MARINA PICCO
Il corso d'acqua

bullet2 Quadro normativo nazionale e regionale in materia d'acque pubbliche

R.D. 11 dicembre 1933, n°1775
Per trovare la definizione di acqua pubblica a livello nazionale dobbiamo riferirci all’art.1 del R.D. 11 dicembre 1933, n°1775 “Approvazione del testo unico delle disposizioni di legge sulle acque e sugli impianti elettrici”, che regola specificatamente le derivazioni e le utilizzazioni delle acque pubbliche :
Sono considerate pubbliche tutte le acque sorgenti, fluenti e lacuali, anche se artificialmente estratte dal sottosuolo, sistemate o incrementate, le quali, considerate sia isolatamente per la loro portata o per l’ampiezza del rispettivo bacino imbrifero, sia in relazione al sistema idrografico al quale appartengono, abbiano o acquistino attitudine ad usi di pubblico interesse generale.
Le acque pubbliche sono iscritte, a cura del Ministero dei Lavori Pubblici, distintamente per province, in elenchi da approvarsi per decreto reale…. Con le stesse forme, possono essere compilati ed approvati elenchi suppletivi per modificare ed integrare gli elenchi principali.

L.R. 3 luglio 2002, n°16
A livello regionale spetta alla L.R. 3 luglio 2002, n°16(4), la definizione di acqua pubblica:
Tutte le acque superficiali e sotterranee, ancorché non estratte dal sottosuolo, sono pubbliche.

R.D. 523 del 25 luglio 1904
Il testo normativo fondamentale relativo alle opere idrauliche (non si intende in questa sede prendere in considerazione il problema dell’utilizzazione delle risorse idriche e della qualità delle stesse) è questo "Testo unico delle disposizioni di legge intorno alle opere idrauliche delle diverse categorie”, che trasponeva a livello nazionale quanto elaborato e sperimentato da legislazioni di stati esistenti prima dell’unità d’Italia particolarmente attenti ai problemi degli equilibri idraulici.
Principio fondamentale è il riconoscimento dell’importanza che rivestono le acque pubbliche la cui tutela viene attribuita al Governo cui spetta anche l’ispezione sui relativi lavori (articoli 1 e 2).
Le opere idrauliche vengono suddivise in cinque categorie in base alla loro importanza, specificando la misura della partecipazione economica dei singoli enti pubblici (stato, province, comuni), crescente in ragione dell’interesse pubblico che rivestono, e dei consorzi dei privati interessati alla realizzazione delle opere ed alla loro manutenzione.
Mentre per la costruzione delle opere viene in alcuni casi prevista per gli enti pubblici la possibilità di derogare alle norme di carattere generale relative alla suddivisione delle spese, incrementando la propria partecipazione alla spesa nel caso in cui il consorzio non sia nelle condizioni di poter far fronte alla sua quota, per la manutenzione delle stesse, ad eccezione delle riparazioni straordinarie, viene semplicemente prevista la sua attribuzione al consorzio degli interessati(5).
Un problema che è emerso sistematicamente nell’applicazione di tali norme riguarda proprio la manutenzione delle opere idrauliche che molte volte non viene effettuata a causa dei costi non sostenibili dai consorzi, vanificando con il passar del tempo l’efficacia delle opere stesse.
Una parte del Regio Decreto è poi dedicata alla “polizia” delle acque pubbliche, ovvero alle opere e alle attività che vengono vietate in modo assoluto o sono ammesse solo previa speciale autorizzazione contenente le relative modalità di esecuzione.
Data l’importanza di tali regole si riportano di seguito i principali divieti ed i principali lavori realizzabili solo dietro autorizzazione.

