BREVE DISAMINA DELLA LEGGE 63/01







La legge 1° marzo 2001 n. 63, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 22 marzo 2001, costituisce una legge fondamentale della procedura penale italiana che si pone nella stessa prospettiva della riforma codicistica, caratterizzata dall'assunzione del c.d. modello accusatorio (in tal senso Frigo, La rinascita del modello accusatorio figlia dello scandalo di un codice ripudiato, Guida al diritto n. 13/2001, p. 32): con questa legge, infatti, è stata data finalmente attuazione alla legge costituzionale di riforma dell'art. 111 Cost. che ha introdotto nella costituzione i principi del c.d. giusto processo.

Connessione di procedimenti e collegamento di indagini.

A seguito dell'entrata in vigore della L. 63/01 la connessione di procedimenti disciplinata dall’art. 12 c.p.p. si ha in caso di:
1) concorso di persone nel reato (o cooperazione o determinazione dell’evento con condotte indipendenti): lettera a);
2) concorso formale di reati e continuazione: lettera b);
3) connessione teleologica, in caso di reati commessi gli uni per eseguire o occultare gli altri: lettera c).
E’ stata perciò espunta dal novero dei casi di connessione previsti dalla lettera c) l’ipotesi della connessione occasionale e di quella teleologica in caso di reati commessi per assicurare il profitto, il prezzo, il prodotto o l’impunità.
Tale espunzione ha l’effetto di limitare i casi di competenza determinata dalla connessione: peraltro, tali limitazioni operano solo in relazione ai reati commessi dopo l'entrata in vigore della L. 63/01 (art. 25). In proposito si ricorda che già la giurisprudenza della suprema corte si era volta a limitare l'istituto, affermando in particolare che: 1) in caso di pendenza dei procedimenti in gradi diversi, la connessione non rilevasse ai fini della competenza (Cass. 29/1/1998, Cass. pen. 1999, p. 2226); 2) in caso di concorso di persone, la continuazione rilevasse ai fini della competenza solo a condizione che il medesimo disegno criminoso fosse comune a tutti i concorrenti (Cass. 8/6/1998, Arch. n. proc. pen. 1998, p. 737) e la connessione teleologica rilevasse ai fini della competenza solo a condizione che il reato fine fosse commesso dagli stessi autori del reato mezzo (Cass. 9/3/1995, Arch. n. proc. pen. 1995, p. 671).

Peraltro la stessa riforma legislativa ha ampliato i casi di collegamento di indagini di uffici diversi del pubblico ministero, talchè l’attuale art. 371 comma 2 lettera b) c.p.p. prevede il collegamento predetto nei seguenti casi:
1) connessione probatoria, in caso di influenza della prova di un reato o di una circostanza sulla prova di un altro reato o di un’altra circostanza;
2) connessione occasionale, in caso di reati commessi gli uni in occasione degli altri;
3) connessione reciproca, in caso di reati commessi da più persone in danno reciproco;
4) connessione teleologica, in caso di reati commessi per assicurare a sè o ad altri il profitto, il prezzo, il prodotto o l’impunità.

Riunione di processi.

La riunione di processi disciplinata dall’art. 17 c.p.p. si ha attualmente in caso di:
1) connessione di procedimenti ex art. 12 c.p.p.;
2) collegamento di indagini ex art. 371 comma 2 lettera b) c.p.p.

Si tratta di casi per cui era già consentita in precedenza la riunione: peraltro in precedenza questo istituto era applicabile quando non pregiudicasse la “rapida definizione” dei processi mentre ora è applicabile “quando non determini un ritardo nella definizione degli stessi”: in tal modo, secondo i primi interpreti, il legislatore avrebbe inteso favorire la riunione dei processi ovvero affievolire il principio del favor separationis del codice di rito (così Barazzetta, Cresce il collegamento, la connessione perde pezzi, Guida al diritto n. 13/2001, p. 36).

Interrogatorio dell’indagato.

L’interrogatorio dell’indagato disciplinato dall’art. 64 c.p.p. (cioè sia quello davanti all'A.G. sia quello davanti alla P.G., di iniziativa o su delega del P.M.) deve essere preceduto dai seguenti avvertimenti:
1) l’avvertimento che l’indagato ha la facoltà di non rispondere, salvo che alle domande sull’identità personale (fermo restando che comunque il procedimento seguirà il suo corso);
2) l’avvertimento che le dichiarazioni dell’indagato potranno essere sempre utilizzate nei suoi confronti;
3) l’avvertimento che le dichiarazioni dell’indagato rese su fatti concernenti la responsabilità di altri determinano l’assunzione dell’ufficio di testimone in ordine ai fatti medesimi, salve le incompatibilità con l’ufficio di testimone previste dall’art. 197 c.p.p. e le garanzie previste dall’art. 197 bis c.p.p.

