ARCHETIPI E MODELLI DI REALTA' NEL LINGUAGGIO MUSICALE
Franco Cariglino  2010

                                                                                                                                                                                                                         
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ARCHETIPI E MODELLI DI REALTÀ NEL LINGUAGGIO MUSICALE

 

 

           Sono stati asseriti molti concetti sul linguaggio musicale. Innanzi tutto è stato dimostrato come la musica sia un linguaggio tautologico, ovvero assoluto, che mostra allusivamente tramite la disposizione del proprio ordito sintattico i concetti filosofici dell'epoca in cui vive e di cui si fa carico.

Quindi è stato detto che il significato più profondo della musica va rintracciato nella dimensione sonora fugace e volatile e non ricercato nella partitura che costituisce un mero codice semantico convenzionale.

Per fissare la concettualità insita nella dimensione sonora ed effimera del linguaggio musicale è necessario compiere una sorta di analisi fenomenologica della coscienza durante e dopo l'ascolto, "la coscienza che viene stimolata dai modelli di realtà, dai contenuti concettuali che il linguaggio musicale manda allusivamente come un messaggio all'animo dell'ascoltatore",
per cui ci troviamo in un vero e proprio capovolgimento dell'estetica musicale, in quanto va indagata non più la partitura bensì la "coscienza" durante e dopo l'ascolto.

Il significante esprime la parola, il significato invece indica l'oggetto o il contenuto concettuale. Mentre in tutti gli altri linguaggi, questa coppia di opposti correlati, implica una distanza logica di relazione fra i due termini di significante e significato. Nel linguaggio musicale assistiamo ad una perfetta simultaneità di giustapposizione di questi due termini.

E' stato, in ultimo, ravveduta da una parte una suggestiva analogia tra le strutture fondamentali del linguaggio e quelle del mondo psicologico dall'altra. Analogia che riveste per la musica un particolare significato, per cui la simultanea giustapposizione di significante e significato, così peculiare del l.m., sembra adombrare e richiamare per analogia, per metafora, una equivalente giustapposizione fra i due principi fondamentali della vita psicologica: vale a dire il principio del piacere e il principio di realtà.

Questo tipo di giustapposizione, tra le due istanze fondamentali della vita psichica, riscuote sempre il nostro assenso immediato, in quanto da sempre l'uomo è inconsciamente alla ricerca di un equilibrio perfetto, di una omeostasi fra impulso e struttura, fra immediatezza e ragione.

Dunque il l.m. avrebbe la straordinaria peculiarità di farci baluginare, attraverso la caratteristica struttura linguistica di coesione simultanea fra significante e significato, una visione simultanea assai più ancestrale e più vicina al nostro perturbato mondo emotivo.

Alla luce di quanto è stato succintamente richiamato il l.m. ci trasmette tramite un codice allusivo, indubbiamente privilegiato per metafora strutturale, dei veri modelli di realtà (che sono poi le visioni del mondo delle varie epoche della nostra storia) in cui la musica vive.

Ma questi modelli di realtà esistono già nel nostro inconscio, quale retaggio del nostro vissuto storico, ovvero come archetipi che la musica sollecita, stimola dentro di noi.

Dunque ci fa ripercorrere in metafora la nostra storia concettuale interiore tramite un linguaggio simbolico delle idee attraverso un codice lirico.

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Il linguaggio di Palestrina, ad esempio, ci mostra la serenità estatica ed inattaccabile del rinascimento, giustamente definito lo stile delle forme che posano, attraverso l'equilibri perfetto, esistente nel linguaggio del polifonista romano, fra contrappunto, melodia e armonia.

L'equilibrio, è opportuno ricordarlo, consta di una sapiente mediazione fra la tecnica contrappuntistica, acquisita dai maestri fiamminghi, e l'atmosfera melodico-armonica più tipica del mondo mediterraneo.

Ma questo modello di realtà, espresso dal linguaggio palestriniano, ci riconduce, in verità, all'archetipo eterno dell'ordine cosmico, che è poi ciò cui tendeva lo stesso linguaggio rinascimentale.