Art. 96 - Sono lavori ed atti vietati in modo assoluto sulle acque pubbliche, loro alvei, sponde e difese i seguenti:
a) …….;
b) le piantagioni che si inoltrino dentro gli alvei dei fiumi, torrenti, rivi e canali, a costringerne la sezione normale e necessaria al libero deflusso delle acque;
c) lo sradicamento o l'abbruciamento dei ceppi degli alberi che sostengono le ripe dei fiumi e dei torrenti per una distanza orizzontale non minore di nove metri dalla linea in cui arrivano le acque ordinarie. Per i rivi, canali e scolatoi pubblici la stessa proibizione è limitata ai piantamenti aderenti alle sponde;
d) …….;
e) le piantagioni di qualunque sorta di alberi ed arbusti sul piano e sulle scarpe degli argini, loro banche e sottobanche, lungo i fiumi, torrenti e canali navigabili;
f) le piantagioni di alberi e siepi, le fabbriche, gli scavi e lo smovimento del terreno a distanza dal piede degli argini e loro accessori come sopra, minore di quella stabilita dalle discipline vigenti nelle diverse località(6) , ed in mancanza di tali discipline, a distanza minore di metri quattro per le piantagioni e smovimento del terreno e di metri dieci per le fabbriche e per gli scavi;
g) qualunque opera o fatto che possa alterare lo stato, la forma, le dimensioni, la resistenza e la convenienza all'uso, a cui sono destinati gli argini e loro accessori come sopra, e manufatti attinenti;
h) le variazioni ed alterazioni ai ripari di difesa delle sponde dei fiumi, torrenti, rivi, canali e scolatori pubblici, tanto arginati come non arginati, e ad ogni altra sorta di manufatti attinenti;
i) il pascolo e la permanenza dei bestiami sui ripari, sugli argini e loro dipendenze, nonché sulle sponde, scarpe, o banchine dei pubblici canali e loro accessori;
[….].

Art.97. Sono opere ed atti che non si possono eseguire se non con speciale permesso del prefetto e sotto l'osservanza delle condizioni dal medesimo imposte, i seguenti:
a) la formazione di pennelli, chiuse ed altre simili opere nell'alveo dei fiumi e torrenti per facilitare l'accesso e l'esercizio dei porti natanti e ponti di barche;
b) la formazione di ripari a difesa delle sponde che si avanzano entro gli alvei oltre le linee che fissano la loro larghezza normale;
c) i dissodamenti dei terreni boscati e cespugliati laterali ai fiumi e torrenti a distanza minore di metri cento dalla linea a cui giungono le acque ordinarie, ferme le disposizioni di cui all'art. 96, lettera c);
d) ……..;
e) la formazione di rilevati di salita o discesa dal corpo degli argini per lo stabilimento di comunicazione ai beni, agli abbeveratoi, ai guadi ed ai passi dei fiumi e torrenti(7);
k) ……..;
l) ……..;
m) l'estrazione di ciottoli, ghiaia, sabbia ed altre materie dal letto dei fiumi, torrenti e canali pubblici, eccettuate quelle località ove, per invalsa consuetudine si suole praticare senza speciale autorizzazione per usi pubblici e privati. Anche per queste località però l'autorità amministrativa limita o proibisce tali estrazioni ogniqualvolta riconosca poterne il regime delle acque e gl'interessi pubblici o privati esserne lesi;
[….].

Art.98 -Non si possono eseguire, se non con speciale autorizzazione del ministero dei lavori pubblici, e sotto la osservanza delle condizioni dal medesimo imposte, le opere che seguono(8):
d) le nuove costruzioni nell'alveo dei fiumi, torrenti, rivi, scolatoi pubblici o canali demaniali, di chiuse, ed altra opera stabile per le derivazioni di ponti, ponti canali e botti sotterranee, non che le innovazioni intorno alle opere di questo genere già esistenti;
e) la costruzione di nuove chiaviche di scolo a traverso gli argini e l'annullamento delle esistenti;
[….]”.

Come abbiamo potuto vedere il testo unico del 1904 si dimostra sufficientemente attento anche alle problematiche relative al mantenimento dell’equilibrio dell’ecosistema in quanto si avvaleva come riferimento, come già detto in premessa, delle competenze in materia esistenti in alcuni stati preunitari.

