GIORDANO BRUNO (1548-17 Febbraio 1600)



Nell'A.D. 1589 ad Helmstedt (Bassa Sassonia), Giordano Bruno scrisse il libro "La Medicina Lulliana", completato nella primavera del 1590.
L'opera tratta l' applicazione pratica del Sistema Lulliano nell'ambito dell'astrologia medica, attraverso l'analisi delle tesi di Raimondo Lulli (1235-1315), contenute nel testo intitolato "Explanatio Compendiosaque Applicatio Artis Illuminati Doctoris Magistri Raymundi Lulli", edito dal Francescano Bernardo de Lavinheta (la cui morte viene collocata nel 1517). L'opera di Bruno ha come premessa l'assunto che il benessere/malattia è determinato dall'equilibrio di quattro elementi, il fuoco, l'aria, l'acqua e terra; è altresì determinato dal loro modo di manifestarsi: umido/caldo, caldo/secco, secco/freddo, freddo/umido. Avvalendosi degli studi di astrologia applicati all'arte medica, Giordano Bruno intese dare al mondo, con la sua opera originale, una visione della natura interamente viva e densa di magia e spiritualità. Dal momento che le forze astrali sono in armonia con la natura umana, Bruno volle trovare in esse una possibilità terapeutica, sviluppando una particolare medicina astrale, capace di curare il corpo dell'uomo attraverso la sua mente.
Nel corso del processo della Santa Inquisizione tenutosi a Roma, Giordano Bruno riconfermò con forza, davanti all'Inquisitore Cardinale Roberto Bellarmino, la indiscutibile connessione tra l'arte medica e l'astrologia. Secondo le conclusioni a cui giunse l'Inquisizione, il contenuto del libro la "Medicina Lulliana", così come per le altre opere del Bruno, in particolar modo il "De Rerum Principiis", era da considerarsi frutto di magia, in ultimo analisi di stregoneria.
Alla fine del lungo processo, Giordano Bruno, dopo aver ascoltato immobile la sentenza, fissando negli occhi i suoi persecutori, pronunciò le ultime parole: "Maiori forsan cum timore sententiam in me fertis quam ego accipiam"

“Forse pronunciate questa sentenza contro di me con più paura di quella che provo io nell’accoglierla”.



Apollonio di Tiana insegnava che l’Anima, rivestita dal corpo, dopo aver sperimentato l’infanzia, la giovinezza e la vecchiaia, lo abbandona per rivestirne un altro dopo un certo periodo.“...Nessuno muore se non in apparenza, come nessuno nasce che in apparenza. In effetti il passaggio dall’essenza alla sostanza, ecco ciò che da alcuni è stato chiamato nascere; e così ciò che è stato chiamato morire, non è altro invece che il passaggio dalla sostanza all’essenza. Nulla nasce e nulla muore in realtà. Il visibile diventa invisibile….”.

 Il sapiente affronterà la morte non per eroismo e neanche per affermare un diritto ad una libertà di pensiero, ma semplicemente per difendere i propri principi: “Morire per la libertà, infatti, è prescritto dalle leggi; per i parenti, per i figli, per il proprio amore è imposto dalla natura: e tutti gli uomini obbediscono alla natura e alla legge, alla natura di loro volontà, alla legge per forza. Ma ai sapienti s’addice piuttosto di morire per gli ideali, a cui si sono dedicati. Questi non li istituì la legge, né li generò innati la natura, bensì furono essi a praticarli grazie alla loro forza d’animo e al loro coraggio. In difesa di questi principi, se vengono violati, il sapiente affronti il fuoco, affronti la scure, poiché nulla di tutto ciò potrà vincerlo, né avvolgerlo nelle spire della menzogna: ma egli si terrà stretto a tutto il suo sapere non diversamente che se fosse iniziato ai misteri”.

Giordano Bruno va considerato come lo strenuo difensore delle proprie idee, secondo l’inviolabile dignità della sapienza.

