DELIRIO SENZA ISPIRAZIONE 2

di Cucciolo

Forse era stanco, forse si era rassegnato, ma lo vedevo andare incontro ai pugni senza reagire, senza parare più i colpi. Ebbe un sussulto quando lo chiamarono sull’altare, stava per essere offerto al Dio dei grandi inganni, quando un sospetto gli balenò per il cervello e uscì velocemente dall’ufficio, tenendo stretti i suoi fogli in una mano e la ventiquattro ore nell’altra. Quando accese il microfono e il riflettore lo accompagnò in scena:” Benvenuti anche stasera allo show degli imbecilli patentati, oggi la grande sfida: Chi è più deficiente? 1. Chi fa la televisione. 2. Chi la guarda.”

Non si accontentava più degli esercizi e dei pesi che alzava in quella palestra, voleva di più, lui voleva stupire, rimase stupito e stupidamente strimpellava il suo clarinetto mentre il suo sistema nervoso andava a rotoli, portandosi via anche la ragione. Quando non si aprì il paracadute si rese conto che lui era a mezz’aria e che il mondo si avvicinava sempre più velocemente, comprimendogli il petto e bloccandogli l’aria nella gola. Ebbe quasi la sensazione di scavare nel vuoto, poi trovò finalmente il cadavere, non gli importava se era già putrefatto, l’importante era che potesse rivederla, baciarla, leccarle il seno ancora una volta, come fece con la sorella, quando ancora il sangue le gocciolava dal petto ed il suo calore era ancora presente.

“Ok, io vado via, ne ho abbastanza!” si alzò dal tavolo verde, prese il suo giubbotto di pelle nera e cominciò a vagare nella notte, in mezzo al fumo del fiato e dell’ultima sigaretta. Si accorse solo dopo un po’ che quel viso le sembrava conoscente, gli andò in contro e fu amore. Inciampò e si ruppe il bacino, gli andò bene, a novant’anni suonati poteva anche rimanerci secco, magari!

Alla canonica ottava battuta la sua voce risuonò in tutto il palasport, le chitarre martellavano e il basso piantava chiodi sonori nelle orecchie del vecchio che con la scopa batté sul tetto, per farsi sentire. Uscì da quel cimitero un po’ sconvolta e prese a correre, per scappare via da tutte quelle tombe che scricchiolavano, usurate dall’escursione termica della notte. Il motore numero uno era morto, erano ormai sfottuti, quel F 14 Tomcat li aveva agganciati, quando il bimbo scese dalla sua macchinetta a pile per raggiungere gli altri compagni di gioco al campo di calcio.

“Datemi un buon motivo per rimanere!” Si mise a bestemmiare, a rigurgitare parole e nessuno osò rispondergli. Il muro della camera da letto si deformò in una specie di sorriso, il lampadario cominciò ad oscillare e la bottiglia poggiata al contrario per terra andò in frantumi. Sentì quel rumore, tutto tremava ma non riusciva a distinguere più in quale stazione stesse transitando. Ci pensò un po’, poi tirò di naso e d’un colpo la polverina bianca lo mandò in estasi. Cominciarono a parlare dei conti da controllare, mentre lui toglieva lo zucchero a velo del cornetto dalla manica della giacca. Abbaiò tutta la notte a quella stella, che pian piano girava sull’ asse dell’ equatore.

Riguardava contenta le foto del viaggio di nozze, mentre lui al lavoro si faceva la segretaria, ma non era un tradimento, perché per lui non c’è legame che tenga. Si alzò dai gradini con la sua radio in spalla e sudato si avviò verso il campetto da basket, ma vide qualcosa in lontananza…

“Strano, qualcosa non va come dovrebbe” e con l’ accendino, fece luce in una perdita di gas. Brandelli di carta persi nel vento.