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 Dal Dracula del futuro ai vampiri imborghesiti di Lukas
 Intervista a Michele Medda
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Michele Medda
È in edicola in questi giorni il numero 9 di Lukas Reborn, mini-serie bonelliana che si avvia alla sua conclusione, prevista per marzo 2016. Si tratta di un fumetto urban fantasy, con forti contaminazioni horror e thriller (tanto che qualcuno l’ha definito opportunamente di speculative fiction). Il protagonista, Lukas, è un “ridestato”, un revenant che ha conservato la sua anima, e si muove in un mondo in cui si celano gli “Oscuri”, creature quali giganti deformi, uomini ratto, licantropi, troll, zombie, e, soprattutto, vampiri e ridestati (per una trattazione esauriente rimandiamo al nostro blog).
In attesa del gran finale, abbiamo scambiato quattro chiacchiere con Michele Medda, creatore della serie insieme al disegnatore Michele Benevento, e autore dei testi di tutti gli episodi.

Catafalco: Nella “bilogia dei vampiri” di Nathan Never (rubiamo l’espressione all’autore), scritta da lei e illustrata splendidamente da Nicola Mari tra il 1989 e il 1994, venivano già declinate due diverse interpretazioni del mito del vampiro: nel n.26, Vampyrus, il vampiro era un draculesco professor Vlad Shreck, personaggio rappresentativo di una dimensione interiore, legata al timore della morte e alla ricerca dell’immortalità; nel n.38, I figli della notte, il vampiro (“virtuale” in quel caso) era un cantante trascinatore di giovani “adepti”, e il contesto era quello di un piccolo gruppo. In Lukas i vampiri sono organizzati in un Ordine e hanno un ruolo primario nel mondo degli Oscuri: si passa a un vampirismo “comunitario”. Le diverse incarnazioni del vampiro nelle sue opere riflettono in qualche modo l’evoluzione di questa figura nell’immaginario degli ultimi venticinque anni?

MM: Onestamente, non saprei. Non mi sembra di vedere un percorso tra le mie storie sui vampiri. Nascono da spunti diversi. Vampyrus, nonostante l’ambientazione nel futuro, è una versione per certi versi “filologica” del Dracula di Bram Stoker, sviluppata come racconto “faustiano” di un patto col diavolo. Vlad Shreck è un vecchiaccio che non si rassegna all’avanzare dell’età. E, in cambio dell’eterna giovinezza, accetta di diventare un mostro. Nella seconda storia, invece, il vampirismo è un concetto più astratto. È una specie di parassitismo reciproco tra la rockstar Tadeusz e il suo pubblico, che sono uniti da un legame morboso: il vampiro si nutre degli incubi dei fan, che a loro volta si nutrono dell’angoscia sprigionata da quelle canzoni. Per quanto riguarda Lukas, non avevo niente da dire sui vampiri, e quindi li ho tenuti fuori il più possibile dalla trama, almeno nella prima serie. Mi sono semplicemente divertito a rappresentare questi vampiri imborghesiti e per niente cool, spogliati di qualsiasi fascino. Confesso di non avere mai pensato a rapportare le mie storie “vampiresche” a trend specifici del genere.


C.: Con gran sollievo degli amanti dell’horror, è ormai scemata l’ondata cine-letteraria dei vampiri adolescenti che brillano al sole. Nel periodo in cui lei scriveva gli episodi di Lukas, però, era ancora piena Twilight-mania, e nel numero 6 di Lukas Reborn, c’è un divertente siparietto in cui viene canzonata la saga della Meyer, con una fantomatica Dark Blood Saga. Cosa ne pensa del “fenomeno Twilight” e derivati?

MM: Ho visto solo il primo film della saga di Twilight, e non mi è piaciuto granché. Però non era certo un film per cinquantenni. Sono troppo vecchio per queste cose, mi fa un po’ ridere la “fighizzazione” della figura del vampiro. Nel romanzo di Stoker, Dracula è solo un vecchiaccio schifoso, e il Nosferatu del film di Murnau è ugualmente ripugnante. Invece, da Bela Lugosi in poi, i vampiri sono diventati sempre più figaccioni!