Ascolto di musiche di Giovanni Pierluigi da Palestrina

La trasparenza nell'ordito contrappuntistico di Palestrina sembra stagliarsi luminosa, come un vero e proprio modello linguistico del mondo rinascimentale attraverso il quale riluce un archetipo, quello rasserenante dell'equilibrio e della simmetria cosmica che, se da una parte è figlio dell'epoca in questione, il rinascimento appunto, dall'altra è per noi divenuto un retaggio interiore legato alla nostra origine.
Poichè il rinascimento fa parte ormai della nostra storia concettuale  i suoi contenuti sono per noi come ingredienti, vissuti dalla nostra identità più profonda anche se consapevolmente o inconsapevolmente.  A parlare di archetipi significa evocare la figura di Jung, il padre indiscusso della cultura moderna del termine, del concetto di archetipo.

Contrariamente a Freud - che identificava nel patrimonio originario gli istinti libidici con forte coloritura sessuale "la dimensione psicologica in cui l'uomo può riallacciarsi alla propria origine più profonda" - Jung ravvedeva nel rapporto inconscio fra l'animo umano e il retaggio ancestrale di simboli e significati contenuti nel mondo archetipale, la possibilità, per l'uomo, di congiungersi con l'origine e riappropriarsi così della propria identità più autentica. In questo senso  la concezione di archetipo assume i lineamenti di una certezza infondata per definirla con una terminologia propria del pensiero di Wittgestein. La certezza infondata è un retaggio acquisito, che noi sentiamo come certo e indubitabile, senza bisogno di fondarlo intellettualmente, essendo e trattandosi di un valore sostanzialmente implicito nella memoria culturale della specie.

In questa accezione la parola "infondato" assume un valore accrescitivo, poichè indica e determina una certezza che non ha bisogno di una fondazione semantica concettuale aprioristica. Si mostra nella sua chiarezza, nella sua dadità e in tutta la sua pienezza.

Il linguaggio musicale rende ancora più immediata la percezione di questa certezza "infondata" dell'archetipo, perchè lo mostra, lo raffigura allusivamente e ce lo fa pervenire quasi in modo sottocutaneo, mandandoci un messaggio preciso di tipo archetipale.

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L'archetipo fondamentale su cui ruota il mondo spirituale bachiano è abbastanza simile a quello di Palestrina, cioè è un archetipo dell'equilibrio cosmico ed equilibrio fra soggettività ed oggettività.

Equilibrio su cui e in cui riposa la certezza della fede. Rispetto al mondo di Palestrina, in Bach, essendo un autore del primo settecento e del pieno mondo barocco, vi è una maggiore e più marcata componente soggettiva. Una particolare caratteristica dell'archetipo bachiano di equilibrio cosmico e mistico, fra soggettività e oggettività, la ravvediamo in una propensione costante della spiritualità bachiana al proscioglimento della soggettività nella oggettività, tramite un procedimento di astrazione.

Siamo cioè davanti all'archetipo del ritorno all'origine, intesa l'origine  della vita spirituale come una metaforica Itaca. Per cui ci ricolleghiamo a un archetipo, vissuto in termini cristiani e mistici, che ci rimanda addirittura ai poemi omerici e alla figura di odisseo.

Infatti le forme strutturali predilette e più frequentate da Bach sono  le variazioni sul tema e la fuga.

In particolare nella sua ultima accezione metafisica, astrattissima dell'arte della fuga, del testamento spirituale di Bach, ricordiamo le variazioni Goldberg, con il loro cammino circolare, teocentrico.

Le forme predilette dalla creatività bachiana sono tutte raffiguranti una gravitazione intorno a un centro che per analogia è il logos e Dio è questo ritorno originario, è questa metaforica Itaca a cui Bach tende a ritornare in chiave mistica.

In modo particolare abbiamo accennato all'arte della fuga che rappresenta il testamento ultimo della creatività e della vita di Bach. Infatti nell'arte della fuga ravvediamo le fondamentali caratteristiche di questa tendenza archetipale al ritorno all'origine. Vi è un ritorno di tipo stilistico e culturale all'origine del contrappunto, al mondo quasi fiammingo rivisitato secondo gli stilemi più sofisticati del mondo barocco.

