PROBLEMI DI SONNO

di CrazyGroucho

 Oggi sarà sicuramente la solita giornata del cazzo, pensa Tiziano davanti allo specchio del bagno mentre si lava i denti e poi si schiaccia i brufoli, come al solito, adesso vado a scuola, poi torno a casa, guardo la televisione, studio un po’, guardo la televisione e basta… ah no! oggi esce l’ultimo Dylan Dog, leggerò qualcosa, speriamo che sia bello.    

  Tiziano non sa quanto si sbaglia, anzi, su qualcosa ha ragione: sarà una giornata del cazzo, si, però non la “solita”.

  Tiziano è un ragazzo di 17 anni, è di Verona e frequenta il liceo scientifico. E’ un ragazzo che non ha né grandi né piccole passioni e probabilmente non farà niente di speciale nella vita.

  Sono il solito perdente, pensa di se stesso, e lo dice pure nei suoi sfoghi al telefono con la sua migliore amica Morgana quando è preso dalla sua abituale e quasi cronica depressione.

  Dopo aver finito di lavarsi comincia a vestirsi in tutta fretta per paura di perdere l’autobus. Infatti, proprio nel momento in cui chiude la porta di casa lo vede passare.

  Ma vaff…!  pensa rabbiosamente con la convinzione di dovere aspettare almeno un quarto d’ora e così di arrivare in ritardo a scuola.

  Per fortuna viene contraddetto dall’arrivo quasi immediato di un altro autobus.

  Cazzo quant’è pieno!

  Ha ragione, è veramente stracolmo. In occasioni normali non l’avrebbe preso, però adesso che è veramente di fretta lo prende anche se a malincuore. Sopra l’autobus soffre in silenzio, schiacciato da decine di zaini tenuti da ragazzini urlanti.

  Non se li tolgono neanche se li paghi, lo fanno apposta così occupano il doppio dello spazio, brutti stronzetti figli di…

  Per non pensarci comincia a fantasticare su possibili stragi che potrebbe fare; immagina gli zaini che lo schiacciano zuppi del sangue di quei ragazzini, crani fracassati nei quali si vedono cervelli resi come una poltiglia melmosa, pance sbudellate, le sue stesse mani sporche di sangue per aver cavato gli occhi miopi di una vecchietta che giorni prima gli aveva chiesto di cederle il posto.

  Sicuramente non lo farebbe mai, è un grande vigliacco, lui, ma vorrei vedere voi al suo posto.

  Arriva alla sua fermata e riesce a stento a scendere da quella succursale mobile dell’inferno. Sul  marciapiede guarda l’orologio e si accorge che, cazzo…!  è in un ritardo bestiale (quasi “infernale”… ah,ah… brutta eh?), così comincia a correre anche se sa che è inutile.                            

  Speriamo che mi facciano entrare…

  Non lo fanno entrare. Entrerà a seconda ora. Matematica.

 

 

  Paura. Terrore. La professoressa entra e il silenzio è subito dopo di lei. La professoressa posa il cappotto e la tensione si somma per reazione chimica all’ossigeno. La professoressa si siede e apre il registro.

  “Bene, vedo che oggi siete pochi… che c’è, quelli che non sono venuti hanno paura dell’interrogazione? E voi, non pensiate che non vi chiami. Allora, vengano alla lavagna… Lucini e… Stano.”

  Cazzo! pensa Tiziano che da come avrete capito di cognome fa Stano.

  L’interrogazione andrà male per Tiziano. 4 e mezzo.

  “Anzi sono stata buona perché ti meritavi di meno.”

  “Grazie.” brutta stronza..!

 

 

  Le ore che sono venute dopo sono passate come niente. Ore di supplenza. Dopo essere uscito si è diretto verso l’edicola e ha comprato il Dylan Dog. Aprendolo si è compiaciuto del fatto che sia sceneggiato dal suo mito e omonimo Sclavi. Ha fatto conoscenza con altri diavoli ed è arrivato a casa. Adesso sta guardando la televisione steso pigramente sul letto.

 

 

  Sonno. Strano che Tiziano abbia sonno, specialmente di pomeriggio. Lui al massimo riesce a dormire circa quattro ore di notte, perché soffre d’insonnia o almeno crede di soffrirne, visto che non si è mai fatto controllare da un medico. A volte se ne vanta addirittura. In realtà è solo perché è poco attivo durante il giorno, che non riesce ad addormentarsi facilmente. Gli succede anche che passino più di due ore  prima che si assopisca completamente.

  Noia. Quello che sta vedendo in televisione non lo attira per niente. Pone invece attenzione alla carta da parati della sua stanza, il suo disegno è una stupida disposizione regolare di pois di vario colore.

  (“Mamma, perché hai messo questa carta? Fa schifo, è ridicola…”)

  Viene addirittura rapito da questa geometria insulsa e ad un tratto vede i cerchi aprirsi come delle bocche, tutti, per tutte le pareti della stanza. Cominciano a ridere. Una risata maligna, che da terrore.

  “Ah ah ah ah… Tiz… o… ah ah ah ah… che fai? ah ah ah ah… sta… a alle venti… ah ah ah…   risp…imi… ah ah ah…”

  La mano di Elisa, sua sorella maggiore, che lo tocca, lo desta da quella visione spaventosa.                    

  “Tiziano, che hai? Non mi rispondevi,”dice Elisa.  

  “Ah… non so… ero soprappensiero.”

  “Hai qualche problema? Stai male?”

  “No, ero solo soprappensiero. Sto bene.”
  “Ma… tu non me la conti giusta.”

  (“…non me la conti giusta”… che modo di dire idiota)

  “Ti ripeto che sto bene,”dice infastidito,quasi gridando.

  “Va bene, va bene, calmati però. Allora, ero venuta a dirti che sto uscendo”

  “Dove vai?”

  “Non t’interessa. Dillo alla mamma che sono uscita. Ciao”

  “Ok, ciao”

  Elisa esce dalla stanza e va verso la porta di casa. Tiziano ascolta i passi che si fanno lontani, la porta che si apre, la porta che si chiude.

  Dopo quella visione Tiziano si sente strano. All’inizio non ci ha fatto caso, occupato dall’unica idea di mandare via la sorella (quell’ipocrita del cazzo…) che lo infastidiva, però ora si sente vuoto più del solito ed è ancora più assonnato, molto di più.

  Che cosa è stato?  pensa, non mi è mai successo… non è normale. Forse sto diventando pazzo… no, che dico? sono troppo lucido per esserlo… (lucido col cazzo…) …  che cosa è stato? ho paura… sto male. Lo pensa con un viso stranamente inespressivo, tante sono le sue emozioni al momento. E’ come scioccato, travolto da queste sensazioni, troppe per essere espresse.

  (ah ah ah ah ah ah…)

  No!! di nuovo no, pensa questa volta con un viso terrorizzato, no, no…

  “Statevi zitti… zitti, smettetela… basta!” grida tenendosi le mani, come tappi, sulle orecchie “lasciatemi stare, bastardi… per favore, vi prego…” quasi piangendo.

