SPIGOLATURE DI ARCHEOLOGIA CRISTIANA  

a cura di Cristina Barberis


da Avvenire del 20/3/2004

Un’équipe dell’università di Lecce ha scoperto una struttura attribuita alle divinità zoomorfe egizie presso l’oasi di El Fayyum, zona in cui è attestata dal III secolo un’importante presenza di seguaci del cristinaesimo.

Egitto: i cristiani e il dio coccodrillo

Nel Paese dei faraoni era comune accostare templi pagani e chiese; durante le persecuzioni la regione del Nilo fu la più tollerante nei confronti dei cittadini di altra fede.
Si era alla fine del I secolo dell'era volgare quando, di fronte ad una religione cristiana ormai strutturata e con una fisionomia già ben definita, l'amministrazione romana di stanza in Palestina e nel Vicino Oriente prendeva coscienza della presenza di un nuovo credo e della sua crescente fortuna.
I «procuratores» provinciali segnalavano meticolosamente e costantemente le «strane» abitudini dei seguaci di Cristo, si stupivano di fronte alla profondità della loro fede e riconoscevano loro caratteristiche distintive rispetto alle altre «superstitiones» legate al giudaismo o ai culti pagani, di cui quella vasta regione era ricca.

In quegli anni Plinio il Giovane, dalla Bitinia, informa l'imperatore Traiano sulle numerose denunce contro i cristiani, ricevendo una risposta che gli suggerisce prudenza e gli impone di accertare la consistenza di simili delazioni, troppo spesso legate a rancori personali o a ragioni economiche che possiamo leggere in una famosa lettera.
Un'area geografica e con una precisa connotazione culturale dove invece fin da subito si palesò una tranquilla convivenza tra pagani e cristiani - convivenza foriera di collaborazione, rispetto e tolleranza reciproca ad ogni livello - è l'Egitto: in quello che fu il Paese dei faraoni papiri in greco antico e copto (l'idioma dei cristiani mutuato dall'antico egizio ed espresso con i caratteri dell'alfabeto greco e l'aggiunta di pochi altri segni) mostrano un'intesa forte tra i membri delle due comunità.

Sono numerose le lettere di cristiani e pagani in cui colui che l'ha redatta si vanta di collaborare fraternamente con amici di credo opposto, in perfetta sintonia, e prega il proprio Dio per la salute dell'altro.
In particolare la regione dell'oasi di El Fayoum (denominata allora Arsinoite, a 100 km dal Cairo) è copiosa nel restituirci la corrispondenza tra i due gruppi, nutrita e amichevole.

Nei tanti villaggi dell'oasi, ancora oggi ben conservati e oggetto di scavo sistematico, sorge un gran numero di templi pagani, consacrati alle divinità zoomorfe del vasto pantheon egizio, posti a partire dal II-III secolo a fianco di cappelle, chiese e basiliche cristiane. Molto recentemente un'équipe di archeologi dell'Università di Lecce, guidata dal professor Mario Capasso, ha identificato nel sito di Soknopaiou Nesos i resti di una struttura religiosa dedicata a Sobek, il dio coccodrillo, in un'area che a partire dal III secolo ha rivelato un'importante presenza cristiana, attestata da scritti (inni, preghiere, testi sacri) e da oggetti cultuali.
Caso esemplare di una simile, pacifica convivenza è Ossirinco, villaggio del Medio Egitto: di qui proviene una gran quantità di scritti in greco, dei quali sino ad oggi quasi 5000 sono stati pubblicati dagli studiosi di Oxford; inoltre la struttura dell'abitato mostra ben cinque chiese sorte in tempi diversi in aree destinate ai culti di Iside, di Mitra e di altre divinità egizie od orientali, senza arrecare scompigli nel tessuto sociale e nella vita quotidiana, stante quanto spiegano i papiri.
Pure in occasione della persecuzione sotto Decio imperatore (attorno al 250 d. C.), quando in tutte le «provinciae» l'imperatore costrinse i cittadini a giurare per iscritto di non professare la fede cristiana pena la condanna a morte, in Egitto l'amministrazione romana fu la più tollerante e le delazioni di pagani contro i cristiani furono in numero sostanzialmente più esiguo che non in altre regioni.
Se a livello di cittadini comuni i motivi per un'intesa tra membri di comunità diverse sempre e ovunque nell'Impero sono stati radicati e preponderanti, eccetto quei casi in cui i fedeli dell'una o dell'altra appartenenza non venivano fomentati gli uni contro gli altri armati da intellettuali mossi dai bizantinismi di principi deviati o mal interpretati (spesso in mala fede), in Egitto vigeva una sostanziale armonia anche tra le élites culturali: i cristiani paradossalmente - come bene mostra la storia della Chiesa alessandrina dei primi secoli - erano in maggior misura impegnati a difendere la fedeltà alla dottrina del credo cristiano dagli attacchi delle agguerrite eresie, a loro parere più insidiose che non il mondo pagano, articolato e depositario di quella «humanitas» classica in grado di arricchire una religione in cerca di elementi formali atti a sostanziarne meglio e quasi a legittimarne i contenuti.


