Cahrles de Jacques

i misfatti di Berth

Édouard Berth: LES MÉFAITS DES INTELLECTUELS. Kontre Kulture, 2013

“Al maestro Georges Sorel, come segno della mia profonda gratitudine intellettuale.” Questa la dedica posta da Édouard Berth a Les Méfaits des intellectuels, pubblicato da Marcel Rivière nel 1914. Il maestro rispondeva con una assai lunga prefazione (Lettre à Edouard Berth, 38 pagine) infarcita di riferimenti a Bergson, William James e Pascal. Non meno impegnativa era l’introduzione dello stesso Berth (una sessantina di pagine) incentrata sui temi della tradizione e della rivoluzione, visti in modo convergente. Erano gli anni del Cercle Proudhon, quando in spregio alla democrazia parlamentare alcuni sindacalisti rivoluzionari (in specie Georges Valois ma anche lo stesso Berth) si univano a Charles Maurras (con un occhio a Peguy) rivendicando i valori della monarchia e della famiglia. In qualche misura la nozione soreliana di mito, per cui nell’uomo non tutto è “ragione” ma il mito nemmeno è utopia e dunque è realismo, si poteva protendere dallo “sciopero generale” alle inesauribili, quanto trasfigurabili, virtù del suolo natale.

Berth (1875-1939) fu un collaboratore de “Le Mouvement Socialiste”, la rivista fondata da Hubert Lagardelle nel 1899 alla quale, dal 1905, influenzandola, prese a scrivere anche Georges Sorel. In Les Méfaits des intellectuels ripubblicava degli ampi saggi appartenuti in origine alla rivista (“Ho raccolto in questo volume qualche articolo vecchio di qualche anno, poiché il primo, Anarchisme individualiste, risale al maggio 1905 e gli altri sono apparsi su “Le Mouvement Socialiste” dal luglio del 1907 al marzo 1908, e, senza cambiare il testo originale, ho aggiunto solo alcune note”).

Lagardelle finirà ministro a Vichy continuando a proclamarsi socialista. Valois fonderà il primo movimento fascista non italiano ma tornerà nell'alveo originario, combatterà nella resistenza e sarà deportato a Bergen Belsen dove morirà nel 1945. Berth, in quello stesso 1914 in cui pubblicava il suo libro, malgrado tutto, al pari di Sorel non vide di buon occhio l'Union sacrée (“macelleria”) e, come Sorel, plaudirà nel 1917 ai bolscevichi prendendo a collaborare, qualche tempo dopo, a “Clarté”, la rivista di Barbusse che negli anni venti raccoglieva gli intellettuali comunisti o vicini al comunismo. Il suo primo articolo riguarderà Sorel, poco dopo ne dedicherà uno a Lenin e solleciterà altri collaboratori a impegnarsi nelle questioni teorico-filosofiche riguardanti Marx Proudhon e Sorel, sulle quali tornerà fino alla morte.

Intanto il sindacalismo rivoluzionario si incarnava in Pierre Monatte, in Alfred Rosmer, nella rivista “La Revolution proletarienne” (testata ancor oggi in circolazione) sulla quale, negli anni, scrissero, fra i tanti, Simone Weil, Daniel Guérin, Victor Serge e Albert Camus. Monatte, già collaboratore, agli inizi del secolo, delle “Pages Libres” e fondatore de “la Vie Ouvriere”, avrebbe continuato a far riferimento a Fernand Pelloutier, il fondatore delle “Bourse du travail” alla fine del XIX secolo, tentando ancora una volta la riconciliazione fra marxisti e anarchici.

Qualcosa del genere era avvenuto anche all’epoca dello svolgimento soreliano del sindacalismo, non senza tuttavia degli impegnativi chiarimenti. Ben distinti dal “marxismo ortodosso” - casomaii seguaci, come voleva Sorel, del marxismo di Marx – i sindacalisti rivoluzionari vedevano in questo e nell’anarchismo, come scrisse Berth, “due aspetti divergenti ma complementari d’una medesima psicologia sociale, una psicologia sociale molto intellettualistica e assai razionalista che ha dominato nella seconda metà dell’ultimo secolo”. Da qui l’insistita attenzione, per così dire “correttiva” – che in Sorel si era spinta anche nei confronti di Vico, Croce e Pareto -  verso Pascal e Bergson. Con un’intonazione nicciana, Berth concludeva il suo libro in questo modo: “Socrate e Cartesio son vinti, il XVIII secolo è definitivamente tramontato, si annuncia alla fine la vittoria di Pascal”.

Ci si sbaglia nel regolarsi esclusivamente sulle burrasche - delle quali non si vuol assolutamente negare il peso -  che videro protagonisti Lagardelle, Valois e Berth per esprimere giudizi in forma di mere riprovazioni ideologiche così da giustificare ogni negligenza per ciò che riguarda il loro non trascurabile pensiero, fra l’altro non scontato e tale da ritrovarvi insieme alle tentazioni corporative quelle libertarie (Berth sollecitava “un modo del tutto nuovo di intendere la libertà”, ma questo temo lo si possa leggere come gravido di chissà quali terribili conseguenze). E sbaglierebbe chi, denunciando nella casa editrice un uso improprio, rispetto allo standard cui è abituato, dell’espressione “controcultura”, avendola scoperta di tutt’altra risma, estendesse alla riproposta di questo libro la sua disapprovazione.

“Fogli di Via”, marzo-luglio 2014