L. 18 maggio 1989, n°183
Una svolta in ambito legislativo è costituita dalla L. 18 maggio 1989, n°183, “Norme per il riassetto organizzativo e funzionale della difesa del suolo” che si pone come finalità (art.1) la difesa del suolo, il risanamento delle acque, la fruizione e la gestione del patrimonio idrico per gli usi di razionale sviluppo economico e sociale nonchè la tutela degli aspetti ambientali ad essi connessi, correlando quindi strettamente il problema della difesa del suolo e dell’utilizzo delle acque pubbliche con la tutela dell’ambiente e con un razionale modello di sviluppo economico e sociale.
Nell’elenco degli interventi destinati a realizzare le finalità di cui sopra, oltre agli interventi sulle acque, sono infatti compresi anche la sistemazione, la conservazione ed il recupero del suolo nei bacini idrografici, con interventi idrogeologici, idraulici, idraulico-forestali, idraulico-agrari, silvo-pastorali, di forestazione e di bonifica, anche attraverso processi di recupero naturalistico, botanico e faunistico nonchè la regolamentazione dei territori interessati dagli interventi ai fini della loro tutela ambientale, anche mediante la determinazione di criteri per la salvaguardia e la conservazione delle aree demaniali e la costituzione di parchi fluviali e lacuali e di aree protette(9) .
Per una corretta gestione del problema delle acque vengono individuati come ambiti di base da cui partire i bacini idrografici, suddivisi per importanza : bacini di rilievo nazionale, bacini di rilievo interregionale e bacini di rilievo regionale. Mentre i primi due vengono individuati direttamente dalla legge, spetta alle singole regioni l’individuazione degli altri bacini; nella regione Friuli – Venezia Giulia sono ricompresi i bacini di rilievo nazionale dell’Isonzo, del Tagliamento, del Livenza e del Piave ed il bacino di rilievo interregionale del Lemene.
La legge 183 individua nei piani di bacino “lo strumento conoscitivo, normativo e tecnico-operativo mediante il quale sono pianificate e programmate le azioni e le norme d'uso finalizzate alla conservazione, alla difesa e alla valorizzazione del suolo e la corretta utilizzazione della acque, sulla base delle caratteristiche fisiche ed ambientali del territorio interessato”(art.17).
I piani di bacino hanno il valore di piano territoriale di settore e sono attuati attraverso programmi triennali di intervento, redatti tenendo conto degli indirizzi e delle finalità dei piani medesimi (art.21).
Per assicurare omogeneità nella redazione dei piani di bacino la legge prevedeva l’emanazione di un apposito decreto contenente indirizzi, metodi e criteri che è stato emanato solo nel 1995.

D.P.R. 18 luglio 1995
Intitolato “Approvazione dell’atto di indirizzo e coordinamento concernente i criteri per la redazione dei piani di bacino”, il decreto prevede un'articolazione della redazione del piano di bacino in tre fasi (conoscenza dello stato di fatto, individuazione degli squilibri e proposte progettuali) che vanno realizzate non necessariamente in sequenza ma correlate in un processo interattivo ; purtroppo nella fase analitica, minuziosamente specificata, non viene data agli aspetti ambientali la stessa importanza che viene invece assegnata ad aspetti meno rilevanti.

D.P.R. 14 aprile 1993 e L. 5 gennaio 1994, n°37
Dal momento che i piani di bacino hanno avuto una gestazione lunga e sofferta, per cercare nel frattempo di evitare danni all’ambiente causati da interventi non corretti motivati da esigenze di urgenza degli interventi stessi, il legislatore nazionale in due occasioni si è espresso per dare indicazioni precise sulle caratteristiche degli interventi che potevano essere realizzati prima dell’adozione dei piani di bacino, il D.P.R. 14 aprile 1993 “Atto di indirizzo e coordinamento alle Regioni recante criteri e modalità per la redazione dei programmi di manutenzione idraulica e forestale” e la L. 5 gennaio 1994, n°37 “Norme per la tutela ambientale delle aree demaniali dei fiumi, dei torrenti, dei laghi e delle altre acque pubbliche”.
L’art.5 della L.37/1994 recita :

Sino a quando non saranno adottati i piani di bacino nazionali, interregionali e regionali, previsti dalla legge 18 maggio 1989, n. 183, e successive modificazioni, i provvedimenti che autorizzano il regolamento del corso dei fiumi e dei torrenti, gli interventi di bonifica ed altri simili destinati ad incidere sul regime delle acque, compresi quelli di estrazione dei materiali litoidi dal demanio fluviale e lacuale, devono essere adottati sulla base di valutazioni preventive e studi di impatto, redatti sotto la responsabilità dell'amministrazione competente al rilascio del provvedimento autorizzativo, che subordinino il rilascio delle autorizzazioni e delle concessioni al rispetto preminente del buon regime delle acque, alla tutela dell'equilibrio geostatico e geomorfologico dei terreni interessati, alla tutela degli aspetti naturalistici e ambientali coinvolti dagli interventi progettati.