 

 

Il Convento rosso e il convento bianco  (tratto da Archeo, sett.2003)

L'Egitto, terra dei faraoni e dei loro tesori splendidi, fu la culla del monachesimo, i cui ispiratori furono nel IV secolo da Antonio e Pacomio. I due santi propugnavano due diversi stili di vita religiosa: quella da anacoreta e quella cenobitica. Entrambe ebbero molto seguito, specialmente nel deserto, luogo per eccellenza di preghiera e contemplazione. Perciò
anche lungo il corso del millenario Nilo, nel Medio Egitto, furono fondati diversi complessi monastici, specialmente a partire dal IV sec. d.C. Di questi, due colpirono l'attenzione degli studiosi, per la loro caratteristica opera muraria, nello scorso secolo: a pochi chilometri dalla città di Sohag si trova il "Convento bianco" (Deir el Abiad), noto come monastero di san Scenute; l'altro, il "Convento rosso" (Deir Anba Bishoi), o monastero di San Bishoi, personaggio di rilievo che fu maestro di san Scenute abate. Questi ebbe vita lunghissima (fra il 350 e il 466) e fu il più importante esponente della Letteratura Copta.
Organizzò il monachesimo egiziano. Il Convento bianco è ubicato a circa 6 chilometri da Sohag, non lontano dal
sito di Athribis, mentre quello Rosso dista dal primo circa tre km e mezzo ed è inglobato in un villaggio copto. Il primo complesso fu edificato facendo ampio uso di materiale di reimpiego, proveniente per lo più dai templi ormai fatiscenti dell'età faraonica. All'esterno di presenta come un blocco di forma cubica, probabilmente ispirato proprio dagli edifici sacri dell'Egitto antico.

La chiesa racchiusa al suo interno, eretta quasi certamente prima della metà del V sec., ha uno sviluppo longitudinale ed una suddivisone a tre navate, scandite da colonne, anche esse di reimpiego. Si tratta di un edificio molto articolato che, pur
richiamando concezioni antiche, presenta forti elementi di originalità proprie dell'architetto che lo progettò, di cui purtroppo si ignora il nome. Le notizie riguardanti il Convento Rosso sono assai più scarse: citato nel Quattrocento dallo storico arabo El Maqrizi, fu teatro di un terribile incendio e della seguente devastazione ad opera dei Mamelucchi durante la famosa campagna napoleonica in terra d'Egitto, del 1798-1799. Al giorno d'oggi la chiesa del Convento Rosso è usata dalle comunità rurali copte, che vivono nella zona, ed è meta di pellegrinaggi durante le grandi Feste dell'Anno liturgico. Lo spazio cultuale della chiesa fu eretto probabilmente nella seconda metà del V sec., con un impianto simile a quello del Convento Bianco, ma appare decisamente diversa a causa del materiale adoperato (mattoni cotti di colore purpureo, invece di pietre calcaree di recupero da monumenti pre esistenti) e delle ridotte dimensioni. Propio il Convento Rosso è oggetto di un progetto pilota di natura interdisciplinare, frutto di un accordo fra l'Università degli Studi di Roma Tre e la South Valley Univerity, che è un consorzio di cinque atenei dell'Altro Egitto. Tale progetto intende considerare il Convento Rosso il polo attrono al quale aggregare analisi integrate, indagandolo come testo morfologicamente denso di notizie in ogni sua componente. Al termine del progetto sarà bandito un concorso internazionale per la sistemazione e il restauro dell'intero complesso. 

