Il Titanio-44 e la pace tra modelli e osservazioni

New Scientist

( Mauro Maestripieri )

Lo studio della radioattività al servizio dell'astronomia per la risoluzione di uno dei misteri sull'origine degli elementi chimici. Le stelle fondono idrogeno nel loro nucleo, creando elio e rilasciando energia. Una volta finito l'idrogeno, le stelle molto massive iniziano la fusione degli elementi più pesanti fino a che il nucleo collassa dando vita ad una esplosione brillante che inonda lo spazio di materiale "pesante", il che è fondamentale per la vita come la conosciamo. Le esplosioni di supernovae sono quindi le fabbriche degli elementi pesanti che siamo soliti utilizzare ogni giorno. Inizialmente l'esplosione crea un mix di particelle fondamentali che si ricombinano, poi, a formare tipologie di elementi, compresi alcuni elementi radioattivi che decadono in sostanze più stabili. Studiando ciò che emerge da una supernova e il tasso al quale differenti elementi decadono o vengono alterati dalle collisioni energetiche è possibile trarre informazioni sulla fisica delle esplosioni stellari. Una delle piste maggiormente seguite è quella del titanio-44, formato dalle supernovae. Osservato da sonde spaziali, il titanio-44 produce un chiaro segnale nei resti di supernovae ma c'è una trappola. Tutte le osservazioni hanno mostrato più titanio-44 di quanto i modelli possano prevedere, il che può essere spiegato con il fatto che le reazioni nei resti che distruggono gli elementi sono ancora mal compresi dai modelli stessi. Alexander Murphy dell'Università di Edinburgh, Regno Unito, ed i suoi colleghi hanno allora cercato una nuova sorgente di titanio: un acceleratore di particelle in Svizzera. E' stato prodotto titanio-44 in un acceleratore al CERN di Ginevra, in Svizzera, ed è stato spedito in una camera riempita di elio. L'esperimento ha ricreato l'energia esplosiva di una supernova per verificare quanto velocemente il titanio-44 possa essere distrutto dalle collisioni con l'elio, processo noto in un resto di supernova. Ciò che è stato trovato è che il tasso delle reazioni è inferiore a quanto pensato finora, meno della metà. I modelli prevedono almeno il 30% di quanto in effetti si notava in una supernova, ma questo esperimento fa sì che modelli e osservazioni tendano a riavvicinarsi in maniera significativa. da 03/04/2014 http://www.astronomiamo.it/Articolo.aspx?Arg=Il_Titanio-44_e_la_pace_tra_modelli_e_osservazioni#sthash.4CbzG9aP.dpuf

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Non c’è limite alle Giganti Rosse

( Mauro Maestripieri )

Quanto può essere massiva una Gigante Rossa per esplodere come Supernova? Questa è la domanda alla quale, un team internazionale di 42 astronomi, guidato dai ricercatori dell’Osservatorio dell’INAF di Capodimonte, ha cercato di dare risposta analizzando i dati ottenuti con una intensa campagna osservativa sulla supernova (SN) 2012aw, esplosa nel Marzo del 2012 nella vicina galassia M95, nella costellazione del Leone. I risultati sono stati pubblicati sull’ultimo numero di The Astrophysical Journal. È noto da tempo che le stelle massicce (che hanno almeno 8-10 volte la massa del Sole) al termine della successione di bruciamenti nucleari, sviluppano un nucleo di ferro che non è più in grado di generare energia per fusione nucleare. A questo punto la stella diventa instabile, le sue parti centrali (“core”) collassano rapidamente su sé stesse e la stella esplode come Supernova. La maggior parte del gas di cui la stella è formata viene espulso nello spazio circostante con velocità dell’ordine dei 10 mila km al secondo. “Conoscere con esattezza la massa limite che una stella deve avere per poter esplodere come Supernova è importante per testare le nostre conoscenze sulla evoluzione delle stelle massicce” – dice Massimo Dall’Ora, primo autore dell’articolo – “l’esplosione di queste stelle determina l’evoluzione chimica delle galassie che le ospitano, l’interazione tra il materiale espulso dall’esplosione con le nubi di gas e polveri circostanti ne causa il loro collasso favorendo la nascita di nuove stelle e sistemi planetari. Infine sono le esplosioni di Supernovae a immettere nello spazio gli elementi chimici più pesanti, essenziali per la vita”. Fino ad ora, si riteneva che le Supernovae di questo tipo (tecnicamente conosciute come “tipo II plateau”) potessero essere generate da stelle con masse non superiori a circa 15 volte la massa del Sole. Almeno si era creduto così fino ad ora, non essendo mai state osservate Supernovae di “tipo II plateau” prodotte da stelle di massa maggiore. “Lo studio sulla SN 2012aw ci ha colto di sorpresa” – ammette Maria Teresa Botticella, una delle autrici dello studio- “la nostra analisi ci ha portato a concludere che la stella progenitrice di SN 2012aw ha una massa nettamente superiore, almeno 20 volte quella del Sole. E, da immagini pre-esplosione dall’archivio del telescopio spaziale Hubble, sapevamo che la stella progenitrice era una Gigante Rossa. Questo risultato ha importanti implicazioni per la comprensione dei meccanismi che conducono alla perdita di massa nelle stelle massicce”. Lo studio è stato condotto utilizzando tredici telescopi da terra, ciascuno con la propria caratteristica strumentazione, più il satellite Swift, nella sua modalità ultravioletta. I dati raccolti sono stati successivamente analizzati con un sofisticato codice di simulazione idrodinamico, sviluppato all’INAF – Osservatorio di Padova da Luca Zampieri e Maria Letizia Pumo. “La stella progenitrice, oltre ad essere molto massiccia, era anche molto estesa, con un diametro 430 volte quello solare, poco più di 600 milioni di km. Se fosse al posto del nostro Sole, la sua estensione arriverebbe ben oltre l’orbita di Marte. Molti dei dati utilizzati sono stati raccolti nell’ambito del progetto PESSTO (“Public ESO Spectroscopic Survey of Transient Objects”, www.pessto.org), una survey pubblica dell’ESO, guidata dal prof. Stephen Smartt, della Queen’s University Belfast. PESSTO (vedi Media INAF) ha come obiettivo primario lo studio spettroscopico delle Supernovae e delle nuove classi di fenomeni transienti, scoperte negli ultimi anni grazie ai rivelatori a grande campo di nuova generazione, la cui natura è spesso misteriosa. PESSTO sta producendo quindi una legacy importante di spettri ottici ed infrarossi, raccolti con il New Technology Telescope, lo splendido telescopio ESO da 3.5m, operante a La Silla nelle Ande Cilene. http://www.media.inaf.it/2014/05/16/non-ce-limite-alle-giganti-rosse/