  Tiziano dopo un po’, essendosi calmato, decide di togliersi le mani dalle orecchie e si accorge che le risate, tutte, si sono spente. Adesso è calmo, respira più regolarmente, però nel profondo è ancora sconvolto per quello che ha visto e sentito. Vuole cercare di dimenticare, così spegne la televisione e la luce, si mette a letto con la testa sotto il cuscino e chiude gli occhi. Il sonno è molto, Tiziano scivola velocemente nell’incoscienza.

  Sogna

SOGNO O SON DESTO?

 

  Tiziano è su un autobus, è seduto e poggia la testa sul vetro, assorbendo così le vibrazioni. E’ solo sull’autobus, c’è solo l’autista che guida silenziosamente. Fuori il cielo è arancione, deve essere pomeriggio, tardo pomeriggio.  Tiziano non ne è sicuro, non ha l’orologio. L’autobus si ferma e fa salire un uomo. Tiziano si volta e lo guarda: è molto alto e indossa un lungo cappotto di pelle nera, il suo petto è nudo e rosso come tutta la sua pelle, sul capo spuntano delle protuberanze aguzze, corna, e le sue gambe sono più che altro zampe, zampe da caprone. Un diavolo.

  Va verso Tiziano che non sembra sorpreso, anzi, è come se quel diavolo gli fosse familiare, come se lo conoscesse. Si siede sul posto davanti al suo.

  “Ciao, Tiziano, come va?” dice il diavolo.

  “Scusi, ci conosciamo?” risponde Tiziano.

  “Io si, ti conosco. Tu sei Tiziano Stano.”

  “E lei, lei chi è?”

  “Dammi del tu. Io sono Mefistofele, Mephisto per gli amici, diavolo di seconda classe, sezione autobus.”

  “E io sono tuo amico?”

  “Certo. Tu sei il mio migliore amico.”

  “Ma… ma come posso esserlo?... neanche ti conosco.”

  “No… tu invece mi conosci benissimo.”

  “Beh… sarà.”

  L’autobus si ferma di nuovo dopo tre fermate. Sale molta gente… moltissima… troppa. L’autobus ora è pieno e con molta probabilità una persona affetta da claustrofobia ci morirebbe dentro.

  Vuoi vedere che ora arriva una vecchietta e mi chiede di sedersi? pensa Tiziano. Infatti una mano lo tocca, lui si gira e la vede… lei… come se l’è immaginata, l’esemplare ideale della vecchietta-rompipalle, con la borsa della spesa tanto pesante che la ingobbisce fino all’inverosimile, i pochi capelli bianchi, le lenti spesse dei suoi occhiali e la dentiera traballante.

  “Scusa, giovanotto, non è che mi faresti sedere che sono stanca?” il tutto detto con una voce al limite del comprensibile (e con qualche lancio incontrollato di saliva ribelle… che schifo!)

  (No! brutta rompipalle…)

  “Si, aspetti un momento.”

  Così Tiziano si alza e la fa sedere. Alzato, si tiene alla barra di sostegno accanto al posto di Mephisto e viene schiacciato da una massa informe e puzzolente di corpi, con incluse le loro esistenze fatte di file alla posta, di lamentele contro l’amministrazione comunale, ecc… (“E’ tutto uno schifo al giorno d’oggi, signò”)

  “So come ti senti, Tiziano,” dice Mephisto.

  “Co… cosa?”

  “Si… ora detesti tutte queste persone e specialmente questa vecchietta che ti ha tolto il posto. La picchieresti con gusto, vorresti vedere il suo sangue, e io, come tuo amico, voglio darti la possibilità di sfogarti.”

  “Che… che vuoi dire?”

  “Tieni,” e gli da un coltello, un coltello molto grosso, da cucina.

  “Che cosa ci dovrei fare?” chiede Tiziano ancora più confuso.

  “Lo sai.”

  Come una scarica elettrica l’illuminazione arriva al cervello di Tiziano e capisce quello che Mephisto gli voleva dire, quello che inconsciamente aveva capito fin dall’inizio.

  “Si… lo so” dice con due occhi nuovi fatti di follia. Ha capito quello che deve fare e non ha più paura di farlo. Lo sa. Stringe le dita attorno al manico del coltello fino a farsi male. Lo sa. Si avvicina di più alla vecchietta. Lo sa. Alza lentamente il braccio con cui tiene il coltello (potrebbe sembrare che tutto si muova al rallentatore). Lo sa. Abbassa il braccio e affonda il coltello nella gola della vecchietta (questa volta l’immagine è a velocità normale, quasi accelerata). Sangue che schizza dappertutto, sangue che sporca le mani e i vestiti di Tiziano. Tiziano affonda un altro colpo e ancora un altro, un altro, un altro, un altro, un altro…

  “Muori, brutta schifosa, così non mi darai più fastidio,” dice Tiziano con una voce che non sembra più la sua, forse deformata dalla follia.

  Silenzio. Ora Tiziano si accorge: nessuno ha gridato, nemmeno la vecchietta. Ma… ma, perché questo silenzio? pensa in uno sprazzo di lucidità,a nessuno fa paura quello che ho fatto? nessuno vuole fermarmi o scappare? perché…?

  “Mi volete rispondere? perché? sono uno psicopatico e non avete paura di me. Perchè?” grida.

  Loro, gli altri, lo guardano inespressivi, come se fossero degli involucri vuoti, e questo comportamento è la scintilla che riaccende la follia in Tiziano. Lui li attacca con ancora più impeto e odio e passa di persona in persona infierendo sui loro “involucri vuoti”, che poi tanto vuoti non sono (sangue, budella & co.), con il coltello ancora gocciolante.

  “Ba..a.”

  Il sangue ora ricopre quasi tutti i sedili, e il viso di Tiziano è una maschera rossa di follia e odio.

  “Basta.” La voce di Mephisto il diavolo giunge alle orecchie di Tiziano e lui si ferma come se tutti i suoi muscoli si fossero paralizzati all’istante. Il coltello è ancora in mano, il braccio alzato che era pronto a disegnare una traiettoria dolorosa (per la carne di qualcuno), il rumore delle gocce di sangue che cadono dalla lama, che rompe il profondo silenzio che si è creato (veramente non c’è poi tutto questo silenzio, visto che il motore dell’autobus fa un rumore allucinante, però in una situazione del genere non si fa caso a certi particolari). Tiziano dopo qualche secondo di immobilità si volta (rallentatore) verso Mephisto e non ha più il viso pieno di odio di prima, adesso ha un viso confuso… sempre rosso per il sangue, ma confuso.

  “Ti sei sfogato abbastanza, ma ora basta che dobbiamo scendere. Dammi il coltello.”

  “Ma…”

  “Ma, cosa?”

  “No,niente… tieni,” e gli da il coltello.