L’inosservanza degli avvertimenti di cui sopra è sanzionata dall’inutilizzabilità delle dichiarazioni dell’indagato; l’inosservanza dell’avvertimento in caso di dichiarazioni contra alios è sanzionata dall’inutilizzabilità delle dichiarazioni del chiamante nei confronti del chiamato e dall’incompatibilità del chiamante con l’ufficio di testimone: peraltro si è sostenuto che l'inutilizzabilità operi solo per le dichiarazioni dell'indagato sfavorevoli al medesimo e non anche per quelle favorevoli, trattandosi di sanzione "di garanzia" (così Amato, Più numerosi gli avvertimenti all'indagato, Guida al diritto n. 13/2001, p. 38).

Testimonianza.

La legge 63/01 ha introdotto numerose modifiche alla disciplina della testimonianza, dell’esame ex art. 503 c.p.p. e ex art. 210 c.p.p. e delle acquisizioni probatorie.

L’ufficio di testimone può essere assunto attualmente anche dai seguenti soggetti:
1) i coimputati dello stesso reato o gli imputati in procedimento connesso per concorso di persone nel reato (cooperazione o determinazione dell’evento con condotte indipendenti), se già sia intervenuta sentenza irrevocabile (di proscioglimento, di condanna o di applicazione di pena ex art. 444 c.p.p.): Amato, cit., p. 40, sostiene che non è sufficiente il provvedimento di archiviazione a motivo della previsione di cui all'art. 414 c.p.p. cioè in ragione della possibilità di riapertura delle indagini (cfr. Manzione, Nuove contestazioni per un reale contraddittorio, Guida al diritto 13/2001, p. 50); Santoro, Il cambio da coimputato a teste esalta in confronto, Guida al diritto 13/2001, p. 42, rileva che non è richiamato anche il decreto penale di condanna e che si parla solo di sentenza di condanna.
2) gli imputati in procedimento connesso per connessione teleologica (in caso di reati commessi gli uni per eseguire o occultare gli altri) o in procedimento collegato ex art. 371 comma 2 lettera b) c.p.p., se già sia intervenuta sentenza irrevocabile o se già abbiano reso dichiarazioni su fatti concernenti la responsabilità dell’imputato: per Santoro, cit., 43, l'obbligo di deporre  trova comunque un limite invalicabile nell'oggetto delle dichiarazioni rese precedentemente; inoltre per Santoro, cit., p. 44, l'obbligo di deporre trova un ulteriore limite invalicabile nella natura delle dichiarazioni rese precedentemente, che devono quanto meno "interferire negativamente sulla posizione processuale" dell'imputato; sempre per Santoro, cit., p. 44, l'obbligo di deporre non trova però un limite invalicabile nella alterità del procedimento nel quale le dichiarazioni sono state rese precedentemente, perchè queste possono essere anche rese nel medesimo procedimento (il c.d. processo cumulativo); infine per Santoro, cit., p. 43, merita sottolineatura la novità dell'ingresso dell'imputato in procedimento connesso per connessione reciproca tra i soggetti incompatibili con l'ufficio di testimone (salvo che sussistano le condizioni che escludono l'incompatibilità).
In sostanza, l'irrevocabilità della sentenza diviene il (principale) cardine dell'ufficio di testimone dell'imputato: ciò potrà dissuadere quest'ultimo dall'accedere ai riti alternativi per evitare un rapido passaggio in giudicato della sentenza nel processo proprio e salvaguardare il proprio diritto al silenzio nel processo altrui (di qui la critica per l'"eccessiva ampiezza dell'obbligo di testimoniare": così Santoro, cit., p. 42, secondo cui questo obbligo si pone in rapporto problematico con l'art. 111 Cost. nella parte in cui si parla di "volontaria e libera scelta" di sottrarsi all'interrogatorio di altro imputato).
Gli imputati in procedimento connesso o collegato ex art. 371 comma 2 lettera b) c.p.p. che non possono assumere l’ufficio di testimone possono essere sottoposti all’esame ex art. 210 c.p.p.: in tal caso, peraltro, gli imputati in procedimento connesso per connessione teleologica (in caso di reati commessi gli uni per eseguire o occultare gli altri) o in procedimento collegato ex art. 371 comma 2 lettera b) c.p.p., che in quanto già non abbiano reso dichiarazioni su fatti concernenti la responsabilità dell’imputato non assumono l’ufficio di testimone, lo assumono se, nonostante l'avvertimento di cui all’art. 64 c.p.p. (cioè che assumono l'ufficio di testimone se rendono dichiarazioni contra alios), non si avvalgano della facoltà di non rispondere (si tratta di un caso definito di "testimonianza volontaria": così Santoro, cit., p. 46). Le predette disposizioni sull'esame ex art. 210 c.p.p. sono estese espressamente all'interrogatorio ex art. 363 c.p.p. cioè all'interrogatorio dell'imputato in procedimento connesso da parte del p.m.

