E’
quando riesci a vederti dall’esterno, quando riesci a vedere la vacuità delle
cose che tutto svanisce. Tutto ciò che brilla alla luce della curiosità, si
spegne sotto una coltre densa di noia che congela il tempo e le braccia.
Soltanto allora avrai memoria di te, saprai dell’inutilità di ciò che ogni
giorno meccanicamente fai. In quel preciso istante svaniscono colori e sapori,
odori e dolori. Tutto si trasforma in una landa desolata, fredda e silenziosa,
dove il nulla assorda le orecchie e il freddo brucia le mani. Comprenderai la
ciclicità del giorno e la notte, quando la luce rimarrà a mezz’aria,
sgomenta e impaurita. Tutto questo in un millesimo di secondo, prima del tuo
impatto con la realtà, prima del tuo mattutino freddo sul naso. Sarà lì che
la verità ti si staglierà addosso, senza possibilità di aggirarla ti
ritroverai al tuo seggiolone a sbrodolare cazzate, note stonate in una vita che
non c’è mai stata, in un mondo capovolto, senza nessuno in ascolto. Troverai
un mondo di impulsi elettrici, senza parole, suoni, con due sole dimensioni.
Avrai un mondo racchiuso dentro tre “W” e la sensazione di prenderti in
giro. Viaggerai, tra i tabù del mondo, volteggiando su mille e mille altre
persone, senza sentirne il fiato, il fumo invernale. Comunicherai con un eco, il
riflesso di un’assenza senza capire mai i bluf, senza carpire uno sguardo.
Avrai notti intere curvo sopra dei tasti, escluso dal mondo, in una rete
infinita a pescar compagnie surrogate di allegria e occhi gonfi di pixel
impazziti e immagini epilettiche oltre cui non troverai mai niente. Un
caleidoscopio di lettere, di linguaggi che ben conosci ma che non puoi toccare,
dialogo freddo con uno schermo, segreteria di un tempo avvolto nel fumo nocivo
di valori persi per strada, nelle sgommate fiere di un diluvio assassino, ed un
brigante bianco riflesso nella notte dell’origine del fac-simile mondo
appiccicatoci addosso indelebilmente. Figli di un giorno o un ora piatta, al
plasma e di colori artificiali, verdi più del verde e neri più della noia,
grigi più del dolore e blu, più blu della malinconia. Niente di più chiaro,
che dei caratteri, nero su bianco a dirti cosa fare, cosa digitare, digitando
altri tasti. Niente di più, niente di meno che un tempo alla rovescia, una
curva antioraria negli assi cartesiani tempo-intelligenza. Un mondo automatico,
senza più carica a molla o a pila, da guardare mentre ferma alle tue stazioni,
lasciando il vuoto nella memoria e la viltà, un coraggio colpito alle spalle.
Una musica standard di parametri e linguaggi binari, tutto un mondo infinito,
aperto sulla strada e chiuso sulla gente. Mani di carta per drenare, assorbire
il sudore alcalino degli accumulatori di falsità, lampi come radici luminose
nate, vissute, morte in un attimo, senza possibilità di generazioni future. Un
universo parallelo a sé stesso, in infinita rotazione sul proprio asse, culmine
di rette casuali,rivoluzione di punti e circonferenze inscritte in quadrati
conici e penombre ad eclissare frequenze radio…digitando una successione di
uno e zero