  Con quel “ma…” Tiziano voleva contraddire Mephisto e dirgli: “perchè ‘dobbiamo’? che cosa vuoi da me? io non ti seguo,” però s’è bloccato forse perché  inconsciamente ha capito che vuole seguirlo, forse perché Mephisto gli sta simpatico e per lui è veramente un amico, anche se lo conosce da pochi minuti, però un vero perché non c’è e non ci sarà mai. Perché dovrebbe esserci, poi? non serve mica.   

      

 

  “Mephisto…” dice Tiziano. Non sono più sull’autobus, ora sono sul marciapiede umido e camminano. “Prima, quando eravamo sull’autobus e ti sei presentato, mi hai detto che sei della “sezione autobus”. Che intendevi dire?”

  “Che lavoro lì… in quella sezione,” risponde Mephisto, guardando dritto.

  “Non capisco. Di preciso cosa fai?”

  “Beh… per la maggior parte del tempo faccio lavoro burocratico, in ufficio, però ogni tanto mi mandano a reclutare anime sugli autobus. E’ la parte del mio lavoro che preferisco.”

  “‘Reclutare anime’? Che vuol dire?”

  “Ok, ora ti spiego. Tra noi diavoli una parte viene assegnata al reclutamento delle anime e io eseguo il mio lavoro sugli autobus. Il reclutamento, in parole povere, è l’evoluzione del semplice proporre contratti per la vendita dell’anima alle persone. Quel metodo ormai non funzionava più, i contratti per noi erano diventati troppo svantaggiosi, così abbiamo inventato un metodo ancora più semplice e vantaggioso, il reclutamento.”

  “E perché proprio sugli autobus?” Tiziano è curioso.

  “E’ semplice. Quello è un terreno fertile. Lì la gente, per motivi che conoscerai, mostra il suo lato oscuro… è scorbutica, odia gli altri e tante altre cose. Quelle sono persone predisposte al reclutamento e noi siamo lì, pronti a dare loro degli sfoghi in cambio della loro anima. Però nella maggior parte dei casi sono delle delusioni, non hanno più un’anima da tempo.”

  “Allora vuoi dire che sono una specie di ‘tuo cliente’”

  “Si, in un certo senso. E sei stato pure una bella scoperta. Tu pensi, e molto, perché in realtà (nonostante quelle cazzate dello spirito trascendente e cose del genere) la cosiddetta anima non è altro che la mente. Sei… sei deluso da me? ti vedo strano.”

  “Non lo so… forse. Dopotutto mi aspettavo una cosa del genere.”

 

 

  Silenzio imbarazzante. Il dialogo tra i due si è bloccato da quasi cinque minuti e il disagio aumenta, specialmente in Tiziano. La sua cosiddetta anima è molto attiva. Sarebbe un obbiettivo molto interessante per i colleghi di Mephisto. Tutta questa attività però gli aumenta il disagio. Rottura.

  “Senti, Tiziano. Tu sai che questo è un sogno, vero?”

  “Si, lo so.”

  “Bene, mi fa piacere. Ora ti porto dove lavoro ‘burocraticamente’, la Clinica degli insonni.”

  Tiziano ora non si fa più domande e lo segue. E’ tutto normale ormai.

                                                                                                              

LA CLINICA DEGLI INSONNI

 

  Un edificio semplice, molto semplice. Un cubo bucherellato da decine di finestre. Un cubo che assomiglia a uno di quei cubi-giocattolo, quelli con le lettere dell’alfabeto sopra. Si potrebbe immaginare un bambino gigantesco che si china a raccoglierlo. Per un momento questa immagine appare nella mente di Tiziano.

  “Mm… grande fantasia l’architettura,” dice Tiziano con una voce ed un viso molto ironici.

  “Come?”

  “Volevo dire che l’architetto di questo edificio non si è sforzato molto per progettare qualcosa di originale. L’apoteosi del minimalismo.”

  “Ah…” e dopo una piccola riflessione per prepararsi una battuta pungente. “senti chi parla.”

  “Che intendi dire con quel ‘senti chi parla’?”

  “Niente, niente.”

  “E no, adesso tu mi rispondi. Non intendo più subire questa situazione. Fino ad adesso sono stato buono buono, ti ho seguito e non ti ho fatto domande. Non voglio essere assecondato come un pazzo anche se forse lo sono, anzi, niente forse, sicuro!”

  “Calma, calma. Volevo dire soltanto che non ti puoi lamentare, perché qui sei tu l’architetto, sei tu che decidi quello che vuoi vedere e come. Perfino io sono una tua creazione, perché questo è il tuo sogno. Sai che sei decisamente suscettibile?”

  Tiziano non si sente più tanto preso per il culo. Adesso è soltanto un po’ confuso.

  “Ma… allora io potrei decidere su tutto qui?”

  “Non lo so… forse, se ho avuto occhio a reclutarti dovresti farcela.”

  Attratti da un qualche rumore immaginario, però così reale nelle loro menti, volgono lo sguardo verso l’alto e non vedono niente. Lì, invece, da dove proveniva il rumore ci sono gli occhi innocenti e stupiti del bambino gigante che guardano Tiziano e Mephisto, giù, che stanno per entrare nel suo giocattolo. Il bambino li scambia per pupazzetti e cerca di prenderli, però loro sono già entrati; così lui, un po’ deluso, si allontana alla ricerca di altri giocattoli con cui giocare. Per un po’ lo si può vedere che cammina goffamente tra le strade della città onirica, tra i giocattoli che ha già usato, ma alla fine scompare come il ricordo di un giocattolo rotto nella testa di un bambino incurante.

  All’interno l’edificio-giocattolo è molto più grande di quanto poteva sembrare fuori. Ci sono molti uffici e Tiziano è molto sorpreso dalla vita frenetica che gli impiegati riescono a sostenere. Vai a prendere il modulo Z… firma qui… non dimenticarti il bollo… fai in fretta… qui c’è un errore… scusi, ma deve rispettare la fila…

  “Senti, Tiziano, ora io vado a prendere una cosa nel mio ufficio” dice Mephisto, “…aspettami lì, seduto su una di quelle sedie” e si allontana.

  Tiziano va a sedersi e comincia ad aspettare continuando ad osservare la vita d’ufficio.

  Dopo un po’ (o forse molto, visto che Tiziano ha perso la cognizione del tempo, rapito dalla frenesia degli impiegati) torna Mephisto con una chiave.

  “Scusa per l’attesa. Ora ti porto nella tua camera. D’ora in poi sarà la tua nuova casa.”

  Fa alzare Tiziano e lo guida verso un ascensore in fondo ad un corridoio senza porte.

  Dopo una breve salita silenziosa con l’ascensore dell’edificio-giocattolo, forse due piani… non li ha contati, Tiziano si trova davanti un corridoio lunghissimo, questa volta pieno di porte. Mentre cammina si accorge che alcune di esse sono socchiuse. Gli sembra quasi che ci siano degli occhi che lo spiano, occhi stanchi e indifferenti. Non sa perché, ma quella sensazione è come una certezza. Più cammina per il corridoio, più questa certezza aumenta.

