L'intervento del prof. Paolo Fidenzoni

 

Il teatro di Marcello

 

(con presentazione di A. M. Colini - EDIZIONI "LIBER” - Roma)

 

Non sono molto d'accordo gli autori circa la data esatta della inaugurazione del teatro di Marcello (Plinio la mette nel 748 sotto il consolato di Quinto Tuberone e Paolo Fabio Massimo), tuttavia i più autorevoli la ritengono più probabile nell'anno 13 a. C. che corrisponde all'anno 741 di Roma, essendo consoli Tiberio Claudio Nerone e Publio Quintilio Varo.

Augusto pose mano alla fabbrica subito dopo la morte del nipote M. Claudio Marcello avvenuta nel 21 a. C. e al ritorno dalle Gallie, lo dedicò con la celebrazione di riti propiziatori agli dei e con suntuosissime feste.

Svetonio narra che all'imperatore si ruppe la sedia curule mentre assisteva all'inaugurazione, e Plinio, nel libro VIII narra che in questa cerimonia furono uccise 600 fiere e fu vista per la prima volta la tigre in gabbia.

Nobilissimi giovani, tra i quali Caio, nipote di Augusto, giostrarono nel «gioco troiano» e in questa occasione l'imperatore ordinò che fosse collocata nel teatro una statua d'oro del nipote Marcello assiso sulla sedia curule.

Il plastico ricostruttivo fatto eseguire a cura della Mostra Augustea della Romanità qui riprodotto indica la forma del teatro.

La sua pianta è formata da un semicerchio e da un rettangolo che sono: la cavea e la scena (fig. 11). La scena era fiancheggiata da due grandi sale absidate (fig. 12).

 

La scena

Luigi Pernier, con autorevole e particolare competenza, nel suo prezioso studio sul teatro di Marcello (L. Pernier, « Studi sul Teatro di Marcello » - Bullettino Commissione Archeologica Comunale (LV - 1927), pagg. 5-40 con XIII tavv.) riassume tutto quanto, fino al 1926, era stato studiato intorno alla forma e alle dimensioni della scena.

Gli architetti del '500: B. Peruzzi, A. Sangallo e Fra Giocondo, che videro gli ultimi resti della scena e particolarmente quelli della sala porticata ad Oriente, nei loro incerti ma sempre importantissimi rilievi, ci confermano che la lunghezza di questa scena era, secondo stabilisce Vitruvio, circa il doppio del diametro dell'orchestra e cioè m. 87: ci confermano inoltre che era chiusa nel fondo e che nel centro vi era l'ingresso o porta reale.

Due sono state fino ad oggi le più note ricostruzioni che ne sono state fatte: l'una del Serlio (fig. 13) con le due sale absidate e tra queste un corpo sdoppio di chiusura del fondo « foresteria, scale ed ingresso reale », l'altra del Lanciani con l'aggiunta di una fila di colonne (fig. 14).

Tuttavia, più aderente al disegno offerto dai frammenti della pianta marmorea Severiana ed in parte ai rilievi stessi del Peruzzi, sembra la pianta del Kiepert-Hülsen (Forma Urbis Romae. Tav. III), che pone appunto la fila di colonne nel post-scaenam (fig. 15). Il Lanciani rispetta la pianta marmorea in quanto alla fila di colonne, ma le pone però sulla scaenae frons anziché sul post-scaenam, trascura gli accenni absidati visibili nei frammenti capitolini e, in quanto alle sale porticate, tiene conto dello incuneamento del terzo tempio repubblicano sul fianco della sala orientale, e fa arrestare all'aditus-maximus la facciata esterna del teatro come d'altra parte risulta anche dalla stessa pianta marmorea e dalle tracce sul terreno.

Finalmente il già ricordato plastico di ricostruzione del teatro di Marcello (fig. 16, 17), eseguito con i disegni dello scrivente a cura della Mostra Augustea della Romanità si propone per la prima volta di rappresentare, con la maggiore possibile attendibilità, tutto il complesso del monumento tenendo conto degli elementi certi e misurati in tutte le epoche e di quelli tratti dagli studi precedenti o di comparazione.

