PREFAZIONE DEL PROF. RENATO FILIPPELLI AD “ELEONORA DUSE DALLE BELLE MANI” DI CARMEN MOSCARIELLO


Eleonora Duse, “La Divina”Eleonora, la grande tragica che D’Annunzio,suo celebratore e carnefice, identificò con l’emblema del patimento creatore,fornisce a Carmen Moscariello la materia di questa pièce che credo di poter collocare fra i più interessanti frutti della stagione letteraria in corso.

Evocare la Duse senza metterle accanto o di fronte l’autore de “Il fuoco”(quel D’Annunzio che fu suo amante, sempre in bilico fra l’ammirazione per l’attrice ed un sostanziale rifiuto della donna, gracile e malata di etisia)sarebbe stato un azzardo.

La Moscariello, non nuova a queste appassionate rivisitazioni di personaggi femminili,sacri alla storia antica e moderna dell’umanità, ha voluto che il messaggio esistenziale della celebre Lenor passasse attraverso l’esperienza del suo amore per l’Immaginifico. Di qui la decisione di aprire larghi spazi al Pescarese e di illuminarne, con tocchi rapidi e incisivi, la personalità contraddittoria, con le sue cadute nell’animalità dell’istinto sessuale , ma anche con le sue impennate verso le plaghe della spiritualità e della poesia mitizzatrice.

Difficile era il governo artistico di due personaggi così complessi e sfuggenti, così radicati nel magna dell’esistenziale così protesi alla fictio di una vita ideale, così pervasi di terrestrità e così disposti alla sublimazione onirica. Occorreva uno sguardo capace di cogliere al fondo di tante incarnazioni effimere un nucleo morale stabile, da assumere come chiave interpretativa unificante. In altre parole, si poneva la necessità, per quanto riguarda la Duse, di attingere il segreto della sua verità anche quando l’attrice continuava ad esser tale,pur essendo uscita dalla finzione scenica, e per quanto attiene al D’Annunzio, occorreva rimuovere le incrostazioni delle pose superomistiche e dei cinismi d’epoca per portare allo scoperto le fonti della più autentica ispirazione poetica e tratti di un’ umanità fragile, in fondo, e bisognosa di rifugi protettivi.

La Moscariello ha dimostrato di possedere questo metaforico sguardo che giunge alle radici dell’anima e le abbraccia con trepida pietas. Lirica per vocazione, Ella ha colto in questo suo dono un rischio ai fini della strutturazione drammatica e l’ ha tenuto sotto controllo, fino a quando le situazioni non postulassero l’abbandono all’onda spiegata della poesia come ritmo e canto. Voglio dire che il testo in questione attua la propria articolazione teatrale anche attraverso inserti di situazioni e di dizioni realistiche aspre e crude. Si veda l’incipit dell’opera: quell’esplosione di invettive di Maria Gravina, amante insaziata, contro D’Annunzio , scoperto infedele e si considerino anche gli scatti della stessa Duse di fronte ai comportamenti del suo poeta,che in lei tradisce la donna e l’artista ,e ancora le aggressive rampogne di Matilde Serao all’uomo che continua ad infliggere disastri morali e finanziari alla grande attrice. In questi passi dell’opera la Moscariello si serve di un radicale espressionismo in funzione felicemente caratterizzante, ma subito dopo, come a garantire l’equilibrio tonale dell’insieme, inventa un dialogo tra i due amanti, che ha la grazia di una indubbia conquista poetica su registri sommessi e come incantati.

Questi momenti pervasi dalla pura liricità lasciano prevedere il tema del finale trionfo della fede nell’arte come unica certezza, in un labile e illusorio movimento di ombre . Ma di un altro elemento la Moscariello si è giovata per garantire alle sue “dramatis personae”attendibilità storica. Questo elemento era il più carico di insidie, identificandosi con le citazioni di epiteti o di frasi intere trasferite dalle opere del D’Annunzio o dalle arruffate lettere di Eleonora. Un’autrice sprovveduta non avrebbe evitato le trappole del collage e del plagio; La Moscariello, invece, è stata molto abile ad evitare quelle due insidie,incastonando con vigile senso dell’opportunità il materiale di riporto o, più spesso, utilizzando con personale fantasia.

A ripercorrere il testo di questa autrice, il lettore difficilmente dimenticherà l’ultimo atto che dà rilievo di statua sacra alla Duse, ma altresì umanizza la figura di D’Annunzio che alla grande tragica chiede il sostegno di una comprensione materna.

All’ombra della donna da lui umiliata e offesa in più luoghi de “Il fuoco” ora il Poeta potrebbe dire quel che disse alla madre in una celebre lirica del “Poema Paradisiaco”: ”L’anima sarà semplice com’era/ e a te verrà, quando vorrai, leggera,/ come vien l’acqua al cavo della mano”.

Nel suggestivo testo di Carmen Moscariello la Duse si fa mediatrice di questo junghiano ritorno del Poeta alla semplicità e all’innocenza del suo tempo d’infanzia.



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