  Mephisto si ferma davanti ad una porta con sopra tre cifre di ferro: due, tre e quattro (non necessariamente in quest’ordine). Tira fuori da una tasca la chiave appesa ad un portachiavi con su scritte quelle stesse tre cifre (però non di ferro, intendiamoci), la infila nella serratura e apre la porta.

  “Che te ne pare?” dice Mephisto dopo aver premuto l’interruttore della luce.

  “Beh… fammi controllare meglio” ed entra, “non è grandissima, però vedo che ci sono vari modi per passare il tempo.”

  “Infatti… c’è una vasta libreria piena di libri che sicuramente ti piaceranno, un televisore, un videoregistratore e varie videocassette.”

  “Mah… penso proprio che queste cose me le godrò poco, visto che questo è un sogno e probabilmente finirà presto.”

  “Io comunque ti do un consiglio: goditi tutto questo finché  puoi. Va beh… è tardi, ci vediamo domani,” e, dopo avergli dato la chiave ed essersi diretto verso la porta, dice: “Buonanotte.”

  Si… buonanotte.

  Allora… cosa posso fare? pensa Tiziano che si trova un po’ spaesato nella stanza, così nuova per lui. Però nonostante questo, gli da una sensazione di già visto, di deja-vu. Sicuramente non è come la sua stanza nella realtà, la conosce troppo bene, è il suo mondo, se ne accorgerebbe se fossero simili. Forse è il ricordo di una stanza che ha visto tempo fa, della stanza di qualche suo compagno o compagna con cui ha studiato forse, di qualche suo amico con cui ha parlato di libri o fumetti. Comunque un ricordo che si è impresso tanto bene nella sua mente che si è introdotto prepotentemente nel suo sogno, come qualcosa di importante, di significativo… ma forse sarà più semplicemente una coincidenza o un detrito mnemonico, niente da perderci tempo a pensarci.

  Questa stanza così piena di ricordi sfocati o inesistenti gli confonde ancora di più la testa, però in fondo in fondo è tranquillo, non c’è niente di cui preoccuparsi, è casa, forse non dolce, ma casa.

  Vediamo che libri ci sono. Si dirige verso la libreria per vedere i titoli dei libri, attratto come una calamita. Fa sempre così quando si trova in ambienti pieni di libri. Per lui sono porte verso infiniti universi, basta che apra un libro e si trova in uno di essi, ne apre un altro e si immerge in esso tanto da provare sensazioni, stimolare in generale i suoi sensi intorpiditi attraverso visioni mistiche. Quasi un trip d’acido insomma. E così viaggia. Viaggia più di qualsiasi pilota d’aerei, di qualsiasi vagabondo senza meta, non perché si immagini di trovarsi in posti lontani e sconosciuti ma perché passa di storia in storia, di luogo in luogo o di persona in persona con la possibilità che gli rimanga veramente qualcosa… va bene, qualcosa di immaginario, qualcosa dettato dall’ispirazione di uno scrittore visionario, ma pur sempre qualcosa… che differenza fa?

  Passa in rassegna i titoli dei libri e già pregusta il momento della partenza. A maggior ragione perché sono libri che gli interessano (anche soltanto i titoli gli fanno dire: “mi piace” o “non mi piace”, nonostante non ne abbia mai sentito parlare).

  Ma all’improvviso la partenza viene rinviata per un inaspettato sciopero del “passeggero”. Tiziano non ha più grande voglia di fare il turista tra le pagine dei libri. Ora, per un arcano motivo che lui stesso non riesce a riconoscere, vuole dormire, malgrado non abbia sonno. Ha solo una gran voglia di ozio.

  Allora si mette a letto senza spogliarsi né lavarsi (che brutte abitudini, mah…). Il letto è comodo, ma lui non è d’accordo. E’ sempre schizzinoso a questo proposito, non gli va mai bene un letto che non sia il suo. Per non parlare dei cuscini: vuole che siano necessariamente imbottiti di lana, o, se non ci sono, quelli con le piume (sono rari però, non si usano più), non per questioni di temperatura, ma perché il cuscino, quando dorme, se lo mette sopra la testa. Ora vi spiego: con i cuscini morbidi riesce a coprirsi la testa quasi ermeticamente perché  sono in un certo senso modellabili. Con gli altri, tipo quelli di spugna degli hotel (che odiosi…!), non si può, te li metti sopra la testa e pendono da una parte o dall’altra senza coprirti completamente, e questo Tiziano proprio non lo sopporta.

  Fortunato com’è, il cuscino lo trova proprio di spugna, così comincia a bestemmiare (questo termine non è tanto adatto a Tiziano, lui è ateo, forse è meglio “imprecare incazzosamente”) serrando i denti come se fossero quelli di una tagliola.

  Prova comunque a chiudere gli occhi, però del sonno neanche l’ ombra (ma ve l’immaginate l’ ombra del sonno…?). Così comincia la sofferenza: la temperatura aumenta in modo insopportabile (con conseguente aumento della sudorazione… una puzza poi…), la mente si affolla di deliri angosciosi, il corpo è preda quasi di convulsioni per cercare una posizione comoda. Tiziano passa qualche ora in questa situazione, nella falsa speranza di prendere sonno, ma alla fine decide che è inutile, il sonno si è nascosto troppo bene. Dopo aver acceso la luce sul comodino, si alza e guardando la libreria capisce che la partenza è ancora possibile… i motori si stanno riscaldando. Prende un libro a caso, si siede sulla poltrona e parte. Leggendo si libera degli ultimi residui dell’inquietudine che gli si è accumulata dentro da quando è entrato in quella clinica, e così passa le ore rimanenti della notte ed arriva la mattina.

  Drinn… drinn… drinn…

  Questo suono lo sveglia letteralmente dalla lettura, e viene seguito da una voce maschile resa metallica dall’altoparlante  dal quale viene trasmessa. La voce dice: “Tutti gli ospiti della clinica sono pregati di andare nella sala ricevimenti a consumare la colazione, per la sistemazione delle camere.”

  Questo annuncio gli da un po’ di sollievo. Pensa che in questo modo potrà parlare con qualcuno. Così si alza quasi allegro e, dopo essersi lavato un po’ la faccia e i denti, esce dalla stanza.

  La sala ricevimenti è molto vasta però non riceve per niente bene. Tiziano è sulla soglia e pensa: ma come avranno fatto ad abituarsi a mangiare in un posto del genere…? è squallido, sporco… è disgustoso. Guarda all’interno e fra la moltitudine di facce sconosciute trova quella che conosce. Si dirige verso di essa.

  “Buongiorno, Mephisto.” dice Tiziano.

  “Ah… ciao, Tiziano, mi hai spaventato.” dice Mephisto che aveva la testa china sul piatto, intento a mangiare la sua colazione.

  “Bel ambiente qui, eh…” e si siede sulla sedia di fronte a Mephisto.

  “Si, lo so… è un posto un po’ inospitale… però poi ci si fa l’abitudine.”

