Claudio D'Ettorre

il buongoverno della cattività

1. La critica procede per affermazioni -la negazione non le appartiene se non perché essa stessa appartiene al nemico come la critica della negazione.

2. La critica è assiomatica, giacché la tecnologia della differenza libera una prassi teorica la cui desuetudine sconta l'intollerabilità dell'evidenza.

3. Errata. Nonostante tutto della critica si dice che la sua sia una invariata sequela di errori. Eppure non si riesce ad immaginare un complimento più efficace.

4. Finché l'impossibile è ciò che deve essere compiuto, non si cesserà mai abbastanza di pagare la sua incompiutezza.

5. La critica non implica una teoria, necessariamente, o una parodia. Questa assenza - ciò che è vacante - (non) è lo spettacolo, perché la sua beanza non obbedisce a un lavoro teorico produttivo. La produzione di nullità dovrà rispondere dell'esito funzionale di obiettivi non riconosciuti, ma centrati, di obiettivi eccentrici, come di ciò che le è più intimo, che più le corrisponde.

6. Pro e contro la teoria. D'altronde se ciò che si dice non si scrive senza la legittima presunzione delle anime candide, queste non sapranno mai che le parole spiazzano il loro dire -è la lettera volata-. Si potrebbe dire loro che non c'è origine, non c'è fine, non c'è teoria, ma quando se ne accorgono si spaventano e le reinventano.

7. Ciò contro cui si scrive non è detto che sia il vero oggetto del discorso, che sicuramente è spostato altrove da chi non sa di farlo, a meno che si ammetta il dubbio che potrebbe essere proprio l'opposto -questo è detto a vantaggio della diceria che l'anfibologia è proprietà delle affermazioni, ma più ancora delle negazioni.

8. I commerci dei concetti hanno degli aspetti pericolosi quando i significati si scambiano. Senza un uso accorto del rovesciamento di prospettiva teorico, l'uniformarsi del pianeta al capitale che l'ha conquistato non passerebbe per una vittoria del proletariato.

9. Divieto di fermata e di sosta. Se il falso oggi è un momento del vero, non sarà consentito, se non eccezionalmente, che l'idea del cambiamento, nel mondo falsamente rovesciato, si concili con una speculazione teorica che ammaestri alla fatalità dell'indugiare distratto. Ciò che ci è tolto come fantastiche ria è condannato ad attenderci come reale.

10. Il concetto di superamento è cattiva archeologia. Se l'immediatismo è sparizione del concetto, si tratta di perdita pura -in altri termini "deterritorializzazione". Nella perdita non ci si trova ammesso che lo si voglia.

11. Il dramma dell'unicità è il suo carattere imitabile, la sua inesauribile riproducibilità tecnica, quando lo stile è la massa. La depersonalizzazione è comunque la nicchia della psicologia. Dove più tranquillamente riposare? -sostiene la voce dell'economia politica. Quando l'annullamento è radicale, e la cronaca sa offrire talvolta delle folgoranti rappresentazioni, non restano eterni che il brivido e il ghigno con cui la paura ci prepara, nonostante il paradiso in terra chiami alla felicità.

12. Le congetture dell'impero. La vera volontà di potenza è nell'obiettivo della felicità. In ciò che obiettivamente la sostiene sta la sua immanenza e la sua impossibile realizzabilità materiale, che dunque ci è data.

13. Ripasso dialettico. Tutti i settori (semi)intellettualizzati, che misurano una non stupita e non rinegoziabile inutilità, sotto pena di un maggiore discredito, attestano che l'ottusità non è né svista né imprevisto, ma gli effetti della risaputa verità ritornano prima che (se) ne rendano conto.

14. Il miraggio dell'unicità è oscenamente offerto alla più vasta delle platee possibili. La mitologia dello spettacolo serve a realizzarla, compresa la sua caricatura. Ogni deriva teorica desiderante è ricattabile e insufficiente, finendo con il diventarne la mitografia.

15. Non c'è attesa senza che qualcosa si riveli o sparisca. L'attendismo è una dilapidazione incantevole ma funesta, fatalistica nel senso di ciò che è proprio del fato, ciò che è naturale, cioè funebre; ma per ogni caduta ad inferos vi è capitalizzazione e dunque vera accumulazione nella matura economia odierna.

16. Se si traduce (si tradisce) in atto il diritto alla felicità si ottiene una quasi perfetta simulazione, cioè altri spettacoli non si danno, perché non c'è svista se non per finta.

