Una delle principali minacce per i delfini è la caccia: il prelievo per scopi di sussistenza da parte delle popolazioni indigene è aumentato da quando queste sono cresciute di numero ed hanno appreso o sviluppato metodi di caccia più sofisticati. Le più grosse catture di cetacei, sono accidentali. Gran parte della pesca ha luogo nelle acque costiere, dove i cetacei rimangono impigliati nelle reti e, non potendo emergere per respirare, affogano.

 La preoccupazione per le numerose catture accidentali nelle reti portò nel 1989 all’adozione di un tentativo di soluzione da parte dell’Assemblea Generale dell’ONU che chiedeva l’abolizione delle reti pelagiche derivanti entro il 30 giugno 1992 “a meno e fino a che non si prendano misure effettive per limitare gli effetti dannosi di questo tipo di pesca”. Ciononostante, la pesca con reti derivanti è ancora praticata da molti paesi e rientrano in questa categoria le famigerate “spadare”, usate nel Mediterraneo soprattutto da pescherecci italiani, che causano la morte di migliaia di delfini, capodogli e tartarughe marine ogni anno. Anche l’Unione Europea ha deliberato l’abolizione di queste reti per il 1997 e ha prescritto che nel frattempo la loro lunghezza non deve essere superiore ai 2,5 Km. ma questa limitazione è largamente ignorata, e si continuano ad usare reti di 10-20 Km ed oltre. 

Altre serie minacce per i delfini sono l’inquinamento delle acque, la distruzione e la frammentazione dell’habitat a causa della costruzione di sbarramenti e dighe e della urbanizzazione e cementificazione delle coste che riducono la disponibilità di cibo per i cetacei.

 

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