CADUTA

di Crazygroucho

 E’ sera. C’è freddo. E’ una situazione normale, quasi monotona, succede spesso che in inverno sia sera e ci sia freddo. C’è un palazzo, una palazzina, fate voi. Ha una forma che non riesco a riconoscere, il mio dormiveglia anestetico non me lo permette. Diciamo che ha una forma, una qualsiasi, fate voi pure qui, non ha importanza. E’ pieno di finestre stupide e semplici. Sembrano occhi, è una cazzata ma a me appare questa visione intima. Gli occhi sono spenti, ora si accendono. Non hanno pupille, sembrano gli occhi di un morto o quelli di un cieco, ma non sono sicuro che i morti e i ciechi non abbiano le pupille, mi informerò. A poco a poco le pupille vanno formandosi, nere, come tutte le pupille del mondo, o no? in questo momento non ho certezze, non ho in testa niente oltre a una materia che poteva scegliersi un colore migliore, no il grigio… che fa schifo.

       Le pupille non sono tonde, o almeno non rimangono tonde. La loro forma sembra cambiare in quella di un corpo umano. E’ proprio un corpo quello che appare lì, nel mezzo del bianco, così, a rompere la monotonia della perfezione. L’uomo o la donna – da qui non si vede benissimo – esce dal proprio occhio con un’agilità che non ti saresti aspettato da un ex-pupilla, e si appende alla palpebra inferiore, seduto, con le gambe penzolanti fuori. Rimane, anzi, rimangono in quella posizione per un po’ e il mondo si è fermato. Muovono le gambe come dei bambini, come i bambini che sono stati, come i bambini che sono. In silenzio un comando mistico li sveglia e loro si lanciano, e vanno giù, giù, giù, fino alla base di tutto, fino all’asfalto esistenziale.

       Subito dopo altre pupille-uomini o donne fanno lo stesso, escono dall’occhio per respirare a pieni polmoni, si lanciano nella conoscenza del vuoto, e tutti felici, tutti angeli. Tutto questo si ripete, continua per minuti, per ore, per giorni, mesi, anni, esistenze.

       E io qui, nella mia stanza, passo la mia vita a guardare lo spettacolo, mi inebrio della perfezione di tutto. Ogni tanto ho voglia di alzarmi e di seguire l’esempio. Ma rimango bloccato, bloccato da niente, bloccato. La fatica comincia e dimostra la sua vacuità, e alla fine niente.

       Ogni tanto mi sveglio e guardo fuori dalla finestra. Il vuoto è lì e io mi spengo.