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La Storia I Monti Il fiume I Paesi

 

Il territorio nel corso dei secoli evolve, si trasforma e si arricchisce grazie a ciò che l'umanità realizza: per questo motivo esso testimonia e riflette incessantemente la storia dell'uomo. Ricordare le nostre origini, le vicende di chi in passato ha vissuto i luoghi oggi frequentati o abitati da noi assume un'importanza essenziale, poiché il passato condiziona il presente e il futuro.
E' indispensabile che ogni cittadino conosca i luoghi che lo circondano, per agire e produrre nella collettività, traendone rapporti fecondi. E' pertanto necessario viaggiare, per trovare risposta a domande specifiche, per approfondire i propri interessi, consci del fatto che molto è ancora da scoprire.

 


 

 

 

 

 


 

La preistoria della bassa e alta Valtrebbia

 

In Valtrebbia le più antiche testimonianze umane risalgono a strumenti litici datati alla fine del Paleolitico antico (150000 anni fa), rinvenuti in varie località della bassa valle nelle zone di Rivergaro, Gazzola e Croara, dove esistevano accampamenti preistorici.
A condizionare le scelte dell'uomo un ruolo fondamentale fu svolto dai fattori geomorfologici: per tutto il Paleolitico i pianali terrazzati del pedemonte costituirono le zone più favorevoli all'insediamento, offrendo condizioni climatiche migliori rispetto al settore collinare-montano; pertanto è nella fascia pedemontana che si trovano concentrati i depositi del Paleolitico.
Le ricerche archeologiche in Valtrebbia hanno portato alla individuazione di una quindicina di siti neolitici (VIII millennio a.C.): a questo periodo vanno attribuiti alcuni reperti rinvenuti a Travo che, testimoniando un insediamento neolitico, dimostrerebbero costanti contatti culturali sia con la Pianura Padana che con la Liguria, evidenziando l'importanza della Valtrebbia come via di collegamento tra la cultura mediterranea e quella nordoccidentale.
Un ruolo di primaria importanza nel popolamento dell'appennino fu anche quello rivestito dai terrazzi alluvionali di fondovalle: infatti sugli accumuli di detriti abbandonati dal Trebbia, che, infossato, crea delle superfici pianeggianti, si sono trovati numerosi insediamenti del Neolitico, dove l'uomo è poi tornato ad abitare in età romana: questo è il caso del terrazzo di Cà Gazza e degli insediamenti individuati sul terrazzo di Travo.
Travo documenta nel Piacentino anche il Neolitico tardo, con ritrovamenti di ceramiche riferibili alla cultura di Chassey, dimostrando come il Piacentino cominciasse a gravitare fin dalla fine del IV millennio a.C. verso l'area culturale dell'Italia nord-occidentale.
Relativamente all'età del Rame (III millennio a.C.) le scoperte più significative sono quelle di Calendasco e Bobbio, dove due pugnali di selce, alcuni ornamenti e un'ascia piatta di rame lasciano supporre l'esistenza di tombe eneolitiche. Anche in questo periodo la funzione della Valtrebbia può essere stata quindi quella di una via di comunicazione per gli scambi tra il Tirreno e la Pianura Padana.
Nel territorio piacentino l'età del Bronzo (1800-900 a.C) è attestata da qualche ritrovamento sporadico: un'ascia a margini rialzati fu scoperta in Valtrebbia a Pian di Casale, tra Pietrabruna e Garbarino. Le testimonianze del Bronzo finale (1200 a.C.) nella provincia di Piacenza, per quanto poche, indicano precisi legami con l'area ligure.
I ritrovamenti più significativi risalgono a questo periodo, quando le terre piacentine erano territori di confine interessati ad est dalla cultura delle terramare e ad ovest dalle civiltà occidentali.
Tracce di insediamenti umani di questo periodo sono state individuate nei pressi della Pietra Parcellara e della Pietra Perduca, oltre che al Groppo di Vaccarezza (Bobbio).
Nell'età del Bronzo i contatti culturali e commerciali erano molto frequenti, come dimostrano alcuni frammenti di ceramiche attiche emerse sul Monte Dinavolo in comune di Travo, reperti che sono una delle poche testimonianze della penetrazione etrusca nelle valli dell'Emilia Occidentale.
Il Groppo di Vaccarezza è un rilievo isolato scolpito in una massa ofiolitica posto quasi al centro di un'ampia area boscosa del medio bacino del Trebbia: nel X sec a.C. sulla sommità di questa altura sorse un villaggio can caratteri tipici dell'Età del Bronzo nell'Appennino emiliano più occidentale, che presenta stretti rapporti con Piemonte e Lombardia occidentale da un lato e Liguria di Levante dall'altro: importanti ritrovamenti sono le ceramiche con decorazione a falsa cordicella con motivi a zig-zag.
Il Groppo di Vaccarezza continuò ad essere occupato ininterrottamente dal finire dell'Età del Bronzo, nei periodi successivi fino all'età romana e al medioevo, dimostrando una situazione ambientale particolarmente favorevole.
Altre alture isolate ofiolitiche sono la Pietra Marcia, la Pietra Perduca, la Pietra Parcellara; relativamente all'antropizzazione hanno avuto un significato solo come luoghi di culto: sulle sommità del Monte Alfeo e del Monte Penice sono state ritrovate due statuette in bronzo di offerenti di età romana, che testimonierebbero il persistere ancora in età imperiale di forme di culto locali preromane.
La paleosuperficie di crinale Zerba-Vesimo, a cavallo degli spartiacque in montagna, era già insediata alla fine dell'età del Bronzo (X sec a.C.), come fanno supporre le armille di bronzo decorate a bulino scoperte a Zerba. Qui, nei pressi della torre medievale appartenente al castello dei marchesi Malaspina, è emerso il "ripostilio" di Zerba, comprendente appunto 8 armille di bronzo che costituivano un unico bracciale, prodotto finale di una lunga tradizione di armille a nastro massiccio di bronzo risalente alla piena età del Bronzo e caratteristica dell'Italia nord-occidentale, confermando l'orientamento del territorio piacentino durante il Bronzo Finale verso il mondo ligure e l'importanza quindi della Valtrebbia come collegamento.
Il ritrovamento più interessante relativo alla seconda età del Ferro (dal V a.C.) è quello di una padella di fabbrica etrusco-italica avvenuto a Travo databile al III a.C. di cui si è conservato il manico e una piccola porzione di orlo a parete.
S.Salvatore è una paleosuperficie di versante (antichi fondovalli abbastanza ampi e con versanti poco inclinati entro cui i corsi d'acqua si sono infossati) insediata in età romana, ma la presenza umana va fatta risalire alla prima età del Ferro (IX-VI a.C.), per il ritrovamento di un'ascia.

