Famiglie e popolazione a Cavallino nel Settecento. Una ricerca nelle "anagrafi parrocchiali"

testo di  Piero Santostefano,   pubblicato in <<Forum>> Cavallino (VE), marzo/aprile 1998

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            Il Concilio di Trento (1545-1563) tra le molte  disposizioni emanate stabiliva  anche l’obbligo della tenuta, presso gli archivi parrocchiali, dei registri di matrimonio. A questi, in seguito, si affiancarono i registri dei battesimi e quelli dei morti che avevano, entrambi, lo scopo di servire a documentare la mancanza di impedimenti ( la <<cognazione spirituale>> - cioè il vincolo che univa battezzato e padrino - oppure un precedente matrimonio) per la celebrazione del sacramento del matrimonio.

            Sono dunque registrazioni di dati che riguardano - negli intenti originari del Concilio tridentino - esclusivamente la sfera religiosa della vita dei parrocchiani. La  la loro unicità - visto che non esisteva quello che comunemente chiamiamo anagrafe, neppure in uno stato ben organizzato quale la Serenissima - li rende  tuttavia fondamentali per gli studi di vicende, non esclusivamente demografiche, di una parrocchia o di un territorio.

            I registri degli atti di battesimo, matrimonio e sepoltura - che per comodità definiamo impropriamente <<anagrafi parrocchiali>> - sono quindi in strettissima relazione con la storia di una comunità parrocchiale.

            Per il territorio di Cavallino la situazione presenta più di un’anomalia dovuta al modo in cui avvenne l’erezione della parrocchia - attualmente si accetta l’anno 1730 come data ufficiale - dopo che, alla fine del secolo XVII il vescovo di Torcello aveva comunque affidato la cura delle anime dei residenti ad un sacerdote eletto dall’allora proprietario dell’isola del Cavallino, Giovanni Matteo Alberti.

            Il primo sacerdote, don Andrea Tenti, tenne, a partire dal 1700, la registrazione dei suddetti atti, permettendo così di avere la seria pressoché completa dei quei movimenti anagrafici della comunità di S. Maria [che visita S.] Elisabetta a partire dall’inizio del secolo XVIII, con una lacuna per i necrologi degli anni 1708-1711. Per le parrocchie circostanti la situazione è in parte diversa: per Treporti, che includeva anche Saccagnana, si parte dal 1626 per battesimi e matrimoni, e dal 1638 per i morti; per Cavazuccherina, cioè S. Giovanni Battista di Jesolo Paese, i battesimi partono dal 1674, i necrologi dal 1680, e i matrimoni  dal 1701. La parrocchia di Torcello, che territorialmente comprendeva anche le Mesole e Lio Piccolo, ha avuto la sventura di veder distrutto il proprio archivio durante l’occupazione napoleonica, per cui se ne è andata una buona parte della storia anagrafica del Litorale del Cavallino.

            Una buona parte soltanto, perché qualcosa si riesce a recuperare proprio attraverso i registri anagrafici  della parrocchia di Cavallino la quale, per la propria ubicazione, serviva in realtà anche il territorio di Lio Piccolo i cui abitanti, per comodità, venivano a celebrare  i sacramenti - con licenza del loro parroco, come scrupolosamente annotava il pievano di S. M. Elisabetta - nella chiesa loro più vicina.

            A questi abitanti - ecco dunque una delle anomalie di cui si diceva - si assommavano poi quelli che ricadevano nella parrocchia di S. Giovanni Battista della Cavazuccherina, cioè le molte famiglie che abitavano la valle del Cavallino, e quelle che gravitavano attorno a quel nucleo commerciale e amministrativo che erano le porte del Cavallino.

