Alberto Mingardi

privatizziamo il chiaro di luna!

Le balene sono in via di estinzione, questo lo sanno tutti. E tutti, allo stesso modo, sono pronti a scommettere che la colpa sia della cupidigia degli uomini. Della "logica del profitto".

Nell'immaginario collettivo, a timonare le baleniere che si avventano sui branchi di capodogli sono capitalisti spietati ed assetati di sangue e denaro, con l'arpione in mano e senza scrupolo alcuno. Questa è la "vulgata" ambientalista, che i bambini imparano sin dalla più tenera età. I cacciatori sono cattivi, anzi cattivissimi, le balene buone ma indifese, tocca a noi difenderle. E via, zaino in spalla, a organizzare battute di whale-watching, sulle navi di Greenpeace e protetti dalle bandiere del WWF. Risultati? Meno che zero. In compenso, tantissimi i soldi spesi. Preferibilmente quelli degli altri.

Qualcuno, però, oggi inizia a mettere in discussione queste tesi tanto diffuse e banali, mostrando dati e argomenti che – se conosciuti – potrebbero minare alla radica il generale consenso che pare circondare le tesi dell’ambientalismo statalista. In un volume a quattro mani di Carlo Lottieri e Guglielmo Piombini*, infatti, vengono ora presentate anche al lettore italiano le tesi rivoluzionarie dell’ecologia di mercato, ovvero sia di quell’insieme di studi che si sforzano di leggere in termini liberali la questione del rapporto tra l’uomo e l’ambiente.

La "moderazione", certo, non è la caratteristica principale di questi autori. La lucidità, però, sì. Lottieri e Piombini sono due giovani studiosi libertari italiani, ma libertari in un senso un po' diverso rispetto a quello comunemente inteso: si tratta, in poche parole, di liberali estremisti. Che non esiterebbero un secondo a privatizzare l'imprivatizzabile. Incluso (come affermano nel titolo, che in forma paradossale fa il verso ad una nota espressione di Marinetti) il chiaro di luna.

Secondo questi studiosi la teoria "verde" della cupidigia capitalistica non spiega un bel niente. Qualche dubbio, a ben pensarci, avrebbe dovuto già venirci prima. Se, infatti, le baleniere sono mosse dalla cupidigia degli imprenditori, come mai le più agguerrite erano ai tempi quelle dell'Unione Sovietica, dove di imprenditori non ce ne erano?

Non c'è troppo capitalismo sugli oceani, regno delle balene, insomma, ma ce n'è troppo poco: poco capitalismo, cioè poco proprietà privata. Ecco il problema. Se le balene si estinguono, insomma, il problema è che si tratta di proprietà collettiva, pubblica. Roba di tutti. E quindi roba di nessuno. Il primo che arriva sul branco, così, se lo prende e lo stermina.

Già; ma perché lo stermina? Semplice, perché sa che, se non lo facesse lui, sarebbe un altro a farlo. Per lui, la balena vale più morta che viva: se la uccide, qualcosa gli frutterà. Se la lascia in vita, frutterà lo stesso a qualcun altro, e lui rimarrà con un pugno di mosche.

Il discorso sarebbe diverso, spiegano Piombini e Lottieri, se la balena fosse di qualcuno. Se avesse un padrone che "la tenesse al guinzaglio" e, con l'appoggio della legge, rivendicasse la sua proprietà dell'animale. Accadrebbe quello che è già avvenuto in tempi più remoti; da cacciatore, l'uomo diverrebbe allevatore. E da allevatore egli perderebbe ogni interesse ad estinguere la specie; sarebbe anzi proprio la sua cupidigia, e la tanto vituperata "logica del profitto", a spingerlo ad accrescere quanto più può le dimensioni del branco. Più balene si allevano, più soldi si fanno.

Bella scoperta, si potrebbe replicare, ma come si fa a mettere un guinzaglio a una balena? Non c'è bisogno di rinchiuderle in un acquario. Basterebbe agganciarle un piccolo trasmettitore, che ne segnali la posizione e il proprietario. Dopo di che toccherebbe ad appositi sorveglianti tenere a bada i branchi. E alla fantasia degli imprenditori trovare le più diverse occasioni di guadagno: non solo lacche e cosmetici, ma anche esibizioni nelle baie, ad esempio. I cetacei sono animali intelligenti. Sta ai capitalisti dimostrare altrettanto. Bella teoria, si direbbe, ma non potrebbe mai funzionare.

Questi libertari che hanno promosso la pubblicazione di "Privatizziamo il chiaro di luna" hanno però una diversa opinione. E citano, nel saggio di Piombini, un esempio a loro sostegno. Tratto direttamente dal mondo reale.

Protagonisti sono, manco a farlo apposta, altri animali quasi mastodontici: gli elefanti. Elefanti che vivono in una strana situazione: in Kenya e in altri Stati africani, infatti, sono prossimi all'estinzione. E questo mentre in tutta una serie di altri paesi africani (l'elenco comprende Zimbabwe, Botswana, Zambia, Malawi, Namibia e Sudafrica) godono invece di ottima salute, e il loro numero è aumentato del 40 % negli ultimi dieci anni. Perché? Come è stato possibile? È piuttosto semplice. In Kenya il governo continua a considerarli "cosa pubblica", attenendosi alle disposizioni internazionali del 1989 che bandiscono il commercio dell'avorio. I bracconieri continuano a corrompere pubblici funzionari e l'avorio del Kenya, sul mercato, ci arriva comunque.

Nelle altre realtà africane, invece, si è ritenuto che affidando gli elefanti ai villaggi e alle tribù (privatizzandoli, in altre parole) la loro salvezza sarebbe stata più probabile. Così è stato; e le tribù, che pure commerciano in avorio, hanno creato un sistema tra virgolette "più umano" per questi bestioni. Ad essere abbattuti, sono i capi in sovrannumero. Sovrannumero che, finalmente, esiste: lo Zimbabwe, oggi, non considera più gli elefanti una specie protetta.

Ma se tutto questo ha funzionato in Africa, sostengono i nostri autori libertari, perché non potrebbe accadere lo stesso negli oceani? Perché, in buona sostanza, non potrebbe accadere lo stesso ovunque? Non resta che provare.

*Carlo Lottieri – Guglielmo Piombini, Privatizziamo il chiaro di luna! Le ragioni dell’ecologia di mercato, con un’appendice che include due articoli di Tibor Machan e David Osterfeld, Leonardo Facco Editore, Treviglio 1996.

Per richieste all'editore: leofacco@tin.it

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