L’ufficio di testimone da parte dei predetti soggetti comporta l’obbligo di deporre salvo che per:
1) gli imputati in procedimento connesso o collegato ex art. 371 comma 2 lettera b) c.p.p., se abbiano negato la propria responsabilità o se non abbiano reso dichiarazioni e se già sia intervenuta sentenza irrevocabile di condanna emessa in giudizio (per cui è esclusa l'applicazione della norma di garanzia in caso di sentenza di applicazione di pena ex art. 444 c.p.p.: v. Santoro, cit., p. 46, cfr. una prima pronuncia del tribunale di Sanremo, l'ord. 10/4/2001, secondo cui il legislatore, nel contesto di uno stesso articolo di legge, non può, senza ragione, formulare al primo comma dell'art. 197 bis c.p., peraltro richiamato anche dal quarto, tre ipotesi tenendo distinta la condanna non solo dal proscioglimento ma anche dal patteggiamento, per poi abbandonare tale distinzione nel successivo comma 4; inoltre, è ritenuta dubbia l'applicazione della norma medesima in caso di sentenza in giudizio abbreviato ex art. 438 c.p.p.: v. Santoro, cit., p. 46; in proposito, può dirsi altresì che l'esclusione dell'applicazione della norma di garanzia potrebbe essere messa in relazione con la possibilità di revisione, ammessa solo per la sentenza irrevocabile di condanna e non anche per quella di applicazione di pena su richiesta: v. Cassazione Sezioni Unite, sent. 25/3/1998 n. 6);
2) gli imputati in procedimento connesso per connessione teleologica (in caso di reati commessi gli uni per eseguire o occultare gli altri) o in procedimento collegato ex art. 371 comma 2 lettera b) c.p.p. i quali già abbiano reso dichiarazioni su fatti concernenti la responsabilità dell’imputato, se debbano rendere dichiarazioni su fatti concernenti la propria responsabilità.
In sostanza, escludendo tale obbligo di deporre, il legislatore ha inteso evitare che il dichiarante si trovi costretto alla confessione e ciò in ossequio al canone nemo tenetur se detegere; tuttavia gli imputati in procedimento connesso o collegato ex art. 371 comma 2 lettera b) c.p.p., per i quali già sia intervenuta sentenza irrevocabile di proscioglimento (nonchè, come si è visto, di patteggiamento e forse anche di condanna emessa in udienza preliminare all'esito di un giudizio abbreviato), hanno l'obbligo di deporre e quindi eventualmente anche quello di confessare (smentendo le dichiarazioni rese nel loro procedimento e così privando di fondamento etico il loro proscioglimento: v. Santoro, cit., p. 46).

L’ufficio di testimone da parte dei soggetti predetti prevede le garanzie per il dichiarante di cui all'art. 197 bis commi 3 e 5 c.p.p. cioè:
1) l’assistenza di un difensore (anche se, diversamente dal caso dell'esame ex art. 210 c.p.p., il difensore non partecipa all'esame dell'assistito e quindi non può fare proprie domande ma può solo opporsi alle altrui domande);
2) l’inutilizzabilità contra se in altro procedimento penale, civile o amministrativo delle dichiarazioni rese come testimone (anche se non è prevista espressamente l'inutilizzabilità nel procedimento disciplinare).
In sostanza, prevedendo tali garanzie, il legislatore ha inteso evitare che il dichiarante possa essere pregiudicato dalle dichiarazioni obbligato a rendere quale testimone.

