LE ORIGINI

Il nome del Casato ebbe la sua origine dalla radice celtica CAER (roccia, roccioso, montagnoso), la medesima che già esiste nel nome di Cariberto, il creduto fondatore delle dinastie Aleramiche. Fu poi aggiunta, come suffisso, alla radice una parola latina MEL (Miele ed in senso traslato soave). Nel nome è raccolto il duplice significato: forte come la roccia, soave come il miele; si ha così la sintesi del vecchio motto medioevale: Fortiter ac suavitater.

SECOLO XII

E' impossibile precisare quando si sia cominciato ad usare questo cognome ma, la data più antica che ad esso possiamo assegnare su basi documentarie sicure, è qualla dell'anno 1130 senza esclusione di maggiore antichità.

La storia del cognome è connessa con l'origine della famiglia; è nel secolo XII che diverse famiglie di origine aleramica assunsero un cognome: ed è il secolo XII l'età più antica dove si trovano le traccie del patronimico Caramelli, unito ad uno dei nomi storici fra gli aleramidi: quello di Ugo presente nell'Italia Veneto-Adriatica.
Di lui non si sa il luogo preciso di origine ma dalle ricerche compiute sul materiale documentario, si deve credere che la sua presenza in quel luogo fosse casuale, così come non si può escludere il collegamento alla famiglia Caramelli piemontese.
In quegli anni, i Comuni d'Italia si erano collegati contro l'il'imperatore Barbarossa a Pontida (1167 Lega Lombarda). Potrebbe essere questa una ragione sul come Ugo Caramelli, dalle rive del Tanaro, fosse potuto discendere fin presso Venezia.
I documenti che lo ricordano vanno dall'anno 1170 all'anno 1178.


SECOLO XIII

Anselmo Caramelli, il nome più antico della famiglia che i documenti di Piemonte ci hanno fatto conoscere, è ricordato in una questione di confini (il documento che lo ricorda è in data 3-9-1247) per un terreno che possedeva tra Auzabec (era un castello appartenente alla famiglia dei De Brayda) e Pocapaglia feudo della famiglia dei Paucapea. Quale relazione avesse Anselmo con queste famiglie di cui si sono perse le tracce,non è dato sapere; non è escluso però che ci sia stata una comunanza di origine.

Fossano, fondata nel 1236, fin dal principio fu in guerra con Asti; e il 13-3-1240 si strinse in alleanza con Savigliano, Cuneo, Mondovì per difendersi dalle ostilità del popolo astigiano che era loro continuamente addosso con le armi; nel 1251 trattò e concluse la pace con Asti. Fra gli uomini di Fossano che in quella occasione giurarono fedeltà al comune di Asti, vi furono anche tre membri della famiglia Caramelli: Giovanni, Giacomo ed un terzo indicato con il semplice cognome.

Verso la fine del 1200 altri membri della famiglia Caramelli, Anselmo e Guglielmo, fecero atto di fedeltà alla repubblica astese (14-6-1292). Sempre nel 1292, si ha memoria di Aycardo Caramelli in una causa di divisione di terreni. Fra i 25 "Capita Domorum" che rappresentavano il comune di Montalto di Mondovì, vi era appunto Aycardo Caramelli, probabile capostipite della famiglia Caramelli di Cavallermaggiore.