 

 
 

Il Medioevo in pittura (tratto da Archeo, sett.2003)

Il programma del nuovo laboratorio di ricerca, di San Vincenzo al Volturno, uno dei più importanti siti archeologici altomedievali di Europa, è quello di indagare in profondità l'arte figurativa dall'VIII al IX sec. d.C. Oggetto delle cure del laboratorio è, tra gli altri reperti, il complesso abbaziale di san Vincenzo al Volturno, in Molise. Impianto basilicale di notevoli proporzioni, doveva essere " sfavillante come la Gerusalemme celeste dell'Apocalisse" all'epoca del suo splendore, secondo le parole di Francesco Abbate nel I Volume della sua STORIA DELL'ARTE NELL'ITALIA  MERIDIONALE (1997) e, da notare, l'apparato decorativo della cripta della basilica "sembra piuttosto pensato per la sala delle udienze di un principe che per la cripta di una chiesa monastica". La Missione archeologica che opera nell'importante complesso, può avvalersi di quattro laboratori: quello informatico, nel quale si gestisce tutto il sapere derivante dallo scavo a livello informatico; il laboratorio di catalogazione e di restauro, ed infine, quello degli affreschi, così pregiati e unici presenti nel complesso benedettino del IX sec. d.C.


La Cattedra di san Pietro

Preziosa collaborazione tra il ZentralMuseum di Magonza e il Vaticano

I primi contatti del Museo Centrale di Magonza con i Musei Vaticani furono allacciati negli anni settanta del secolo appena scorso.
L'occasione propizia fu quella di una mostra su Carlo Magno in preparazione nella città di Ingelheim, nella quale sono conservati i resti di uno dei pochi palazzi di età carolingia che sia stato oggetto di indagini archeologiche.

Gli organizzatori desideravano esporre nella Mostra una copia della famosa Cattedra di San Pietro. L'esecuzione della copia fu affidata al Museo Centrale di Magonza.

L'originale è un'opera del terzo quarto del IX sec, dono di Carlo il Calvo a papa Giovanni VIII in occasione della propria incoronazione nell'875. I pontefici del Medioevo la usarono quale trono ma, già nel XII secolo,
l'oggetto si venerava come reliquia.

Con il consenso del venerato Papa Paolo VI e l'appoggio della Direzione Centrale dei Musei Vaticani al Museo Centrale di Magonza fu data la possibilità di studiare in situ tutte le caratteristiche del prezioso reperto.
il trono, che dall'anno 1667 si conserva sotto il baldacchino del Bernini inSan Pietro, fragilissimo e mal conservato nelle sue parti lignee, non consentiva in effetti di eseguire dei calchi.

Perciò nel 1974, grazie ad una buona documentazione fotografica, furono eseguite due copie esatte dell'originale: una fu donata allo Stato Vaticano, mentre la seconda era destinata alla mostra di Ingelheim. Le tavole in avorio che ornano il Trono furono riprodotte accuratamente sulla base di calchi pre esistenti. In entrambe le riproduzioni della Cattedra, le lastre, che rappresentano le dodici fatiche di Eracle, animali fantastici e Segni dello Zodiaco, furono collocate in ordine diverso da quello in cui si susseguono attualmente sul trono, poichè si riteneva che quella fosse la sequenza originale. In effetti, nei numerosi restauri che il manufatto ha subito in età recente, quasi certamente le lastre d'avorio sono state dapprima tolte e poi ricollocate arbitrariamente.
le due riproduzioni eseguite dallo ZentralMuseum offrirebbero perciò una documentazione più esatta dello stato originario della opera." 

da Archeo n 8(222) Agosto 2003

 

GLI APOSTOLI MARTIRI

Al Palazzo della Cancelleria, a Roma, si terrà una grande esposizione dal 30 giugno 2000 al 10 dicembre il cui tema verterà sul ricordo e la memoria degli Apostoli che nella città eterna subirono il martirio.

L'argomento trattato è strettamente correlato alle celebrazioni giubilari dell'anno in corso. Il soggetto illustra la vita e l'esempio, la predicazione e la morte dei due martiri cui sono dedicate le maggiori basiliche romane, centri del culto giubilare: San Pietro e San Paolo.

