Sono banalità. Non si sente di certo alcun bisogno di ribadire "l'anticonformismo" di riviste quali "Il selvaggio" o "L'italiano" - o di ciò che era detto "strapaese" - nell'ambito culturale del periodo fascista. Eppure questo breve articolo (anonimo) pubblicato su "l'Italiano" di Leo Longanesi - che parla d'arte - lo troviamo a tal punto stuzzicante da sembrarci esemplare - a sommo livello - in termini che potremmo dire (al di là dello sbeffeggiamento di artisti rispettati) "politici". Il giornale (che aveva cadenza settimanale, poi quindicinale e, da ultimo, mensile) portava come sottotitolo "foglio quindicinale della rivoluzione fascista" (all'atto della fondazione, nel 1926, era "settimanale della gente fascista"). Sul numero 5-6 (quindicinale) del 17 aprile del 1929 - quello che recava l'articolo riprodotto, fra il materiale anonimo, c'erano un lungo editoriale di Camillo Pellizzi (intellettuale di formazione socialista che sarà poi Presidente dell'Istituto nazionale fascista di cultura. Nel 1948 parlerà del fascismo come "rivoluzione mancata") e un breve racconto di Berto Ricci (ricevimento). Nell'ultima pagina, Domenico Giuliotti continuava la sua traduzione de I cattolici di Julien Green iniziata nei numeri precedenti.

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l'arte che si capisce

La pittura, in Italia, più che nelle mani dei pittori è nella mani di Dio, e, se non si accendono candele e sacrificano ideali e tavolozze per placare la divinità, è difficile poter sperare in una "rinascita" vera, vale a dire naturale, sorta senza l'intervento grazioso ed energico dell'autorità. L'autorità, da che mondo è mondo, ha sempre avuto intorno all'arte delle opinioni personali, vale a dire un gusto estetico particolare. Basta sapere che Kemal pascià ha ordinato il monumento della indipendenza turca a Canonica, che il governo cubano si è servito della scultore Zanelli per decorare la facciata del Parlamento, e che ogni governo ricorre sempre ad artisti di questa fatta, per accorgersi che le autorità possiedono un loro spiccato criterio artistico, uguale dappertutto. Ed esistono appunto artisti specializzati in questa arte che piace alle autorità; artisti destinati al trionfo, alla ricchezza ed alla gloria, se si può dire, prefettizia. Costoro sanno che il borghese vuol spendere bene i propri soldi, che ama il "consistente", la "roba d'effetto", "l'arte che si capisce" e senza timori gliela confezionano, curando i "minimi particolari", proprio come si deve. Si potrebbe stampare un catalogo dei dipinti e delle statue che incontrano il consenso delle autorità, e con questo viaggiare per ogni Stato con la certezza di ritornare a casa carichi d'ordinazioni. Basterebbe un copia fatture, sul quale scrivere il numero della pagina del catalogo; un libretto di carta sottile cosi compilato, ad esempio: "Repubblica di San Salvador. Monumento indipendenza. Marmo Carrara. Metri 21 per 5. Accettato progetto 263 catalogo verde. Pagamento metà anticipato, metà consegna". Si potrebbe, anzi, costituire la società: Bistolfi, Canonica, Brasini, Tito, Wildt, Sartorio, Andreotti ed altri: in meno di due anni vuoterebbero le casse di tutti gli Statii sud-americani.

Non è dunque, dalle autorità che si può sperare in una rinascita della pittura. Come ad ogni buon borghese, che ha compiuto tutti gli studi regolari, non si toglierà mai dalla testa che con la buona nutrizione le idee sgorgano più felici, così alle autorità non si farà mai capire che il monumento a Vittorio Emanuele è brutto e che l'arte non si cura con le commissioni.

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