Cappelle votive di strada Le cappelle votive sono la scoperta di un itinerario religioso di 20 km che unisce il Castello di Copertino, simbolo del potere temporale, al Santuario della Grottella, simbolo della presenza religiosa nonché della presenza di San Giuseppe Desa, attraverso il Convento di Casole, antico centro di cultura e civiltà monastica. Lungo il percorso sono dislocate dieci cappelle votive di strada, cappelle agricole o rurali, espressione della religiosità popolare e, fino a qualche decennio fa, ricovero e sosta di preghiera per i contadini. Le cappelle sono situate in prossimità di bivi, di crocicchi di campagna, o ancora all’inizio di una grossa proprietà agricola, la loro costruzione è databile in un periodo che va dalla fine del ‘600 ai nostri giorni. Si tratta di manufatti semplici costituiti quasi sempre da un solo vano quadrato, con volta “a botte” o “ a stella”, con affreschi, di cui si intravede con difficoltà qualche frammento. Ora quasi tutte le cappelle si presentano in uno stato di degrado per l’usura del tempo e l’incuria degli uomini, qualcuna è stata, di recente, messa in sicurezza(Cappella della Crocefissione) altre sono state sottoposte a lavori che ne hanno alterato non poco l’assetto originario.. Noi di casello Tredici crediamo che il progetto che presenteremo si possa inserire nella più ampia pianificazione dell’Amministrazione Provinciale, riguardante la rivalutazione dei percorsi dei pellegrini quando in epoche passate legavano tutti i santuari salentini. Si è svolta oggi, presso la sala stampa della Provincia di Lecce, Palazzo Adorno, la presentazione del progetto “Itinerario cappelle votive di strada”. Ha visto presenti il sindaco di Copertino Gianni Marcucci, l’assessore alle politiche locali Massimo Muci, il capo di gabinetto alla provincia di Lecce Gianni Turrisi, il consigliere provinciale Venanzio Dell’Anna, il consigliere provinciale Maria Rosaria Ruberti e il presidente dell’Associazione Casello Tredici. Il sindaco di Copertino ricordando che il Salento è un territorio dotato di piccoli e grandi scrigni ricchi di significati architettonici, storici e culturali, ha evidenziato il lavoro che l’Associazione Casello Tredici ha svolto in questi ultimi due anni e di come abbia saputo andare alla scoperta di questi tesori, come le cappelle votive di strada, che stavano scomparendo. Ri-scoprire è stato seguito dall’atto del ri-valutare, attraverso la ricerca storica e la documentazione. Recuperata, dunque, un pezzo di storia patria utilizzando anche la testimonianza orale dei vecchi contadini. Il percorso viene chiamato “La strada del Santo” e per Santo si intende San Giuseppe di Copertino, famoso in tutto il mondo, che comprende un percorso urbano ed extraurbano, valorizzare il lavoro di Casello Tredici, dice il Sindaco, è valorizzare le risorse storico architettoniche di Copertino nonché quelle turistiche. L’assessore Muci aggiunge che l’esperimento dell’”Itinerario Cappelle votive di strada” fatto lo scorso mese con un gruppo di turisti, dove di è percorsa “Strada del Santo”, se da una parte ha portato l’entusiasmo dall’altra c’è stato il rammarico che per anni questo patrimonio sia dimenticato. Il consigliere Dell’Anna, da subito accanto a Casello Tredici nel progetto, ha elogiato l’Associazione e la disponibilità del Comune di Copertino per la realizzazione del progetto e la Consigliera Ruberti si è impegnata, come Provincia, ad essere accanto, fattivamente, al Comune e all’Associazione per la realizzazione completa del progetto. Pino Sansò, socio fondatore di Casello Tredici, ha ricordato che l’inizio di questa avventura è coincisa con la nuova amministrazione di Copertino, con la ricerca di un sito per la collocazione del presepe di Gix, quindi con la nascita di Casello Tredici. Ha concluso Nino Grassi, presidente di Casello Tredici, che ha evidenziato come l’idea di questo progetto sia “l’uovo di Colombo”: partendo dai piccoli tesori che la nostra terra ci offre si incentiva la conoscenza del nostro territorio e rendendolo anche fruibile ai turisti e come da tutto questo si possano trarne vantaggi sia culturali che di immagine. “Arte in Convento”- Chiesa di Santa Chiara- Copertino di Lecce L’iniziativa “Arte in Convento” dell’associazione Casello Tredici, patrocinata dal Comune di Copertino, si svolge nella magnifica scenografia della Chiesa di Santa Chiara ( ex Convento delle Clarisse), dal 19 luglio al 24 settembre 2006.