Nivologia e Valanghe

di Gigi Telmon

Ultimo aggiornamento: venerdì 19 marzo 1999

Indice

1 - Le Valanghe

2 - Sintesi delle caratteristiche delle valanghe più frequenti

3 - Genesi e metamorfismo della neve

4 - Il metamorfismo per isotermia

5 - Il metamorfismo da gradiente

6 - Il metamorfismo da fusione

7 - Caratteristiche della neve

8 - La dinamica del distacco delle valanghe



1 - Le Valanghe



Le valanghe sono dei movimenti di masse nevose, più o meno grandi e di caratteristiche varie, dovuti alla forza di gravità.
E' bene sgomberare subito il campo da alcuni luoghi comuni, tanto cari ai giornalisti che non mancano mai di citare contemporaneamente le valanghe e le slavine senza sapere né perché lo fanno né che differenza ci sia.
Fin dall'inizio degli anni settanta, il Servizio Valanghe Italiano del CAI, per convenzione, aveva deciso di non usare mai il termine "slavina" in quanto è sinonimo di "valanga", ma foriero di idee confuse (c'era, ad esempio, chi sosteneva che la slavina scivolasse e la valanga "rotolasse", mentre in natura le valanghe che rotolano non esistono e sono legate solo alle fantasie tradizionali, sia pur raccolte da eminenti poeti come il Carducci, o, addirittura, e questo è deplorevole, da un vocabolario della lingua italiana che va per la maggiore che è il Devoto-Oli) In natura, in condizioni di neve fresca umida e di precipitazioni intense, si può, al massimo, verificare la formazione di chiocciole simili a quelle che usano fare i bambini spingendo una palla di neve alla prima nevicata. Queste, dopo pochi metri di rotolamento, si frantumano o si coricano, a meno che non vadano a finire su un manto instabile e, con il proprio peso, non provochino il distacco di una valanga vera e propria.
Di valanghe, tuttavia, ne esistono di molti tipi, per cui sono state studiate diverse classificazioni per poterne individuare correttamente e compiutamente il tipo.
Una di queste, forse la più vecchia, ma anche la più significativa, è stata redatta dall'Istituto Svizzero per lo Studio della Neve e delle Valanghe di Davos, e si basa su cinque criteri, ciascuno suddiviso in due caratteristiche alternative:

1. Tipo di distacco:

a. Da un solo punto (distacco puntiforme). Caratteristico della neve a debole coesione. La neve parte da un punto e va via via allargandosi ed assumendo, su un pendio uniforme, la forma di una pera. (valanga di neve a debole coesione)
b. Su una linea spezzata e da un'area estesa. Questo distacco è caratteristico della neve compatta e il distacco avviene per rottura di lastroni di neve (valanga di neve a lastroni)


2. Posizione della superficie di scivolamento:

a. La superficie di scivolamento può essere il terreno, che resta nudo (valanga di fondo)
b. La superficie di scivolamento può essere una superficie di neve sottostante (valanga di superficie)


3. Umidità della neve:

a. Valanga di neve asciutta
b. Valanga di neve umida o bagnata


4. Caratteristiche del terreno in base al profilo:

a. La neve può scendere lungo un canalone con percorso obbligato (valanga incanalata)
b. La neve può scendere su un versante aperto (valanga di versante non delimitato)


5. Tipo di movimento:

a. La neve scorre radente al pendio, a contatto del suolo (valanga radente)
b. La neve si muove come una nube nell'aria (valanga nubiforme)


Dalla combinazione dei vari criteri e delle varie caratteristiche, si può così individuare correttamente il tipo di valanga (es: valanga di lastroni, di superficie, asciutta, incanalata e nubiforme ecc.).

2 - Sintesi delle caratteristiche delle valanghe più frequenti


 


1. Valanghe di neve asciutta a debole coesione:

a. Condizioni favorevoli al distacco:

- precipitazioni nevose a basse temperature
- persistenza delle basse temperature dopo la precipitazione

b. Zone di possibile distacco:

- Tutti i versanti con inclinazione superiore a 28°-30°.
- Sopra i 50° i distacchi sono assai frequenti ma di modesta entità, tuttavia possono innescare valanghe di grandi dimensioni ad inclinazioni inferiori, dove la neve ha potuto accumularsi maggiormente (28°-30°). Fra i 28°e i 50°, infatti, si possono formare grandi accumuli ed il loro distacco dà luogo a valanghe spesso catastrofiche;
- Quote per lo più elevate;
- Velocità superiori a 60-70 Km/h;
- Ostacoli o salti di roccia possono dar luogo a valanghe di tipo nubiforme che possono
raggiungere una velocità fino a 300 Km/h con pressioni sugli ostacoli pieni ortogonali fino a 50 t/mq.; queste sono valanghe che producono un effetto di soffio che crea danni anche oltre i margini della zona di scorrimento e di deposito.

c. Periodo più favorevole al distacco:

- Pieno inverno;
- In autunno e in primavera solo alle quote più elevate;
- Durante e subito dopo le nevicate sui versanti esposti ai quadranti meridionali, più tardi, con instabilità permanente, sui versanti esposti ai quadranti settentrionali e in ombra;
- La durata del pericolo è tanto maggiore quanto più basse sono le temperature;
- Nessuna differenza significativa tra le ore diurne notturne.

d. Cause principali del distacco:

- Spontanee: Metamorfismo da isotermia;
- Accidentali: caduta di sassi, grumi di neve da alberi e cornici, vento, passaggio di animali, sciatori, ecc.;
- Onde sonore molto intense (esplosioni, bang supersonico).


