Pierangelo Castagneto

crisi economica e movimenti migratori nel Ponente ligure dall’età napoleonica alla grande emigrazione

il caso di Cervo Ligure

emigranti du rìe cu’i cioi ‘nt’i euggi

finché u matin crescià da puéilu

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F. De André

Il quadro generale dell’economia ligure negli anni che seguirono la caduta del regime aristocratico e la breve stagione della repubblica democratica appare notoriamente desolante. Malgrado gli sforzi compiuti dal governo napoleonico, il tentativo di dare nuova linfa ad uno stato "fortemente impoverito di energie materiali e morali" non aveva provocato, se non marginalmente, positive ricadute(1). Il crollo della finanza genovese finì per trascinare in una crisi rovinosa gran parte delle attività produttive: il commercio, i traffici portuali e le manifatture, anche in ragione della drammatica situazione politica internazionale, subirono infatti un pesantissimo tracollo i cui effetti perniciosi avrebbero pesato per decenni sull’intera economia della regione(2). Già sul finire del Settecento e nei primi anni dell’Ottocento alcune inchieste statistiche, ordinate allo scopo di censire con maggiore esattezza le risorse disponibili sul territorio, avevano documentato questa condizione di difficoltà, dando anche visibilità a dinamiche destinate a mutare profondamente la realtà socio economica ligure(3).

Uno dei dati più vistosi deducibile dall’analisi di queste indagini riguarda il movimento migratorio che con crescente consistenza andava interessando la popolazione della costa e quella dell’entroterra(4). Di questa forte propensione alla mobilità indirizzata sia in ambito locale sia verso regioni limitrofe sia, infine, verso paesi stranieri, il Ponente ligure era certamente caso esemplare. Seppur con alcuni elementi di novità si trattava di una consuetudine che continuava una già consolidata tradizione migratoria di antico regime(5), per altro diffusa a tutta l’Italia settentrionale, dettata da "insufficienze croniche di un’agricoltura povera e di una proprietà terriera estremamente frammentata". Nel caso specifico rispecchiava la doppia natura della vita economica di un’area che, con il passare del tempo, si era rivolta ora verso l’interno, la Pianura Padana e l’Europa, ora verso il mare, fino a scegliere in ultimo l’Oceano e le Americhe(6).

Il primo caso di indagine statistica rivelatrice di un tale fenomeno migratorio risale ai primi mesi del 1799, quando l’Istituto Nazionale, erede e continuatore dell’esperienza della Società Patria delle Arti e delle Manifatture e sorto con lo scopo dichiarato di favorire un intervento diretto nella vita economica ligure, avviò quella che risulterà essere la sua prima e maggiore iniziativa. In ragione della mancanza di adeguate informazioni, l’Istituto promosse un’inchiesta sulle condizioni economiche e sociali dell’intera regione, condotta sulla base di un apposito questionario che venne distribuito alle municipalità e ai parroci. Dal questionario, articolato in 35 domande, si pensava di ricavare una serie di notizie riguardanti "l’estensione del territorio di ciascuna comunità, la popolazione e le sue variazioni, l’utilizzazione del suolo (particolarmente in relazione alle comunaglie ed alle terre incolte), le tecniche agricole, le direzioni e i generi del commercio, le attività manifatturiere, i salari di artigiani e operai, la presenza e lo sfruttamento di eventuali giacimenti minerari ecc."(7).