“Arte in convento” mira al recupero del rapporto tra committenza e arte, divenuta necessaria vista la modificazione dell’architettura, in particolare quella ecclesiastica, oggi, come ieri, pensata e progettata in modo da essere collocata in un contesto urbano contemporaneo. Per questa prima iniziativa abbiamo pensato ad artisti che si accostano a questa progettualità producendo opere d’arte che pur mantenendo il carattere della sacralità hanno un occhio attento e calato nel contemporaneo. Si passeranno il testimone: Gix, Maurizio Martina, Raffaele Vacca, Franco Contini per quanto concerne le arti visive. Come si auspicava in corso d’opera si sono unite altre sensibilità artistiche e creative tanto che la Chiesa di Santa Chiara è diventato un contenitore di memoria visiva e/o poetica, con presentazione di libri, blitz di poesia, happening artistica e teatrale, dis_velando luoghi che storicamente erano celati alla vista. Hanno aderito all’iniziativa, tra gli altri: Antonio Tarsi, con il suo film “Giuseppe Desa”, Elio Scarciglia con il documentario “I colori del Salento”, l’attore Ivan Raganato, i musicisti Checco Leo e Antonio Franco, Patrizia Sambati, la soprano Ju Hae- Min gli scrittori e poeti: Giuse Alemanno, Vincenzo Ampolo, Marilena Cataldini, Antonio Errico, Rosanna Gesualdo, Giovanni Greco, Maria Grazia Martina, Alberto Mori, Fernando Nestola, Maria Pia Romano, Mirosa Sambati, la compagnia degli artisti di strada di Palermo Verdeska. “Arte in convento” aderisce al progetto MUKULA: dona la Luce per avere un Sorriso. Idee con l’Africa. Ilderosa Laudisa e le cappelle votive di strada- 20.9.2006- registrazione Ilderosa Laudisa e le cappelle votive di strada 20.9.2006- registrazione ….appartiene a tutto un patrimonio che oggi noi definiamo di cultura materiale,una cultura che così denominata finisce con l’essere ridotta a qualcosa di poco significativo e sembrerebbe che quasi debba costituire una sorta di archivio da conservare per la memoria dei posteri, come se avesse perso assolutamente una valenza di vitalità. Quindi, pur accogliendo la dizione di cultura materiale, intendo partire da questa riflessione per verificare con voi un mio pensiero e vedere se poi esiste, dai vostri interventi, un accordo. A mio avviso nel nostro territorio questa cultura non è morta, non è morta anche se apparentemente in degrado perché vedo dei segnali che indicano che questa cultura ci appartiene ancora e continua a lavorare dentro di noi. Nelle cappelle, per esempio, che costituiscono uno degli aspetti della cultura materiale, c’è la componente devozionale che persiste anche se va trasformandosi e tramutando in qual cosa che non sempre ci consente di essere collegata al tema di cui ci stiamo occupando questa sera. Io che ho girato per i cimiteri del Salento tantissimo, perché ne abbiamo di molto belli, mi interessa proprio sul piano, oltre che estetico, quello che abbiamo è notevole: ci sono opere di artisti ecc., ma mi ha colpito molto l’uso sociale che si fa dei cimiteri. A Galatina, per esempio, nel cimitero si trovano i fidanzati di pomeriggio, una cosa che mi ha sbalordita è ci sono anche persone molto anziane che stanno lì fino alla chiusura, e si fanno spingere fuori dal custode . Ci sono cimiteri dei paesi del Capo dove le donne vanno quasi tutti i giorni al cimitero e lavano la tomba e accudiscono i fiori; c’è un rapporto sociale incredibile lì le donne si raccontano i problemi dei loro figli, i problemi di lavoro, ecc. Quindi la devozione si è spostata molto nel cimitero e nelle cappelle del cimitero, per cui pensiamo che quasi non esista più. Le cappelle votive o non assolvono più ad una funzione e non assolvono più ad una