L’ufficio di testimone da parte dei soggetti predetti prevede le garanzie per l'imputato di cui all’art. 192 comma 3 c.p.p. cioè:
1) verifica dell’attendibilità soggettiva del dichiarante;
2) verifica dell’attendibilità intrinseca della dichiarazione;
3) verifica dell’attendibilità estrinseca della dichiarazione.
In sostanza, prevedendo tali garanzie, il legislatore ha inteso evitare che, di fronte alle dichiarazioni del testimone-imputato, l'imputato non possa valersi della tradizionale disciplina garantista della valenza probatoria della chiamata di correo.

L’ufficio di testimone da parte di ufficiali e agenti di polizia giudiziaria prevede le seguenti limitazioni:
1) il divieto di deposizioni sul contenuto delle dichiarazioni di testimoni che siano state acquisite come sommarie informazioni o come denunce o querele nella fase delle indagini preliminari;
2) l’inutilizzabilità di deposizioni sul contenuto delle dichiarazioni di informatori che non siano esaminati come testimoni nella fase del dibattimento o che non siano interrogati o sentiti a sommarie informazioni nelle fasi diverse dal dibattimento.
In sostanza, prevedendo tali limitazioni, il legislatore ha inteso evitare che il teste introduca nel giudizio elementi di prova su cui il contraddittorio non si svolga compiutamente (estendendo ora alle fasi anteriori al dibattimento la sfiducia per le deposizioni sulle dichiarazioni di informatori).

L’esame del testimone o l’esame ex art. 210 c.p.p. nell’ambito di procedimenti per i delitti di cui all’art. 51 comma 3 bis c.p.p. (o per i delitti di cui agli art. 600 bis primo comma, 600 ter, 600 quater, 600 quinquies, 609 bis, 609 ter, 609 quater, 609 quinquies e 609 octies c.p.) è ammesso nei seguenti casi:
1) il teste o l’imputato ex art. 210 c.p.p. non ha già reso dichiarazioni in incidente probatorio o in dibattimento nel contraddittorio coll’imputato ovvero dichiarazioni contenute in verbali acquisiti al fascicolo del dibattimento;
2) il teste o l’imputato ex art. 210 c.p.p. ha già reso le dichiarazioni predette ma è sentito su fatti o circostanze diversi da quelli oggetto delle precedenti dichiarazioni ovvero il giudice o le parti ritengono necessaria la testimonianza o l'esame per specifiche esigenze (come la necessità di misurare le dichiarazioni predette con le acquisizioni probatorie del dibattimento: così Marzaduri, Nuove contestazioni per un reale contraddittorio, Guida al diritto n. 13/2001, p. 50).
In sostanza, prevedendo le deroghe da ultimo menzionate, il legislatore ha inteso evitare che il teste, di cui in generale si tende ad evitare la c.d. "usura" ingenerata dalla reiterazione delle audizioni,  possa non essere risentito nel caso in cui l'imputato ne ritenga necessaria l'audizione.

L'esame ex art. 500 c.p.p. è assunto mediante domande e contestazioni.
La disciplina delle contestazioni e dell'utilizzazione delle dichiarazioni oggetto di contestazione è la seguente:
1) le parti si servono delle dichiarazioni già rese dal testimone e contenute nel fascicolo del p.m.;
2) il presidente può ordinare l’esibizione del verbale nella parte relativa alle dichiarazioni oggetto di contestazione (per cui, diversamente a quanto previsto dalla giurisprudenza previgente, il provvedimento del presidente non comporta l'acquisizione del verbale nella sua integralità: v. Gentile, Il testimone non risponde: impossibile contestare le dichiarazioni precedenti, Diritto & giustizia 23/5/2001; Marzaduri, cit., p. 54, sostiene che, al fine di verificare la correttezza delle contestazioni, che potrebbero estrarre maliziosamente talune affermazioni dal loro contesto, il presidente può prendere cognizione del verbale non solo nella parte indicata dall'esaminatore ma anche nella parte ulteriore comunque relativa alle dichiarazioni oggetto di contestazione, e quindi al di là delle indicazioni dell'esaminatore stesso);
3) le dichiarazioni oggetto di contestazione sono valutate solo ai fini della credibilità del teste (soluzione che ha prevalso rispetto a quella più ampia - per cui le stesse dichiarazioni possano essere acquisite al fascicolo del dibattimento e valutate ai fini della prova - e che è stata criticata da taluni commentatori perchè non sarebbe affatto imposta dall'art. 111 Cost.: così Manzione, cit., p. 54);
4) le dichiarazioni oggetto di contestazione sono acquisite al fascicolo del dibattimento e valutate ai fini della prova nel caso in cui vi siano elementi concreti per ritenere che il testimone sia stato sottoposto a violenza, minaccia, offerta o promessa di denaro o di altra utilità per non deporre o per deporre il falso (previo accertamento incidentale su richiesta di parte).
5) le dichiarazioni oggetto di contestazione sono acquisite al fascicolo del dibattimento e valutate ai fini della prova nel caso in cui siano state assunte dal g.u.p. all’udienza preliminare.