La mostra "Pietro e Paolo.La storia, il culto, la memoria" (curata da Fabrizio Bisconti, Angela Donati e Elena Cavalcanti e Paolo Liverani) pone come punto focale privilegiato le tombe dei due Apostoli, ovverosia i luoghi della memoria verso i quali da quasi duemila anni si dirige il flusso dei pellegrini.

Articolata in cinque sezioni principali, offre molti reperti archeologici datati tra il II ed il V secolo tra cui spiccano bronzi, marmi e avori, vetri, papiri, codici e argenti.

 

ARTE CRISTIANA DALLA BULGARIA

 Ai Mercati Traianei, a Roma, fino al 22 luglio 2000 ci sono in mostra i capolavori (gioielli, reliquiari, oggetti di culto, codici miniati e tessuti preziosi) provenienti dall'arte balcanica di ispirazione cristiana.

Raggruppati in un arco di tempo che va dal IV al XIV sec. d.C., gli oggetti della mostra ( che rientra nel novero delle manifestazioni giubilari ed è organizzata dal Comune di Roma, Assessorato alle Politiche Culturali, Sovraintendenza ai Beni Culturali) offrono un ampio panorama di tutte le tendenze artistiche delle locali scuole ed anche l'occasione, rara, di poter ammirare nel nostro Paese stupendi oggetti da noi poco conosciuti.

Orario: tutti i giorni 9.00-19.00 lunedì chiuso

 

Restaurata la più antica fra le "Porte Sante"

La porta della basilica di San Paolo fuori le mura è stata restaurata, con una perfetta opera di restituzione, grazie alla generosità dell'Associazione Comitato Italiano del World Monument Fund.

Capolavoro di fattura bizantina, la porta della basilica ha una storia antica: fusa a Costantinopoli nel 1070, è composta di 54 formelle che rappresentano la vita di Gesù, apostoli, profeti e martiri, iscrizioni ed emblemi cristiani. Donata da Pantaleone dei Mauroni di Amalfi alla basilica di San Paolo, quando era retta dal futuro Gregorio VII ( Ildebrando di Soana), la porta è opera di Teodoro e del fonditore Staurachio.

Monumento di alto valore epigrafico, grazie al pregio delle iscrizioni presenti in notevole numero, è la terza, in ordine di tempo, di un gruppo di otto porte pregettualmente identiche, realizzate a Costantinopoli nel giro di cinquanta anni e destinate a Roma, Amalfi, Montecassino, Atrani, Salerno, Monte Sant'Angelo e, in numero di due, a Venezia.

Le otto porte erano i sontuosi doni che avrebbero dovuto rinsaldare un legame diplomatico tra l'imperatore bizantino, quello germanico e il Papa, per contrastare l'ascesa inarrestabile dei Normanni.

 

Di nuovo accessibili le basiliche di Cimitile

Finalmente di nuovo accessibili al pubblico le basiliche paleocristiane di Cimitile (NA), grazie ai fondi stanziati per gli interventi legati al Giubileo al di fuori della regione Lazio. Si tratta di un complesso di, almeno, tredici fra chiese e resti di basiliche, tombe, edicole e necropoli, decorati in più parti con mosaici e affreschi.

Iniziato nel 1988, il restauro di questo notevole patrimonio, con il recupero di circa 250 tombe di epoche diverse ha visto il consolidamento delle chiese dei Santi Martiri. In particolare della basilica vetus e dell'ex convento.

 

In mostra a Ravenna la scultura bizantina dai Musei di Berlino

Dal 15 aprile al 17 settembre 2000, nel Museo Nazionale di Ravenna, sono esposte le collezioni paleocristiane e bizantine degli Staatliche Museen di Berlino. Le opere, di notevole pregio artistico, sono inquadrate tra i secoli IV - XIII, ovvero nel periodo tardo antico fino a quello post bizantino.

Tra i reperti di maggior interesse troviamo una statua acefala in porfido rosso di un imperatore, risalente al IV sec. d.C. e due oggetti in avorio: una grande pisside del V secolo d.C., con Cristo in trono nell'atto di insegnare ed il sacrificio di Isacco, e due tavolette rappresentanti Gesù e la S.Vergine della metà del VI secolo. Di matrice medioevale si segnalano paliotti a rilievo, un pannello marmoreo con Vergine orante e due icone di marmo, sempre provenienti da Costantinopoli.