Osservando tale plastico e le qui allegate tavole, si nota che nello studio di ricostruzione della scena, lo scrivente ha tenuto principalmente conto della « Pianta Marmorea » e della forma della scena di altri teatri romani contemporanei tra i meglio conservati (ad es. la scena del teatro di Merida, Spagna); elementi questi di essenziale importanza; mentre gli studi ed i rilievi di Antonio da Sangallo, Baldassare Peruzzi e Fra Giocondo, se nei riguardi della scena sono assai interessanti perché rappresentano alcuni particolari e, in specie, quelli relativi alla sala absidata sinistra veduti e misurati, sono tuttavia lontani dal vero in quanto riguarda il pulpito e la scena vera e propria. Osservando ad es. i rilievi del Peruzzi (Rilievo della pianta del Teatro Marcello - Uffizi 626), si nota come la cavea è stata disegnata in base a dati e misure accertate, mentre la scena, troppo vasta ed incerta, ha tutta l'aspetto di essere stata disegnata e misurata solo parzialmente per raccordare e chiudere gli elementi noti della cavea e delle sale absidate.

Le principali caratteristiche di un teatro romano, tra il primo e il secondo secolo, erano le seguenti: le sale laterali o vestiboli, il portico sul retroscena, i tre ingressi dal retroscena nel pulpito, la cui profondità non superava la metà del raggio dell'orchestra, quindi il frons-scaenae formato da tre absidi o nicchie di pianta quadra o tonda (se augustea prevaleva la forma tonda al centro e quadra lateralmente): queste absidi che comprendevano in esse i suddetti tre ingressi nel pulpito.

Il frons-scaenae (fig. 18) era ornato da un triplice ordine sovrapposto di colonne che, seguendo il movimento della pianta, formava una preziosità architettonica ed era alto quanto la cavea.

Tale la pianta dei teatri di Ferento, di Merida, di Dugga, Khamissa, di Djemila e di Sabrata.

Nel teatro di Marcello questo triplice ordine di colonne doveva essere di marmi assai pregevoli e gli ornamenti assai preziosi se si considerano i pochi frammenti (marmi africani, sculture ecc.) venuti in luce dagli scavi e se si considera infine che nel teatro romano la parte più bella e rappresentativa doveva essere appunto la facciata della scena. Pausania (capitolo 27) dice che nell'ornamento i teatri romani superavano quelli di ogni altra parte del mondo.

Sulla scena, il cui podio, secondo Vitruvio, doveva essere alto un dodicesimo del diametro della orchestra, agivano gli attori, e, in tre quinte equidistanti, erano collocate le macchine che le rendevano girevoli e adatte per le varie specie di scena: comica, tragica e satirica.

Come abbiamo già accennato, il genere degli spettacoli dei teatri romani differiva spesso da quelli greci e ciò non può esser passato senza lasciar tracce sull'edificio.

Non è escluso quindi che sotto il pulpitum possano trovarsi resti di ipogei; ma dobbiamo confermare che la nostra conoscenza dell'edificio, essendo mancato lo scavo della parte interna, è ancora incompleta. Per essa pertanto occorre rifarsi alla pianta marmorea severiana della quale ci piace qui confermare la validità e l'importanza. Interpretata con attenzione essa può dare gli elementi per lo studio della ricostruzione della scena. Perciò sono d'accordo con R. Ernst Fiechter (Fiechter Ernst R. - Die baugeschichtliche Entwickelung des antikens theaters) nel porre sul retro-scena (fig. 19), e precisamente fra le absidi delle due sale senatoriali, il portico e colonnato indicato nella pianta marmorea, nonché, nello stabilire con questo i giusti limiti dell' «aditus», del «pulpitum» e del «frons-scaenae».

Secondo le indicazioni contenute nella pianta suddetta, nel mio studio di ricostruzione ho creduto opportuno completare la fronte della scena con le tre nicchie, mettendo ciò in relazione con gli altri teatri augustei e specialmente con quello di Merida che venne inaugurato tra il 16 e il 18 a. C. ed è quindi quasi coevo a quello di Marcello: con il quale ha similari molti caratteri della cavea e le sale absidate ai corni della scena.

