Il prossimo 22 aprile sarà il
centenario dalla nascita di Indro Montanelli, probabilmente il più grande giornalista della storia italiana. <
span style="font-size:85%;color:#000000;">Montanelli è uno che le ha vissute tutte. Agli inizi degli anni del "consenso" al fascismo partì come volontario per l'Abissinia e si infatuò delle "faccette nere" tanto da sposarne una di soli 12 anni, versando al padre un compenso in denaro secondo di costumi allora vigenti. Ma la simpatia con il fascismo durò poco e nel 1936, durante le sue corrispondenze nella guerra civile spagnola,
assunse posizioni fortemente critiche verso il regime e questo proprio all'apice del consenso del fascismo in Italia, dimostrando già allora la capacità
di interpretare la realtà al di là di ogni barriera ideologica e di rischiare in prima persona per la sua obiettività. <
span style="font-size:85%;color:#000000;">Ovviamente fu radiato dall'albo dei giornalisti e sospeso dal Partito fascista. Fece parecchie corrispondenze dai fronti della seconda guerra mondiale e alcuni suoi articoli furono definiti dal regime come "disfattisti". Dopo il 1943 venne incarcerato dai tedeschi e
condannato a morte, ma si salvò grazie alla cauzione versata da uno dei proprietari del Corriere della Sera. Nei decenni successivi il Corriere divenne il suo giornale per il quale realizzò moltissime corrispondenze.
Memorabili e unici restano i suoi pezzi da Budapest durante la repressione della
rivolta ungherese da parte dell'Armata Rossa. La propaganda comunista in Ital
ia diceva che la rovoluzione era condotta dai reazionari borghesi contrari al socialismo. Montanelli ci raccontò invece che erano studenti e operai che lottavano per la loro libertà e il pezzo seguente è da pelle d'oca. < /div> "E ci si ritrovò tutti nell'ufficio del ministro, davanti alla radio. Captammo Rom a. Trasmettevano il discorso del ministro Martino. Un bel discorso. Ma, a chiusura, udimmo il grido lanciato in aula dai deputati comunisti: «Viva l'Armata rossa!». A pochi passi da noi, l'Armata rossa stava mitragliando nelle cantine gli operai e gli studenti di Budapest, rimasti senza munizioni." Passano gli anni e Mo
ntanelli decise di abbandonare il Corriere perchè il suo editore operò una netta virata a sinistra e quindi nel 1974 fondò così il suo "Il Giornale
em>" per dare voce alla borghesia lombarda "capace solo di brontolare". Di fronte alla crescita del PCI rimane celebre la sua frase "turiamoci il naso e votiamo DC". Le sue posizioni assunte durante i successivi anni del terrorismo lo fecere oggetto nel 1976 di un attentanto delle Brigate Ros
se perchè giudicato "schiavo delle multinazionali e servo del potere": gli spararono 4 colpi alle gambe. Ecco il suo racconto: "Quella mattina sono in due nei giardini di piazza Cavour, a Milano. Uno mi spara alle gambe. L'altro mi tiene nel mirino della sua pistola. I primi due - tre proiettili entrano nelle mie lunghe zampe di pollo. Non devastano ne' ossa ne' arterie. Ma sarebber o sufficienti per far cadere a terra qualsiasi cristiano. In quegli attimi ricordo la promessa che avevo fatto a Mussolini, e a me stesso, quando, bambino, mi ritrovai intruppato nei balilla: "Se devi morire, muori in piedi!" Davanti a questi vigliacchi che non hanno il coraggio di affrontarmi in faccia, penso, non posso morire in ginocchio. E mi aggrappo alla cancellata dei giardini. Non sto in piedi sulle gambe, ma mi reggo dritto con la forza delle braccia. E quello continua a sparare e a centrare le mie zampe di pollo. Se mi fossi accasciato, se mi fossi inginocchiato davanti a lui, a quell'ora sarei morto" In quello stesso anno i finanziamenti del "Giornale" terminarono
e Montanelli accettò il denaro del nuovo editore : Silvio Berlusconi. Fino al 1993 andò tutto bene: uno era il padrone e direttore (Indro) l'altro era l'e ditore (Silvio). Poi quest'ultimo decise di "scendere in campo" in politca e ci
fu la rottura: Montanelli non poteva restare Direttore del "suo" Giornale al servizio di un politico. Le Brigate Rosse sbagliarono, lui non era un servo di nessuno. Montanelli vedeva lontano, era obiettivo e rischiava sulla sua pelle l e sue posizioni. Lasciò il quotidiano da lui fondato e da allora nel tempo "
Il Giornale" si è ridotto ad un bollettino familiare. Ecco cosa scrisse sulla Voce (fondata dopo che fu cacciato) nel 1994, 15 anni fa!. "Dobbiamo prepararci a presentare le nostre scuse a Emilio Fede. L´abbiamo sempre dipinto come un leccapiedi, anzi come l´archetipo di questa giullares ca fauna, con l´aggravante del gaudio. Spesso i leccapiedi, dopo aver lecc
ato, e quando il padrone non li vede, fanno la faccia schifata e diventano malmostosi. Fede, no. Assolta la bisogna, ne sorride e se ne estasia, da oco giul ivo. Ma temo che di qui a un po´ dovremo ricrederci sul suo conto, rimpian
gere i suoi interventi e additarli a modello di obiettività e di moderazione. <
em>Ce lo fanno presagire certe trasmissioni radiofoniche e televisive (...) della Rai, che non ha nemmeno aspettato l´insediamento dei nuovi boss per adeguar
si al clima di `tutto va bene, madama la Marchesa´. Di cui essi devono essersi fatti garanti". "Oggi, per instaurare un regime, non c´è più bisogno di una marcia su Roma né di un incendio del Reichstag, né di un golpe sul palazzo d´In
verno. Bastano i cosiddetti mezzi di comunicazione di massa: e fra di essi, sovrana e irresistibile, la televisione. (...)
Non ci meraviglieremmo se nella corsa alla piaggeria i nuovi officianti della Rai batteranno quelli della Fininv
est (Mediaset) : come sempre i conversi superano, nello zelo, i veterani. Ma
quale che sia l´esito di questo confronto, è scontato il risultato: il sudario di conformismo e di menzogne che, senza bisogno di ricorso a leggi speciali, ca
lerà su questo Paese riducendolo sempre più a una telenovela di borgatari e avviandolo a un risveglio in cui siamo ben contenti di sapere che non faremo in tem
po a trovarci coinvolti". Sono parole drammaticamente attuali che potrebbero essere ripubblicate oggi senza alcun problema. <
span style="font-size:85%;color:#000000;">Montanelli se n'è andato nel 2001 e per sua fortuna non ha potuto vedere il nostro Paese ridotto a una "telenovela di borgat
ari". Quanto ci manca. .
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