Un anno fa, il 9 febbraio del 2009, si spegeneva Eluana Englaro, la donna che ha vissuto per 17 anni in stato vegetativo a seguito di un brutto incidente stradale. Da metà gennaio dello stesso anno fino al giorno della sua morte, in Italia non si parlò d'altro. Il Parlamento discusse persino sulla possibilità di approvare una norma che bloccasse la sentenza del tribunale (TAR) che aveva chiesto alla Regione Lombardia di individuare un luogo adatto nel rispetto di quanto precedentemente emanato dalla Corte di Cassazione, ovvero l'autorizzazione al papà di Eluana ad interrompere l'alimentazione assistita. Sembrava che l'approvazione di una legge per regolare la facoltà di interrompere l'alimentazione assistita fosse urgentissima. Il "caso Eluana" arrivò a produrre lo scontro istituzionale tra il Presidente Napolitano e B, il quale minacciò persino di procedere ad una modifica della costituzione. Eluna morì e di quella legge non si parlò più. Tanto urgente quindi non lo era e evidentemente chi strumentalizzò quei tragici giorni lo fece unicamente per motivi di politica-meschina. E invece l'urgenza c'era e c'è tutt'ora. Una legge che permetta di "regolamentare" il fine-vita è assolutamente necessaria. L'assenza di norme di comportamento provocano continue ingerenze tra religione e società civile, provocando situazioni di fatto (illegali) e figlie dell'ipocrisia del "non vedo non so". Una legge sul "testamento biologico" è più che mai urgente, ma è chiaro che in uno Stato non confessionale come "dovrebbe" essere il nostro il principio da applicare è quello della libertà garantita di interrompere, in determinate circostanze, l'alimentazione. Chi si oppone a questa libertà, ha un'idea confessionale dello Stato, molto vicino a certi atteggiamente integralisti di altre religioni e ad un concetto di Stato illiberale pervasivo della vita privata delle persone, tipico dei regimi del socialismo reale. |