2. Valanghe di neve bagnata a debole coesione

a. Condizioni favorevoli al distacco:

- Precipitazioni nevose a temperature elevate con pioggia o con deposito al
di sotto della quota dello zero termico;
- Elevati incrementi di temperatura primaverili;
- Forte soleggiamento.

b. Zone di possibile distacco:

- Tutti i versanti con inclinazione superiore a 20°;
- Ad inclinazioni superiori a 45° i distacchi sono frequenti ma di piccola mole, tuttavia possono innescare movimenti ad inclinazioni inferiori;
- I distacchi sono più frequenti sui versanti esposti ai quadranti meridionali.

c. Periodi più favorevoli al distacco:

- In primavera, talvolta in autunno, durante o dopo le precipitazioni (raramente in inverno);
- In assenza di precipitazioni, in tarda primavera , specie nelle ore della tarda mattinata, pomeridiane e serali.

d. Cause principali del distacco:

- Spontanee: metamorfismo di fusione, sovraccarico;
- Accidentali: Caduta di sassi o di cornici;
- Passaggio di sciatori, animali ecc.;
- Onde sonore intense (esplosioni, bang supersonico, battimenti di rotore vicino alle pareti) in situazioni di equilibrio già precario


3. Valanghe di lastroni duri


a. Condizioni favorevoli al distacco:

- VENTO;
- Alternanza di fusione e rigelo;
- Presenza di strati deboli sottostanti.

b. Zone di possibile distacco:

- Tutti i versanti, anche sopravento, prevalentemente fra i 28° e i 50°;
- Gli avvallamenti e i canaloni.

c. Periodo più favorevole al distacco:

- In inverno e anche in primavera alle quote più elevate, dopo periodi di vento specie se con effetto di Fhoen (placche da vento);
- In primavera nelle ore diurne (croste di fusione e rigelo).

d. Cause principali di distacco:

- Spontanee: distacco difficile
- Accidentali: Passaggio di sciatori, animali ecc.
- Sovraccarico
- Urto violento (esplosione)


4. Valanghe di lastroni di neve compatta


a. Condizioni favorevoli al distacco:

- VENTO
- Presenza di strati deboli sottostanti (brina di superficie incorporata, brina di profondità, strati parzialmente metamorfizzati per isotermia);

b. Zone di possibile distacco:

- Tutti i versanti compresi tra 28° e 50°. Le valanghe specie quelle a distacco spontaneo, sono spesso catastrofiche.

c. Periodo più favorevole al distacco:

- Inverno inoltrato e inizio primavera, specie dopo lunghi periodi di tempo bello, stabile e freddo.

d. Cause principali del distacco:

- Spontanee: Metamorfismo da gradiente;
- Progressiva riduzione della resistenza al taglio degli strati interni;
- Accidentali: sovraccarico (caduta di massi, cornici, passaggio di sciatori, animali, nuove
nevicate).


5. Valanghe di lastroni di neve soffice o molle

a. Condizioni favorevoli al distacco:

- Precipitazioni nevose di intensità elevata, a temperature moderate o
elevate, su strati deboli
per presenza di brina di profondità o brina di superficie incorporata o
croste superficiali
preesistenti.

b. Zone di possibile distacco:

- Tutti i versanti con inclinazione superiore ai 28°;
- Fra 28° ed i 50° si possono verificare accumuli ingenti e successivi distacchi catastrofici.

c. Periodi più favorevoli al distacco:

- Durante o dopo le precipitazioni per un periodo di tempo più o meno lungo a seconda della quantità e della temperatura della neve;
- A temperatura di caduta elevata corrisponde un pericolo di durata minore, sia per assestamento più rapido, che, in caso di abbassamento della temperatura successivo alla nevicata, per aumento temporaneo della resistenza.

d. Cause principali del distacco:

- Spontanee: Sovraccarico di neve su strati deboli (brina di superficie o croste ghiacciate
incorporate, brina di profondità;
- Accidentali: Sovraccarico (caduta di massi, cornici, passaggio di sciatori, urti esplosivi).


6. Valanghe di lastroni di neve bagnata


a. Condizioni favorevoli al distacco:

- Isotermia a 0° in tutto lo strato;
- Presenza di strati deboli interni o croste ghiacciate impermeabili.

b. Zone di possibile distacco:

- Tutti i versanti con inclinazioni fra i 28° e i 50°;
- Oltre tali inclinazioni i casi di distacco di questo tipo di lastroni sono rari in quanto la neve si è già staccata prima per altre cause

c. Periodo più favorevole al distacco:

- Primavera.

d. Cause principali del distacco

- Spontanee: metamorfismo di fusione con percolazione di acqua liquida nel manto nevoso fino a raggiungere il terreno o strati interni impermeabili;
- Diminuzione della resistenza alla trazione ed al taglio;
- Sovraccarico per altre precipitazioni nevose o piovose;
- Accidentali: sovraccarico, sollecitazioni superficiali (evento raro).