Nel teatro di Marcello qualche elemento della scena è ancora oggi in situ e conosciuto, come la grande platea di calcestruzzo larga 14 metri che sopportava il peso della scena e del portico posteriore: elemento importantissimo questo che mi è stato di guida nella interpretazione della forma urbis severiana (e più precisamente dei frammenti noti fino al 1936, epoca del plastico ricostruttivo). Sono inoltre sempre visibili un pilastro ed una colonna della grande sala absidata sinistra (fig. 20) che hanno costituito centro di irradiazione per l'accurato rilievo di tutta quella zona e di tutti i possibili elementi in qualsiasi modo appartenenti alla scena o alla cavea e comunque di riferimento e di controllo.

Tale studio, ha portato alle conclusioni contenute nel plastico di ricostruzione e all'allegata pianta completa. Non si esclude che tale conclusione possa in parte restare parzialmente discutibile ma solo in quanto riguarda la parte inesplorata della scena (fig. 21). Infatti, in quanto concerne più precisamente il post-scaenam non può qui non ricordarsi oggi la identificazione di alcuni frammenti della forma urbis severiana e l'opera pregevolissima che su essa è stata recentemente pubblicata (CARETTONI ed altri, La pianta marmorea. Identificato il frammento del retroscena ove sono riportati i due tempietti con l'ara di fronte); si tratta più precisamente del frammento centrale riguardante il post-scaenam; questo frammento indica due corpi quadrati grandi e due piccoli (a due a due simmetrici ed isolati) e deve necessariamente collegarsi con il contiguo frammento (ora perduto) che ci ha dato il segno e l'avvio necessario ad un'abside e l'opportunità di disegnare la 2a soluzione della pianta limitatamente al post-scaenam (fig. 22).

Il frammento recentemente trovato ha fatto in qualche modo ritenere che una grande abside (o esedra) potesse nel mezzo contenere questi due edifici. In tal caso il perimetro esterno (retroscena) del teatro dovrebbe chiudersi come indicato in detta soluzione 2a e cioè con una grande esedra. Questa soluzione che pare accettata dagli editori della «Pianta marmorea» conferma la pianta del Kiepert-Hülsen nella «Forma Urbis Romae» (1891). Non è confermata però né dai rilievi del Peruzzi né dalla pianta del Fiechter e neppure dalle piante del teatro di Dugga o di altri teatri.

A mio modesto parere l'esedra di cui alla 2a soluzione non aveva, né poteva avere, alcun rapporto con il retroscena del teatro.

Poteva invece trattarsi tutt'al più di un muro a protezione del retroscena stesso dalle melme 'e dalle acque del vicino fiume.

E finalmente si potrebbe anche osservare che la Forma Urbis Severiana e perciò anche quella parte di frammento scoperto nel '56 e che riguarda il Teatro di Marcello, non può che essere sommaria e, oserei dire, schematica; a dimostrazione di ciò basti il confronto tra i rilievi e lo stato di fatto del monumento e gli stessi resti della pianta marmorea nei suoi frammenti comunque noti.

 

La cavea

Il diametro della cavea misura m. 129,80 e il diametro dell'orchestra m. 37.

L'altezza del prospetto esterno in travertino è diviso in tre ordini soprapposti: l'ordine dorico, l'ordine ionico, ambedue ad archi e pilastri e l'ordine corinzio che necessariamente doveva essere più alto di tutti e a muro pieno perché destinato a contenere due piani.

Le altezze parziali della facciata esterna sono:

1) gradino d'ingresso: m. 0,20

2) ordine dorico: m. 9,55

3) ordine ionico: m. 10,40

4) ordine corinzio: m. 11,45

5) attico sopra l'ordine corinzio: m. 1,00

Totale altezza m. 32,60

Circa il numero degli archi e dei pilastri che componevano il prospetto che cingeva esternamente la cavea, gli studiosi non sono mai stati d'accordo ed incerti risultavano quindi i limiti diametrali della detta serie di pilastri che taluni fanno proseguire anche oltre il diametro della cavea. Infatti Baldassarre Peruzzi in un suo rilievo, o schizzo, conservato agli Uffizi (626) fa continuare il prospetto esterno della cavea oltre la linea diametrale dandogli per piedritto tutto il fianco della scena e dell'aula senatoriale, e tale soluzione è riportata dal Kiepert-Hülsen nella sua «forma urbis».

Al contrario la pianta del Serlio, quella di Degodetz e la «Forma urbis » del Lanciani, tenendo conto del forte incuneamento dell'attiguo tempio repubblicano che avrebbe impedito la continuazione della facciata di travertino, arrestano, come già detto per la scena, la facciata sul diametro del semicerchio e formano presso l'«aditus maximus» il dente caratteristico nei teatri romani, sul punto di attacco della scena alla cavea. Quest'ultima è la vera pianta come è stato confermato dagli scavi.