funzione perché è cambiata l’attività economica: cioè noi da civiltà agraria, quale eravamo fino agli anni 50 inizio 60, ci siamo man mano trasformati e non siamo prettamente una civiltà industriale, la mentalità, tutto sommato, è ancora quella agraria. Però pian piano ci siamo allontanati e le cappelle votive appartenevano a quella parte storicizzata, diciamo, ormai dalla nostra cultura, ma la devozione non è finita e io penso che recuperarle sia un contributo importante sia per relazionare i nostri giovani, che hanno ripreso da circa 15 anni, quasi 20, a frequentare le chiese cosa che avevano negletto per tanti anni , per mostrare loro quale tipo di religiosità gli appartiene come passato ma anche quali risorse noi abbiamo per uno sviluppo del nostro territorio. L’amico Pino Sansò ci ha parlato di questa ipotesi di fare le piste ciclabili e anche la possibilità di percorrerlo con i carri, i nostri così detti traini e calessini ecc. Sono tutte iniziative molto belle che potrebbero costituire un percorso tematico qui a Copertino, ma ad integrarsi con percorsi tematici Salentini, perché quello che dobbiamo fare è non dividerci. Ogni comune deve ragionare come un granello di sabbia che va a fondersi con gli altri granelli di sabbia. Noi ce la stiamo spuntando come Salento dacchè abbiamo incominciato a capire che anche Lecce non deve pensare solo a se stessa e ricordo che abbiamo organizzato tante iniziative collegandoci con altri centri. Quindi Copertino si può inserire meglio in itinerari di carattere devozionale, spesso anche divertenti, divertente proprio sul piano pratico delle escursioni, delle diversità del territorio. Ci sono le cripte, ci sono i calvari, noi abbiamo un territorio in cui per fortuna sopravvivono ancora tanti calvari, se voi girate nel resto d’Italia esistono i Sacri Monti, sono le ultime sopravvivenze di una devozione legata alla Via Crucis e alla morte di Cristo alla settimana della pasqua che è collegata anche ad una specificità del nostro territorio Noi abbiamo una tendenza alla rappresentazione spettacolare e non a caso il nostro Natale sta un’altra volta cavalcando la tigre e si sta manifestando con tutta la sua forza. Noi abbiamo a Tricase un episodio macroscopico con la ricostruzione grandiosa del paesaggio della devozione natalizia, ma a Neviano ecc, ci sono un sacco di posti dove il natale rappresenta un momento di manifestazione di comunicazione di adesione spirituale al tema Natalizio. Anche per quello Pasquale c’è una forte tradizione: non solo a Gallipoli, nel Tarantino. Il Salento era ricco e tutt’ora lo è. Anche a Maglie, per esempio, c’è la grande processione con le statue in cartapesta del Guacci , che è meravigliosa! Una processione che è proprio la ricostruzione della Via Crucis. Quindi i calvari ci appartengono ancora dobbiamo solo recuperarli alla nostra città, laddove esistono devono costituire parte integrante della nostra vita solo così li salviamo. Quelli che li capiscono sono i turisti perché il turista che viene ed entra in una cappella votiva, come quella che stiamo andando a guardare ora, rimane affascinato come rimane affascinato dalle nostre processioni. Noi dobbiamo imparare a guardarci con gli occhi degli altri per eliminare molti dei nostri difetti, per cercare di offrire i servizi migliori, ma anche per capire i valori che abbiamo laddove la nostra identità si manifesta nella diversità rispetto agli altri, una diversità positiva . Noi stiamo imparando e anche i più riottosi dovranno farlo a confrontarsi con le diversità . LA DIVERSITA E’UN INGREDIENTE POSITIVO che il turista va a cercare quando si sposta, non cerca tutto ciò che è omogeneo,che già conosce, non avrebbe alcun interesse a venire da noi nel Salento. Interessano i nostri ulivi, che non sono come quelli della Grecia, che hanno divelto per condurre una coltivazione forzata, hanno messo degli alberelli piccolini, noi che abbiamo i grandi alberi plurisecolari che testimoniano il nostro paesaggio, ma anche la nostra immaginerè. Se ne sono occupati i nostri pittori, i nostri fotografi, già