Malgrado lo sfortunato esito dell’iniziativa che non fu portata a termine, dai materiali raccolti, pur incompleti e disomogenei, è possibile ricavare qualche frammentaria informazione sul fenomeno migratorio. Più di un terzo delle risposte al questionario –240 in numero complessivo, relative a 193 comunità della Repubblica– segnalavano movimenti migratori, "o in relazione alle variazioni della popolazione e alle loro cause, o in relazione alle pratiche agricole, o in relazione alle qualità e ai tempi dell’occupazione". Se in generale la precarietà di un’economia di sussistenza spingeva gli abitanti delle comunità agricole verso i centri rivieraschi e all’estero, nell’area del Ponente ligure l’emigrazione sembrava essersi orientata in prevalenza verso la Spagna: così accadeva, per esempio, "a Borghetto S. Spirito, a Erli nel vecchio Commissariato di Zuccarello, a Vessalico e Calderara nel Capitanato della Pieve di Teco, nel Finale (Bardino, Gorra, Portio, Varigotti)". Nei comuni di Erli, Vecersi e Castelvecchio, la scarsità dei raccolti aveva spinto, da oltre mezzo secolo "molte famiglie" in Spagna "per guadagnarsi il pane". A Calderara, dove la popolazione era diminuita della metà in sessant’anni, all’emigrazione era seguito il quasi totale abbandono delle terre meno redditizie. A Vessalico l’emigrazione in Spagna risaliva agli anni quaranta del secolo, a causa, sembra, dei debiti accumulati dalla municipalità. Una situazione analoga si registrava a Bardino Vecchio dove "la popolazione è diminuita per essere andate alcune famiglie nelle parti di Spagna e in altri paesi", o a Tovo dove una "moltitudine di cittadini et anche di famiglie intiere" -un terzo in cinquant’anni- "a motivo de’ gran debiti e miserie sono andati per il mondo"(8).

Qualche anno dopo questo primo tentativo l’Istituto Ligure avviò una nuova indagine conoscitiva sulle condizioni economico sociali della regione. Il sistema adottato fu totalmente diverso: non più un questionario circolante tra le varie municipalità, bensì una serie di relazioni redatte, nell’ambito delle maggiori giurisdizioni, da esperti, funzionari governativi, o membri dello stesso Istituto. Il compito di coordinare l’intero progetto fu affidato ad uno dei funzionari governativi più attivi, Giuseppe de Ambrosis(9). In prima analisi, anche in questa circostanza, dalle informazioni raccolte emergevano significativi segnali di una generalizzata difficoltà economica nelle diverse aree della regione. Dalla Giurisdizione delle Arene Candide, comprendente, "l’ex Marchesato di Finale colle sue Langhe, l’ex Repubblica di Noli, e il Territorio della Pietra, e di Toirano," un anonimo collaboratore dell’inchiesta segnalava che "la popolazione della parte meridionale è considerabile specialmente nel Marchesato di Finale, dove monta circa a 15000 abitanti, malgrado la continua emigrazione per la Spagna divenuta soverchia in questi tempi di miseria e di povertà".

A dispetto del "il genio degli abitanti" e della "posizione del paese" le principali attività produttive, a causa del "poco impegno del governo" e delle "vicende disgustose della guerra", languono irrimediabilmente. Particolarmente colpito risultava essere il settore metallurgico la cui crisi, senza un energico intervento di sostegno da parte del governo, avrebbe finito per provocare "un rovescio funesto, una reazione fatale, che dopo di aver prodotto una folla di furti, di dilapidazioni, porterebbe necessariamente l’emigrazione quasi totale degli abitanti".