 Questo è un fatto culturale, linguistico. Vi è, poi, una totale astrazione timbrica che determina il ritorno della musica a una matrice squisitamente pitagorica, metafisica, cosmica e l'astrazione timbrica dettata dalla totale indeterminatezza dell'organico strumentale che l'arte della fuga porta con sé. Infine ci troviamo di fronte a una rarefazione e a un proscioglimento di tipo dantesco del linguaggio di fronte alla luce divina dell'essere. Infatti  l'arte della fuga termina volutamente incompiuta.
Ascolto di musiche di Johann Sebastian Bach

Abbiamo visto che  la musica è un linguaggio assoluto che mostra allusivamente, senza esprimere esplicitamemte dei contenuti concettuali tramite la disposizione del proprio ordito sintattico, dall'altra parte i contenuti concettuali che il l.m. mostra allusivamente sono dei veri modelli di realtà pertinenti all'epoca culturale in cui il linguaggio musicale vive e divenuti per noi, proprio per una sedimentazione inconscia, degli archetipi, dei modelli assoluti.
Dunque possiamo dire che il l.m. è un linguaggio assoluto, che mostra delle certezze infondate. Tali sono, come è stato dimostrato, gli archetipi. Il l.m. riesce così a conciliare un assoluto dedotto dall'alto, cioè la natura intellettualmente predeterminata della struttura del l.m., con un assoluto emergente dal basso, cioè da un assenso emotivo immediato.


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Con Beethoven ci troviamo di fronte all'archetipo della irripetibilità, della soggettività singola che vuole da una parte si, legittimarsi alla luce della tradizione del retaggio della forma, però che vuole anche esistere al di fuori, per certi versi, dalla costringente struttura ed esprimersi nella sua totale immediatezza.

Una dialettica drammatica fra particolare e universale che Beethoven esaspera e porta una tensione assoluta proprio per questa sua componente, allo stesso tempo romantica ma anche eticamente classica. Di voler dire il tutto nella sua immediatezza del lato romantico del suo carattere e allo stesso tempo gratificarsi alla luce della tradizione della grande forma. In questo orizzonte, particolarmente significativo è il terzo stile beethoveniano, quello problematico e più eroico, dove Beethoven ha la percezione che il linguaggio della forma della tradizione non riesce più a dire il mondo.

E' un linguaggio che sta estinguendosi e in cui la società del suo tempo dopo il congresso di Vienna e la restaurazione non si riconosce più. Per cui Beethoven radicalizza contrariamente ai musicisti immediatamente successivi a lui come Schubert. Beethoven radicalizza una ricerca di ontologia della struttura e torna all'indietro, addirittura si mette a praticare la forma della fuga che è particolarmente presente in molte sonate dell'ultimo stile.

Vi è cioè una tendenza di Beethoven a volere ripristinare, ricongiungersi a un'origine assoluta della classicità (addirittura la fuga che rappresenta il modello bachiano per eccellenza) e dall'altro canto una tensione drammatica del linguaggio verso l'inesprimibile, verso una tenzone che è protesa a valicare il muro di sottaciuta incomprensione che circondava l'ultimo Beethoven.

Infatti il linguaggio dell'ultimo stile beethoveniano è contratto, aforistico, per certi aspetti condensato. La propensione che assistiamo, portati dagli esiti estremi, è quella di voler dire tutto, la vita, il mondo, la profondità inesauribile  del vissuto nella sua immediata intensità. Ma nello stesso tempo voler autenticarsi nella tradizione cui il tutto, la totalità della vita, la tradizione sembra sfuggire.

L'assoluto diviene così nell'ultimo Beethoven, non ciò che sta al di là del linguaggio come nell'accezione bachiana o dantesca, nel mondo che precede l'avvento dell'illuminismo e dell'idealismo tedesco. Non è più assoluto ciò che sta al di là del dicibile del linguaggio, ma l'assoluto diventa ciò che si contrappone dialetticamente e agonisticamente al linguaggio.