"Intrepido, fendo lo spazio con le mie ali e la fama non mi fa urtare contro mondi tratti da falsi principi, secondo i quali rimarremmo rinchiusi in una prigione immaginaria come se tutto fosse cinto da muraglie di ferro". (De Immenso)

Nell' Aprile del 1599, in uno degli ultimi interrogatori prima dell'esecuzione, i Giudici della Santa Inquisizione chiesero a G. Bruno di chiarire verbalmente le sue idee sulla Cosmogonia, elaborate peraltro nei suoi testi "La Cena delle ceneri" e " De L'Infinito Universo et Mundi" (1584).

F.287,"Circa motum terrae sic dicit: Prima generalmente dico ch’il moo et la cosa del moto della terra e della immobilità del firmamento o cielo sono da me prodotte con le sue raggioni et autorità le quali sono certe, e non pregiudicano all’autorità della divina scrittura [...]. Quanto al sole dico che niente manco nasce e tramonta, né lo vedemo nascere e tramontare, perché la terra se gira circa il proprio centro, che s’intenda nascere e tramontare [... ])."
La vicenda processuale della Santa Inquisizione contro le idee di Bruno si protrae per otto lunghi anni prima di scegliere anch’egli, come Apollonio di Tiana, di sparire da questo mondo pur di difendere il proprio pensiero. A coloro che domandavano: “E perché non temi Nerone?”, Apollonio rispondeva: “Perché il dio che ha concesso a lui di ispirare paura, a me ha concesso di non provarla”. Sembra ricordare lo sprezzante monito che Bruno rivolse ai suoi carnefici dopo aver ascoltato, impassibile, il verdetto dell' Inquisizione.
Nelle prime ore del mattino di venerdi 17 febbraio del 1600 si vide a Roma una processione scendere verso piazza Campo dei Fiori, la piazza dove la Santa Romana Chiesa bruciava sul rogo i suoi figli eretici. Giordano Bruno fu portato al rogo vestito come un eretico e "la sua lingua bloccata per le sue empie parole". Quando le fiamme avvolsero il suo corpo non si sentì un lamento e nel momento in cui un crocefisso fu portato verso la sua bocca, egli girò gli occhi lontano. Alla fine, quando il fuoco terminò la sua opera e si spense, le ceneri di Bruno furono gettate nel fiume Tevere.
Nel 1603 tutte le Opere di Giordano Bruno furono inserite dall'Inquisizione nell' Index Librorum Prohibitorum.

"Ho combattuto ed è tanto: ritenni di poter vincere... ma natura e sorte studio e sforzi repressero. Ma già è qualcosa esser sceso in lotta, poiché vedo che in mano al fato è la vittoria. Fu in me quanto era possibile e che nessun venturo secolo potrà negarmi: ciò che di proprio un vincitore poteva dare; non aver avuto timore della morte, non essersi sottomesso, fermo il viso, a nessuno che mi fosse simile; aver preferito morte coraggiosa a vita pusillanime".

(De Monade, 1591)
Dopo sedici anni, nelle stesse sale dove Giordano Bruno fu interrogato dall'Inquisizione sul rapporto tra scienza e fede, lo stesso cardinale Bellarmino, che contestava le tesi di G. Bruno, interrogava anche Galileo Galilei, nel famoso processo inquisitorio che si concludeva, invece, con l' Abiura dell'Inquisito.
"Io, Galileo, essendo nel mio settantesimo anno, essendo prigioniero e in ginocchio, davanti ai Cardinali, avendo davanti agli occhi il santo Vangelo, che tocco con le mie mani, abiuro, maledico, e detesto l'errore e l'eresia del movimento della Terra. "
L'Abiura permise a Galileo di ottenere gli arresti presso la propria casa ove rimase fino alla sua morte. (Abstract)
Prof. Camillo Di Cicco, MD American Association for the History of Medicine

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Heresy and Science in the Middle Ages - C. Di Cicco