In tal modo gli archi erano 41 ed i pilastri 42. L'angolo del tempio repubblicano (fianco dell'attuale chiesa di S. Nicola), incuneato oltre il limite del cerchio esterno, era infatti distante soltanto m. 1,50 dal fianco dell'aula absidata a levante, distanza questa appena bastante per il passaggio di una persona e che ricorda l'altro punto a Nord del cerchio esterno ove l'angolo del portico di Ottavia è distante appena m. 2,40 dalla curva del cerchio esterno.

Le parti del monumento ritrovate e rilevate negli ultimi lavori per l'isolamento e il restauro del teatro di Marcello e che sono tuttora in evidenza, sono state sufficienti per comporre l'intera ricostruzione della cavea. Solo il terzo ordine (l'attico corinzio) è completamente scomparso nel cerchio esterno ma ci è rimasto qualche raro frammento che è stato prezioso per la definizione delle proporzioni della facciata esterna nei disegni di ricostruzione (fig. 23).

I resti del terzo ordine, ancora in sito sul cerchio interno e sempre visibili sul lato Nord-Ovest, messi in rapporto con la inclinazione delle gradinate e con il ritmo costante della distribuzione delle scale degli accessi e degli ambulacri, hanno potuto fin dalla loro scoperta ed ancora oggi, testimoniare sulla attendibilità della soluzione ricostruttiva disegnata e realizzata con il plastico di ricostruzione.

Il terzo ordine, il corinzio, nel teatro di Marcello era quindi esternamente pieno, come è nel Colosseo il piano attico perché era destinato a contenere la galleria di disimpegno e il matroneo.

I frammenti delle mezze colonne di travertino e dei capitelli corinzi rinvenuti nei lavori e tuttora conservati nei magazzini del teatro di Marcello, fanno fede circa la perfetta e classica sequenza dei tre ordini proporzionatissimi tra loro. Lo stesso tipo di lavorazione, lo stesso sistema di costruzione.

Nel citato studio ricostruttivo lo scrivente ha tenuto anche conto della sezione disegnata da B. Peruzzi (Uffizi 604) che per aver parzialmente ricostruito il palazzo Orsini al posto dell'ordine corinzio, deve averne visto e misurato qualche elemento specialmente in quanto concerne le strutture più basse del matroneo verso l'interno. La stessa sezione peruzziana presenta tuttavia delle incertezze, specie nella parte esterna del terzo ordine che prevede ad archi e che lascia nello stesso tempo incompleto.

I diversi autori che hanno studiato e trattato l'argomento sono stati molto discordi circa la forma del terzo ordine che da alcuni era previsto pieno e da altri ad archi e pilastri.

La questione è da ritenersi pertanto risolta e in maniera definitiva.

Architettonicamente la cavea (fig. 24) ci offre la più originale e perfetta delle strutture non soltanto dal punto di vista statico in quanto vediamo qui adoperati i diversi materiali a seconda dei carichi e delle sollecitazioni a cui sono sottoposti, ma più specialmente per l'organica e ritmata distribuzione degli accessi, degli ambulacri e dei posti suddivisi secondo i diversi uffici e categorie di persone ed in modo che l'affollamento e lo sfollamento del teatro si potessero svolgere con rapidità e senza ingorghi: pochi minuti, forse 10-15, bastavano per il completo svuotamento della cavea.

Tale funzionalità degli accessi era ottenuta con calcolo perfetto in un organismo pesante ma ampio e funzionale.

Creazione di architetti oscuri ma dai quali avranno modo di apprendere i costruttori di ogni paese e di ogni tempo.

Ecco la suddivisione ritmata dei cunei secondo l'ufficio a cui erano destinati. (Fig. 24 - Sezione di ricostruzione - P. Fidenzoni)

I 41 archi e cunei in cui si divide radialmente la pianta al piano terra comprendono 6 serie ritmate di fornici per il disimpegno scale e passaggi per complessive 37 fornici più 4 cunei ai corni dell'emiciclo per l'aditus maximus (pianta di ricostruzione al piano terreno - fig. 21).