  “Pensavo proprio a questo quando sono entrato… mah… secondo me non mi ci abituerò mai. Comunque, mi potresti dire dove posso andare a prendere da mangiare?”

  “Ma ce l’hai proprio davanti a te.”

  Tiziano abbassa lo sguardo e, con grande sorpresa, trova un vassoio di plastica color blu pallido con sopra varie cose da mangiare.

  “Ma… prima non c’era.”

  “Che dici? se l’hai posato proprio tu quel vassoio sul tavolo.”

  “Non ne so niente… io sono entrato e sono venuto verso di te senza prendere niente.”

  “No, io ti ho visto posare quel vassoio con i miei occhi. Non devi essere completamente sveglio.”

  “Ma…” però Tiziano viene interrotto da Mephisto che vuole cambiare discorso (questo mi sta diventando antipatico).

  “A proposito, hai dormito bene?”

  “Veramente non ho dormito.”

  “Come mai?”

  “Non sono riuscito a prendere sonno assolutamente. Ci ho provato per qualche ora, però… non c’è stato niente da fare… non avevo neanche un po’ di sonno. Così ho letto per tutto il resto della notte.”

  “Ah mi dispiace. Ti succede spesso di non riuscire a dormire?”

  “Si, ma non in questo modo. A volte non riesco a prendere sonno per qualche ora, però alla fine mi addormento… boh, forse è il nome di questo posto che mia ha suggestionato. A proposito, com’è che si chiama così?”

  “Beh… è una lunga storia. Forse in futuro te la racconterò.”

  Tiziano comincia a mangiare, dimenticandosi della stranezza della provenienza di quel cibo. La sua mente gli comunica che quello che sta mangiando è buono. Lui però è un po’ dubbioso su questo, perché riflette sull’attendibilità dei suoi sensi in questo mondo onirico.

  Mentre mangia e fa queste riflessioni pseudofilosofiche, si guarda attorno e si accorge dia una cosa molto strana: tutte le persone all’interno della sala, tranne i diavoli, hanno come dei segni intorno agli occhi, sembrano delle occhiaie… delle pesanti occhiaie molto livide, quasi nere. Però la cosa ancor più strana è che non sembrano stanchi. Anzi, hanno degli occhi sveglissimi, aperti fino al limite… sembra quasi che ci siano dei pezzi di nastro adesivo che tengono le palpebre ferme. Tiziano fissa lo sguardo sugli occhi di una ragazza e vede che il tempo passa, i minuti passano, tanti minuti passano! ma quegli occhi proprio non si chiudono e la ragazza non mostra la minima difficoltà a farlo. E lo stesso è per gli altri. Come cazzo fanno a non chiudere mai gli occhi? e sembra che non gli brucino neanche un po’ . Come cazzo fanno?

  “Tiziano…” dice Mephisto, stranito dallo sguardo del suo amico, ma Tiziano non risponde.

  “Tiziano.” ripete.

  “Si…” risponde Tiziano, dopo aver girato la testa di scatto. “…che c’è?”

  “Ti guardavo e ho notato che ti sei bloccato. Che stavi osservando?”

  “E’… è che mi sono accorto di una cosa stranissima. Tutti, qui dentro, hanno delle occhiaie spaventose sotto gli occhi… non è normale… e poi… non chiudono mai gli occhi. Non so se non possono oppure non vogliono, ma non li chiudono… è umanamente impossibile. Che cosa hanno? una malattia?” dice Tiziano febbrilmente.

  “Loro sono gli insonni.”

  Così l’intuizione arriva nella testa di Tiziano, come se fosse una pallottola sparata in mezzo agli occhi che si fa strada prima tra le cellule della scatola cranica e poi tra quelle del cervello per fermarsi lì in mezzo, senza dolore, senza sangue, come una presenza rassicurante. Tiziano ora capisce il significato del nome e questa consapevolezza placa lo shock di prima.

  “Pensavo fosse solo un nome inventato, senza importanza. Perché sono qui? che cosa gli fate?”

  “Loro sono le persone che prima di te ci hanno dato la loro anima… e l’insonnia è la conseguenza. Non sappiamo perché succede, però è così fin dall’inizio.”

  “Allora… io diventerò come gli altri? non potrò più dormire?” Tiziano ha gli occhi umidi e gli bruciano.

  “Si… però…”

  “Però cosa? perché non mi hai detto niente? vuoi che stia qui buono buono senza dire niente?” le lacrime scendono lungo il viso, e arrivano alle labbra. Il gusto è salato.

  “Non te l’ho detto per non spaventarti. Comunque stavo per dirti che stiamo cercando un modo per far tornare il sonno,” dice Mephisto in tono rassicurante “… e visto che sono in vena di sincerità ti dirò qual è il primo vero scopo di questa clinica: noi studiamo come le persone riescono a influenzare con i loro pensieri questo mondo onirico. Ieri ti avevo detto che sei tu a creare questa realtà. Non sono stato preciso, in realtà tu influenzi questa realtà solo in parte… la minima parte, visto che sei l’ultimo arrivato.”

  Mephisto sorride, cercando in un tentativo inutile di far sorridere Tiziano a sua volta, ma lui non ha per niente voglia di fare dell’ironia. Non è proprio il momento di farsi una risata.

  “Capisco. Dunque siamo delle cavie,” dice con un tono di risentimento ma anche di rassegnazione, soprattutto di rassegnazione.

  Mephisto dopo questa frase rimane muto per il senso di colpa, per quanto un diavolo possa provare un senso di colpa. Ma è anche che non voleva che la situazione arrivasse a questo punto. Ora Tiziano è pericoloso.

  Tiziano senza dire niente si alza dalla sedia e si allontana trai tavoli mentre tutti gli altri ancora mangiano. Non sa cosa fare. Anzi, sa che vuole andare nella sua stanza, visto che capisce che nel resto della clinica non avrebbe molto da fare. Potrebbe andare a fare conoscenza, ma questa idea non la considera neanche. Lui è così, è sempre stato così, preferisce cullarsi nella depressione della solitudine e chiudersi nei libri che aprirsi agli altri. Gli unici suoi amici sono Morgana e se stesso. Mephisto non conta. Per Tiziano tutto quello che sta vivendo nel sogno non conta perché sa che prima o poi finirà, riuscirà ad addormentarsi e si sveglierà nella realtà, sul suo letto, con la voce di sua madre nelle orecchie che lo chiama per la cena… o almeno spera.