 

 

I Liguri nella Valtrebbia

 

Nel corso del primo millennio a.C. si insediò nella pianura e nella montagna Cispadana il popolo dei Liguri, all'interno del quale vi erano varie tribù: pertanto non è facile dire quali di queste abitassero la parte appenninica. Il loro stile di vita doveva essere molto vicino a quello praticato dagli ultimi popoli preistorici: vivevano di agricoltura e pastorizia e commerciavano attivamente con i popoli vicini.
I Romani intrapresero lotte per quasi due secoli, prima di ottenere la sottomissione dei Liguri, essendo questi avvantaggiati dalla conformazione del territorio in cui abitavano.
Nella religione degli antichi Liguri un posto di primaria importanza era assunto dal dio Pen, in nome del quale molte vette furono elevate a simulacri di fede: solo così è possibile spiegare l'esistenza di certi toponimi (Penna, Pennino, Penice, Pennula) e comprendere il significato di alcuni ritrovamenti sulle cime di certe montagne, come la statuetta bronzea del dio Pen, rinvenuta sulla sommità del Monte Alfeo.

 

 


I Celti nella Valtrebbia


Il dominio dei Liguri venne ridimensionato dal popolo dei Celti, il cui merito fu quello di aver diffuso la civiltà del Ferro in tutta Europa.
L'ingresso dei Celti-Boi nella Valtrebbia sembra testimoniato prima di tutto dalla toponomastica: tre corsi d'acqua, sulla sponda sinistra del fiume, conservano una denominazione che si avvicina all'irlandese antico: due si trovano tra Mezzano Scotti e Travo e si chiamano "Dorba", il terzo passa accanto a Bobbio, con il nome di Dorbida.
Altro toponimo, forse legato alla presentazione celtica, è "Dolgo", il nome di un gruppo di case che si trova sotto la rupe di Caverzago, sulla sponda destra del Trebbia.
Altri elementi della frequentazione celtica sono legati alla religiosità pre-cristiana della Valtrebbia: nella zona di Travo vi era uno dei più noti santuari di Minerva Medica e Memor che non ha relazione con l'omonima dea greca: si tratta invece di un'eroina celtica, il cui culto era diffuso tra le popolazioni rurali.
La divinità celtica sarebbe poi stata ribattezzata col nome di Minerva nel periodo della romanizzazione. Anche il toponimo Cabardiacarum, che corrisponde al luogo in cui sorgeva il santuario, è celtico.
Pertanto questo è un tipico esempio di santuario campestre che presenta aspetti salutari ed oracolari (essendo l'acqua sorgiva e medicamentosa uno dei motivi del sorgere del culto della dea), è collegato ad una tradizione preromana, è noto in un'area non solo locale (come dimostreremo più avanti), onora Minerva come divinità naturale, probabilmente celtica, il cui nome è connesso con quello del luogo.
A Travo vi doveva essere un bosco sacro di querce ove si risolvevano problemi di stato, si amministrava la giustizia e si celebravano i sacrifici.
Il mondo religioso dei Celti era semplice: alla triade maschile degli dei si associava anche il culto alla dea madre di nome Brigit; ella era la dea della fertilità e le si attribuiva la scienza della guarigione.
Questi elementi collimano con quanto appare dalle lapidi votive della Minerva di Travo. Non è quindi improbabile che il santuario fosse dedicato alla dea Brigit e che abbia avuto origine nel periodo della celtizzazione della valle.

 

 