3 - Genesi e metamorfismi della neve



Ad un osservatore superficiale la neve, quando cade, pare una moltitudine di farfalline bianche volteggianti nell’aria in una danza fantasmagorica.
Osservando, però, queste farfalle depositate su un corpo scuro, meglio se con una lente contafili, prima che il nostro alito caldo le trasformi in goccioline d’acqua, vediamo che si tratta di un insieme di multiformi
cristalli di ghiaccio.
Essi si formano, a temperature inferiori a 0 C°, per sublimazione di molecole di vapore e congelamento di microscopiche gocce d'acqua attorno ad impurità presenti nell'atmosfera che fungono da nuclei di cristallizzazione.
I cristalli assumono, inizialmente, la forma di una microscopica piastrina esagonale che si accresce man mano che, nel suo movimento nell'aria satura della nube, aggrega a sé altre molecole di vapore e goccioline di acqua
sopraffusa.
La crescita dei cristalli avviene in modo diverso a seconda delle fasce di temperatura in cui avviene: per esempio, attorno ai -6 C° la piastrina cresce nel senso dello spessore, formando sottilissimi aghi di sezione esagonale; intorno ai -10,-12 C° l'aumento della dimensione dei cristalli avviene nel senso delle dimensioni maggiori dell'esagono iniziale, formando piastrine esagonali più ampie. Oltre i -12C°, fino a -!6,-18 C° la crescita
avviene sui vertici del perimetro, con la formazione di dendriti che danno, alla piastrina iniziale, la forma stellare a sei punte. Oltre i -18C°, la crescita avviene ancora nel senso dell'altezza, dando luogo alla formazione
di prismi esagonali cavi internamente.
Naturalmente si possono avere infinite forme composite in relazione ai movimenti dei cristalli di neve in zone delle nubi a temperature diverse.
Quando il cristallo ha raggiunto un certo peso, sufficiente a vincere le correnti ascensionali della nube, tende a perdere quota, continuando ad aggregare vapore e, urtando contro altri cristalli o contro goccioline di acqua sopraffusa, le aggrega, aumentando ancora il peso ed il volume per coalescenza.
In assenza di vento, i cristalli, giunti al suolo, si accumulano uniformemente l'uno sull'altro dando origine ad un manto nevoso uniforme che risulta essere un miscuglio di d'aria e di cristalli di neve legati debolmente tra loro per mezzo delle loro piccole e fragili ramificazioni. La coesione iniziale del manto nevoso, la proprietà, cioè, dei cristalli di star uniti tra loro, in questo caso è di tipo feltroso ed è labile in quanto le ramificazioni sono tanto più fragili quanto più le temperature sono basse. Nel caso che la precipitazione avvenga in presenza di vento, invece, la distribuzione dei cristalli al suolo è disomogenea e vengono privilegiati accumuli di cristalli, semidistrutti, sottovento alle asperità del terreno. La vita dei cristalli di neve, però, non finisce a questo punto, ma continua fino alla completa fusione, in primavera, con la loro ultima trasformazione.
A terra, essendo mutato radicalmente l'ambiente in cui i cristalli vengono a trovarsi,, rispetto a quello di formazione nell'atmosfera, essi cominciano a subire una serie di trasformazioni.
Nel nuovo ambiente, infatti, sono soggetti a temperature diverse che ne determinano il tipo e la rapidità delle trasformazioni (metamorfismi).


4 - Il metamorfismo per isotermia



La prima trasformazione tende a distruggere le belle forme iniziali dei cristalli e a dar loro, progressivamente, una forma finissima e rotondeggiante, con dimensioni dell'ordine dei decimi di mm: la neve, da fresca, diventa farinosa. Il colore è bianco opaco. Questo tipo di metamorfismo, ha luogo finchè lo strato interessato mantiene una
temperatura pressochè uniforme ed è tanto più rapido quanto più la temperatura è prossima allo 0C°. Come si spiega questo fenomeno? E' semplice: per sublimazione, le punte dei cristalli si trasformano in vapore che viene attratto verso il nucleo centrale dove, per sublimazione inversa, si ritrasforma in ghiaccio, fino a quando le ramificazioni spariscono e resta un granellino finissimo. Si verifica, quindi, per la tensione superficiale delle ramificazioni, un trasporto di vapore dalla periferia al centro dei cristalli, per cui lo spazio occupato dal cristallo iniziale si riduce grandemente, pur non diminuendo la sua massa (Fig. 3 e 4).

Fig. 3

Fig. 4
In questo modo, i cristalli, prima, staccandosi tra loro, perdono la coesione feltrosa, quindi, per effetto della gravità, si avvicinano al suolo e si comprimono l'uno sull'altro dando luogo, sulle superfici orizzontali, all'assestamento che si traduce in una riduzione dello spessore dello strato iniziale ed in una saldatura dei cristalli nei loro punti di contatto, sia per apporto di ulteriore vapore dalle parti convesse a quelle concave, sia per compressione. Il manto nevoso, da una situazione di coesione labile, passando attraverso una fase di quasi totale mancanza di coesione, diventa compatto.