SECOLO XIV

Nel 1282 morì Tommaso III Conte di Piemonte e gli successe Filippo III di Savoia che nel 1301 sposò Isabella, figlia ed erede di Guglielmo principe d'Acaia. Per tanto dal principato che ella gli portò in dote, Filippo si chiamò d'Acaia.
Nel 1319, tra le molte genti riunite intorno al Principe d'Acaia troviamo Giovanni di Aycardo Caramelli. Questi, dal conto in cui era tenuto, si ritiene fosse al suo servizio da molto tempo ed è da ritenersi che vi rimase a lungo. Il Principe soggiornò lungamente a Cavallermaggiore e ritenne che non fosse utile ai suoi interessi inimicarsi gli abitanti del paese; addivenne quindi ad un accomodamento con i 180 Capicasa.
E' questa la prima volta di cui si ha notizia sicura dell'esistenza della famiglia Caramelli a Cavallermaggiore, Ivi recatasi tra la fine del 200 e gli inizi del 300; forse per opera di Aycardo da Mondovì.
La famiglia salì presto in considerazione infatti, già nel 1346 troviamo Giacomo Caramelli "Clavarius" del Comune. A Cavallermaggiore egli teneva presso di sè tutto il denaro del Comune, esigeva le imposte, sopprastava alle spese necessarie del paese. Appunto verso la metà del 1300 vivevano in Cavallermaggiore i tre fratelli Giacomo Gabriele, Enrico; figli di Giovanni che può essere identificato con quel Giovanni di Aycardo, milite di Filippo d'Acaia. Verso la fine del secolo i tre fratelli erano Patroni del beneficio dei S.S. Stefano e Giacomo; fondato nella Chiesa parrocchiale della Pieve di Cavallermaggiore. Di essi solo Enrico sopravvisse, vecchissimo per certo, fino al principio del 1400.
Eccezion fatta per Filippo, figlio di Giacomo, non si conosce la discendenza dei tre fratelli.
In tutto il 1300, i grandi feudatari, avevano abbandonato, in parte, il mestiere delle armi per l'esercizio dei commerci. Molte famiglie patrizie si dedicarono quindi agli affari. Nel 1363 Bra, comune in pace, faceva il censo dei negozianti e annotava, tra gli altri, due Caramelli: Guglielmo figlio di Giovanni e Lorenzo.
Nel 1393, tra i cittadini che si ritenevano fra i più cospiqui della Villa si ponevano anche Gastaudo e Mondino Caramelli.
Nello stesso anno, essendovi in Piemonte un movimento nemico del Marchese di Saluzzo, il principe Amedeo ed il generale Aimone di Savoia ordinarono fortificazioni, guardie ai Comuni ed anche l'esercito. Il 27 aprile una "Grida" in Bra ordinò ad una serie di cittadini di provvedere armi; fra essi troviamo Obertino e Giacomo Caramelli. Fra i Caramelli di Bra e quelli di Cavallermaggiore, si può credere, visto il tradizionalismo di quel tempo che vi fosse parentela, infatti vi è corrispondenza di alcuni nomi tra cui Giovanni padre di Guglielmo.
Comunque a Cavallermaggiore, la famiglia Caramelli aveva messo le radici.
Nella seconda metà del 1300, Filippo, figlio di Giacomo, possedeva case nel quartiere della Pieve; uno dei suoi figli, Bernardino si dedicava all'arte notarile, mentre un altro figlio di nome Antonio curava gli interessi familiari. E' certo che Bernardo nel 1389 era già notaio imperiale.

SECOLO XV

Nel mese di luglio dell'anno 1403, il consiglio maggiore dei Savi della città di Torino chiamava nella sua città il Notaio Imperiale Maestro Bernardo Caramelli di Cavallermaggiore a reggere le scuole grammaticali. In quella città egli rimase circa tre anni come Rettore delle scuole fino al 1406. Dopo quell'anno egli partì da Torino ed è molto probabile che sia tornato definitivamente a Cavallermaggiore, dove la sua famiglia continuava a godere la stima dei conterranei, mentre i membri di essa diventavano preponderanti nelle decisioni comunali e si imponevano sempre di più al paese per le loro condizioni economiche in continuo miglioramento. Dopo il suo ritorno da Torino, Bernardo fu insignito del titolo di Pievano di Santa Maria. Che fosse un uomo di chiesa, lo si può arguire dalla cura che egli aveva per l'abbelimento della sua pieve. Di lui è stata conservata fino al 1800, nella chiesa Santa Maria, una pisside di rame smaltata, con iscrizione e data del 1420.
L'ultima notizia di Bernardo è del 1432; in quell'anno infatti, egli era ancora iscritto nel Catasto.

I Catasti quattrocenteschi di Cavallermaggiore, rivestono un'importanza eccezionale. In mancanza degli atti di battesimo e di morte la cui formazione ufficiale è posteriore al Concilio di Trento, (1545) è possibile nelle intestazioni delle denunce catastali avere una cognizione sufficiente per la storia della famiglia; A volte le relazioni di parentela ci sfuggono e sarebbe d'uopo lo studio sugli atti notarili di compravendita o di successione testamentaria;atti nella massima parte dispersi.

I volumi dei catasti di Cavallermaggiore del secolo XVsono 4 e si riferiscono: al 1415, 1432, 1487, 1488. I primi due in parte furono rogati da Bernardo; gli altri due dal Notaio Bartolomeo Caramelli; di quest'ultimo non si conosce il rapporto di parentela col resto della famiglia.
Il catasto del 1415, ebbe due correzioni successive, di cui la seconda fu eseguita tra il 1424 ed il 1432. In quest'ultimo anno, non è più iscritto Domenico Caramelli che certamente era ancora vivo nel 1424, anno in cui fu tra i componenti i due ultimi capitoli da aggiungersi agli Statuti di Cavallermaggiore.
Il Comune aveva nominato nella Commissione straordinaria, oltre a Domenico, anche Filippo e Nicolò.
Dei tre solo Nicolò sopravvisse oltre al 1445, anno in cui era sindaco; Domenico e Filippo erano morti quando fu redatto il Catasto del 1432; anzi si parla già degli eredi di Filippo.
Nella terza redazione del primo catasto, i beni di Domenico passarono ad Antonio e quindi ai suoi eredi.
Fra i nove eletti nella Commissione catastale del 1432, si trova Antonio Caramelli.
Non é possibile stabilire con sicurezza il numero degli anni trascorsi tra la prima e la seconda redazione del registro, tuttavia, si nota che nella seconda sono già iscritti gli eredi di suo figlio Stefano: Filippo Michele e Franceschino.