all’inizio del secolo Palumbo, Michele Palumbo, con i suoi quadri,Giuseppe Palumbo con le sue fotografie meravigliose, già all’inizio del secolo avevano scoperto che noi avevamo un nostro genio logico: l’ulivo . Le cappelle sicuramente costituirono, insieme con le cripte, che pure sono abbandonate da morire, degli itinerari non solo spirituali, non solo culturali ma anche di turismo divertente. L’importante è offrire un servizio diverso, purtroppo lo hanno perduto a Lecce un itinerario che aveva fatto Tito Schipa: l’itinerario dei teatri, dal teatro Romano all’Anfiteatro, al Paisiello, al Politeama anche l’Apollo, che dice molto, fino al teatro Massimo e qui si è fermato. Quindi fargli vedere, come noi abbiamo deciso il tema del teatro, come l’abbiamo sviluppato attraverso il tempo, come lo sviluppiamo oggi . Il turista ci conosce così, quindi questi itinerari tematici sono fondamentali per offrire agli altri un’immagine di noi. Poi concludo con questa osservazione: noi adesso vediamo le cappelle isolate in una campagna che risente enormemente della trasformazione agricola, noi abbiamo, se le abbiamo per lo più culture estensive, laddove ci sono, oppure c’è la macchia o l’abbandono, o, nei casi peggiori, una discarica . Qui ci è difficile immaginare cosa rappresentassero in effetti le cappelle per quelli che erano i fruitori del tempo che erano i contadini .I contadini andavano a lavorare in campagna e si trattenevano nella campagna nei periodi estivi anche 15 giorni di seguito, e mangiavano e dormivano lì nelle cappelle, intorno alla cappella ci sono le tracce di questa loro permanenza, di questo loro dormire, non all’addiaccio perché si mettevano dei ripari intorno, intorno alle cappelle ci sono dei segni, o di cocci o di tetti o di coperture addirittura semi circolari o circolari. Evidentemente anche di un certo impegno costruttivo, quindi le cappelle rappresentavano nell’arco dell’anno della vita contadina un momento di aggregazione e un momento che, diciamo, scandiva la vita spirituale, come l’Angelus, come l’Ave Maria, nei campi, quando suonava nel villaggio la campana indicava l’ora della preghiera, l’ora quando si doveva sospendere un attimo il lavoro, quando si poteva mangiare qualcosa oppure si ritornava a casa. Dinanzi alla Cappella ci si fermava per parlare, per raccontarsi le storie, cantare e poi si entrava nella Cappella al mattino per pregare prima di iniziare il lavoro. Quindi la Cappella se noi la vediamo come momento veramente importante della vita dei contadini ne capiamo meglio il senso. Un altro personaggio vorrei ricordare di quelli che circolavano tantissimo: I Pellegrini. Oggi non esiste più la figura del Pellegrino che è andata scomparendo. Già alla fine del 1700 nasce il viaggiatore ricco, che si muove con la servitù, inventano addirittura dei mobiletti che si aprono e c’è tutto l’occorrente. Prima c’era il pellegrino che girava a cavallo, se era benestante, sennò girava a piedi e si fermava lungo le strade e conosceva soste di vario tipo, le soste diciamo laiche, civili che erano quelle delle masserie che si dotavano apposta di alberi di Pinus Pinea che servivano per quello, per i Pellegrini. Il viandante si fermava all’ombra dei pini e mangiava quello che gli veniva offerto dal proprietario della masseria o della villa o del caseggiato e poi riprendeva il suo cammino .Un’ altra sosta frequente era quella vicino alle Cappelle, quindi guardiamole tenendo conto di quello che praticamente rappresentavano e cerchiamo di capire che cosa potrebbero rappresentare ancora oggi per noi. Questa cappella che vi stiamo per mostrare era dedicata, pare, alla locuzione, è quella ...A….F… era quella di S. Anna. Per la verità l’immagine di S. Anna è visibile una sola volta quindi ci sono dei dubbi se si tratta veramente di S. Anna o era dedicata alla Madonna e poi attraverso il tempo la devozione ha fatto emergere il ruolo di S. Anna, o viceversa .E’ scomparsa qualche altra immagine di S. Anna e quindi oggi è difficile essere consapevoli che potesse essere dedicata a Lei. Diciamo