La prima fase di questo processo, la perdita, cioè, della coesione feltrosa, dà origine, sulle superfici inclinate, ad una situazione di instabilità della neve in quanto i cristalli, ormai separati tra loro, muovendosi spontaneamente o per qualsiasi sollecitazione esterna, possono dal luogo alle valanghe di neve a debole coesione, caratteristiche dei giorni immediatamente successivi alle precipitazioni nevose (Fig. 5). Quando e dove le temperature sono più alte, il pericolo è immediato ma di breve durata in quanto l'assestamento è più rapido. Quando le temperature sono basse o sui pendii in ombra, il pericolo è della stessa entità, ma dura molto di più nel tempo, in quanto le valanghe spontanee si staccano più tardi e l'instabilità permanente può favorire valanghe provocate.

Metamorfismo meccanico

Anche questo tipo di metamorfismo comporta la distruzione delle forme originarie dei cristalli.
Esso può verificarsi, in fase di assestamento del manto nevoso, per effetto della compressione dei grani l'uno sull'altro, specie in caso di precipitazioni abbondanti ed intense; la causa principale, tuttavia, è l'azione del vento che, assoggettando i cristalli ad urti, rotolamento e confricazione, li frantuma in grani finissimi, li comprime l'uno sull'altro e li accumula sottovento rispetto alle asperità del terreno. Può, così, dar luogo alla formazione di cornici e lastroni, ora durissimi ma fragili, ora soffici e teneri, a seconda del grado di temperatura ed umidità dell'aria.
Sia le cornici che i lastroni sono caratterizzati da neve compatta e con scarso contenuto d'aria, quindi a densità elevata. I lastroni formati dal vento, hanno difficoltà a legarsi con la superficie di neve preesistente, in quanto le caratteristiche e termiche della neve che li compongono sono diverse.

Un metamorfismo di questo tipo è anche prodotto dalla compressione esercitata sul manto nevoso per la battitura delle piste da sci.
Il metamorfismo di tipo meccanico prodotto dal vento crea le premesse per il distacco di lastroni negli avvallamenti, sui pendii sottovento, e nei canaloni e a ridosso delle cornici.; il loro distacco è causato, generalmente, da un sovraccarico (caduta di cornici e di sassi, passaggio di sciatori e animali, nuove precipitazioni ecc.) o da una diminuzione della resistenza interna (forte e prolungato riscaldamento, metamorfismi da fusione o da gradiente termico).
La rottura degli ancoraggi che sostengono il lastrone determina lo scivolamento di questo sul piano d'appoggio sottostante e, successivamente, col progredire del movimento, la sua rottura in blocchi che vanno via via
sminuzzandosi, fino all'arresto nella zona di deposito della valanga.


5 - Il Metamorfismo da gradiente



Per gradiente termico, nel manto nevoso, si intende la variazione di temperatura a partire dalla neve al suolo, fino alla superficie, misurata in gradi al cm (C°/cm).
Il metamorfismo da gradiente si instaura nel manto nevoso quando, negli strati, si verifica un gradiente dal basso verso l'alto, di 0,25C°/cm, vale a dire quando la temperatura diminuisce, dal basso verso l'alto, nell'ordine di un grado o più, ogni quattro centimetri di altezza (Fig. 6).

Fig. 6

Fig. 7
Durante lunghi periodi di tempo con cielo sereno e temperature molto basse, il manto nevoso a contatto del suolo si riscalda per effetto del flusso geotermico che, a causa della copertura isolante della neve, non può disperdersi nello spazio, quindi la neve può raggiungere temperature prossime allo zero ed i cristalli più piccoli sublimano in vapore mescolandosi all'aria contenuta nel manto nevoso (Fig. 7). La neve in superficie, per effetto della mancanza di nubi, irraggia fortemente il suo calore, raggiungendo temperature molto basse. La presenza, quindi, di temperature più elevate al suolo che non in superficie, instaura, nel manto nevoso, una circolazione dell'aria in senso verticale (moto convettivo) che è tanto più veloce quanto più la temperatura è alta al suolo e bassa in superficie .
L'aria calda che si trova strati più profondi e contiene il vapore prodotto dalla sublimazione determinata dal flusso geotermico, salendo viene a contatto con strati più freddi ed il vapore contenuto sublima in senso inverso, dando luogo alla formazione di nuovi cristalli a contatto con i cristalli più freddi soprastanti.
Questi cristalli di nuova formazione, detti brina di profondità o brina di fondo, tendono ad assumere forme piramidali cave a base esagonale, con sfaccettature piatte a gradini e possono raggiungere dimensioni anche di 10 mm e più. Sono traslucidi, fragili e, soprattutto, sono caratterizzati da bassissima coesione.
Quanto più è sottile il manto nevoso, tanto più è elevato il gradiente ed i conseguenti moti convettivi dell'aria, quindi anche la rapidità del metamorfismo che ne consegue.
Altri fattori che favoriscono il metamorfismo da gradiente sono l'elevata porosità della neve, che favorisce i moti convettivi dell'aria al suo interno, e la vegetazione erbacea e cespugliosa che, impedendo alla neve di ancorarsi al terreno, crea cavità in cui l'aria può circolare facilmente.
Permanendo la situazione di tempo bello, quindi freddo, lo spessore dello strato di brina di profondità aumenta dal basso verso l'alto a spese dello strato di neve preesistente già assestata, creando, a qust'ultima, una base di appoggio sempre più fragile.
Gli strati superiori, quindi, si assottigliano fino al punto di cedere sotto il proprio stesso peso o sotto il peso di un agente esterno (nuova nevicata, sciatore, animale ecc.) e produrre una valanga di lastroni, per cui, un pendio rimasto a lungo stabile per effetto di un buon assestamento, dopo un certo tempo, caratterizzato da temperature molto basse, può diventare improvvisamente pericoloso, una vera trappola, in quanto l'aspetto della superficie esterna non cambia.
La presenza di brina di fondo è più frequente sui pendii freddi e in ombra, rispetto a quelli esposti al sole, dove le temperature esterne, almeno di giorno, sono più elevate.
Una nevicata precoce a cui faccia seguito un lungo periodo di tempo bello e freddo, può trasformarsi totalmente in brina di fondo, pregiudicando, per tutto il resto della stagione la stabilità delle nevicate successive.