 

 

  Sono passati dieci giorni, o almeno sembra, visto che qui il tempo sembra non avere significato. Anche se lo avesse è come se Tiziano e gli altri ospiti della clinica vivessero un unico lunghissimo sogno senza buio. Anzi, non sembra, è così. Ora Tiziano è come gli altri: il sonno tanto sperato non è venuto, i suoi occhi si sono gradualmente cerchiati di quel nero che l’aveva tanto spaventato all’inizio e sono rimasti sbarrati (ogni tanto prova a chiuderli… però è inutile, prova anche dolore). La speranza ha lasciato già da un po’ il posto alla rassegnazione. Ogni tanto insiste con Mephisto perché gli dia un modo per svegliarsi dal sogno ma lui svia il discorso oppure dice che le sessioni di esperimenti su di lui non sono finite. A proposito di esperimenti, al terzo giorno ha cominciato. Consistono perlopiù in prove di creazione di oggetti o altro e di manipolazione di oggetti già esistenti. Lui però non si impegna molto e non ci sono grandi risultati. L’unica cosa buona che è riuscito a fare è stato far riapparire il bambino-gigante che aveva creato casualmente il primo giorno, quando stava entrando nella clinica.

  Oggi è una giornata alquanto pesante, ha due ore di esperimenti di mattina e altre tre di pomeriggio, ma probabilmente cercherà di saltarle (l’ha già fatto ma è sempre stato beccato subito). Vuole fare invece l’ennesimo tentativo per convincere Mephisto. Glielo dovrò chiedere con più convinzione e… e con più rabbia. Così gli farò venire il senso di colpa per come mi mentiva i primi giorni… si cazzo!

   Mentre va verso l’ufficio privato di Mephisto (potrebbe sembrare che è un pezzo grosso, ma non lo è, tutti i diavoli hanno un ufficio privato e quello di Mephisto non è uno dei migliori), supera la fila di insonni che si preparano agli esperimenti. Non gli dicono niente, anzi rimangano impassibili a guardare davanti a loro. Tiziano per questo loro atteggiamento  di passività ha sempre pensato presuntuosamente di essere diverso da loro. Diverso nel senso che lui almeno discute con i diavoli, gli altri invece fanno tutto quello che si dice loro di fare come degli automi. Si può dire con sicurezza che Tiziano è il primo insonne con una personalità così. Ma forse non è poi così diverso, la pensa così probabilmente per non farsi buttare giù dalla paura.

  Stranamente non gli dicono niente neanche i diavoli addetti all’appello, così passa e arriva davanti alla porta dell’ufficio. Dentro l’ufficio Mephisto è seduto alla sua scrivania a scrivere qualcosa su una specie di registro. Sentendo la porta aprirsi e vedendo che dietro c’è Tiziano rimane sorpreso.

  “Che ci fai qui? non dovevi essere nella fila per fare gli esperimenti? e poi non si bussa, eh?” dice Mephisto visibilmente arrabbiato.

  “Senti, sono venuto a parlarti di una cosa. E poi non me ne fotte un cazzo di bussare… non mi hai sempre detto che tu sei una mia creazione mentale, che sei mio? allora io faccio quello che voglio con te,” risponde Tiziano strafottente.

  “Che cosa vuoi?”

  “Sarò ripetitivo, ma ti vengo a chiedere di nuovo un modo per andarmene da qui… e non venirmi a dire le solite cose perché non me ne frega niente. Io me ne andrò e tu mi aiuterai.”

  “Ma… ma perché te ne vuoi andare? cosa ti manca qui?”

  “Senti, te l’ho già detto il perché. Io voglio la realtà, sto troppo male qui per rimanere.”

  “E non ti interessa che se te ne vai io scomparirò?”

  Tiziano sorride e dice:

  “Meglio… così non romperai più le palle a nessun altro. (Il sorriso si abbassa e scompare tra le pieghe incazzate della bocca). Tu sei uno stronzo, non hai fatto altro che mentirmi da quando ti ho conosciuto su quell’autobus del cazzo e mi hai detto che sei mio amico. VAFFANCULO! capito…? VAFFANCULO!”

  (E vai col senso di colpa…)

  “Va bene… vieni con me.”

  Mephisto esce dalla stanza e Tiziano lo segue. Arrivano ad una porta, la aprono e c’è una scala buia che va verso il basso. Scende verso i sotterranei, poiché la porta è a pianoterra. Allora questo edificio è un parallelepipedo, pensa sorridendo Tiziano mentre scende la scala. Arrivano e Tiziano si accorge che sono in un’infermeria, non c’era mai andato prima. Mephisto, che fino a questo momento è rimasto zitto, va verso un armadietto. Lo apre e prende una scatola probabilmente piena di medicinali. Infatti, c’è una miriade di scatolette con nomi incomprensibili. Prende una scatoletta, la apre e tira fuori una pillola.

  “Senti, questo è l’unico metodo che conosco. Devi prendere questa pillola, è una droga che è stata soprannominata ‘realtà’. Prima la usavano di più perché c’erano più ribelli come te. Funziona spesso, però non ti posso dare la certezza che ce la farai.”

  “Dammela.”

  Mephisto gliela dà tremando un po’ e Tiziano la prende. La guarda e gli sembra la solita pillola. Ma non è la solita pillola, è la sua libertà!

  “Addio” dice Mephisto, sempre tremando, ma senza tradire alcuna emozione.

  Tiziano non risponde. Sorride. Con questo sorriso è come se volesse dire si, me ne sto andando e tu scomparirai. Hai paura, vero…? si che hai paura, non lo dai a vedere però tu hai paura. Tu devi avere paura!

  Un sorriso molto eloquente, diciamo.

  Tiziano ingoia la pillola. L’effetto non arriva subito. Aspetta un po’ e arriva di colpo, senza preavviso. Senza preavviso arriva anche il buio.

 

REALTA'?

 

  “TIZIANO, SVEGLIATI CHE DEVI VENIRE A MENGIARE… TIZIANO…”

  “Mm…”

  Ed apre gli occhi.

  La prima cosa che vede sono i disegni sulla stoffa del cuscino. Quei disegni gli ricordano tutti i risvegli della sua vita. Ma questo risveglio è più importante. Il più importante. Allora ce l’ho fatta, cazzo… si, sono riuscito a svegliarmi da quel fottuto sogno.

  Si mette seduto sul letto e ha gli occhi pesanti, si… dopo tanto tempo sente il sonno impastato sugli occhi (voi direte che veramente sono passate solo poche ore… ma per Tiziano sono passati giorni, brutti giorni… e poi è lui il protagonista, mica voi, va bene?. . . fanculo…). Sbadiglia persino. La madre lo chiama di nuovo gridando e Tiziano risponde, gridando anche lui, un “SI, STO VENENDO, NON C’E’ BISOGNO DI GRIDARE, cazzo”, con “cazzo” detto sottovoce. Si alza, comincia a sgranchirsi le ossa e gode sentendo lo scricchiolio delle vertebre. Va verso la cucina, felice, ma non perché rivede i suoi familiari, no, è felice perché è nella realtà. In cucina vede che già tutti sono seduti e mangiano, non l’hanno aspettato, ma non gli dà fastidio.

  “Buongiorno, ben alzato. Ti va di fare colazione?” dice il padre sorridendo.

  (fanculo, stronzo. Che cazzo fai tutta st’ironia che non sei capace?)

  “Si, vabbè…” e si siede con un sorriso falso, e che vuol far vedere che è falso, sulle labbra.