che la denominazione delle Cappelle, come quelle delle chiese è vivente, segue il percorso della devozione, della fruizione. E’ come il linguaggio che finché è vivo e modificano i nomi vuol dire che è ancora vivo il manufatto, quindi se prima era della Madonna e poi l’ hanno chiamata Sant’Anna o San Vito, come diceva quel pastore, vuol dire che per molti è ancora è viva quella Cappella e quindi noi ne rispettiamo assolutamente le locuzioni. Gli affreschi sono delle tempere grasse quindi poco visibili e sono stratificate, come spesso avviene, anzi nelle grosse cripte attraverso il tempo i proprietari di queste proprietà, ecc. di questi manufatti per devozione e perché si degradavano con l’umido ecc. intervenivano e ne rifacevano di nuovi, o cambiavano tante volte il soggetto, o addirittura lo stesso soggetto veniva riproposto . Noi qui ci troviamo di fronte ad una Cappella particolarmente interessante, perché pure essendo molto deteriorata conserva la sua impostazione organica. Cioè vedrete che all’interno abbiamo delle cornici che percorrono e scandiscono i vari registri nei quali sono allocati i dipinti, incorniciano la controfacciata, incorniciano la parete dietro l’altare e sono anche molto eleganti, perché sono dei finti marmi che imitano il porfido, ecc. Quindi è stata congegnata e doveva essere uno splendore quando fu fatta , quando fu dipinta, diciamo che l’impostazione è ascrivibile al sedicesimo secolo o alla fine del sedicesimo secolo. Poi si leggono degli interventi successivi del diciassettesimo secolo fino ad arrivare a quella deliziosa immagine, che poi vedrete, nell’immagine ,della Madonna bambina con S. Gioacchino e S. Anna che sono di una tenerezza incredibile anche se è molto popolare . Mentre molte immagini si riferiscono ad iconografie auliche fanno riferimento alla pittura contemporanea nota attraverso la Chiesa, poi faremo qualche discorso specifico.Quella invece proprio devozionale sicuramente recuperata da qualche immaginetta che circolava nell’ottocento con un’interpretazione popolare (proprio bellissima) che adesso non voglio anticiparvi iniziamo allora a guardare: (sequenza foto) Questo è l’esterno della Cappella di S.Anna vediamo il retro c’è una croce Greca che c è anche sul prospetto anteriore sulla facciata, evidentemente c’era ancora la tradizione di celebrare con il rito greco, che da noi solamente con un decreto pontificio fu eliminato, con pene di dichiarazione di eretici per coloro i quali, nel 1642, avessero continuato a celebrare con il rito greco. È stato molto difficile nella nostra terra allontanare quello greco e celebrare con quello latino, che era talmente radicato da noi che abbiamo sofferto parecchio . Queste sono le decorazioni dell’interno, vedete come si simulano i marmi proprio è tutto riquadrato, qui pure ci sono degli oculi, degli ovali, sempre che imitano i marmi e questi sono invece (foto8/9) motivi decorativi tipo fitoformi, che stanno intorno alle cornici vedrete che si tratta proprio di un impegno serio. Invece, nella seconda parte che andiamo a guardare, incominciamo a vedere la prima iconografia: l’altare non c’è più è scomparsa ogni suppellettile, ovviamente possiamo immaginare che questa cappella fu utilizzata anche da contadini nel tempo, senza porte. Prima che loro mettessero la porta i ragazzini andavano a mangiare le angurie è chiaro che le suppellettili sono le prime a sparire e purtroppo da noi gli altari spariscono . Il prof. Scarciglia non badi a questa iconografia e non sia severo, queste foto sono state fatte di corsa e come promemoria, però io intanto lo dico, ignoravo di doverle utilizzare qua, è stata la pazienza e la bravura di Ambra Biscuso che ci ha permesso di portarle qui, secondo me non si potevano proprio usare, insomma lei invece le ha rese decenti almeno fruibili. Questa è la parte che sta dietro l’altare, ecco il volto di S. Francesco che ci è apparso dopo 3-4 volte che eravamo andati perché non si vede proprio . Questo sembra facile, questa è la Madonna con Bambino si tratta della MADONNA del Carmine che poi voi