6 - Il metamorfismo da fusione



Questo tipo di metamorfismo è dovuto al riscaldamento della neve fino a 0°C ed è caratteristico della neve primaverile, talvolta anche di quella autunnale molto precoce. D'inverno è infrequente, ma, talvolta, è possibile sui versanti a bassa quota e bassa latitudine molto soleggiati o in situazione di prolungato rialzo termico, per Foehn o, anche, per scirocco o libeccio, seguiti da un ritorno di basse temperature.
A zero gradi, i cristalli più grandi, che offrono una maggior inerzia alla fusione, vengono avvolti da una pellicola d'acqua dovuta alla fusione di quelli più piccoli, il successivo congelamento li ingrandisce ulteriormente dando loro una forma arrotondata.
In fase di fusione, la coesione tra uno strato e l'altro ed anche all'interno degli strati, si riduce notevolmente, mentre il raffreddamento in superficie salda i cristalli tra loro incrementando la coesione negli strati superficiali che si trasformano in lastroni spesso portanti, specie nelle ore del mattino.
Si creano così le premesse per distacchi di valanghe rispettivamente di neve a debole coesione bagnata nella tarda mattinata e nel pomeriggio fino a sera inoltrata, in genere a distacco spontaneo, e di lastroni di superficie, anche duri, ma che appoggiano su strati di neve bagnata a debole coesione, con distacco, generalmente, provocato.
Nel tardo inverno ed inizio primavera, quindi, durante il gelo notturno, è caratteristica la formazione di croste superficiali con spessore e resistenza variabili in funzione del tempo di esposizione alle temperature notturne rispetto a quelle diurne.


7 - Caratteristiche della neve


 

Abbiamo visto che i vari tipi di metamorfismo modificano le caratteristiche di forma e coesione dei cristalli. Nel manto nevoso, in cui si possono riconoscere strati diversi in relazione alle nevicate od agli apporti da vento successivi, si possono rilevare cristalli caratterizzati da diverso tipo e diverso grado di avanzamento dei metamorfismi, che danno, a ciascuno strato, caratteristiche meccaniche diverse. Queste, per quanto concerne la stabilità della neve, si traducono in valori diversi di coesione, di plasticità, di densità, di angoli di attrito, nonché di resistenza alle forze di compressione e di taglio.
Come vedremo più avanti, la resistenza alla forza di taglio non ha nulla a che vedere con la traccia (spesso denominata impropriamente "taglio") lasciata dagli sci su un pendio che, con la stabilità del manto nevoso non ha nulla a che vedere. Tale traccia non è, come i luoghi comuni lasciano intendere, una causa del distacco delle valanghe che uccidono lo sciatore.
Ripeto: normalmente le valanghe che uccidono gli sciatori sono valanghe di lastroni che vengono staccate dallo sciatore stesso che turba, con il proprio peso o con le sollecitazioni dinamiche derivanti dall'effettuazione delle curve, l'equilibrio precario della neve. L'attraversamento di un pendio da parte dello sciatore può spostare della neve a valle degli sci quando questa è a debolissima coesione, specie se molto bagnata; in questo caso può staccare valanghe di neve a debole coesione che partono a valle degli sci e, in genere, non coinvolgono lo sciatore che le ha provocate.
Possono essere pericolose per chi si trovasse a valle dello sciatore che le ha innescate.

Caratteristiche della neve:


1. La densità

E' il rapporto tra la massa della neve ed il volume che occupa e si misura in Kg/mc. Essa è tanto maggiore quanto più limitata è la quantità d'aria inclusa tra i cristalli, per cui è minima nella neve fresca e massima nella neve di nevato. In un manto nevoso a densità limitata, è, quindi, limitata
anche la coesione in quanto i cristalli di neve sono piuttosto distanziati tra loro; non sempre, invece, è vero il contrario e cioè che una neve ad elevata densità abbia anche una elevata coesione: basti pensare alla neve a temperatura di fusione, in cui l'acqua che avvolge i cristalli va ad occupare il posto dell'aria, tuttavia la coesione diminuisce per effetto della disaggregazione dei cristalli e della loro lubrificazione da parte dell'acqua percolante nel manto nevoso.


2. La viscosità e la plasticità

- La viscosità (attrito interno) è la proprietà per cui i grani di neve incontrano difficoltà a scorrere gli uni sugli altri. Il manto nevoso compatto tende a rimanere rigido Essa aumenta con il diminuire della
temperatura.
- La plasticità è la proprietà per cui i grani di neve, o il manto nevoso, possono subire deformazioni permanenti anche rilevanti. Aumenta con l'aumentare della temperatura, ovviamente sempre al di sotto della temperatura di fusione.