17. Ridere è la professione del postmoderno.

18. Considerato il grado di superficialità che contraddistingue dello sguardo il disincanto sul (lo pseudo) reale, si potrebbe dire che la "depense" è la grande inattuale, ma dal suo nascondimento nelle forme delle ossessioni di sicurezza e di segretezza (quando tutto è pubblico e pubblicità), essa rinnega che, come ad altri concetti, si conceda una rinascita esoterica, e nella riapparizione si scopra l'eternità del sogno.

19. Destino di ciò che viene scartato è di subire (o di volere) una specie di metempsicosi, ma la dialettica economica tra ciò che si perde e ciò che rimane nell'immateriale, di proposito non consente il sollievo se non come vendetta.

20. L'interdetto è un frutto dell'ambizione, ma non sfugge (a) ciò che mette a fuoco.

21. Ogni tradizione ha un legame con l'origine ed è il suo tradimento. L'origine del tradimento è il senso della tradizione. La smemoratezza -incentivata- del passato complica la situazione; se salva il passare del passato perché lo dimentica, moltiplica le affiliazioni immaginarie -il vero del falso- con esso. Se ogni ritorno è grottesco, lo è senza rimedio -la perversione del trascorso.

22. La pianificazione è il sogno del determinismo. Il fascino del piano attira gli sterminatori. Nell'idea di destino il cinismo si spreca. Che gli eterni ignari accorrano si scrive per contraddizione.

23. Ciò che può far sembrare l'arroganza un po' meno disdicevole di quello che è effettivamente, è proprio l'apparenza nella quale si mostra; nel suo candore c'è la perfidia indicibile della servitù. Questo argomento è sostenuto dalla convinzione di una storicità dei comportamenti e della loro interpretabilità, che, si potrebbe dedurre, è dettata a chi scrive dalla sua superfluità, per così dire, artistica.

24. La complicità con il dolore del mondo è la colpa dell'astuzia, la sua è una fattiva servitù ad esso. E' un altro spirito quello che libera; non vi ha luogo l'astuzia, né ciò che si dice che sia il suo opposto. L'emancipazione, quando è in atto, sposta il discorso, trasferisce una pratica, agevola il commercio. La serietà dell'inganno è il così com'è, e la sua meretrice è l'astuzia.

25. Il fatto che il disprezzo si universalizzi per diventare il sentimento unico, rende evidenti le pretese dell'epoca, mentre il suo oggetto si dilegua nella misura in cui si è saturato per l'onnipresenza, la pervasività dell'invisibile, del riprodotto nel riproducibile.

26. Tra la merce svilita e ciò che è apparentemente privo di valore corrono alcune tenui differenze che, a vantaggio del secondo, ricordano quanto sia ingenuo (il dispendio, la morte) ritenere di rinvenire dei limiti alla circolazione universale del valore.

27. L'ingenuità, a volte, stringe dei patti - che non conosce - con la realtà, tali che, alla sua ombra, e all'insaputa di chi ignora di non sapere, all'improvviso, ciò che è oscuro si fa chiaro e viceversa (pur con qualche incertezza).

28. Contro il diritto alla felicità. Nel cuore della costituzione dell'epoca vi è il segreto della sua falsità. La confusione irradia da questo centro.

29. Meglio custoditi sono i segreti di cui si è intimamente complici. Tutto invoglia a (non) fidarsi troppo delle intermittenze del desiderio, la nostra economia politica.

30. Ma se ciò che siamo non lo è (ciò che parla in vece nostra), non ha nessuna importanza, perché è ininfluente, meno della pigrizia, dell'ironia, della discrezione, per tacere del resto.

31. Contro la speranza. La speranza è il prologo della tragedia, è ciò che è insostituibile perché ci sia tragedia. Chi spera perisce di essa, dunque la speranza è la dimostrazione di un'arte in ciò che la disperazione dell'innocenza dà luogo: all'esperienza.

32. La mezza impossibilità dell'eguaglianza è nella semi irresponsabilità dei soggetti - dei clienti - dicono alcuni dei suoi funzionari semi appagati, ma lo stesso carattere mediocre del dubbio assicura che tutto torna sempre di nuovo - secondo il carattere dell'illuminismo postumo.

33. Che le tentazioni nascondano il pericolo è ipocritamente considerato raccapricciante da delle masse che non aspettano che fingere di essere sedotte, ma nel segno della quantità è accettabile che le proporzioni si ristabiliscano ipocritamente secondo le variazioni dell'offerta e in acconto alla pubblica felicità.