L'utilizzazione delle dichiarazioni già rese dal testimone è disciplinata nel seguente modo (art. 500 commi 3 e 7 c.p.p.):
1) le dichiarazioni già rese dal testimone nelle indagini preliminari sono acquisite al fascicolo del dibattimento e valutate ai fini della prova se vi sia l’accordo delle parti (altrimenti, non sono acquisite nè valutate ai fini della prova);
2) le dichiarazioni già rese dal testimone al dibattimento sono valutate ai fini della prova se il testimone non si sottragga all’esame di taluna delle parti (altrimenti, non sono valutate ai fini di prova nei confronti della parte al cui esame il testimone si è sottratto, ancorchè siano valutate ai fini di prova nei confronti delle altre parti: per Manzione, cit., p. 55, tra le parti in questione non è ricompreso il p.m.).

Esame ex art. 503 c.p.p.

L’esame ex art. 503 c.p.p. è assunto in generale secondo le modalità proprie della testimonianza.
La disciplina delle contestazioni si applica infatti anche all’esame ex art. 503 c.p.p. con le seguenti precisazioni:
1) le dichiarazioni contra se oggetto di contestazione sono valutate ai fini della credibilità della parte, salvo che si tratti di dichiarazioni assunte dal g.i.p., dal g.u.p., dal p.m. o dalla p.g. delegata cui il difensore aveva diritto di partecipare (che sono acquisite al fascicolo del dibattimento e valutate ai fini della prova);
2) le dichiarazioni contra alios oggetto di contestazioni sono valutate ai fini della credibilità della parte: così Marzaduri, cit., p. 58, secondo cui deve applicarsi in tal caso la disciplina dell'art. 500 comma 2 c.p.p.

L'utilizzazione delle dichiarazioni già rese dall'imputato nello stesso procedimento è disciplinata nel seguente modo (art. 513 comma 1 c.p.p.):
1) le dichiarazioni già rese dall'imputato contra se sono acquisite al fascicolo del dibattimento e valutate ai fini della prova nei confronti dell'imputato nel caso in cui lo stesso sia contumace o assente o si rifiuti di deporre;
2) le dichiarazioni già rese dall'imputato contra alios non sono acquisite al fascicolo del dibattimento e valutate ai fini di prova nei confronti dei coimputati nel caso in cui lo stesso sia contumace o assente o si rifiuti di deporre, salvo che vi siano elementi concreti per ritenere che l'imputato sia stato sottoposto a violenza, minaccia, offerta o promessa di denaro o di altra utilità per non deporre o per deporre il falso (previo accertamento incidentale su richiesta di parte).

Esame ex art. 210 c.p.p.

L’esame ex art. 210 comma 1 c.p.p. è pure assunto secondo le modalità proprie della testimonianza, salva l'assistenza del difensore (art. 210 comma 3 c.p.p.) e salva la facoltà di non rispondere (art. 210 comma 4 c.p.p.).
Ad esso si applica la disciplina dell'art. 500 c.p.p.: v. art. 210 comma 5 c.p.p.; cfr. Marzaduri, cit., p. 58.

L'utilizzazione delle dichiarazioni già rese dal concorrente imputato in procedimento connesso che non assuma l'ufficio di testimone è disciplinata nel seguente modo (art. 513 comma 2 c.p.p.):
1) le dichiarazioni già rese dall'imputato ex art. 210 comma 1 c.p.p. che non si presenti o non possa comunque essere esaminato sono acquisite al fascicolo del dibattimento e valutate ai fini della prova (salvo quanto previsto dall'art. 526 c.p.p.: v. ultra) solo nel caso in cui l'impossibilità dell'esame dell'imputato ex art. 210 comma 1 c.p.p. dipenda da fatti o circostanze imprevedibili al momento delle dichiarazioni originarie;
2) le dichiarazioni già rese dall'imputato ex art. 210 comma 1 c.p.p. che si avvalga della facoltà di non rispondere sono acquisite al fascicolo del dibattimento e valutate ai fini della prova solo nel caso in cui vi sia l'accordo delle parti.