C.: Qual è stato il suo primo “incontro” con il vampiro? Quale il fumetto vampiresco che ha trovato più coinvolgente?

MM: Il primo “incontro” coi vampiri, da bambino, fu il trailer di uno dei Dracula (chissà quale) della Hammer, visto in tivù nel programma “Prima Visione”. Mi terrorizzò, e nei giorni successivi, prima di andare a letto, controllavo che la finestra della mia camera fosse ben chiusa. Sul fumetto, non ho dubbi: ho adorato il Dracula della Marvel, scritto da Marv Wolfman e disegnato da Gene Colan, con Tom Palmer alle chine. Un bellissimo lavoro, con notevoli punte di efferatezza (soprattutto psicologica), molto “avanti” per l’epoca.


C.: «In un altro tempo e in un altro luogo c’è una grande città»: così viene presentata Deathropolis, la città di Lukas, sul sito ufficiale. Con le sue strade pericolose e le piazze affollate di manifestanti, i palazzi che celano mostri e segreti, le chiese e i monumenti, la metropoli è ben più che un semplice sfondo su cui si muovono i personaggi, ma diventa importante elemento narrativo. Già in Nathan Never, comunque, lo spazio urbano aveva nelle sue storie una certa importanza, con la city divisa in livelli sovrapposti, indicativi dello status sociale degli abitanti. Cos’è per lei la “città”?

MM: Sono nato a Cagliari, che è una città, ma è una città piccola. Le grandi città, per un bambino come me, che viveva su un’isola, erano posti lontanissimi e meravigliosi: quello che in passato erano stati la frontiera, la giungla, l’oceano e il deserto. Per me l’Avventura, con la A maiuscola, era lì. Non a caso divoravo i romanzi dell’87° distretto di Ed McBain. In quelle storie la città è protagonista quanto lo sono i poliziotti e i criminali. Per quanto riguarda Lukas, sono stato fortunato ad avere Michele Benevento come co-creatore. È lui il responsabile dell’aspetto della città, che è fantastico e originale, un mix di architetture europee e americane. È stato un lavoro fondamentale per la serie, tanto che è difficile pensare a Lukas senza quei panorami urbani.

Nathan Never & Lukas Reborn
C.: Da Lukas sembra emergere una visione pessimistica e disincantata del mondo: sulle pagine dei vari episodi abbiamo visto spesso manifestazioni di protesta, violenza nelle strade, politici che fanno orecchie da mercante e pensano solo alla carriera (non a caso alcuni sono vampiri...), mentre la gente si rassegna «a un oggi senza domani», tanto da rinunciare persino ad avere figli (come, almeno inizialmente, accade al personaggio di Ednar). Quella che ne viene fuori è una società basata sull’ingiustizia e sulla menzogna, e, forse, fin troppo simile alla nostra. Non sarà che viviamo già in un mondo “distopico”? E come mai lei ha sentito l’esigenza di trattare queste tematiche, tutto sommato insolite per un fumetto?

MM: Viviamo in un mondo orribile, ma non lo credo peggiore del mondo che ha visto epidemie di vaiolo e peste bubbonica, o i dieci milioni di morti della Grande Guerra, o l’Olocausto. Quando ho proposto il progetto di Lukas, lo vedevo come un fumetto d’avventura tradizionale, divertente, poco impegnativo da leggere e – lo ammetto – anche da scrivere. Poi, mentre lavoravo alla prima sceneggiatura, è successa una cosa. Ero in metropolitana, in attesa del treno, e su uno degli schermi appesi sopra il marciapiede scorrevano le news. Erano solo notizie tragiche. Sciagure, catastrofi, guerre. Sul muro della banchina c’era una pubblicità incomprensibile: una frase a effetto che non ti permetteva di capire qual era il prodotto reclamizzato. Viviamo in un mondo orribile e, anziché decifrarlo e cavarne fuori un senso, i nostri sforzi sono tesi a decrittare le pubblicità, a indovinare che cos’è che dobbiamo desiderare. Mi è sembrata una cosa grottesca. Di là persone che muoiono per davvero, e di qua persone morte dentro.
Ho pensato che forse era questo che dovevo raccontare: un mondo di mostri, in cui vaga un uomo che non crede di essere un mostro, ma in realtà lo è. Poi, intendiamoci: ovviamente Lukas è comunque un fumetto seriale e un racconto d’avventura. Ci sono i mostri, c’è l’azione, c’è perfino un certo umorismo. Ma alla base di tutta la storia c’è un’ironia tragica. Questa consapevolezza ha cambiato il mio approccio iniziale e ha reso la serie meno “leggera”, ma secondo me più intrigante.