La Romanizzazione della Val Trebbia


L'influsso di Roma nel territorio dei Liguri-Celti e in particolare nella Valtrebbia si realizza verso il principio del I secolo d.C.
La prova della avvenuta romanizzazione della parte appenninica è contenuta nella Tavola di Veleia, realizzata al tempo di Traiano (98-117 d.C.) con lo scopo di censire le varie unità fondiarie.
In senso storico il Trebbia è già noto verso la metà del II sec. a.C.: il grande storico greco Polibio, nel 150 a.C., ripercorre l'itinerario di Annibale, la cui venuta segnò un momento epocale per questa zona.
Dalle popolazioni locali Polibio apprende che il nome del fiume, sul quale Annibale aveva sconfitto l'esercito romano, nei pressi di Piacenza, era Trebìas: questo toponimo è molto vicino al verbo tedesco " Treiben ", che in funzione transitiva significa " muovere vigoroso ", " straripamento "; in funzione intransitiva indica una forma che trascina alla deriva: ambedue i significati si addicono al comportamento del Trebbia durante il periodo della piogge e del disgelo. Pertanto il Trebbia sarebbe stato denominato dai primitivi come il "fiume impetuoso".
Le testimonianze di Polibio e di Livio sono fondamentali per la ricostruzione delle operazioni militari nelle quali il Trebbia ebbe parte essenziale; alla sua sinistra il controllo era in mano ai Cartaginesi, alla destra in mano ai Romani.
Lo sfondamento della linea del Trebbia fu la condizione sia per l'attacco a Piacenza, sia per l'avanzata verso l'Italia centrale; di conseguenza i Piacentini guardavano a questo fiume come al primo confine della colonia, non lontano dalla città.
Anche Strabone parla del Trebbia, ma solo come affluente del Po. Il Trebbia è, insieme al Po, l'unico fiume dell'Italia settentrionale con funzione di discrimine: è probabile che su ciò abbia influito di riflesso la vicinanza di Placentia, primario nodo stradale, inserito in una rete viaria complessa, terrestre e fluviale, in cui si intrecciavano interessi commerciali locali, padani, transalpini.
I miliari dai pressi di La Tourbie, vicino Nizza, e da Bologna ricordano rispettivamente per l'età di Adriano e di Augusto il fiume Trebbia come inizio della Via Augusta per Vado e il Varo e termine della via Aemilia da Rimini. Ciò è dimostrato dal dipartirsi a raggiera di antichi tronchi stradali dall'impianto di Piacenza romana. Il Trebbia, al tempo della battaglia, confluiva nel Po ad est di Piacenza: il fiume cambiò percorso nell'arco di tempo che va dalla Battaglia del Trebbia (III sec) al IX sec. d.C.; infatti in un documento di archivio del IX sec. viene menzionata l'odierna località di CoTrebia Vecchia (Caput Trebiae), il più antico riferimento all'attuale posizione del Trebbia ( a ovest di Piacenza).
Ma nel 2 a.C. per il miliario di Borgo Panigale il Trebbia non sfociava già più nel Po ad est di Piacenza, perchè è citato come punto terminale al posto della città, presso la quale la via Emilia doveva terminare.
Gli spostamenti degli eserciti romano e cartaginese risultano incomprensibili se riferiti all'assetto idrografico attuale, mentre sono strategicamente logici se ricondotti a un'idrografia che vede il Trebbia scorrere ai piedi del ripiano di Ancarano e confluire in Po ad est di Piacenza.
Lo spostamento del fiume verso ovest fu una digressione avvenuta per cause naturali all'apice del conoide nella zona di Rivergaro-Roveleto Landi: tracce dell'antico corso del Trebbia sono riconoscibili nella scarpata del terreno fluviale di Ancarano.
Terminata la battaglia, Annibale si informò da Liguri e Celti sulle possibilità esistenti per raggiungere il territorio romano, cioè l'Etruria; la via lunga era la strada Piacenza-Rimini, mentre quella breve e difficoltosa era quella dell'Appennino centrale ligure.
Il periodo più freddo Annibale lo trascorse nei "quartieri d'inverno", forse nella zona di Rivalta, ove aveva costruito l'accampamento al suo arrivo; da qui poi partì nel 217 a.C. per tentare l'attraversamento dell'Appennino.
La leggenda narra che Annibale si sia portato a Bobbio da dove sarebbe salito al Penice per raggiungere il Brallo attraverso una vecchia mulattiera che ancora oggi è conosciuta con il suo nome.
I riferimenti che dimostrano la tesi del passaggio di Annibale in Valboreca non mancano, a cominciare dal nome di alcuni paesi, nei quali riecheggiano radici semantiche cartaginesi (Zerba, Bogli, Tartago).