            Si comincia quindi a delineare come un meticoloso spoglio - e riorganizzazione informatizzata dei dati presenti nelle anagrafi parrocchiali di S. M. Elisabetta di Cavallino, oltre a permettere quantificazioni demografiche cui in parte si accenna di seguito - offra infinite chiavi d’accesso per entrare in altre piste di ricerca storica, altrimenti non immaginabili in assenza di quello che è l’indizio di partenza su cui lavorare.  Per questi indizi si devono ringraziare i pievani che via via si sono susseguiti al Cavallino e che, con maggior o minor cura, povertà o ricchezza di particolari, hanno contribuito a far nascere,  crescere e conservare le anagrafi parrocchiali.

            E un dato quantitativo riferito ai sacerdoti qui in servizio permette alcune considerazioni. Se nel corso del secolo XVIII si succedono nella cura delle anime ben 21 sacerdoti, cappellani esclusi, tra il 1700 e il 1717 se ne contano ben dodici, segno questo di una scarsa appetibilità di questo incarico. Mentre  i restanti anni fino alla fine del secolo sono coperti da nove sacerdoti, tra i quali spicca don Giuseppe Tosetti che rimase ben 22 anni mettendo mano all’edificazione dell’attuale chiesa vecchia.

            Due dati per sottolineare come i fenomeni demografici del secolo XVIII fossero comprensibilmente diversi da quelli attuali: nel 1794, quando il paese aveva circa 450 abitanti, si registrarono 12 nati e 18 decessi; due secoli dopo, nel 1994, con una popolazione di circa 2400 anime - visto che si ragiona in termine di parrocchia - i nati sono stati 12 e i decessi 20.

            I dati grezzi della crescita della popolazione nel secolo XVII - ricordando, senza entrare in dettaglio, che il territorio dell’isola era delimitato ad occidente dal mutevole punto in cui il canale Pordelio confluiva nel mare - che si ricavano da altre fonti rispetto alle <<anagrafi parrocchiali>> danno una popolazione in crescita da poche unità attorno al 1690 sino a 370 unità nel 1785.

            Con queste cifre sullo sfondo, cioè un trend di crescita costante, può apparire a prima vista incoerente che il saldo naturale della popolazione  su base decennale (cioè numero dei nati meno numero dei morti, in base ai dati dei registri parrocchiali) presenti forti saldi negativi contrapposti a deboli saldi positivi. I saldi negativi più significativi sono nel primo decennio del secolo, poi negli anni ‘30 e infine negli anni ‘80.

            Incrociando questi dati sul saldo naturale con la storia della proprietà fondiaria dell’ isola del Cavallino, si vede come i decenni in questione corrispondano - è comunque un’ipotesi di lavoro da approfondire -  a periodi di dinamicità imprenditoriale legati ai patroni che si susegguirono nel possesso del Cavallino. In ordine di tempo: Giovanni Matteo Alberti, il console d’Olanda Jacobus Feitama, la famiglia Pomè - Van Sand.

            Si intuisce dunque  come Cavallino, in concomitanza dello svilupparsi delle attività produttive eminentemente agricole, fosse destinato a diventare terra d’immigrazione per famiglie che vi si insediavano alla ricerca di una miglior fortuna.

            In un elenco dei capifamiglia del 1639 si leggono questi cognomi: Talon, Pizut, Calegari, Furlanetto, Saccon, Castelli, e un non meglio identificato Paolo di Aquileia. Sessanta anni dopo, nel 1699,  le famiglie menzionate in un altro elenco, -che sono poi quelle che si iniziano a trovare scorrendo le pagine dei registri parrocchiali - sono: Zanusio, Pascon, Sonzin, Zaccariotto, Paro, Capellaro, Cadichiotto, Miotto, Cudognotto, Gabriel, Dalan, Dorigo, Colonone.

            Tutti immigrati che, grazie alle meticolose note che si trovano negli atti di battesimo, morte e soprattutto di matrimonio, per i quali è possibile individuare le provenienze.  Altre famiglie poi verranno, molte si estingueranno, alcune si sposteranno altrove, altre  ancora rimarranno fino ai giorni nostri. Di alcune, a puro scopo indicativo, diamo il paese d’origine, ricordando anche che il fatto di portare ora un medesimo cognome non permette di identificarne automaticamente  la provenienza.