  Tiziano è seduto di fronte a sua sorella che neanche lo guarda, guarda la televisione come ipnotizzata invece, e ha davanti un piatto con sopra una fetta di carne. Sembra buona. Prende forchetta e coltello per cominciare a mangiare, ma viene interrotto dal padre.

  “Senti, Tiziano. Tua sorella mi ha detto che oggi eri strano… non rispondevi quando ti chiamava… e poi ha detto che avevi una faccia strana. Non è che hai problemi? vuoi parlarne?”

  “Ma… io non mi ricordo…” dice Tiziano, ma se lo ricorda, si ricorda dei pois sghignazzanti, “…di che stai parlando?”

  “Dai che te lo ricordi…” si intromette la sorella (quella rompipalle), “…questo pomeriggi, quano stavo uscendo.”

  “Aaaah, ho capito… ma non ti avevo detto che ero soprappensiero? e poi che te ne frega? perché l’hai detto a papà? non ha importanza.”

  “Non parlare così a tua sorella, Tiziano, me l’ha detto solo perché era preoccupata per te… comunque poi ne parliamo, ore mangia.”

  “Si, occhei, occhei…” (si… preoccupata per me… ci credo)

  Comincia a mangiare e trova che la carne è molto buona, forse la migliore che abbia mai mangiato.

  “Mamma… ma che carne è ? è molto buona.”

  “Carne di negro, la tua preferita… poi quest’ultima che ho comprato è veramente tenera, non è vero?”

  “Ca-carne di negro…? ma che stai dicendo?” dice Tiziano sgranando gli occhi.

  “Che c’è di strano? l’abbiamo sempre mangiata. Mangiamo questa per non mangiare gli animali… siamo animalisti, no? e poi quegli schifosi scompariranno dalla terra, è utile.”

  Tiziano allora capisce. Capisce che quella non è la realtà, non la vera realtà almeno, è solo un sogno nel sogno causato da quella droga. Capisce che non ce l’ha fatta. Però non è troppo deluso, forse se l’aspettava. Così non è più così scioccato per la rivelazione sulla carne, è solo colpito dalla stranezza di questo sogno nel sogno e sorride. Si alza, vuole andarsene, la clinica è persino meglio di qui.

  “Tiziano, che stai facendo? siediti e continua a mangiare!” dice il padre irritato, ma Tiziano non lo ascolta e comincia a camminare indifferente verso la porta. Si ferma e si volta desideroso di dire una cosa.

  “Questo è un sogno, l’ho capito. L’unica cosa che non riesco a capire è che ci siate voi nel mio sogno… non lo capisco. Comunque…  ANDATE A FARE IN CULO TUTTI.” e se ne va soddisfatto.

  Nel corridoio che va verso la sua stanza cammina non facendo caso alle grida di suo padre che gli dicono di tornare indietro, che si lamentano di come sia diventato ribelle quel ragazzo e di come non abbia rispetto per l’autorità di suo padre e per la famiglia. Le grida si fanno lontane e Tiziano ripensa con disgusto al fatto che abbia mangiato della carne umana (però era buona, cazzo…). Entra nella sua stanza e c’è qualcuno steso sul letto che dorme, è lui stesso che dorme. Tiziano non sembra sorpreso, è stranamente tranquillo. Si avvicina al letto, sposta se stesso che dorme per farsi un po’ di spazio e si stende.

  Chiude gli occhi.

      

 

  Apre gli occhi.

  Li apre questa volta sul sogno vero, non su quello artificiale. Ritornano sbarrati come prima e cerchiati da quelle maledette ed opprimenti occhiaie.

  Tiziano è steso sul freddo pavimento dell’infermeria e Mephisto è sopra di lui, altissimo. Vede il suo viso al contrario poiché lui è dietro la sua testa; probabilmente Mephisto avrà cercato di sorreggere Tiziano quando è arrivato l’effetto della droga ma non ci sarà riuscito visto il forte dolore alla schiena di Tiziano.

  “Allora non ce l’ho fatta. Perché?” dice Tiziano che ancora non si è mosso da terra, fissando lo sguardo di Mephisto.

  “Questa è stata una conferma.”

  “Conferma? conferma di cosa…? del fatto che quella droga non funziona così bene?”

  “No… non è la droga. Quello che è successo, il fallimento del tuo tentativo, conferma soltanto che sei tra quegli insonni che non possono andarsene da qui, neanche se lo volessero. Avevamo già dei sospetti su di te e… e questa è stata la conferma.”

  “Non ti capisco, Mephisto, parlami chiaramente per una volta.” e comincia ad alzarsi.

  “Tu, Tiziano… non puoi andartene da qui perché… perché sei morto. Sei morto mentre stavi dormendo quel pomeriggio…”

  Tiziano rimane immobile, non riesce a reagire a quell’affermazione… è troppo pesante. Non riesce a capirla per quanto ci rifletta. Non parla neanche Mephisto.

  “Co-come posso essere morto… se… se sto ancora sognando…? stai scherzando, vero?” dice Tizano dopo un po’, ora sta tremando.

  “No. Non sto scherzando. Quel pomeriggio dopo esserti addormentato hai cominciato a sognare e sei arrivato qui… poi sei morto, però solo nella realtà… il sogno è rimasto invece, e tu in esso… ora sei solo sogno, non puoi andare da nessun’altra parte… rassegnati.”

  Tiziano ricade a terra, questa volta in ginocchio e comincia a piangere.

  “Ma… io credevo che… che dopo la morte ci fosse il nulla,” dice tra i singhiozzi.

  “Io non so se c’è il nulla dopo… so soltanto che quando una persona muore sognando, diventa sogno, perché il sogno rimane. Il sogno in questi casi è come una zona di confine tra la vita e la morte… tra la vita e il nulla, se preferisci.”

  “Pure gli altri insonni sono morti?” Si è calmato leggermente ma continua a singhiozzare e a tremare.

  “No, non tutti. La maggior parte sono persone che nella realtà sono in coma o che non si vogliono più svegliare per vari motivi…”

  Mephisto dopo un po’ aiuta Tiziano ad alzarsi e lo accompagna alla sua stanza. Tiziano continua a tremare e ogni tanto Mephisto lo sorregge quando barcolla di più. Non si dicono più una parola… ormai non è necessario. Tiziano, quando è nella sua stanza e Mephisto se ne sta andando, ha una curiosità improvvisa.

  “Mephisto, senti… qui nel sogno si può morire?” chiede debolmente.

  “No. Ci si può soltanto svegliare. Non ci pensare più,” dice senza neanche voltarsi. Alla fine se ne va.