Ogni serie comprendeva cunei o fornici con ufficio singolo diverso che si ripeteva, in ritmo uguale e costante, nelle serie successive, di maniera che in tutto il giro della cavea al piano terreno venivano a trovarsi ad uguale distanza tra loro: n. 6 ingressi per l'ambulacro dei cavalieri, n. 7 scale per accedere al piano superiore (porticato jonico), n. 6 ambienti in piano sotto le rampe di ritorno, n. 6 ambienti per accedere ai vani interni sotto le gradinate, n. 6 ambienti in piano utili per taverne o negozi, n. 6 ambienti di servizio con accesso ai locali della sotto cavea, 4 ingressi per i senatori ai posti di orchestra.

Il locale in fondo al fornice d'asse era riccamente decorato a stucchi dei quali ancora oggi si conservano importanti resti. Era questo locale fine a se stesso o passaggio ad altri locali (o posti) sotto l'orchestra?

Al piano superiore (loggiato dell'ordine jonico) (fig. 25) i fornici si dipartivano con un altro ritmo costante di 6 tipi diversi che, alla loro volta, consentono di stabilire che in tutto il semicerchio da questo piano partivano: 7 ingressi al piccolo ambulacro interno superiore, 13 scale per accedere alle gallerie di disimpegno sopra l'ordine jonico e sotto il matroneo, 7 sottoscale sotto la rampa di ritorno delle predette, 7 accessi diretti ai sedili della cavea, 7 rampe per discendere a piano terreno (il ritmo di 6 cunei nel giro dell'emiciclo era stato osservato anche dal Peruzzi come risulta dal suo rilievo - Uffizi 626).

Per quanto riguarda il matroneo (fig. 26), nonché gli ambulacri e i passaggi contenuti nell'altezza dell'ordine corinzio, la sezione ricostruttiva dimostra chiaramente che si sono tenuti presenti soprattutto i resti del terzo ordine ancora esistenti, resti che sono stati integrati alle altre parti del teatro con l'ausilio della sezione peruzziana ed i raffronti con altri teatri coevi ma specialmente con il Colosseo che, anche nella costruzione del matroneo, non può non aver copiato l'architettura del teatro di Marcello che gli fu padre e maestro fin dalle fondamenta.

I vomitori pertanto erano separati in modo che nessuno dei diversi ordini e classi sociali si incontrassero sia nell'entrare che nell'uscire. I senatori, i cavalieri, la plebe, le donne, tutti avevano posti ben determinati e distinti nella cavea. Purtroppo questa parte del monumento, è tuttora coperta dalle strutture dell'antico palazzo Savelli e dal suo giardino che si sono voluti rispettare integralmente, ed è perciò rimasta sconosciuta. La descrivo per completezza riferendomi, quindi, esclusivamente alle caratteristiche comuni. La cavea si divideva nelle 5 seguenti precinzioni:

1) al piano dell'orchestra 4 larghe file di posti per i senatori che vi prendevano posto in sedia curule;

2) sopra i senatori 15 gradoni per l'ordine equestre ai quali si accedeva dalle 7 scalette provenienti dall'ambulacro interno destinato appunto ai cavalieri;

3) primo ordine di sedili per il popolo con 14 file di posti;

4) secondo ordine di posti per la plebe (o i soldati, che Augusto separò dal popolo) con 8 file di posti;

5) in alto il matroneo con 6 file di sedili al coperto.

In totale il teatro di Marcello poteva contenere 15.000 posti a sedere calcolando una larghezza minima di sedile di cm. 50.

Calcolando la folla stipata e aggiungendovi tutta quella in piedi negli spazi utili si potrà stabilire il numero degli spettatori in un massimo di 20.000. La scena era coperta a tetto fino all'altezza del pulpitum.

La cavea era coperta con velario di seta, o di tela, a spicchi manovrabili con tiranti disposti sulle antenne di ancoraggio.

I materiali adoperati nella costruzione sono:

1) il travertino in opera quadrata per il cerchio esterno (massima altezza);

2) il tufo in opera quadrata con chiavi e pulvini (per gli archi) in travertino: l'opera quadrata in tufo riguarda tutto il cerchio interno ed i muri radiali fino alla profondità verso l'interno di m. 10 (media altezza);

3) l'opera reticolata di tufo con riempimento in calce-struzzo di tufo e pozzolana riguarda i muri radiali dalla profondità di m. 10 fino all'unghia della cavea;

4) muratura di mattoni e malta di pozzolana per la costruzione degli ambulacri interni anulari;

5) volte in calcestruzzo di tufo e pozzolana;

6) sedili, scale e rivestimenti in marmo greco.