            Dalle zone tra foce del Po e laguna sud provenivano i Siviero, gli Alfonsi, i Marangon (Ca’ Venier),  i Braghin, i Sonzin (Loreo), i Santin (Rosolina), gli Scarpa, i Vianello detti Turco, i Vianello detti Boscarello (Pellestrina), i Bozzato, i Castelli (Chioggia), i Ballarin (S. Pietro in Volta), i Boscolo (Sottomarina). Dalle località lungo i corsi  fluviali, che in qualche modo erano interessati al traffico attraverso le porte del Cavallino, provenivano i Lazzarin, i Pasini, i Premier (Musestre), i Marcon (Lorenzago sul Livenza), i Trentini (S. Donà di Piave), i Rorato (Torre di Mosto), i Lorenzon, i Tosetti (Musile), i Toffolo (Torre del Caligo), i Cicogna (Quarto d’Altino), i Botter, i Savian (S. Stino di Livenza). Altri ancora dalle vicine isole della laguna: Treporti, Burano, Murano. Da Venezia i trovatelli ospiti dell’ ospedale della Pietà arrivavano o per stare  balia, o già adulti per risiedervi.

            Approdate  nel territorio  di Cavallino,  vero e proprio crocevia tra mar e laguna di percorsi lagunari e fluviali, le famiglie trovavano dimora  anche in aree in giursidizione di altre parrocchie, ma sostaanzialmente gravitanti attorno alla parrocchia di S. M. Elisabetta. Si può così anche tracciare una geografia famigliare degli insediamenti: nella valle del Cavallino erano i Beltrame e i Romanin; in Falconera i Bortoletti, i Bertelli, i Biasiutto, i Bortolussi detti Mattielli, i Bozzato, i De Dominighi, i Lorenzon, i Niccoletti, i  Santin, gli Sforzin detti Turchetto, gli Spinelli,  gli Zanchi; a Lio Piccolo i Braghin,  i Lazzarin detti Musestre, gli Ormanese, i Ruzene; a Lio Maggiore i Busato, i  Cogo, i Danon, i Leandro, i Lessio, i Mian,  i Murer, i Rado; alle Mesole, i Modolo, i Trevisan, gli Zaninello; sul Pordelio i Conte, i Pachiele detti Fiorentino, gli Zanellato.

            Ci si sposava attorno ai 25 anni per i maschi e attorno ai 20 per le femmine; ci si sposava soprattutto in  gennaio, febbraio e novembre visto che avvento, quaresima e lavoro estivo nei campi proibiva o sconsigliava le nozze in altri mesi.

            Ci si risposava per sanare situazioni affettive, economiche e sociali: nei decenni centrali del secolo quasi il 60 per cento delle coppie nubende erano costituite almeno da un/a  vedovo/a.

            Chi nasceva aveva una probabilità su due di morire entro i primi due anni di vita (per esattezza la mortalità 0-2 anni interessava circa il 45% dei nati): ai 26 anni arrivava solo il 65% della popolazione, solo il 5% sopravviveva fino a 65 anni. L’età media, leggermente maggiore per i maschi che per le femmine, si attestò nel corso dei secoli attorno ai 30 anni.

            Per il ‘700 nei registri parrocchiali di S. Maria Elisabetta si contano 265 atti di matrimonio, 1048 battesimi, 1185 morti. Un intero villaggio, non dimentichiamo che la splendida Venezia è a poche miglia,   rivive tra quelle scritture che tramandano i fatti più importanti delle loro umili, dure e brevi vite, delle loro gioie, dei loro dolori. Chi, per studio o per curiosità, legge  questi atti non può far a meno di riandare ai versi scritti nel 1751 da Thomas Gray in Elegy written in a country churchyard: Lontani dal meschino affannarsi della folla che impazza / i loro modesti desideri mai appresero a sviarsi / Lungo la fresca appartata valle della vita / essi tennero il tranquillo tenore del loro cammino.