Circolo Culturale Albatross:Ernest Hemigway
FESTA MOBILE


La quarta di copertina di "The sun also shining"


Con la divisa


Hadley


Nel 1928

Incompiuto e ultimo romanzo di uno dei maggiori scrittori americani del '900 "Festa Mobile" ripercorre, come un diario postumo, il periodo passato da Hemingway a Parigi, dal 1921 al 1928, rivivendo con ricordi nitidissimi un'intera generazione di giovani letterati, e il periodo della loro formazione, persi (o forse ritrovati?) nell'atmosfera accogliente di una Parigi che raramente ci è sembrata così veritiera.
Ernest Hemingway arrivò a Parigi nel dicembre del 1921 con la moglie Hadley. Per i primi tempi si fermarono all’hotel Angleterre, in rue Jacob, sulla Rive Gauche, nell’arrondissement du Luxembourg. Una stradina chiusa tra edifici del Seicento con negozi di antiquariato e piccole case editrici. Ospiti dell’albergo, in tempi diversi, anche la scrittrice Colette e il musicista Richard Wagner. Il ristorante preferito dallo scrittore americano era il Pré aux Clercs, all’angolo tra rue Jacob e rue Bonaparte. Gran parte della sua attività parigina ruotò attorno a caffè, librerie e appartamenti bohémien. L’ambiente intellettuale del Quartiere Latino, tra le due guerre, aveva attirato a Parigi centinaia di scrittori e artisti da tutto il mondo. Hemin-gway frequentava i protagonisti della cosiddetta generazione perduta: Pablo Picasso, James Joyce, Ezra Pound, Gertrude Stein, Francis Scott Fitzgerald. Nella capitale francese scrisse i suoi primi racconti che pubblicò, nel 1924, nel volume "Tre racconti e dieci poesie", seguito da "Nel nostro tempo". Per respirare l’atmosfera di quegli anni magici, si percorre rue de l’Odéon, dove al numero 12 si trovava la libreria di Sylvia Beach, “la deliziosa pettegola” grazie alla quale Hemingway entrò in contatto con gli scrittori più famosi. Raggiunta place de l’Odéon, dove si trova il celebre teatro, si può fare una sosta al Café Voltaire: qui Ernest sedeva per ore a chiacchierare con Sylvia. In zona c’è anche il Café de la Paix, dove i coniugi Hemingway festeggiarono con un pranzo il Natale del 1921. L’anno successivo lo scrittore si trasferì in rue Descartes, all’angolo con rue Cardinal Lemoine: nel 1926, per la giornalista di Vogue Pauline Pfeiffer, si spostò a Montparnasse, in un appartamento al 60 di rue Froidevaux, davanti al cimitero. E fu tra i bar della zona che scrisse "Il sole sorge ancora" e iniziò la stesura di "Addio alle armi".


"Se hai avuto la fortuna di vivere a Parigi da giovane, dopo, ovunque tu passi il resto della tua vita, essa ti accompagna, perché Parigi è una festa mobile"
Questa frase, annotata su un taccuino da un amico attorno al 1950 precede di una decina di anni questo che è l'ultimo, notevole romanzo scritto da Hemingway, vero e proprio testamento spirituale, e non solo autobigrafia degli anni parigini dello scrittore americano.
Il titolo del libro deriva proprio da questa frase, riportata anche sul frontespizio dell'edizione che Hemingway non portò mai a compimento, a causa del suicidio avvenuto il 2 luglio 1961, e già anticipa, le ultime pagine dell'opera.
"Quella fu la fine della vita a Parigi. Parigi non sarebbe mai più stata la stessa anche se era sempre Parigi e tu cambiavi mentre cambiava lei. Non tornammo mai piu' nel Vorarlberg e nemmeno i ricchi vi tornarono più.
Per Parigi non ci sarà mai fine e i ricordi di chi ci ha vissuto differiscono tutti gli uni dagli altri. Si finiva sempre per tornarci, a Parigi, chiunque fossimo, comunque essa fosse cambiata o quali che fossero le difficoltà, o la facilità con la quale si poteva raggiungerla. Parigi ne valeva sempre la pena e qualsiasi dono tu le portassi tu ne ricevevi qualcosa in cambio. Ma questa era la Parigi dei bei tempi andati, quando eravamo molto poveri e molto felici.
"
Emerge la nostalgia di un passato che non si può dimenticare, inciso com'è in ogni ruga, in ogni cellula, di un passato che ha modellato il presente e lo ha reso possibile; emerge il ricordo, sempre più veritiero ad ogni pagina, chiara come un lampo, abbagliante. Emerge anche la rabbia per l'impotenza di ricordare un passato che non si può riagguantare, una vita che ancora si fa sentire vicina eppure non si può afferare, emerge l'attaccamento feroce di Hemingway alla gioventù, all'energia di vivere e agire, alla facilità di esprimersi come scrittore, quello stesso attaccamento che lo portò, sentita venir meno la fiamma della vita, al suicidio.
Emergono sprazzi di vita vera, di strade, di bar, emergono i volti di scrittori piu' o meno conosciuti, e di altri dimenticati.
Emerge soprattutto Parigi, la vita, l'atmosfera che vi si respirava, il modo di ricercare gli angoli dove potersi concentrare e scrivere, l'amore per il proprio lavoro, per Hadley, per le corse dei cavalli e per il vino.
Hemingway in queste pagine si espone ed espone tutto ciò che gravita attorno alla sua giovinezza senza paure o finti pudori, con una sincerità che stupisce, come se parlasse a se stesso, e questo sempre in uno stile che non perde la semplicità tante volte teorizzata, la linearità, la schiettezza.
Certo, a distanza di piu' di trentanni lo sguardo è necessariamente distaccato, da cronista partecipe, malinconico. Eppure il libro mantiene un fascino intatto e fa rivivere un'intera città, ce la fa vivere dall'interno, inserendoci nella cerchia degli intellettuali americani e nel salotto della signorina Stein. E così scopriamo la miopia di Joyce che gli impediva di vedere gli spettacoli teatrali (dovevano raccontargli cosa stava succedendo) o le insicurezze di un giovane, ma già affermato Fitzgerald, e del suo talento osteggiato dalla moglie. Scopriamo Ezra Pound ("l'uomo che mi aveva insegnato a diffidare degli aggettivi come più tardi avrei imparato a diffidare di certe persone in certe situazioni") o Ernest Walsh ("bruno, ardente irlandese al cento per cento, romantico e chiaramente votato alla morte, com'è votato alla morte il protagonista di un film").
Ma soprattutto scopriamo un po' alla volta, con pudore quasi, vicolo dopo vicolo, una Parigi di incredibile splendore, di grande passione, che leggendo ti prende sempre di stomaco e di cuore ("Ti veniva sempre una gran fame a Parigi quando non mangiavi abbastanza, perché in tutte le vetrine delle panetterie si vedevano cose squisite e la gente mangiava fuori, seduta ai tavoli all'aperto […] ).

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