L’esame ex art. 210 comma 6 c.p.p. è pure assunto secondo le modalità di cui sopra, tenedo presente peraltro che l'imputato ex art. 210 comma 6 c.p.p. assume l'ufficio di testimone se, nonostante l'avvertimento di cui all’art. 64 c.p.p. (cioè che assumerà l'ufficio di testimone se renderà dichiarazioni contra alios), non si avvalga della facoltà di non rispondere.

Verbali di prove.

I verbali di prove di altri procedimenti sono acquisibili al fascicolo del dibattimento e utilizzabili ai fini della prova (salvo quanto previsto dall'art. 526 c.p.p.: v. ultra) nei seguenti casi alternativi:
1) il difensore dell’imputato abbia partecipato all’assunzione della prova (laddove prima della riforma la disposizione si riferiva soltanto ai verbali di dichiarazioni rese da imputati ex art. 210 c.p.p. e non a qualsiasi verbale di dichiarazioni): Marzaduri, cit., p. 49, evidenzia che la partecipazione all'assunzione della prova in altro procedimento avviene di regola in relazione a diversa imputazione, sicchè la estraneità e quindi la irrilevanza di tale prova in tale altro procedimento può indurre il difensore dell'imputato a non contribuire effettivamente (ed efficacemente) alla sua formazione;
2) la sentenza civile faccia stato nei confronti dell’imputato;
3) l’atto verbalizzato sia originariamente irripetibile o lo sia divenuto per fatti o circostanze sopravvenute ed imprevedibili (laddove prima della riforma la disposizione si riferiva agli atti irripetibili per cause sopravvenute, fossero esse imprevedibili o meno): Manzione, cit., p. 53, evidenzia che la imprevedibilità di tale irripetibilità deve essere valutata in rapporto al momento del compimento dell'atto;
4) l’imputato consenta all’acquisizione di verbali in questione.
In ogni altro caso i verbali di prove di altri procedimenti sono utilizzabili solo per le contestazioni.
Resta fermo il diritto delle parti di ottenere l'esame delle persone i cui verbali di dichiarazioni siano stati acquisiti, salvi i limiti di cui alle già viste disposizioni in materia di procedimenti per i delitti di cui all’art. 51 comma 3 bis c.p.p. (o per i delitti di cui agli art. 600 bis primo comma, 600 ter, 600 quater, 600 quinquies, 609 bis, 609 ter, 609 quater, 609 quinquies e 609 octies c.p.).
In sostanza, il legislatore si è preoccupato di evitare, per quanto possibile, che la "circolazione della prova" tra i processi possa andare a discapito del contraddittorio e quindi delle esigenze dell'art. 111 Cost.

Norma di chiusura in materia di prove.

L’art. 526 novellato costituisce norma di chiusura che, riportando letteralmente il testo dell’art. 111 Cost., prevede espressamente che la colpevolezza dell’imputato non può essere provata sulla base di dichiarazioni rese da chi, per libera scelta, si è sempre volontariamente sottratto all’esame da parte dell’imputato o del suo difensore: la norme può trovare applicazione concreta in caso di dichiarazioni rese da soggetto resosi irreperibile per libera scelta, delle quali è consentita l'acquisizione al fascicolo del dibattimento e la valutazione ai fini della prova (art. 512 c.p.p.).

Misure cautelari.

L’art. 273 c.p.p., che disciplina le condizioni generali di applicabilità delle misure cautelari personali, prevede ora espressamente che i gravi indizi di colpevolezza devono essere valutati in base alle seguenti disposizioni:
1) art. 192 comma 3 e 4 c.p.p., per cui per i fini in questione è necessario che la chiamata di correo sia assistita da attendibilità soggettiva, intrinseca e estrinseca;
2) art. 195 comma 7 c.p.p., per cui sempre per i fini in questione è necessario che la testimonianza indiretta indichi la persona o la fonte da cui ha appreso la notizia dei fatti oggetto di deposizione;
3) art. 203 c.p.p., per cui sempre per i fini in questione è necessario che la testimonianza indiretta dell’ufficiale o dell’agente di polizia giudiziaria sulla notizia appresa da informatori riveli i nomi di questi ultimi e gli stessi siano sentiti;
4) art. 271 comma 1 c.p.p., per cui per i fini in questione è necessario che le intercettazioni telefoniche o ambientali siano state eseguite nei casi consentiti dalla legge o con l’osservanza delle disposizioni di cui agli art. 267 e 268 commi 1 e 3 c.p.p.