 
Ascolto di musiche di Ludwig van Beethoven

Una fuga assolutamente innaturale, che già nel soggetto e nel tema mostra la sua atipicità, rispetto al modello canonico di ascendenza bachiana. C'è in questa fuga, da una parte la volontà di far tornare i conti, dal punto di vista contrappuntistico, imitativo - secondo i criteri tradizionali della
fuga - ma dall'altra un'emergenza disperata della soggettività che vuole dire se stessa e che vuole trascendere i limiti precostituiti dalla forma. Verso la fine della sonata, il linguaggio contrappuntistico della fuga viene abbandonato e riemerge la caratteristica dolente, sofferente, allo stesso tempo lirica e per certi aspetti introvertita del più autentico linguaggio dell'epoca beethoveniana.

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All'archetipo del silenzio, inteso come massima densità espressiva, come coscienza dell'inadeguatezza del segno di fronte alla totalità dell'essere - questo è un archetipo che si trova sempre al tramonto di una civiltà - quando il linguaggio è saturato e sembra implodere contraendosi, ricompare il sogno atavico e ricorrente per l'uomo dell'espressione totale : "in un istante il desiderio di una grazia che ci redima dalla fatica del significare".

E in questo orizzonte concettuale fra l'altro va inserito l'elogio di Schonberg a Webern, secondo cui Webern era capace di esprimere un romanzo in un sospiro.

Alla luce di quanto esposto si può ribadire che il linguaggio musicale ci offre come una sorta di sogno lirico, attraverso il quale è possibile contemplare il vissuto concettuale della nostra storia.

Questa contemplazione avviene si con i toni allusivi e non metaforici del sogno, ma anche con l'intensità concettuale propria del pensiero.

Vi è una citazione dall'ultima e forse più enigmatica opera di Shakespeare, che sembra potersi riferire, in chiave traslata, alla musica intesa come sogno concettuale secondo quanto asserito.

Scrive infatti Shakespeare: noi siamo fatti della stessa sostanza di cui sono fatti i sogni e la nostra piccola vita è circondanta dal sonno. Con queste parole Shakespeare sembra dire che la nostra vita cosciente è in realtà un sogno. E allora si può aggiungere che tramite la musica che fa parte del nostro mondo cosciente, noi sogniamo gli archetipi, i modelli assoluti di cui è disseminata e a cui si ispira la nostra vita.

Giunti alla fine del viaggio in cui si è cercato di porre in luce un significato della musica che sia meno effimero dei risultati utili ma non troppo particolari di storiografia e filologia, si può ribadire l'istanza platonica secondo cui la musica si rapporta al mondo delle idee, ai modelli assoluti della vita e dell'essere.

Ascolto di musiche di Anton Webern

Un estremo, rarefatto linguaggio che si colloca al tramonto della grande tradizione culturale dell'occidente. La sua castità semantica così tesa verso l'indicibile ci ricorda ciò che sosteneva Nietzsche quando affermava che attraverso la musica noi possiamo ascoltare il ritmo dell'essere.
E d'altro canto la dimensione estatica del suono weberniano che radicalizza in termini più astratti una propensione, che già fu di Debussy, questa sorta di terso stupore insito nel linguaggio e nella poetica di A. Webern sembra consegnarci in termini di puri suoni il postulato di Wittgestein secondo cui: "non come il mondo è ma che esso è, questo è il mistico
". 
 
Note :
La metafisica e la teoria del mistico



 

Bibliografia:

  1. - Marco De Natale: Strutture e forme della musica come processi simbolici - Morano;
  2. - Durand Gilbert:  Les structures Antropologiques de l'imaginaire - Paris;
  3. - Enrico Fubini: L'estetica musicale - Einaudi;
  4. - Nicolas Ruwet: Linguaggio, musica, poesia - Einaudi;
  5. - Aristotele: Poetica - Rizzoli;
  6. - Saussure Ferdinad: Cours de linguistique générale - Paris


 

FRANCO CARIGLINO

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