C.: Negli ultimi anni la Bonelli, a fianco alle serie regolari, ci ha abituato all’uscita di molte mini-serie. Lei si è cimentato in entrambe le formule (ricordiamo anche Caravan). Può dirci come cambia il processo preparatorio e la scrittura tra una serie “regolare” e una mini-serie? Quale preferisce?

MM: Preferisco senza dubbio lavorare a una serie senza continuity, come Tex o Dylan Dog. Personaggi e ambienti, una volta definiti, non cambiano, ed è proprio questa la forza delle serie tradizionali. Le miniserie hanno senso solo se propongono storie in continuity, con un inizio e una fine. Se non che, osservare la continuity lavorando su tante pagine (2256, per Lukas) è molto faticoso. Prima di tutto ci sono le difficoltà intrinseche al racconto: distribuire i colpi di scena gradualmente, ma nello stesso tempo evitare di rivelare troppo, e dare un ritmo a una storia che si snoda a puntate per oltre mille pagine. Ma il problema maggiore è tenere sempre presente quello che hai già scritto, non perdere di vista né i personaggi né gli snodi della trama. Cosa ancora fattibile dopo duecento o trecento pagine, ma che diventa tremendamente complicata dopo cinquecento. Alla fine, il tempo che passi a sfogliare gli albi già scritti per controllare i dettagli è praticamente identico a quello che impieghi per scriverne di nuovi.


C.: A tre numeri dal gran finale, deve concederci una domanda scontata: qualche anticipazione sul finale di Lukas?

MM: Non saprei cosa dire senza rischiare di fare spoiler o di generare false aspettative. Dirò solo che il finale è stato accuratamente pianificato, e che il primo indizio del finale si trova già nel numero 4. Così chi vuole l’anticipazione può andare a rileggersi l’albo, e chi non la vuole può lasciarlo sullo scaffale!


C.: C’è speranza di leggere altre storie di Lukas dopo il ventiquattresimo episodio? E quali i suoi progetti per il futuro?

MM: Come ho già detto varie volte, Lukas è stata programmata per due stagioni. Io volevo farne una soltanto, e ho acconsentito a fare la seconda solo perché mi è stato chiesto dalla casa editrice, che giustamente si preoccupava di ottimizzare lo sforzo produttivo. Quando Benevento e io abbiamo cominciato a lavorare sulla seconda stagione, sapevamo che sarebbe stata l’ultima. Per continuare la serie senza uno stacco tra seconda e terza stagione avremmo dovuto coinvolgere altri autori nella realizzazione di testi e disegni. Questo avrebbe significato trasformare una storia compiuta in qualcosa di molto diverso, e l’idea non piaceva a nessuno dei due. Comunque, mai dire mai. La serie sarà ristampata per le librerie. Se ci dovesse venire l’idea buona per uno Speciale, la prenderemmo in considerazione. Per adesso, Benevento è al lavoro su Tex, e io sono tornato su Nathan Never, di cui l’anno prossimo ricorre il venticinquennale. Poi si vedrà.


Ringraziamo Michele Medda per la disponibilità e la gentilezza, e consigliamo caldamente ai lettori di non perdere l’appuntamento con il gran finale di Lukas.



* Intervista rilasciata il 28-11-2015.





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