3. Il neviflusso

Poiché la neve è soggetta alla forza di gravità, quando si trova su un pendio non è più soltanto caratterizzata dall'assestamento (moto verticale dei cristalli che si comprimono uno sull'altro) ma da diversi tipi di moto lento verso valle che, combinati fra loro, vengono detti "neviflusso".
In particolare, nel manto nevoso su un pendio, si possono distinguere due tipi di moto combinati:
- moto dei cristalli gli uni sugli altri verso il suolo e verso valle, con conseguente diminuzione dello spessore del manto nevoso nel suo insieme, (assestamento) e spostamento più accentuato verso valle dei cristalli in superficie rispetto a quelli verso il suolo (scorrimento).
- moto verso valle dei cristalli al suolo lungo il piano d'appoggio, con trasporto di tutto il manto nevoso soprastante (slittamento).
Questo moto complesso, spiega, a titolo di esempio, sia il maggior spessore della neve sulla gronda di un tetto rispetto al colmo.
Quanto più il manto è viscoso (temperature basse) tanto più il neviflusso è lento e le deformazioni sono piccole (ad esempio, la neve sul tetto esce dalla falda e mantiene un moto rettilineo fino a che il peso della neve aggettante non è tale da rompere lo strato nel punto più debole, cioè in corrispondenza della grondaia).
Quanto più la neve è plastica (temperature elevate), tanto più il suo movimento è veloce e la possibilità di deformarsi aumenta (nell'esempio del tetto la parte aggettante oltre la grondaia, venendo a mancare l'appoggio, per effetto del peso si incurva a ricciolo anziché rompersi).
Su un pendio, quindi, per effetto del neviflusso, il manto nevoso tende a muoversi scendendo verso valle con un moto lento e continuo, la cui velocità è legata alla pendenza, agli attriti sul piano d'appoggio ed alla temperatura.
Il manto nevoso sarà quindi soggetto a trazione nelle zone convesse ed a compressione nelle zone concave.
Inoltre, se lo strato è plastico si adatterà alle irregolarità del piano d'appoggio (terreno) su cui appoggerà e le eventuali sollecitazioni di carico potranno essere assorbite, almeno in parte, dalla deformazione del manto.
Se, invece, le temperature sono basse ed il manto nevoso sarà rigido, esso tenderà ad un moto rettilineo, lasciando dei vuoti nelle concavità e autosostenendosi su punti di appoggio periferici. Va da sé che venendo a mancare l'appoggio sottostante, una diminuzione di resistenza o una sollecitazione di carico che, data la rigidità del sistema, va a ripercuotersi sui punti di appoggio, può dar luogo al distacco di un lastrone in quel punto molto più facilmente che se la neve fosse plastica.
La velocità del neviflusso varia da qualche millimetro ad anche un cetimetro in 24 ore ed è, ad esempio, molto elevata dove i pascoli abbandonati presentano al suolo erbe lunghe coricate. Queste, spesso, vengono imprigionate dalla neve che le estirpa durante il neviflusso, scoprendo il terreno che, con le piogge primaverili, potrà essere facilmente eroso e creare le premesse per smottamenti e frane.


4. Gli angoli di attrito

Ogni materiale granulare (sabbia, terra ecc.) è caratterizzato da:
- un "angolo di attrito statico" che è l'angolo limite in cui l'elemento
granulare può restare in equilibrio su un piano inclinato,
- un "angolo di attrito cinetico" che è l'angolo a cui l'elemento granulare,
messo in movimento su un piano inclinato, si dispone naturalmente (angolo di
scarpa naturale).
Quest'ultimo è sempre inferiore al primo. Ad esempio, quando viene aperta
una strada a mezza costa, il terreno a monte presenta un'inclinazione
notevole, ma, con il passar del tempo, esso si muove fino a raggiungere
un'inclinazione inferiore, stabile e naturale per quel tipo di terra.
Gli angoli di attrito sono funzione della forma dei grani e della loro
coesione.
Anche la neve è caratterizzata da questi due angoli, ma, poiché la neve, per
effetto dei metamorfismi, cambia continuamente forma e coesione, anche
questi angoli sono soggetti a continui mutamenti. Per questo possiamo vedere
che la neve fresca può stare in equilibrio, grazie alla sua forma ed alla
coesione feltrosa, anche su pendii inclinati fino a 80 e più gradi; quando,
però, subentrando il metamorfismo da isotermia, viene a mancare la coesione
feltrosa e la forma del cristallo cambia, il cristallo non può più restare
fermo su quella inclinazione e si mette in moto..
In sintesi, per ogni tipo di trasformazione, la neve assume angoli di
attrito diversi.
Le ricerche dell'eminente studioso svizzero delle valanghe André Roch hanno
appurato che la neve fresca, nella sua trasformazione fino a neve farinosa,
occupa una gamma di angoli di attrito statico che va da circa 85 gradi fino
a 38 ed una gamma di angoli di attrito cinetico che va da 35 gradi a 23.
(salvo nei primi due o tre giorni dalla caduta e per particolari tipi di
neve, in cui questo angolo può scendere fino a 17 gradi).
Il valore di questi angoli sale nuovamente quando la trasformazione avviene
per effetto del gradiente e la neve passa dalla forma di neve farinosa
assestata (con angolo di attrito statico di 38 gradi e cinetico di 23) alla
forma dei cristalli a di brina di profondità che sono caratterizzati da un
angolo di attrito statico di 48 gradi ed un angolo di attrito cinetico di 35
gradi.
Poiché il metamorfismo da isotermia è il più rapido, si può dedurre che
durante o subito dopo la nevicata, la neve può permanere poco tempo su
pendii fino di 85 gradi, ma deve portarsi rapidamente su inclinazioni di 35
e, in particolari situazioni, di 17 gradi. Ciò significa che i pendii a
inclinazione più elevata e quelli esposti a temperature più alte, tendono a
scaricarsi subito, mentre quelli ad inclinazione meno elevata tendono ad
accumulare molta neve che, per scaricarsi, necessiterà di una causa
ulteriore che vada ad aggiungersi al peso.
Facendo un confronto fra gli intervalli tra gli angoli di attrito statico e
quelli di attrito cinetico si può dedurre che i pendii al di sopra dei 48
gradi scaricano perlopiù spontaneamente valanghe di neve a debole coesione
nei primissimi giorni dopo la nevicata (prima quelli più caldi e dopo quelli
più freddi) , mentre sui pendii compresi fra i 28 ed i 48 gradi la neve si
accumula, e le eventuali valanghe sono, in genere, di lastroni e si
scaricano più facilmente se sono soggette a sollecitazioni.
Questi pendii, quindi, per uno sciatore, sono assai più pericolosi, dal
punto di vista del distacco delle valanghe, di quelli utilizzati per lo sci
estremo, che vengono percorsi solo dopo che la neve instabile si è già
scaricata spontaneamente.