34. ...lo specifico delle transazioni si sarebbe detto tradimento della servitù volontaria, oggetto della prima delle passioni. La moltiplicazione delle libertà non consente di fare a meno di leggervi la loro non sorprendente soppressione ad opera del demos, cosa che garantisce, se non altro, di poter fare a meno di preoccuparsi. Le authorities del mercato sorvegliano sul diritto a godere di un'offerta illimitata. Non bastasse, ci sarebbe la noia.

35. Non d'altro spettacolo se non di sé; la democrazia diretta è immediatamente spettacolista e viceversa (la verità del sondaggio). Solo gli esibizionisti ne hanno capito la natura d'obbligo.

36. L'intelligenza con il nemico è tra le cose non sospettabili, benché certe.

37. Se non si è incapaci, l'errare riempie di nausea (il doppio -il maligno- del sentimento), da ciò si capisce che ciò che (si) fila nella vita corrente non è che risentimento.

38. In un luogo immaginario -un'assenza- si disegna un bisogno che la sottigliezza rivela in un'astuzia (il nodo) dolorosa e insopportabile, ma non c'è taglio dove non c'è cappio?

39. Tra pazienza e impazienza corre la differenza che separa un dono da un prestito, comunque ciò che vi si dimentica o si trascura non è negoziabile, a conferma del primato di ciò da cui non siamo dimenticati -il suo essere inequivocabile.

40. L'ostinazione -la figura dell'acefalo- si direbbe che sia nel gran cerchio d'ombra di ciò di cui qualcosa è detto, impropriamente, qui; giacché se arreca più danni di qualunque altra insensatezza, nessuna lo è meno. Questo volontariato dell'idiozia è da tenere sotto controllo, perché ad agire i dispositivi è la solita pigrizia. Se non fosse che la resa all'ostinazione è il consentire alla vanità presuntuosa della dialettica di ritirare le sue carte: un inganno si cela di fronte a un altro.

41. Tutto quello che è strano via - al via - è come dire che l'eterogenesi dei fini non omogenei non crea disordini ma storditi e pesa le quantità (p.e. l'ufologia) nella competizione globali dei fantasmi dotati di valore.

42. L'apparente gratuità della facilità è ingannevole, e l'inganno non è certo occulto, per cui l'adesione ad esso è assai più ideologica di quanto si vorrebbe ammettere.

43. Se ciò che è facile si presenta come un furto e lo si capisce, si può comprendere (con difficoltà) anche la logica che lo sostiene.

44. Il terzo: l'esclusione fonda l'amicizia. Il nome segreto della speranza evoca ciò che non si possiede né più né ancora; non ciò di cui si è persa la memoria, che sarebbe luttuoso, ma di cui si è inventata (cioè persa) la scomparsa. E' il panico per ciò che non c'è (né ci sarà) ed è credibile che con esso termini la faccenda, cioè si decida (deceda).

45. Né manuali né trattati di savoir vivre né arti né tecniche, se non il travaglio della pazienza, del riconoscere che non per timore non si è perduta un'attitudine, il dolore della servitù.

46. Quando si dice che non si può abolire lo stato delle cose -il cui essere non è lo stato- presenti, c'è chi trova che si parli di quella disposizione per cui tutto finisce per rientrare là da dove era uscito, così la socialità della vita corrente non permette che un taglio in cui si ripeta l'evento che non si era ancora presentato, giacché poi è, ancora e sempre, nevrosi (lo spettacolo vittorioso).

47. Ogni doppio movimento che non si nega è uno stallo dove la malinconia non falla se non c'è falla, dove si attacca la trama della vita quotidiana.

48. I misantropi -e i misogini- se non possiedono la verità, dallo scontro ne sono offesi.

49. Il godimento che non ode, se non fosse sordo, non godrebbe mai, e non è che la tecnica del desiderio di massa; ciò che è in corso non può che essere compiuto fno in fondo, perché si dilatino le sue cedevolezze, perché infine ceda a sé stesso.

50. Ciò che è passato non sempre ritorna e contro questa eventualità alcuni dicono che i nostri progenitori si siano sempre premuniti. Ma le nevrosi restano. Se i nostalgici soffrono dei mancati ritorni, gli apparati di intrattenimento universali nascondono la furia del cambiamento nella intatta gioia del sempre uguale. La demoscopia ne è un sintomo.

51. "Il primo merito di una teoria critica esatta è di far istantaneamente apparire ridicole tutte le altre". Guy Debord - Prefazione alla quarta edizione italiana della Società dello spettacolo.