 

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Lo sguardo panoramico che abbiamo dato al monumento nei precedenti capitoli ci porta a ricordare i principali studi e le ricerche fatte nel passato da architetti ed archeologi che parlano in più tempi e in più opere dell'insigne teatro romano disegnandone alcune parti.

Dal punto di vista architettonico giova ricordare e far notare quegli elementi di studio e di raffronto che sono in relazione con quanto è stato detto.

Sebbene la costruzione del teatro differisca in parte e, specie nei particolari, dai dettami vitruviani, pure non vi è dubbio che gli architetti romani ne furono notevolmente influenzati. Infatti notiamo come i caratteri e gli elementi della pianta, la distribuzione delle gradinate e precinzioni, gli ambienti della scena descritti per i teatri da Vitruvio, vengono a corrispondere tutti nel teatro di Marcello.

Non dubito perciò che, come prescrive Vitruvio, l'ingresso reale al teatro di Marcello fosse nel centro della facciata esterna della scena verso il Tevere, dato che per tutto il semicerchio del teatro non appare traccia di questo elemento importante. Parimenti dicasi delle aule absidate che, secondo Vitruvio, rappresenterebbero gli ingressi: l'uno dal foro e l'altro dalla campagna.

Gli ordini della facciata: dorico jonico e corinzio, sono secondo le regole di Vitruvio, regole che stabiliscono quanto debba osservarsi nei particolari in relazione al punto di vista normale (ad esempio le riseghe sull'architrave dell'ordine ionico che in tal modo viene sporto in fuori).

Attendibile è anche la sagoma dei sedili (fig. 27), e, nel lib. V cap. V, lo studio per la distribuzione dei vasi di rame per l'amplificazione dei suoni che sarebbero stati adottati anche prima della costruzione del teatro di Marcello: «L. Mummio, avendo smantellato il teatro di Corinto, trasportò a Roma i vasi che erano di bronzo, il quale bottino conservò nel tempio della Luna ».

Questi vasi su tre file di 13, dovevano essere distribuiti a 3 diverse altezze: sulle due precinzioni delle gradinate il tono cromatico e il tono armonico, mentre sul podio dei matronei erano collocati quelli dal suono diafonico. Erano situati in apposite nicchie semisferiche e poste in equilibrio riversati verso la scena.

Relativamente al portico sul retroscena è da tener conto di quanto dice Vitruvio nel lib. V cap. IX, «i porticati hanno a farsi dietro della scena acciocché, semmai per improvvisa pioggia si interrompessero gli spettacoli, abbia il popolo fuori del teatro ove ricoverarsi» come era nel teatro di Pompeo.

Interessantissimo è il confronto del teatro di Marcello con l'anfiteatro Flavio che venne costruito quasi un secolo più tardi ed inaugurato nell'86 d. C.

Il secondo copia tutti gli elementi architettonici e strutturali del primo senza osservarne le proporzioni e trascurando i dettagli e le rifiniture, preferendo una espressione di forza a quella di pura bellezza. Anzitutto, confrontando le due piante, riscontriamo che il diametro minore dell'Anfiteatro Flavio è di m. 156 e il diametro del Teatro di Marcello è di m. 129,80: ciò fa supporre che fin dalla pianta il teatro di Marcello sia servito di modello al Colosseo che, come si è detto, somiglierebbe in pianta a due cavee del teatro di Marcello contrapposte. Né vi sarebbe ragione di stupirsi se un giorno sotto il piano dell'orchestra del teatro di Marcello si ritrovassero gli ipogei come sono nel Colosseo, dato il genere degli spettacoli a cui il teatro stesso era adibito nei primi tempi.

Più aderente alla misura diametrale del teatro di Marcello è l'anfiteatro di El-Gem (antica Thysdrus) che misura nel diametro minore m. 130 (fig. 28). La stessa facciata di detto anfiteatro dell'Africa proconsolare si eleva a m. 29 senza l'attico. È chiaro che questo anfiteatro corrisponde tanto nella misura diametrale che in quella dell'altezza al teatro di Marcello, sebbene notevoli siano le somiglianze con l'anfiteatro Flavio e con altri anfiteatri del I e II secolo (L. Canina, in Ann. Inst., 1852 pp. 241 ss.).