la vedrete è molto simile come iconografia, come tutto, nella chiesa di S.Maria di Casole, ecco qui c’è S. Antonio che ci è apparso domenica al computer, è passato.. praticamente dal giglio ci è stata data la possibilità di capire che era lui …poi c’è anche l’ombra della chierica che è sul capo, però solo un’ombra, quella è molto deteriorata. Ecco come appare stando nella Cappella Così si vedono le immagini invece adesso ,vai piano piano le vedrete più nitide Io intanto già ….sotto la rappresentazione della Madonna del Carmine, con S. Francesco da un lato e Sant’Antonio dall’altra, sotto ci sono prima due nicche dove probabilmente venivano messe le suppellettili che servivano per la celebrazione, poi ci sono sotto due raffigurazioni della passione di Cristo, un Cristo che porta la croce con i flagellatori che lo aggrediscono . Dall’altra parte Cristo alla colonna quindi con una sequenza molto… Ecco Cristo alla colonna e nelle nicchie, c’è parte della policromia che imitava il marmo anche quelle erano decorate. Queste fanno vedere come compaiono queste stratificazioni, come si vede ad occhio nudo l’Immagine e vedete che si tratta di dipinti molto, molto antichi perché appartengono proprio alla fase del sedicesimo secolo e poi c’è, credo subito dopo, dei frammenti di una deposizione, che sono i frammenti più importanti dal punto di vista artistico. Potrebbe essere la Madonna che è proprio bellissima di gusto giottesco, non dimentichiamo che siamo poco lontani da Galatina, da tutte quelle situazioni ecc. Questo è il sudario il corpo di Cristo è meraviglioso, veramente di buona mano e poi vedrete il dettaglio di quelle dita che sono bellissime, fatte molto bene. Questa deposizione è proprio di buona qualità, sicuramente i proprietari hanno chiamato pittori che lavoravano nella zona, nelle chiese, perché un discorso del genere non lo potevano fare gli artigiani ma con una scrittura iconografica e anche decorativa molto organica si tratta sicuramente di un’impostazione data da persone del mestiere. Poi man mano nel tempo c’è stato qualche stravolgimento . Ecco questa parete è la controfacciata, entrando a sinistra c’è la Madonna del Rosario con S. Domenico e santa Caterina. Questa, per esempio, la qualità e più bassa e appartiene ad uno degli interventi seicenteschi, anche i colori sono più sgargianti l’anatomia lascia a desiderare. Sopra ci sono altre immagini frammentarie cui non si riesce a capire il senso perché sono veramente frammenti illeggibili, l’unica cosa che Ambra è riuscita a far emergere è un paesaggio che adesso vedrete. Una caratteristica di questa cappella è di avere diversi paesaggi: ecco qui c’è ne è uno, il primo, ma ne vedrete degli altri che probabilmente rappresentano i caseggiati di Copertino e qui risulterà interessante fare dei raffronti dopo. Ecco adesso ci spostiamo andiamo dall’altro lato della controfacciata, ecco qui abbiamo una S. Barbara, nel territorio fra i vari casali distrutti c’era quello di S. Barbara e S. Barbara ha anche una Cappella, ne ha parlato prima Sansò, e quindi c’è questa devozione per la Santa. Sopra ci sono queste figure che appartengono al sedicesimo secolo, hanno proprio l’abbigliamento del periodo, un po’ popolare, c’è un piatto, a me sembrerebbe un piatto con del pane e un pesce, come se volesse rievocare la moltiplicazione dei pani e del pesce, come nel discorso della montagna l’ipotesi interpretativa che è difficile. Qui invece troviamo un momento della purificazione che era un’antica tradizione che andava scomparendo, pare che sopravviva ad Oria ancora, dove la donna che aveva partorito si ripara nella chiesa entro i quaranta giorni per la purificazione. È bellissimo il ritratto del Sacerdote, ma anche questo chierico, vedete che sono proprio delle belle figure . Poi invece troviamo una qualità molto scadente nelle mani. Questa è la Madonna Bambina con il padre e la madre S. Gioacchino e S. Anna. Vedremo fra poco dove spunta, ecco guardate da dove spuntano le rose: spuntano dal cuore dei suoi genitori, un gesto d’amore bellissimo, una