  Tiziano va a stendersi sul letto. Per una volta dopo tanti giorni apprezza farlo, per una volta il letto non è fonte di sofferenze (non ve l’ho detto, ma prova tutti i giorni a riposare, su questo non s’è rassegnato). Respira profondamente, forse pensando di riempire il vuoto che ha sostituito il suo stomaco, e riflette. Pensa di prendere in considerazione il consiglio di Mephisto, cerca di convincersi che ormai è inutile ribellarsi a questa situazione… al sogno, ma non ci riesce. Ha continuamente in testa l’inestinguibile desiderio di scappare… in qualunque modo. E’ questa la sua unica certezza, in qualsiasi modo, è importante solo l’obbiettivo. Per cercare di arrivarci passa i giorni successivi a pensare alle possibilità che ha, a quello che ha imparato da Mephisto su questo mondo, ma alla fine riesce a considerare possibile (non certa, possibile) una sola cosa.

  Ora è pronto. E’ pronto a mettere in atto il suo ultimo disperato tentativo. Non ha più niente da perdere, tanto… non gliene frega niente di quello che ha da perdere.

  E’ nella fila per gli esperimenti. Questa volta non prova neanche ad evitarla, la fa con voglia. E con speranza… speranza che sia l’ultima volta che deve attendere, che sia l’ultima volta che vede le facce inespressive degli altri insonni. Arriva il suo turno e questa volta si impegnerà.

  Entra nella grande sala degli esperimenti e oltre a lui ci sono Mephisto e altri tre diavoli di cui non conosce il nome. Oltre a Mephisto non ha conosciuto nessuno.

  “Ciao, Tiziano, come va? spero bene, perché oggi faremo forse il più difficile tra gli esperimenti a cui ti abbiamo sottoposto: dovrai cercare di levitare,” dice uno dei diavoli che non conosce.

  “Si, sto benissimo.”

  “Perfetto, allora non perdiamo tempo. Sali qui sulla piattaforma e comincia a concentrarti.”

  Tiziano sale sulla piattaforma d’acciaio, sulla quale è sempre salito per gli esperimenti. E’ al centro della sala e i diavoli sono disposti attorno ad essa. Tiziano si sente come sempre fin troppo osservato, e questo ostacola la sua concentrazione. Anche il fatto di non poter chiudere gli occhi non aiuta. Però ci riesce… con difficoltà, ma ci riesce. I muscoli (non molti) gli si contraggono e lui fissa la mente su di un unico risultato. Nella sua mano comincia a formarsi un oggetto metallico. A poco a poco si definiscono sempre di più le linee dell’oggetto. Alla fine Tiziano i trova in mano una pistola.

  “Ma che stai facendo, stupido? ti abbiamo detto che dovevi provare a levitare,” dice lo stesso diavolo di prima.

  “Non ho sbagliato, era questo quello che volevo fare… e non chiamarmi stupido, stronzo.”

  Il diavolo stronzo rimane zitto e Mephisto, che fino a questo momento non ha detto una parola, chiede con falsa calma: “Che cosa vorresti fare con quella pistola?”

  “Penso che tu lo sappia, Mephisto…” dice sorridendo Tiziano, che si è voltato verso l’unico diavolo che conosce “però te lo spiegherò comunque. Sai, in questi ultimi giorni ho pensato molto (lo faccio ancora… e lo so che ti da fastidio). Ho ripensato a quello che mi hai detto, che non si può morire qui nel sogno e sono giunto alla conclusione che io non ci credo, o almeno penso che non sia una regola così ferrea.”

  “Che cosa vuoi dire?”

  “Voglio dire che come tutte le cose nel sogno questa regola può essere cambiata. Con questa pistola ora mi ucciderò… anche se so che non tornerò nella realtà. Non m’interessa, preferisco morire.”

  “E’ inutile, non ce la farai.”

  “Pensalo se vuoi.”

  Mentre alza la pistola Tiziano sorride ancora e fissa come in segno di sfida Mephisto. Lui sembra calmo e sicuro di se, ma ormai Tiziano lo conosce troppo bene, sa che sotto quella pellicola di calma e serietà c’è una grande paura di scomparire. La pistola è all’altezza della testa e Tiziano la punta alla tempia. E’ stato bravo a crearla, sente perfino il freddo dell’acciaio sulla pelle. Con il sorriso fermo sulle labbra, tiene saldamente la pistola nella mano e il dito sul grilletto. Preme il grilletto. La pistola spara e la pallottola scatta… e corre veloce. Comincia a lacerare i tessuti. Corre e se ne frega dei legami che ci sono tra le cellule. Spacco tutto. Non mi ferma nessuno, pensa frenetica la pallottola. Man mano che avanza fa perdere alla mente di Tiziano il contatto con la realtà (ormai questa è la realtà) ed è come se calasse un sipario. Il sipario dello spettacolo finale. L’ultimo sipario prima di dormire.

 

MATTINO

 

  Buio… si, finalmente il buio… potrò dormire… per sempre… no, aspetta, ma io sto pensando… allora il nulla dopo la morte non è così assoluto… mi sento il corpo… e poi che sensazione strana, mi sento in un luogo strettissimo… cazzo, era meglio rimanere nel sogno, noo!

  “AIUTO… SO CHE NON HA SENSO, PERO’ AIUTO! CAZZO!” e comincia a dare colpi alle barriere che lo opprimono.

  Un rumore, però che sembra familiare. Il corpo di Tiziano subisce un movimento brusco che gli fa sbattere la testa. Ci sono altri rumori che non si capisce da dove vengano e tutto questo confonde Tiziano ancora di più. Tiziano poi sente davanti a sé un altro rumore, però questa volta lo riconosce, sembra rumore di chiodi divelti. In mezzo a questo rumore si sente una voce che dice, sembra in modo irritato: “No… non ci posso credere… il terzo caso di morte apparente in un mese, porcoggiuda!”

  Dentro il nulla comincia a filtrare della luce… la luce è sempre di più… alla fine il nulla si apre come una scatola. Infatti il nulla è una bara.

  Tiziano rimane sbalordito vedendo che davanti ha un uomo vestito di nero con un martello in mano, e constatando il fatto di trovarsi in una bara.

  “Cos’è successo? Non sono morto allora.”

  “No, per mia sfortuna” risponde l’uomo.

  Tiziano cerca di alzarsi per uscire dalla bara ma viene fermato dall’uomo.

  “Senti, ragazzo… non puoi farmi questo. Con te è la terza volta che succede questo mese. Se non mi danno i soldi di questo lavoro la mia agenzia fallirà, e non me li daranno se il morto non è veramente morto, capisci? ora tu mi fai un favore, ti ristendi nella bara, io la chiudo, così tu dormirai per tutto il tempo che vuoi… perchè è questo che vuoi, vero? tu vuoi dormire.”

   Si… questo ha ragione… ho tanta voglia di dormire… ho fatto tanto per cercare di dormire e dovrei sprecare quest’occasione…? no, non la sprecherò…

  “Occhei… per me va bene.” dice Tiziano contento.

  Allora si ristende e l’uomo posa il coperchio sulla bara. Il rumore che c’è dopo è sempre di chiodi, però questa volta vengono messi.

  TUM… TUM… TUM…

  No… smettila di fare rumore, io devo dormire… smettila.

  Il rumore cessa.

  Si, così… ora mi farò una gran bella dormita…