Nella sovrapposizione degli ordini della facciata, nella distribuzione ordinata delle rampe e delle scale interne e per-sino nella qualità dei materiali adoperati, ritroviamo nel Colosseo la forma e l'organismo del teatro di Marcello. La legge della sovrapposizione degli ordini, quella sulla resistenza sui materiali e la loro applicazione, la distribuzione giusta dell'aria e della luce: tutto nel Colosseo fa ricordare il teatro di Marcello.

L'Anfiteatro Flavio è un meraviglioso gigante che neppure secoli di sistematica spoliazione sono riusciti a distruggere, ma il genio di quell'architettura appartiene a coloro che idearono e costruirono un secolo prima il teatro di Augusto che può definirsi il ponte di passaggio dell'architettura greca a quella romana ed il prototipo dell'architettura romana.

Gli ordini

Sorgeva il teatro di Marcello allo sbocco della strettoia fra il Campidoglio e il Tevere. La natura argillosa del terreno, il piano di fondazione fissato a una quota inferiore al pelo d'acqua del fiume, imposero come sistema di fondazione, palificata di rovere e platea generale di calcestruzzo. Infatti il saggio in profondità eseguito durante gli scavi del 1927-1928 e che è stato lasciato aperto per l'osservazione sotto l'arcata mediana del nuovo sperone ad archi e pilastri presso il tempio di Apollo, mostra la platea di calcestruzzo di tufo e pozzolana spessa m. 6,35 e, nel fondo, la testa dei pali di rovere divenuti più neri e più duri della lignite, distanti tra di loro dai 10 ai 20 centimetri (fig. 29).

Il piano della platea si distende a m. 1,13 più sotto del piano stradale. Su di esso troviamo, formato da due ricorsi di blocchi, lo spiccato dei plinti su cui appoggiano i pilastri dell'ordine dorico (fig. 30).

 

Ordine dorico

La piazza e le strade che circondavano il teatro e i templi adiacenti erano pavimentate con lastroni di travertino, come pure di travertino era lastricato il portico di pianterreno. Al portico di piano terreno si accedeva con un solo gradino alto 20 cm.

Da questo piano partono i pilastri dell'ordine dorico formati da 11 ricorsi di blocchi fino all'architrave della trabeazione (fig. 31).

Misure dell'ordine dorico:

pianta dei pilastri: m. 2,23 x 2,06

altezza dei pilastri fino al piano d'imposta degli archi: m. 5,375

altezza dei pilastri fino sotto la trabeazione: m. 7,68

cornice d'imposta degli archi: altezza: m. 0,665

cornice d'imposta degli archi: aggetto: m. 0,255

altezza dei conci cuneati degli archi: m. 0,874

luce esterna degli archi: m. 2,73

semi colonna:

base, diametro 0,90, aggetto: m. 0,53

altezza parte retta: m. 2,42

altezza totale del fusto: m. 7,075

al sommoscapo diam. 0,775, aggetto m. 0,456

capitello:

altezza totale: m. 0,605

aggetto, lato: m. 0,68

larghezza abaco: m. 1,23

Fascia: m. 0,13

tre dentelli di 2 cm.: m. 0,06

echino altezza: m. 0,08

abaco altezza totale: m. 0,23

trabeazione:

architrave altezza: m. 0,50

fregio altezza: m. 0,665

cimasa altezza: m. 0,685

totale altezza trabeazione: m. 1,85

aggetto sulle colonne (dal filo delle armille): m. 0,45

triglifi: m. 0,50 x 0,61

metope: m. 0,61 x 0,70

aggetto max. della cornice: m. 1,59

aggetto dal fregio: m. 1

I lacunari sotto il gocciolatoio sono divisi in otto spazi per ogni campata di cui 4 con rombi e rosette e 4 con campi di 18 goccie.

Attico sopra la trabeazione dorica, ovvero piedistallo dell'ordine ionico: altezza m. 1,23 compresa la cornice alta m. 0,26: aggetto dei piedistalli dalle colonne ioniche m. 0,575, larghezza dei detti piedistalli m. 1,085 (fig. 32).

