I CAPITANI CORAGGIOSI

BIAGIO ASSERETO

L'AMMIRAGLIO CHE CATTURO’ DUE RE

La tomba di Biagio Assereto si trova (e pochi lo sanno) nella chiesa arcipresbiteriale di Serravalle Scrivia. C'è un busto marmoreo e l' iscrizione: « Biagio Assereto, generale delle galee della Serenissima Repubblica di Genova, fece prigionieri due re, un Infante, trecento cavalieri. Mori l'anno 1456 ». Manca la data di nascita. Pare fosse il 1383. Basta la lapide, a far capire che uomo sia stato.

Un grande ammiraglio. Era nato a Recco, suo padre era un rispettato e agiato artigiano, non certo un marinaio. Suo nonno veniva da Rapallo. La famiglia, nelle lotte intestine genovesi, era dalla parte di chi teneva per Milano.

 

Il ragazzo studiò dai preti e avrebbe dovuto diventare un orafo. Era di bell' aspetto, alto e prestante. Gli piaceva leggere e amava sopra ogni cosa il mare. Uno dei  « padroni » di Recco, il nobile Francesco Spinola, lo notò, lo prese a ben volere e se lo chiamò in casa come paggio. Nella nuova felice condizione, Assereto poté studiare e arrivare a diplomarsi notaro: sicché iniziò la carriera da scrivano a Porto Maurizio, in un posto ottenuto dalla Repubblica di Genova. Un impiegato dunque, no, un navigatore; e nel 1425 lo si ritrova in città, capo dei cancellieri.

Uno strano cancelliere. Proprio nel 1425, eccolo capitano d'una nave della Serenissima contro il ribelle Antonio Fregoso; poi comandante d'una galea nel 1427, nella flotta di Antonio Doria che restituì il reame di Napoli a Giovanna II; infine al comando di una galea che costringe alla resa Ferruccio Verro fiorentino e lo porta prigioniero a Genova.

 

 

Antica stampa del porto di Gaeta dove nel 1435 accorse Biagio Assereto con le sue navi, rompendo l'assedio posto dalla flotta di Alfonso D'Aragona.

 

Dunque, codici e pandette sono già dimenticati, e così rogiti e toga. E’ nato un nuovo ammiraglio, un grande uomo di mare. Sarà uno dei più illustri nell'albo d'oro d'una città come Genova, pur cosi ricca di capitani e di navigatori famosi. La fama di Assereto diviene universale quando egli vince la battaglia navale di Ponza, nel 1435. I precedenti sono questi: morta la citata regina Giovanna, il re Alfonso d'Aragona, contava, di riprendersi  il reame di Napoli. Con una armata navale strinse d'assedio Gaeta, per sbarcarvi e di la muovere verso la capitale campana. Ma Gaeta si rivolse per aiuto a Genova, che mandò un presidio, al comando di Francesco Spinola, per costruire opere di difesa: Genova, infatti, voleva limitare a ciò il suo intervento, non intendendo scendere in campo contro la potentissima Spagna.

 

Il presidio di Spinola finì invece a sua volta assediato, decimato dalle malattie, in procinto di venir distrutto; e allora, la Repubblica dovette decidersi, o rinunciare alla propria dignità di Stato, o intervenire in soccorso delle sue truppe di Gaeta. Fu scelta una via di mezzo. Si stabilì cioè di armare una flotta, e di inviarla in appoggio degli assediati, ma solo allo scopo di liberarli, senza arrivare a scontrarsi con gli spagnoli. E al comando di questa flotta (per la verità raccogliticcia: s'erano potute mettere insieme solo 12 navi, requisite d'autorità, essendo ormai i genovesi stanchi di battaglie e di spedizioni marittime) fu destinato Biagio Assereto, il principale sostenitore della posizione dei  «falchi» genovesi.

 

 

A sinistra Alfonso D'Aragona. A destra Francesco Sforza signore di Milano al cui servizio Assereto sconfisse i veneziani a Casalmaggiore.

 

Assereto partì con le sue dodici galee, sulle quali erano imbarcati 2400 uomini, e facendo vela per Portofino e Recco, giunse in vista di Gaeta. Seppe che Spinola, il nobile di cui era stato paggio, era ferito e che gli spagnoli stavano per occupare la città. Era il 3 agosto 1435. Proprio in quel giorno, l'ammiraglio, genovese si vide venire incontro la imponente flotta spagnola comandata da re Alfonso d'Aragona: 31 navi da guerra su cui erano imbarcati oltre 6000 uomini. Nonostante la disparità di forze, accettò lo scontro, dopo aver dichiarato al sovrano spagnolo che egli non lo voleva e che il suo compito consisteva soltanto nel soccorrere i suoi compatrioti per riportarli in patria.

 

La battaglia avvenne al largo dell'isola di Ponza, fu una dimostrazione d'arte militare e navale da parte di Assereto. Alla sera, gli spagnoli erano sconfitti, il bottino enorme: undici navi nemiche vennero catturate, due sole fuggirono, tutte le altre furono bruciate o affondate. Assereto prese prigionieri il re Alfonso d'Aragona, il re di Navarra, l'Infante di Aragona, il Gran Maestro di Alcantara, il vice re di Siviglia, il principe di Taranto e una lunga schiera di baroni e di gentiluomini. Cambiava forse, per quella vittoria, il destino di un secolo. I prigionieri non furono condotti a Genova, che non ebbe così il suo atteso trionfo. Li volle dirottati a Milano Filippo Maria Visconti, a cui allora la Repubblica era soggetta.

 

Alfonso D'Aragona e i suoi, una volta a Milano, furono subito rimessi in libertà e il re spagnolo sottoscrisse con il Visconti un accordo in base al quale quest' ultimo lo avrebbe addirittura aiutato nella conquista del reame di Napoli. I genovesi si ribellarono a questo voltafaccia dei milanesi e ne fecero colpa ad Assereto, accusandolo di tradimento, vietantogli il ritorno in patria: e forse un po' di responsabilità l'ammiraglio doveva avercela, se lo ritroviamo remuneratissimo governatore di Milano al servizio di Filippo Maria Visconti e conte di Serravalle Scrivia. Infine, nel 1437, eccolo anche commissario ducale di Parma e comandante dell'armata milanese nella guerra contro Venezia.

 

Riuscì a mostrare ancora di che tempra egli fosse. Passato al servizio di Francesco Sforza sconfisse infatti prima a Chiusa d'Adda e poi a Casalmaggiore l'ammiraglio veneziano Querini e lo costrinse e ripiegare sulle lagune. Ma si sentiva stanco di gloria e di battaglie: e così  si ritirò nel suo castello di Serravalle Scrivia, ospitando amici, cacciando, dilettandosi di studi letterari, intrattenendo corrispondenza con artisti e pittori. Era amico anche di Enea Silvio Piccolomini, divenuto Pio Il dal 1458. Di lui, anagraficamente, l'unica data certa è quella della sua morte: a Serravalle Scrivia, il 25 aprile 1456.

 

 
Da NAVI e MARINAI