5. La resistenza a compressione ed a trazione

Nella neve la resistenza a compressione è notevolmente superiore alla
resistenza a trazione. Esercitando una lenta compressione su un campione di
neve compatta questo, entro certi limiti, prima della rottura, tende a
diventare più solido; sottoponendolo a trazione si rompe con una forza
dieci volte inferiore.
Ammettendo questo principio, lo stesso tipo di neve, su un pendio, potrà
essere in equilibrio stabile o instabile a seconda che si trovi in zona di
compressione o di trazione.
Queste resistenze variano in relazione al tipo di metamorfismo subito dalla
neve: ad esempio, mentre la neve di fine metamorfismo di isotermia (a grani
fini o farinosa) ha resistenze generalmente elevate, a fine metamorfismo di
gradiente le resistenze sono minime.


6. La resistenza la taglio

La resistenza al taglio è riferita alla resistenza alla rottura opposta dai
grani di neve, ma principalmente da strati diversi del manto nevoso,
soggetti a due forze parallele e contrarie (forze di taglio). Anche questa
resistenza varia in relazione ai metamorfismi, alla temperatura alla forma
dei grani, all'inclinazione del pendio ed al coefficiente di attrito
statico.
La neve offre, in genere, una resistenza al taglio molto debole rispetto
alle resistenze a trazione o a compressione. A parità di quota e di esposizione del pendio possiamo avere resistenze al taglio diverse.
Considerando, ad esempio un lastrone compatto e duro di un accumulo di neve ventata, circondato da neve a debole coesione: in corrispondenza delle linee periferiche del lastrone la resistenza al taglio fra la neve del lastrone e quella della neve circostante è minima e un sovraccarico può determinarne il distacco; altre zone di resistenza minima si possono trovare tra due superfici non perfettamente saldate tra loro, o tra le quali sia interposto uno strato debole (brina di profondità tra i due strati o tra lo strato superiore e il suolo, brina di superficie incorporata nel manto per effetto di una nevicata successiva alla sua formazione ce.).
Poiché i tempi dei metamorfismi, che sono i principali responsabili della vita e dell'evoluzione della neve, sono condizionati da molti fattori (temperatura, condizioni meteorologiche, quota, esposizione dei versanti, vegetazione, spessore del manto nevoso, latitudine ce.) ,non è possibile stabilire a priori le caratteristiche dei vari strati senza analizzarle.


8 - La dinamica del distacco delle valanghe


 