Altezza complessiva dell'ordine dorico m. 9,53.

 

Ordine jonico (fig. 33).

Le misure dell'ordine jonico sono le seguenti:

pianta dei pilastri: m. 2,00 x 1,84

altezza dei pilastri fino al piano di imposta degli archi . m. 4,76

altezza totale della semi colonna fin sotto la trabeazione: m. 7,17

cornice d'imposta degli archi altezza: m. 0,64

cornice d'imposta degli archi aggetto: m. 0,27

altezza dei conci cuneati degli archi: m. 0,895

luce esterna degli archi: m. 2,90

semi colonna plinto larghezza 1,09 aggetto: m. 0,637.

base attica: altezza m. 0,27

base all'imoscapo: larghezza: m. 0,815

fusto dell'ordine jonico: altezza totale divisa in 11 ricorsi m. 6,45

al sommoscapo:

diametro: m. 0,69

aggetto : m. 0,436

anche il fusto della colonna jonica è diviso in due parti:

parte retta altezza: m. 2,40

parte rastremata: m. 4,05

capitello:

aggetto ovuli: m. 0,058

larghezza massima tra le volute: m. 1,14

altezza del capitello: m. 0,30

altezza delle volute: m. 0,357

abaco:

larghezza: m. 0,83

aggetto m. 0,50

sporgenza della trabeazione in appoggio sulle colonne ioniche: m. 0,45

Trabeazione jonica (figg. 32, 33, 34):

architrave altezza: m. 0,575

fregio altezza: m. 0,615

cornice altezza: m. 0,760

altezza totale: m. 1,950

aggetto dalla cornice dal fregio: m. 0,90

Il fregio termina superiormente con la fila di ovuli, e la fila dei dentelli è proprio sul piano di posa dei blocchi della cimasa. Per questa coincidenza i dentelli non furono ricavati dal blocco della cimasa ma bensì riportati in apposite incamerazioni ivi scavate: allo stesso modo dei nostri veri denti.

Principio economico e più sbrigativo ma tuttavia originale. Le buchette di incamerazione di una buona parte di dentelli caduti ancora si vedono sui resti della trabeazione jonica.

 

Altezza complessiva dell'ordine « jonico » m. 10,35.

 

Ordine corinzio

I pochi preziosi elementi dell'ordine corinzio (fig. 35) della facciata ritrovati negli scavi nell'ottobre del 1929 sono:

2 capitelli:

diametro alla base: m. 0,70

aggetto : m. 0,35

altezza senza l'abaco: m. 0,72

altezza con l'abaco: m. 0,86

qualche segmento di colonna diametro 0,70; un notevole blocco di travertino facente parte del fregio altezza m. 0,62. Questo blocco è limitato superiormente dai dentelli cm. 7 x 7.

Questi elementi sono stati rigorosamente riportati nel plastico di ricostruzione del teatro, mettendoli in giusto rapporto con quelli che compongono i precedenti due ordini e con le norme, misure e proporzioni vitruviane che seppure non si riscontrano fedelissime nel nostro teatro, pure vi si avvicinano molto.

Per il capitello corinzio Vitruvio stabilisce che l'altezza fin sotto l'abaco deve essere uguale al diametro della colonna e l'abaco alto un settimo di questo diametro: tali sono le proporzioni del nostro capitello con qualche centimetro di differenza.

Altezza complessiva ma presunta dell'ordine «corinzio» m. 12,12.

Dai sopra accennati confronti scaturisce tuttavia ancora una volta la originalità e la purezza dei 3 ordini che, pure improntati alle norme vitruviane, creano decisamente un nuovo sistema architettonico.

Questo riguarda specialmente l'ordine dorico che più di tutti si distanzia dalle regole vitruviane incominciando dall'altezza che è maggiore dei prescritti 14 moduli fino al fusto della colonna: dritto per 1/3 e rastremato nella rimanente altezza e fino al capitello alto circa un modulo e mezzo anziché un solo modulo come prescrive Vitruvio.

Le tavole che qui si presentano indicano abbastanza chiaramente le proporzioni di questi 3 ordini sovrapposti: proporzioni ed elementi che fecero testo fino ai grandi architetti del Cinquecento e del Seicento e fino ai neoclassici.

Altezza totale della facciata del teatro m. 32,00.


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