L’art. 294 c.p.p., che disciplina l'interrogatorio di garanzia della persona in stato di custodia cautelare, ha ora trasformato la facoltà del difensore di intervenire all’interrogatorio medesimo in un obbligo.

Mezzi di prova.

L’art. 267 c.p.p., che disciplina i presupposti di autorizzabilità delle intercettazioni, prevede ora espressamente che i gravi indizi di colpevolezza devono essere valutati in base all'art. 203 c.p.p., per cui per i fini in questione è necessario che la testimonianza indiretta dell’ufficiale o dell’agente di polizia giudiziaria sulla notizia appresa da informatori riveli i nomi di questi ultimi e gli stessi siano sentiti.

L’art. 13 L. 203/91, che disciplina i presupposti di autorizzabilità delle intercettazioni nei procedimenti per delitti di criminalità organizzata, prevede ora espressamente che i sufficienti indizi di colpevolezza devono essere valutati in base all'art. 203 c.p.p., per cui per i fini in questione è necessario che la testimonianza indiretta dell’ufficiale o dell’agente di polizia giudiziaria sulla notizia appresa da informatori riveli i nomi di questi ultimi e gli stessi siano sentiti.

Procedimenti speciali.

L’art. 456 c.p.p., che disciplina il decreto di giudizio immediato, prevede ora che il termine di comparizione è di trenta giorni (rispetto ai venti originari).

L’art. 458 c.p.p., che disciplina la richiesta di giudizio abbreviato nell’ambito del giudizio immediato, prevede ora che il termine per il deposito della richiesta è di quindici giorni (rispetto ai sette originari). In tal modo il legislatore ha inteso escludere ogni profilo di lesione del diritto alla c.d. difesa tecnica, delineato in passato da alcuni interpreti e peraltro sempre escluso dalla Corte costituzionale ma riproposto dal comma 3 dell'art. 111 Cost. ("la legge assicura che la persona accusata di un reato ... disponga del tempo e delle condizioni necessari per preparare la sua difesa"); il problema era in concreto spinoso perchè la richiesta di giudizio immediato da parte del pubblico ministero doveva (e deve) essere preceduta dall'interrogatorio dell'indagato ma non anche dall'avviso di conclusione delle indagini preliminari ex art. 415 bis c.p.p. (v. Bricchetti, Tempi più ampi per accedere al giudizio abbreviato, Guida al diritto 13/2001, p. 64) e che quindi la discovery aveva (ed ha) luogo solo dopo la notificazione del decreto di giudizio immediato.

Disposizioni sostanziali.

L'art. 20 L. 63/01 ha introdotto una nuova figura di reato, inserendo nel codice penale l'art. 377 bis c.p.: si tratta del delitto di induzione a non rendere dichiarazioni o a rendere dichiarazioni mendaci all'autorità giudiziaria (definita anche "subornazione speciale": così Forlenza, Punita l'induzione a rendere dichiarazioni mendaci, Guida al diritto 13/2001, p. 66).
Il reato si distingue dalla subornazione vera e propria perchè è reato di danno e non di pericolo e quindi occorre che determini l'astensione dalle dichiarazioni o la resa di dichiarazioni mendaci cioè che l'induzione abbia luogo effettivamente, talchè è configurabile il tentativo, escluso nel caso della subornazione, che è invece reato di pericolo; come per la subordinazione, peraltro, occorre che la persona offesa abbia già assunto la qualità di persona chiamata a rendere le dichiarazioni davanti all'A.G.: contra Forlenza, cit., p. 66.
La pena è severa, il legislatore comminando la reclusione da due a sei anni: la pena è la stessa sia che la dichiarazione omessa o mendace interessi il p.m. o il giudice (mentre la falsa testimonianza di cui all'art. 372 c.p. è punita più severamente delle false dichiarazioni al p.m. di cui all'art. 371 bis c.p.).
La previsione di tale reato completa la disciplina processuale degli artt. 500 e 513 c.p.p. che riguardano le ipotesi in cui il teste o l'imputato siano stati sottoposti a violenza, minaccia, offerta o promessa di denaro o di altra utilità per non deporre o per deporre il falso.

L'art. 21 ha invece introdotto un nuovo caso di non punibilità degli autori di delitti contro l'amministrazione della giustizia: si tratta dell'ipotesi in cui il soggetto attivo non avrebbe potuto essere obbligato a deporre o comunque a rispondere.
La previsione di tale ulteriore caso di non punibilità completa la disciplina processuale degli art. 197 e 197 bis c.p.p.

Disposizioni transitorie.