Si sa per certo che i beni immobiliari dei Caramelli a Cavallermaggiore erano in continuo aumento. Essi acquistarono beni e crearono nuove famiglie; verso la metà del 1400, sono non meno di dieci i Caramelli che come capi di famiglie distinte, fanno denuncia sul Catasto dei loro beni. Già nella seconda redazione del Catasto del 1432, vi é una lista grandissima di possessi in mano agli eredi di Stefano figlio di Antonio, per essersi già cumulati in essi, i beni di Antonio, Bernardo e Stefano. Di Antonio si conoscono almeno tre figli: Stefano, (che forse gli premorì) Tommaso, i cui beni, alla sua morte, passarono ai nipoti, Giovanni che non si sa se abbia lasciato discendenza, ma che per certo é morto fra il 1487 e il 1488
Nell'anno 1482, a Cavallermaggiore, infieriva la peste; il Nobile Signor Franceschino Caramelli che apparteneva al Consiglio della sua terra, prese parte alle sedute del consiglio e non si allontanò mai dal paese. In quell'anno, anche Robaudo Caramelli, partecipò come consigliere e per poco tempo, fece parte del consiglio anche Stefano il giovanissimo figlio di Filippo, che l'imperatore Carlo V farà conte; di lui non abbiamo più alcun cenno per molto tempo e può credersi che in questo periodo sia andato a Roma presso il papa Sisto IV insieme al cugino Giovanni. In tal modo, si allontanava il giovane Stefano dal paese, dove la pestilenza continuava ad infierire.
Fino al 1488, Franceschino si interessò attivamente alle cose del Comune, uomo ascoltato e prudente, il maggiore che allora vi fosse nel suo luogo nativo.

L'ultima volta che i documenti lo ricordano è nel novembre 1497, quando Don Rolando Dentis di Caramagna mette in possesso della Commenda di Santa Maria della Pieve a Cavallermaggiore, Don Bernardino Caramelli; fra i testimoni chiamati per la rogazione dell'atto notarile, risulta anche Franceschino che non poteva mancare alla presa di possesso del nipote all'esecutoria di un atto Papale concesso in grazia del proprio figlio Giovanni, scrittore a Roma nella cancelleria Apostolica.

LO STEMMA

La famiglia dei Caramelli, la cui indubbia nobiltà è determinata dall'esistenza già in quei tempi dello stemma, dimorò dal principio del secolo XIV a Cavallermaggiore.

L'arme antica della famiglia era costituita da uno scudo spartito d'azzurro e d'argento al capriolo dell'uno dell'altro. Così è stato sicuramente lo stemma fino al secolo XIV.

Quando l'imperatore Carlo V il 12 aprile 1524, creò Conte Palatino del S.R.I. Stefano Caramelli, titolo trasmissibile per linea retta mascolina, venne aggiunto dallo stesso Imperatore il Capo d'oro caricato dell'aquila di un sol capo spiegata di nero, linguata e diademata di rosso; il cimiero fu la ninfa nascente tra un volo nero.

Il problema più interessante, connesso con lo stemma, è quello del cimiero formato da una ninfa nascente fra un volo di nero.

Per quale leggenda sia sorto il bellissimo cimiero della famiglia Caramelli, è difficile dirlo, non essendo stata conservata una tradizione in proposito; sebbene risvegli per sè una folla di ricordi leggendari del basso medioevo del ciclo franco-teutonico, quando nella vita dei rudi cavalieri chiusi nell'armatura di ferro, che scendevano per la conquista in Italia, intervenivano il maraviglioso delle fate, i sogni delle immense selve oscure che attraversavano, le memorie tradizionalmente portentose ed ingenue delle loro razze di origine.

Da allora lo stemma non è più cambiato ed è il seguente: Partito d'argento e d'azzurro allo scaglione dell'uno all'altro con il capo d'oro caricato dell'aquila spiegata di nero, armata, linguata e diademata di rosso.
Motto: Spera in Deo et fac bonitatem. Lo scudo sarà per i maschi fregiato di ornamenti Comitali col cercine e gli svolazzi d'oro, d'argento e d'azzurro col cimiero di una ninfa nascente tra un volo di nero, e, per le femmine, degli ornamenti speciali femminili e nobiliari.