1. Valanghe di lastroni

Il manto nevoso è soggetto alla forza di gravità che, considerando un blocco isolato, può essere espressa con un vettore verticale (peso) "P" applicato al suo baricentro. Quando il piano d'appoggio del manto nevoso è inclinato, la forza "P" può essere scomposta in due forze:
- la forza "T" tangente al pendio e rivolta verso la massima pendenza; essa è tanto più elevata quanto maggiore è l'inclinazione del pendio e tende a far scivolare la neve verso valle (forza di taglio);
- la forza "N" (di compressione) che è ortogonale al piano d'appoggio, verso cui è rivolta, e tende a comprimere la neve contro il terreno favorendone l'adesione.
Per mantenere in equilibrio il manto nevoso, a queste due forze si oppongono, rispettivamente:
- la forza "R" (resistenza) che è la sommatoria di tutte le resistenze del manto nevoso (coesione e attriti dello strato più debole) ed è rappresentata da un vettore applicato sullo strato più debole, parallelo al pendio ma rivolto verso monte.;
- la resistenza del piano d'appoggio (suolo) che annulla la forza "N" in
quanto sempre maggiore della stessa forza "N".
Pertanto, quando la forza "T" è minore (<) di "R" la neve è stabile.
L'equilibrio diventa instabile quando "T" diventa uguale (=) a "R" Quando la forza di taglio "T" diventa, per una qualsiasi causa, superiore alla resistenza "R", la neve si mette in movimento.
La forza "T" aumenta per effetto dell'aumento del peso e cioè per effetto di una nuova precipitazione o per una sollecitazione di carico (per es.: passaggio di uno sciatore).
La resistenza "R" diminuisce per riduzione della coesione connessa ai metamorfismi.
In caso di pioggia sul manto nevoso avviene contemporaneamente l'aumento di "T" e la riduzione di "R" con le ovvie conseguenze di una facile perdita dell'equilibrio.
Il distacco di lastroni, che si verifica con una frattura lineare, presuppone un manto nevoso più o meno compatto ed interessa una superficie che può essere anche molto estesa. Il cedimento primario si verifica in corrispondenza della superficie di contatto del lastrone con lo strato debole sottostante, in cui è più debole la resistenza al taglio, successivamente cedono gli ancoraggi periferici.
La valanga di lastroni asciutti può anche trasformarsi in nubiforme quando la sua velocità e le asperità del terreno sono in grado di frantumare minutamente i lastroni stessi, specie se si tratta di lastroni soffici.
Le valanghe di lastroni sono le più pericolose per gli sciatori fuori pista e gli sci-alpinisti in quanto non è sempre possibile riconoscere per tempo un lastrone instabile. La maggior parte degli incidenti è dovuta al distacco provocato dal peso o dalla sollecitazione dinamica (ad esempio sciatore in discesa a fine curva) delle stesse persone che ne vengono coinvolte. Poiché la linea di frattura si verifica normalmente a monte del punto in cui viene applicato il carico, e non lungo la traccia in cui il pendio viene percorso, lo sciatore ne viene travolto. E' pertanto un luogo comune errato il concetto che il distacco, in questo caso, si verifichi per il "taglio" della superficie nevosa effettuato dagli sci.
Al contrario, uno sci che affonda nel lastrone lasciando una traccia sta a significare che una parte del carico provocato dallo sciatore è assorbita dalla deformazione della neve, per cui l'equilibrio viene turbato di meno, mentre un lastrone duro, che non viene deformato dagli sci, trasferisce la
sollecitazione di carico direttamente sugli ancoraggi che, se non sono sufficientemente resistenti, possono cedere.


2. Valanghe di neve a debole coesione

La mancanza di coesione, caratteristica della neve fresca all'inizio del metamorfismo di isotermia o della neve molto bagnata, determina un tipo di distacco pressoché puntiforme. Basta il movimento di pochi cristalli mossi dal vento o di un piccolo grumo di neve caduta da un albero, da un sasso, da
una cornice, per determinare, per urti successivi, il moto spontaneo della valanga che, su un terreno uniforme, tende ad assumere la forma di una pera.
Anche forti vibrazioni sonore quali esplosioni, bang supersonico, battimenti del rotore di un elicottero relativamente vicini, possono provocare un distacco, se la neve si trova già in equilibrio instabile.
Se la causa del distacco è uno sciatore, a differenza della valanga di lastroni in cui la frattura avviene normalmente a monte dello sciatore stesso, il moto della valanga di neve a debole coesione inizia, normalmente, a valle degli attacchi degli sci. Lo sciatore che provoca questo tipo di valanga, generalmente, nel momento in cui la provoca non viene coinvolto (ad esempio se è in salita o in discesa diagonale); può esserlo, invece, se sta scendendo con una serpentina, in quanto la sua velocità e la sequenza stretta di curve può portarlo a valle del punto di distacco prima che la neve abbia vinto l'inerzia dell'inizio del movimento, per cui lo sciatore può non fare in tempo ad accorgersi di aver messo in moto la valanga. Va da sé che chi si trovasse già a valle e sulla potenziale traiettoria della valanga può essere travolto.
Se la neve è molto bagnata, la sua velocità non supera, in genere, i 30 - 50 Km/h. e il moto resta radente.
Se, invece, la neve è asciutta, tanto più se è molto fredda, le particelle in movimento, superata la velocità critica, valutata in 70-80 Km/h, o incontrando ostacoli ed asperità del terreno, cominciano a sollevarsi nell'aria ed il moto, da radente, diventa nubiforme. In questo caso la velocità può raggiungere e, talvolta, superare, i 300 Km/h, esercitando pressioni, sugli ostacoli ortogonali al moto, dell'ordine di 50 t/mc, mentre l'aria che viene spostata sulla fronte e sui lati (soffio) può arrecare danni anche al di fuori della traiettoria della valanga.
Queste sono le valanghe più devastanti e pericolose per gli abitati ed i manufatti e si verificano, in genere, durante o poco dopo una abbondante nevicata, di giorno come di notte, specialmente con temperature basse. Il distacco, in genere, è più precoce sui pendii soleggiati, (metamorfismo di
isotermia più rapido e quindi perdita della coesione feltrosa in anticipo) per cui, sui pendii esposti ai quadranti settentrionali, più freddi, il pericolo dura più a lungo.


Testo prelevato dal newsgroup it.sport.montagna, dietro autorizzazione dell'autore.

Tutti i testi sono di proprietà dell'autore.

HOME
Copyright© 2000 Club Alpino Italiano - Sezione di Caserta