L'art. 25 L. 63/01 prevede che una disposizione transitoria speciale, secondo cui le disposizioni in tema di connessione ai fini della competenza per materia e per territorio si applicano solo per i reati commessi dopo l'entrata in vigore della legge stessa.
L'art. 26 L. 63/01 prevede una disciplina transitoria generale, che è improntata sul principio fondamentale che ai processi penali in corso alla data di entrata in vigore della legge si applica la disciplina della legge medesima, evidentemente in ogni sua parte. Tra le disposizioni della L. 63/01 che è bene tener presente in questa sede è l'art. 64 comma 3 bis c.p.p. nella parte in cui prevede che "in mancanza dell'avvertimento di cui al comma 3 lettera c), le dichiarazioni eventualmente rese dalla persona interrogata su fatti che concernono la responsabilità di altri non sono utilizzabili nei loro confronti e la persona interrogata non potrà assumere, in ordine a detti fatti, l'ufficio di testimone": tale disposizione, infatti, può ben comportare che i chiamanti in correità che abbiano già effettuato la chiamata prima dell'entrata in vigore della riforma in esame siano irrimediabilmente "bruciati" come testimoni in quanto in occasione delle dichiarazioni contra alios non sono stati ovviamente avvertiti ai sensi dell'art. 64 comma 3 lettera c) c.p.p.
Sono previste, però, alcune disposizioni che mirano a temperare l'applicazione della legge in questione nei procedimenti in corso, disposizioni che, per la loro natura di norme eccezionali, evidentemente non si applicano oltre i casi e i tempi in esse considerati (art. 14 preleggi).
I. Così è previsto che se il procedimento è ancora nella fase delle indagini preliminari il pubblico ministero provvede a rinnovare l'esame dei soggetti indicati negli art. 64 e 197 bis c.p.p., secondo le forme ivi previste: parrebbe, questo, l'unico caso in cui non sussista incompatibilità con l'ufficio di testimone ai sensi dell'art. 64 comma 3 bis c.p.p. da parte di chi abbia precedentemente reso dichiarazioni contra alios senza il previo avvertimento di cui al comma 3 lettera c). Delle dichiarazioni contra alios precedentemente rese ed eventualmente non confermate in sede di rinnovazione dell'esame è esclusa l'utilizzabilità (cfr. Santoro, Un regime transitorio indebolito dalle deroghe, Guida al diritto n. 13/2001, p. 74).
II. Inoltre è previsto che le dichiarazioni rese nel corso delle indagini preliminari o all'udienza preliminare e già acquisite al fascicolo per il dibattimento sono valutate a norma del previgente art. 500 commi 3, 4, 5 e 6 c.p.p. (e quindi come prova dei fatti in esser affermati se sussistono altri elementi di prova che ne confermano l'attendibilità ovvero quando il teste è stato sottoposto a violenza, minaccia, offerta o promessa di denaro o altra utilità affinchè non deponga o deponga il falso o risultano altre situazioni che hanno compromesso la genuinità dell'esame ovvero quando le dichiarazioni sono state assunte dal giudice a norma dell'art. 422 c.p.p. all'udienza preliminare): tuttavia se le dichiarazioni predette sono state rese da chi, per libera, scelta, si è sempre volontariamente sottratto all'esame dell'imputato o del difensore, le stesse sono valutate come prova solo se la loro attendibilità è confermata da altri elementi di prova, assunti o formati con diverse modalità, e a condizione che siano state acquisite al fascicolo per il dibattimento prima del 25/2/2000; nel caso in cui siano state acquisite successivamente, si applica l'art. 526 comma 1 bis c.p.p. che ne esclude la rilevanza probatoria ai fini della colpevolezza dell'imputato (mentre potrebbero essere utilizzate per provare la non colpevolezza dello stesso: così Santoro, Un regime transitorio indebolito dalle deroghe, Guida al diritto n. 13/2001, p. 76).
III. E' poi previsto che nel giudizio dinnanzi alla corte di cassazione alle dichiarazioni acquisite al fascicolo per il dibattimento e già valutate ai fini delle decisioni si applicano le disposizioni in materia di valutazione della prova vigenti al momento delle decisioni stesse.
IV. Infine, appare discutibile la scelta del legislatore di rendere le nuove disposizioni del tutto inefficaci rispetto ai processi già definiti con sentenza irrevocabile (così Santoro, Un regime transitorio indebolito dalle deroghe, Guida al diritto n. 13/2001, p. 77).

Sanremo, 25 maggio 2001 


Eugenio Aluffi