Una leggenda avrebbe visto Annibale scivolare da un monte della Valboreca : in quell'occasione egli si sarebbe leso una mano e quella vetta sarebbe stata denominata Lesima (da Laesa manus).
Pertanto il passaggio di Annibale in Valtrebbia e la grande battaglia ivi combattuta testimoniano il rilievo viario e strategico del luogo.
La rete stradale romana era incentrata sulla via Emilia; la "strata" della Valtrebbia partiva dall'attuale Piazza Borgo sull'asse disegnato da Via Beverora, che coincide con il Kardo dell'impianto originario di Piacenza tipico del castrum, dalla strada per Pittolo e dalla strada per Ottavello: infatti il Kardo è in asse con il nodo viario della Valtrebbia (la statale per Bobbio, la via Agazzana per Gossolengo).
L'attribuzione all'età romana di questo asse viario è confermata dalla presenza a 12 km da Piacenza, cioè 8 miglia romane, del toponoimo Ottavello, derivazione di un "ad octavum lapidem", cioè all'ottava pietra miliare.
Ma anche Quarto, Settima e Niviano sono abitati che indicano l'esistenza di "mansiones miliariae".
La "strata" arrivava a Pieve Dugliara, superava il Trebbia a Statto, puntava su Travo e Caverzago (nella zona in cui esisteva il tempio di Minerva Medica) costeggiava le montagne utilizzando il sentiero oggi noto come la camminata "Travo-Penice" e scendeva a Mezzano Scotti (Medianum).
Raggiunto Bobbio, la via romana proseguiva sui crinali, transitando per quelle zone toccate dall'itinerario che si sarebbe sviluppato nel medioevo: Carana, Pietranera, Montarsolo, Ponte Organasco.
A questo punto probabilmente l'antico itinerario transitava sulla riva destra del fiume e cioè per Losso, Traschio, Ottone, Toveraia, Rettagliata, Rovegno, per poi proseguire sulla sinistra del Trebbia verso Montebruno, Torriglia, Genova.
Ma è possibile che la "strata" puntasse da Ponte Organasco su Oneto, Cariseto e che accedesse al Genovese utilizzando l'attuale sentiero di crinale che transita sul Monte Dego e conduce all'Oramara e poi alla Scoffera. Non essendo curata la manutenzione delle strade romane, esse furono spesso annientate dalle alluvioni e smantellate per recuperare materiali da costruzione.
Di particolare interesse appaiono alcuni ritrovamenti fatti sulla destra del Trebbia nella zona tra Ciavernasco e Lanzafame di Gossolengo.
A Ciavernasco è stato ritrovato il noto modello di fegato ovino, strumento bronzeo per un aruspice, con iscrizioni etrusche, da situare tra la fine del II sec e gli inizi del I sec a.C.; non è da escludere che giacesse entro una tomba; significativa appare la sua presenza in un'area che si vien rivelando così ricca di tradizioni preromane.
Volendo analizzare il paesaggio agrario romano alcuni studiosi notano che la centuriazione al di là del Trebbia sino alla Staffora si stende senza soluzioni di continuità altri ritengono improbabile che l'area fra il Trebbia e il Tidone sia mai stata centuriata. Fognano e Materano, di fronte a Bobbio sulla sponda destra del Trebbia, di fondazione non posteriore al II sec d.C., proprietà fondiarie romane, come dimostrano i nomi di derivazione gentilizia, costituiscono forse la punta estrema della colonizzazione fondiaria romana in Valtrebbia.
Ma il centro romano di questa regione è Caverzago, erede del fundus Cabardiacus, citato dalla Tavola alimentaria di Veleia: pertanto la zona doveva essere sfruttata per scopi agricoli dai Romani
L'area tra Statto e Travo (fino a Quadrelli) è la più interessante per i numerosi ritrovamenti di materiale romano. La divinità romana più documentata nel piacentino è Minerva, di cui a Cabardiacarum esisteva un santuario. Nella Valtrebbia c'erano acque salse e termali già nel periodo romano e sono ancora confermate dal diploma di Agilulfo del 614.
Le 18 lapidi votive, che documentano l'esistenza del santuario, sono databili dal I al III sec d.C.
Diversi abitati, le cui origini sono riconducibili, per motivi archeologici e toponomastici, all'età romana, sorgono su paleofrane (estese superfici con ridotta pendenza, ricche di falde idriche e di sorgenti e ricoperte da abbondanti coltri terroso-limose, che le rendono fertili e produttive): tra questi ricordiamo Scrivellano, dove dagli scavi emerse una villa di età romana, Statto, dove vennero alla luce materiali romani, Poggiarello, dove sono stati raccolti materiali che fanno pensare alla presenza di una quarta villa rustica romana.
Le testimonianze archeologiche della presenza umana nella zona di Bobbio vanno dall'età del Bronzo al periodo romano.
 