D. Lgs. 25 maggio 2001, n°265
Con D. Lgs. 25 maggio 2001, n°265, “Norme di attuazione dello Statuto speciale della regione Friuli – Venezia Giulia per il trasferimento del demanio idrico e marittimo, nonché di funzioni in materia di risorse idriche e di difesa del suolo”, sono stati trasferiti alla Regione tutti i beni dello Stato appartenenti al demanio idrico, comprese le acque pubbliche, gli alvei e le pertinenze, i laghi e le opere idrauliche con esclusione del fiume Judrio nel tratto classificato di prima categoria, ossia in quello che fa da confine con la vicina Slovenia, nonché dei fiumi Tagliamento e Livenza nei tratti che fanno da confine con la regione Veneto.

L. R. 3 luglio 2002, n°16
A livello regionale il testo normativo fondamentale è costituito dalla recente L.R. 3 luglio 2002, n°16, “Disposizioni relative al riassetto organizzativo e funzionale in materia di difesa del suolo e di demanio idrico”.
I principi e le finalità della legge, in consonanza con quanto dettato dalla Legge 183/1989, vengono espressi nel 1° comma dell’art.1 e nel 2° comma dell’art.32 che di seguito si riportano:
- La Regione autonoma Friuli Venezia Giulia considera i bacini idrografici quali ecosistemi unitari e riconosce che le acque e il suolo costituiscono una fondamentale risorsa da salvaguardare e utilizzare secondo principi di razionalità e solidarietà, nella tutela delle aspettative e dei diritti delle generazioni future a fruire di un integro patrimonio ambientale;
- La Regione riconosce che le aree del demanio idrico sono un bene fondamentale da tutelare, con riguardo al buon regime delle acque, alla salvaguardia della naturalità dei corsi d’acqua e del paesaggio, ed alla fruibilità dell’ambiente fluviale, lacuale e lagunare da parte dei cittadini.

Tutte le acque superficiali e sotterranee, ancorché non estratte dal sottosuolo sono pubbliche e quindi fanno parte del demanio idrico regionale, istituito dalla stessa legge, che prevede la realizzazione di un apposito registro, alla tenuta del quale provvede la Direzione regionale degli affari finanziari e del patrimonio.
In applicazione della Legge 183/1989, la legge regionale classifica come bacini di interesse regionale il bacino idrografico del torrente Slizza, il bacino idrografico dei tributari della laguna di Marano – Grado, ivi compresa la laguna medesima ed infine il bacino idrografico del levante, posto a est del bacino idrografico del fiume Isonzo e fino al confine di Stato (art.4)
La delimitazione fisica di tali bacini verrà proposta dall’Assessore regionale all’ambiente, deliberata dalla Giunta regionale ed approvata con decreto del presidente della Regione; la loro gestione viene affidata ad un’unica Autorità di bacino, istituita dalla stessa legge (art.5).
Come strumento conoscitivo, normativo e tecnico – operativo dei bacini idrografici viene confermato il Piano di bacino a cui viene riconosciuto il valore di piano territoriale di settore e che si applica nell’intera area compresa nel bacino idrografico interessato. Le disposizioni del piano di bacino, una volta approvato, hanno carattere immediatamente vincolante per le amministrazioni ed enti pubblici, nonché per i soggetti privati, ove si tratti di prescrizioni dichiarate di tale efficacia dal piano stesso (art.13).
La legge infine delega ai comuni singoli o associati la gestione dei corsi d’acqua limitatamente alle tratte interne ai centri abitati, specificando gli interventi ammessi che consistono semplicemente in opere di manutenzione ordinaria (art.43).
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(4)Comma 4 dell’articolo 1
(5)Ad esclusione delle opere della prima categoria - opere che hanno per unico oggetto la conservazione dell’alveo dei fiumi di confine con altri stati.
(6)Alla fine del presente testo sono inseriti due disegni che evidenziano le distanze che il Genio Civile di Udine ha sempre utilizzato tratti dallo studio “Il corso d’acqua” fatto predisporre dalla Direzione Regionale della Pianificazione Territoriale all’inizio degli anni ’90 in occasione degli studi preliminari per la formazione del nuovo piano territoriale regionale.
(7)Le letteref), g), h), i) sono state abrogate.
(8)Le lettere a), b) e c) sono state abrogate
(9)Art.3, lettere a ed n