Isacco Newton poté costruire la sua nuova fisica che è la nostra fisica, quella fisica che in poco più di trecento anni di applicazione allo studio della natura, in tutti i campi ha portato ai progressi e alla tecnologia che noi tutti usiamo, nel bene e nel male.

Tycho con le sue misure puntigliosamente precise prepara la base di dati che servirà poi al suo assistente Keplero per la formulazione delle tre leggi dei moti planetari. Galileo propone un metodo di indagine in cui pone l'esperienza come unico metro di giudizio sulla validità delle tesi, riprendendo da Aristotele, e ponendo all'attenzione del mondo scientifico, il ruolo della sensata esperienza. Galileo inoltre mostra lui stesso i risultati che si potevano conseguire utilizzando il telescopio e, non dimentichiamo, il microscopio a cui Galileo non fu mai particolarmente interessato ma che realizzò tra i primi, come sottoprodotto dei suoi sforzi per costruire il cannocchiale.


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