 

Il Medioevo

Nell'alto medioevo (614) S.Colombano, monaco irlandese, beneficiato dal re longobardo Agilulfo, costruì a Bobbio il proprio cenobio, che in breve diventò uno dei centri monastici più importanti, con un famoso scriptorium e una celebre biblioteca, e raggiunse l'apice della sua influenza tra il IX e il XII sec.
In seguito Bobbio divenne anche sede episcopale e ancora oggi è il centro principale di tutto l'appennino piacentino.
La sua importanza, soprattutto dal medioevo in poi, è spiegabile con la sua collocazione nel punto di innesto della direttrice che risale la Valtrebbia verso il Genovesato, nonchè all'inizio della diramazione di questa verso il Tigullio, attraverso la valle dell'Aveto, e di quella che, per il passo della Val Staffora, immette a Pavia.
La continuità di vita trova la sua giustificazione proprio nella situazione morfologica: una zona fertile, facilmente coltivabile, ricca di acqua, posta presso un fiume importante, ma al riparo dai normali livelli di piena.
La conquista di Genova da parte di Rotari rivitalizzò i collegamenti tra il Bobbiese e il territorio ligure; furono riaperti i valichi appenninici: molto frequentata era la cosiddetta Via del Penice, che poneva in comunicazione la Valtrebbia con la Valtidone e il Po; per quanto concerne, invece, i collegamenti con il Genovese, veniva preferita la Valdaveto, poichè permetteva di toccare alcuni "mansi" del monastero: Salsominore, Cattaragna e Cabanne.
Nel medioevo era molto trafficato anche il collegamento Pavia-Bobbio-La Spezia: Bobbio era quindi un nodo viario importante per i collegamenti tra la Valpadana, il Mar Ligure e l'Oltrepò pavese.
I Longobardi
A Bobbio molte sono le testimonianze scultoree del periodo longobardo: qui la celebre abbazia conserva ancora le lastre tombali dei successore di Colombano, Attala e Bertulfo, incise nei caratteristici motivi a fantasie fitomorfe. Bobbio infatti sorge sotto la protezione dei re Agilulfo e Teodolinda e questo spiega la matrice longobarda che, fusa con quella irlandese, caratterizza la cultura del centro monastico, che con il suo scriptorium è fra i maggiori centri culturali d'Italia.
 

 

 

 

 

La pesca in rete con Gaggioso, il portale della pesca del trentino e nel mondo 
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