rappresentazione popolare dell’amore dei genitori per questa figliola. Qui ci sono pure dei paesaggi, mi è soffermata sulle rose che rappresentano questo gesto di amore, il paesaggio sta in alto fra le mani e voi lo intravedete relativamente, noi al computer lo possiamo vedere meglio, insomma è molto più leggibile, ci sono anche lì dei caseggiati e un altro con le vele sta giù, è un paesaggio marino, eccolo: questo qui, si vede molto lieve al piede dei Santi però sicuramente siccome Copertino non è lontano dal mare ci sono rinvii al paese e al significato che questo luogo ha per i padroni della cappella. Questa è una sequenza che ha fatto Ambra sulle mani dove si mette in evidenza questo succedersi di mani che sono molto interessanti. Le peggiori sono quelle della Purificazione dove il pittore bravo ha fatto i visi e quello asinello ha fatto le mani, per cui il disegno è buono ma il chiaroscuro pessimo, qui sembrano dei tronchi le dita avvicinandosi si vede che le dita ci sono tutte. Queste sono le mani di S. Francesco e queste qui sono della Santa che sta di lato, questa è di S. Anna, l’unica S. Anna che abbiamo.Questa è la mano della Madonna del Rosario. Tante volte disponevano di cartoni buoni per cui il disegno può essere corretto ma il colore è dato male abbiamo un esempio anche …….non è uscita ancora e forse c’è la zoommata sulle due dita,ancora, ah eccole qua, guardate le due dita molto belle che tengono Gesù sono di una mano femminile, palesemente . Le ombre sono date bene, questa è quella della deposizione di cui abbiamo detto prima, purtroppo l’esecuzione di questi lavori spesso è a più mani allora … ci sono dei momenti di caduta proprio. Questa è la Cappella del Moro detta anche della crocefissone che è stata la prima recuperata da Casello 13, dentro ha degli affreschi e dei dipinti a tempera grassa che rappresentano la crocefissone .Non li abbiamo trattati come abbiamo fatto con quelli della Famiglia Guglielmo per cui sono più diafani, si vedono meno, ma al computer si devono fare dei lavori mostruosi. Questa, invece, è quella di S. Anastasia che hanno recuperato. Questa è particolare perché e come un giardino d’inverno con una balaustra, ci sono una serie di foglie di vite che ovviamente si rifà al Vangelo, quindi è una specie di TROMPLOEIL, come se si fosse all’aperto mentre in realtà sta al chiuso . Anche questo denota una committenza colta come avete potuto vedere queste cappelle votive segnano –indicano chiaramente che la cultura popolare non era poi tanto lontana dalla cultura Aulica perché il popolo si abbeverava dalla cultura aulica e spesso i ricchi guardavano alla cultura popolare partecipavano alle loro feste parlavano il dialetto , prevalentemente parlavano il dialetto e molti ricchi non sapevano leggere e scrivere ,non dimentichiamolo quindi quella separatezza che noi immaginiamo tra due mondi una concezione successiva quando del popolare si ha una accezione anche romantica . Nell’intento di valorizzare la produzione popolare invece attribuire convenzionalità stereotipia ecc. alla produzione aulica, si è nociuto alla vera identità popolare che è una identità composta non è una identità semplice, è difficile anche andare ad individuare ciò che per esempio nella cucina è frutto della tradizione popolare o frutto della tradizione aulica molte di queste cose vanno ancora studiate non parlo della cucina, parlo delle Cappelle della cultura popolare perché sicuramente le interferenze c’erano, la devozione del popolo diventava anche una sorta di domanda a cui dare delle risposte da parte dei proprietari che realizzavano le cappelle in funzione dei contadini che andavano al lavorare, qui c’era questa una interdipendenza che noi non dobbiamo mai perdere di vista se non comprendiamo bene il significato di quello che vediamo. Qui ci troviamo a Casole, pensiamo al patrimonio di cui ci dobbiamo occupare per non perderlo. Pensate che cosa sarebbe disporre, o almeno salvare, parte di questo che ormai… Adesso vedrete gli affreschi, che sono poco leggibili, in uno stato di abbandono. La presenza