52. Si deve ricordare che la fedeltà a sé stessi non attesta che l'inganno perpetrato e non riuscito. Ciò che manca è ciò che riesce.

53. L'affinità è l'inferiorità secondo la legge economica del conformismo.

54. Impronunciabile e irriconoscibile la pietà; ciò che viene mal detto, sarà comunque mal visto, e se ritornerà, avrà lo stesso destino con un nome nuovo.

55. Una teoria dello stupore alla fine è insolente.

56. Nella presunzione di coloro che credono di "poter capire qualcosa non servendosi di ciò che è loro nascosto, ma credendo a ciò che è loro rivelato" (Guy Debord) si manifestano minacciose l'amore per la servitù volontaria e la certezza di un'inferiorità approvata. Da quando la velocità della presunzione doppia l'intero campo sociale, l'aggressività verso i livelli di esistenza quotidiana rende la sua verità solo nei picchi di furia. Non è la verità la morte dell'intenzione, perché l'intenzione ha prima ucciso l'idea che esista una verità.

57. Contro l'utopia statistica: il più solido effetto della globalizzazione della felicità di massa è la solitudine di ciascuno. Sulla socialità da ottenere lavorano diversi istituti per coprire le incertezze che continuamente rinascono e i leggeri malesseri che derivano, ma la capacità di interpretazione dei dati non è così sicura come essi vorrebbero che fosse. Le banalità qui esposte sono le prime ad essere offuscate.

58. I costi sociali delle masse sono nettamente inferiori agli incentivi alla produzione di caste di governo e di protezione. Ma che le soluzioni raddoppino gli orrori dei problemi a cui rimedieranno non è dato da pensare, ma ciò il cui pensiero è insostenibile ci sarà ancora, disancorando ogni congettura a qualsiasi falsa prospettiva di fuga.

59. Ogni accelerazione del tempo moltiplica il suo dispendio e in ciò rimane l'ultimo rito sacro.

60. L'incompetenza generalizzata. La proletarizzazione è nell'incompetenza, il resto vi si aggiunge come toglimento. La pubblica denuncia dell'ovvio è compito impari per chi non sa cosa pensare di quello da cui viene detto, ed è a causa dell'incontrastabile verità che gli effetti del dominio corrono così veloci che, invece di impensierire, rassicurano. Il peggio è il bonus dell'ottimizzazione.

61. Sulla domanda "che fare?". Non si sprecano dubbi sul carattere funesto della domanda a cui la fatticità della pratica sa replicare.

62. Che la smemoratezza sia sollecitata, e svagatamente, è una delle tante manifestazioni del dominio della verità. Le intenzioni assillano la critica più dei suoi detrattori. Ma che si dilegui in fretta è la sua via.

63. Post res. Il concetto di arte esiste solo come genitivo o come rovesciamento di esso.

64. La critica all'idea di fondazione consente di risolvere la questione originaria per poterne subire la rimozione in cui insiste il circolo vizioso in cui non può uscire da tempo la causa della rivoluzione.

65. Sull'ordine delle convenzioni pesa l'obbligo delle apparenze, e ogni considerazione sulla tenacia della loro eternità è suscettibile di sorprese.

66. Contro il dubbio sull'abbandono di fronte alle cose. Come epigrafe sta scritto: "Tutto funziona. Questo appunto è l'inquietante, che funziona e che il funzionare spinge sempre oltre verso un ulteriore funzionare..."

67. Verrebbe da dire che talvolta nei sogni si condensa l'effetto di una pulsione, uno stile e la sua intraducibilità. Un'immagine che possiede lo sfolgorio dell'onirico è una specie di ossessione disinvolta, ciò che i surrealisti chiamavano un cadavere squisito.

68. Dire: niente arcani! -è dire quasi niente, anche se di essi filtra proprio ciò che non dovrebbe che arrestarsi, e proprio nella misura in cui si stabilisce che non vi debbano essere resti. Ciò che la teoria detta rivoluzionaria non ha ignorato di ignorare è il rovescio di tale proposito. Non guardarsi indietro! -è un messaggio intraducibile, eccetto che la sua fine è nota.

69. Anche se di niente oggi si può dire che non sia riutilizzabile è senza conforto che si sospendano le soluzioni.

70. La trasparenza della simulazione, se rende invisibile la scena, rende del tutto trascurabile l'inganno della verità sotto l'erosione dell'inverso (la verità dell'inganno).

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