150° unità d'Italia
< strong>La festa di un Paese incompiuto
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Il 2 agosto 1847 Metternich scrisse, in una nota inviata al conte Dietrichstein, la famosa frase «< em>L'Italia è un'espressione geografica». 14 anni dopo, nel 1861, l'Italia venne dichiarata unita e tra due anni, nel 2011, si celebrerà il 150° anniversario dell'uni one nazionale.
Ciampi, ex Presidente della Repubblica, ha lasciato il comitato organizzatore dell' anniversario accusando di mancanza di idee per celebrare l'evento.
Ma c'è da festeggiare verament e?
Che cos'è l'Italia oggi ?
Come sono stati utilizzati i 150 anni passati dall'Unità?
Intanto dobbiamo farci la legittim a domanda se il tipo di unione voluta dai Savoia, con una guerra di conquista utilizzando il patriottismo di Garibaldi, fosse veramente la migliore.
Carlo Cattaneo, lombardo, ebbe e dire che tra Austria e Piemonte non era proprio facile scegliere....
Per un territorio composto da tante realtà diversissime come era allora l'Italia, la soluzione ideale era senza dubbio quella federale, osteggiata dai piemontesi.
Cattaneo finì i suoi giorni in Svizzer a, nauseato dal nuovo stato unitario ed in ogni caso il tipo di unione imposto allora è uno dei motiviche identifica il carattere nazionale di oggi.
La questione meridionale, altra grande incompiuta e tema lanciato con forza da Gramsci già negli anni '20, è l'altro peccat o originale dell'Italia unita.
A questi si aggiunge l'influenza del Vaticano sulla vita pubblica ch e fa si che il nostro Paese non può essere definito "normale".
Infine la conformazione geografica n on ha certo aiutato la coesione :è difficilissimo sentirsi esattamente simili tra un alto atesino e un abitante di Pantelleria!
Eppure di riconoscimento in positivo delle diversità e di maggiore autonomie locali se ne parla solo da pochi anni.
Forse tardi per introdurre q uel federalismo, che all'inizio poteva e doveva essere la soluzione migliore e che adesso rischia di diventare il campo di battaglia per la spartizione delle finanze pubblich e tra le diverse regioni.
Gli italiani hanno saputo molto bene mettere a fattor comune i difetti e n on i pregi.
L'Italia è quindi diventato un paese fondato da nord a sud sull'evasione fiscale, sul co nflitto di interessi, sulla disonestà, sulle raccomandazioni, sulla mafia, sulle tangenti, sull'abusivismo, sul "particulare" sempre predominante sul nazionale, sull'ingiusti zia dominante, sui diritti negati : questi sono diventati i caratteri tipici del Belpaese, controbilanciati in parte dalla buona cucina, dalla straordinaria ricchezza del patr imonio culturale e dalla creatività che ci ha sinora permesso di "arrangiarci".
100 anni fa Prezzoli ni divideva in due categorie gli abitanti dello stivale : "i furbi e i fessi".
Una triste classificazione valida anche oggi.
In 150 anni gli italiani sono stati uniti più che altro dalla tv.
A volte si ha l'impressione che questo strano popolo condivida una porzione di territorio, chiamato Italia, e poco più.
Non abbiamo idea di che cosa significhi vivere in una comunità, con delle regole da rispettare, con degli interessi collettivi da soddisfare.
Non abbiamo maturato il senso dello Stato, non ci è chiaro il senso di appartenzenza al Paese, limitat o all'inno nazionale ai mondiali di calcio.
Siamo ancora legati alle realtà comunali e del resto la nostra storia è figlia dei comuni prima e delle signorie dopo.
Nelgi ultimi 60 anni riusciamo a ci tare il nome di uno statista o di un uomo politico simbolo e riconosciuto da tutti come"padre della patria" o anche solo meritevole di intitolazione di strade o edifici pubb lici?
Forse solo De Gasperi e Pertini.
Poi c'è il deserto, per arrivare ai nani di oggi, rappresentanti di una politica inefficiente e sporca che ha saputo gettare le istituzioni nello discredito au mentandone la sfiducia dei cittadini.
E quali altre personalità possiamo citare come simboli di cui andare orgogliosi ?
Falcone e Borsellino, eroi uccisi dalla mafia collusa con lo Stato.
Enzo Ferra ri, Alberto Sordi, il professore Rubbia, Indro Mntanelli qualche sportivo e pochi altri.
Veramente un magro bilancio per quello che un tempo era un paese di santi, poeti e naviganti.
Abbiamo un eno rme patrimonio artistico di cui andare davvero fieri, ma siamo incapaci di gestirlo.
Abbiamo le b ellezze naturali, devastate dall'abusivismo edilizio e dall'ingordigia.
Non investiamo più sul no stro futuro, sui nostri ragazzi, sulla ricerca, sulla cultura.
Stiamo ritornando ad essere un pop olo di emigranti che però non tollera chi vene da noi per lavo
rare.
Insomma fino al boom-economico abbiamco campato sugli ultimissimi colpi di coda dell'idea risorgimentale e del nazionalismo del ventennio, per certi versi artificiale ed imposto.
Ma non si è mai in realtà creata una coscienza nazionale.
Gli ultimi 50 anni sono stati sempre di più un fuggi-fuggi verso il localismo e l'individualismo spinto.
E allora invece che festeggiare e celebrare il passato, sforziamoci di guardare in faccia la realtà e di vedere avanti.
L'Italia c'è, ed è questa che ci ritroviamo e che noi tutti abbiamo contribuito a fare in questi 150 anni.
< span style="font-size:100%;color:#000000;">Molti difetti e qualche pregio.
Però indietro non si tor na.
Lanciamo un progetto per risollevare le sorti del nostro Paese, dando fiducia e spazio alle div ers
e realtà e culture del nostro paese, così variegate.
Responsabilizziamoci tutti di più, cittadin i e amministratori pubblici.
Facciamolo per rispetto di chi ha perso la vita nelle guerre e nell'a dempimento del proprio dovere al servizio della comunità.
Facciamolo basandoci sulle tante forze s ane che ancora ci sono, sul volontariato, sulla creatività.
Facciamolo proponendo un nuovo modello di Paese che non sia quello attuale, caciarone, disonesto, poco serio, dove tutto è permesso e dove chi ha il potere lo usa e abusa a suo uso e consumo.
Non aspettiamoci granchè dalla classe politica, che ci proponga delle soluzioni.
Non sono affidabili e non sono nem meno interessati.
Iniziamo a cambiare l'Italia noi cittadini, dai comportamenti quotidiani, dal ri spetto verso il prossimo e verso le regole, dall'educazione che ci hanno insegnato da piccoli.
Ec co lasciamo stare le fanfaronate celebrative e festeggiamo da subito il nostro 150° anniversario comportandoci da cittadini rispettosi del nostro Paese e di chi per esso si è sacrficato.
1/8/2009