della Sovrintendenza non ha migliorato la situazione, perché mancano parecchie cose che sono andate a finire a Bari. Io lo dico perché questa è una cosa che non deve più accadere, cioè togliere le colonne, stanno per crollare, gli interventi rinascimentali che avete visto, perché hanno tolto le colonne e le hanno portate a Bari? Quelli sono oltretutto degli interventi del ‘550 molto belli, elegantissimi e la porta decorativa, scultorea io più che pensare ad Evangalista Menga, che era bravissimo vice…. Al castello di Copertino, penso più alla decorazione di questi puttini, questa teoria di puttini così calligrafica, elegante, fa più pensare ad un Gabriele Ricciardi! Sicuramente perdere questo patrimonio è assurdo. Gli interventi, quando la Sovrintendenza li fa, li deve fare controllando i propri inviati perché non facciano danni, perché ogni tanto registriamo delle cose negative, poi io mi creo per natura dei nemici, insomma questo mi corrobora. Avete visto questi affreschi come si sono deteriorati, questi appartengono al refettorio, che è addossato alla chiesa di Santa Maria di Casole che fu costruita, voluta da Castrista, Alfonso Castrista, lo stesso che ha voluto il Castello. Quindi la chiesa è sorta poco prima degli interventi che abbiamo visto, degli interventi pittorici che non dista molto da là, così comprendiamo anche l’esigenza di correlarsi a tutto quello che era importante di Copertino, che a poca distanza a Casole che era un altro importante casale. Come c’è il casale di San Vito, persiste questa cappella, c’è quest’altra, casole, i motivi sono settecenteschi, questi appartengono alla stanza, quella che era la cella di Frà Silvestro, che è in corso di beatificazione, ma della sua cella è rimasto ben poco, sinceramente, una traccia di altare, che è questa decorazione. Se noi guardiamo la parte finale vediamo che si tratta di un caseggiato che si trova sulla strada di Nardò, ho voluto far vedere, ecco con una zoommata, che questa edicoletta, di questo pagghiaru, che hanno messo isolato nella campagna, l’immagine della Madonna e ci sono ancora i fiori ed il lume. Quindi la devozione non è finita, se sta su una strada provinciale, dove è anche pericoloso l’attraversamento, e si depositano dei fiori freschissimi vuol dire che c’è ancora gente che ci va. Quindi è qualcosa da non perdere. La produzione culturale-devozionale anche se non è la produzione artistica di primissimo livello, se poi questo deve essere il criterio mi domando quante cose devono allora essere degradate, perché, per esempio, il nostro barocco è in prevalenza un barocco importante per il suo insieme, per il contesto che ha, non sicuramente per i simboli malfatti, molti dei quali non hanno nessuna rilevanza artistica, invece hanno grande rilevanza perché costituiscono dei segmenti di un intero che poi costituisce l’identità di Lecce e del Salento. Quindi vanno anche questi salvati e non batstano le risorse in un associazione che fa già miracoli perché, non ve l’ho detto, ma della Cappella di santa Anastasia hanno fatto la ricostruzione della volta, ecco perché gli affreschi non ci sono più, perché è stato rifatto integralmente. Sono sforzi che i cittadini fanno e che forse le istituzioni dovrebbero accogliere come indicazioni di una vitalità persistente e farsi promotori loro e incominciare ad accantonare delle somme o prendere anche le somme che vengono date dalla Regione e da tante istituzioni, non solo l’Europa, perché se Vendola ci dice di segnalare gli alberi di ulivo più significativi perché stanno facendo una mappa degli uilivi più belli di Puglia, forse gli possiamo, contestualmente, dire: guarda che questa cappella si trova in un bellissimo uliveto, dove speriamo il traliccio dell’ENEL…, e salviamo contestualmente anche questa cappella perché quello che ha fatto l’Associazione, togliere il fico e mettere la porta, non basta sicuramente, bisogna fare dell’altro in modo che le muffe facciano sparire i dipinti ed entri ancora umidità, perché, lo vedete, ci sono dei buchi, degli anfratti. Ho cercato di essere celere….