Se questi primi sondaggi, spesso lacunosi nella documentazione trasmessa, potevano presentare solo aspetti parziali del fenomeno migratorio, è dalla celebre Statistique des provinces de Savone, d’Oneille, d’Acqui, et de partie de la province de Mondovi, formant l’ancien département de Montenotte, che si ricava un quadro più particolareggiato. Pubblicata a Parigi nel 1824, la Statistique fu redatta del prefetto del Dipartimento del Montenotte, Gilbert Chabrol de Volvic, che dal 1806 al 1812 aveva raccolto una considerevolissima documentazione riguardante tutti gli aspetti della realtà socio economica della Liguria occidentale(10). "L’industrie crée aujourd’hui de noveaux moyens de prospérité, en établissant sur divers points une émigration périodique," scriveva il prefetto "qui tend à chercher chez l’étranger d’autres espérances et d’autres ressources. Avant la réunion du Piémont à la France cent quatre-vingts verriers quittoient tous les ans la commune d’Altare pour se rendre dans le royaume d’Italie, en Toscane, à Parme, Vérone, et Venise; ils étoient divisés en cohortes, qu’on appeloit maîtrises, ayant pour chef le premier ouvrier. Le mois de septembre étoit l’époque de leur départ, et ils rentroient toujours à la fin de mai. On évalue les épargnes qu’ils apportoient chaque année dans leur commune à 60,000 f.". Questa migrazione stagionale, dopo l’annessione del Piemonte, si era ridotta "à peu près à un tiers" per via dell’abolizione degli statuti che regolamentavano l’attività all’estero dei vetrai, i quali erano stati sostituiti nelle fabbriche dove andavano a lavorare da giovani "élèves qui les ont remplacés." Un’altra tipica migrazione periodica era quella dei "scieurs de long" del cantone del Sassello. Di solito circa trecento di loro emigravano ogni anno alla fine di novembre, "époque où la neige commence à couvrir ces pays montagneux", per far ritorno a marzo. Le loro mete erano i "départements de Gênes, Marengo, Alpes maritimes et Apennins" oppure, quelli provenienti dai comuni di S. Piertro d’Olba, Tiglieto e Martina Olba, "se rendent ordinairement en Toscana et dans les États Romains" e vi facevano ritorno prima della fine di giugno. La pesca era naturalmente occasione di significative migrazioni: "Lorsque la communication avec la Sardaigne étoit libre, plus d’un millier d’hommes partoient annuellement d’Allassio et de Langueglia, sur une vingtaine de brigantins, pour aller faire la pêche di thon dans le parages de cette île". Questo tipo di attività, la ricchezza di questi due comuni, era stata "presque anéanti" dagli eventi bellici e solo dopo il 1808 se ne registrava una timida ripresa. Per molti, come già nell’ancien régime, la Spagna continuava ad esercitare una forte attrazione: "Avant les événements de Bayonne et la révolution d’Espagne, plusieurs des habitants des cantons maritimes de l’arrondissement de Savone, et particulièrement de Pietra et de Finale, se rendoient dans ce royaume et notamment à Cadice où ils exercoient divers métiers; quelques uns s’adonnoient à la contrebande. Plusieurs d’entre eux étoient agriculteurs et se plaçoient comme domestiques. Le nombre de ces émigration étoit considérable, mais elles varioient suivant le plus ou moins d’abondance de la récolte. Il n’y a jamais eu d’époques fixes pour les retours; il en revenoit tous les ans, et il en revient encore aujourd’hui; la plupart, à l’aide de leur industrie, faisoient bonnes affaires". Altri flussi migratori minori seguivano la stagione dei raccolti; così dal circondario di Acqui ogni anno, "huit cents cultivateurs des plus misérables, dont un tiers de femmes", si recavano nel dipartimento di Marengo per la mietitura, mentre dalla stessa area circa 250 uomini migravano nel dipartimento del Sesia per il raccolto del riso(11).

Le informazioni provenienti dalle indagini statistiche condotte in diverse aree della regione tra la fine del Settecento e la caduta del regime napoleonico, seppur con limiti di incompletezza, confermano dunque le ipotesi di partenza denunciando una marcata crisi dei settori produttivi tradizionali accompagnata da un forte impulso alla già da tempo collaudata propensione delle popolazioni liguri a migrare nelle regioni limitrofe o verso paesi stranieri per periodi variabili(12).

Ma partendo da questo dato generale, ridurre la scala di osservazione e orientare l’indagine su di una singola comunità, consente forse di definire in maniera ancor più esauriente alcune delle modificazioni sociali segnalate. E’ in questa prospettiva che, relativamente alla realtà del Ponente ligure, la vicenda di Cervo Ligure può essere assunta come caso esemplare(13). Podesteria della Repubblica, estesa su di un’area di 1.320 ettari di tipica collina marittima declinante verso la costa, attraversata dal fiume Steiro e confinante con le podesterie di Andora e Diano Marina(14), Cervo aveva a lungo sostenuto una doppia propensione, tipica dell’economia rivierasca, coniugando l’attività della pesca a quella agricola. Di conseguenza, in età moderna, corallo e olivo avevano costituito le maggiori risorse della comunità.

La monocoltura olearia, già preponderante sul territorio durante il Seicento, aveva accentuato il suo carattere egemonico durante la seconda metà del Settecento(15), proprio in concomitanza della crisi definitiva della più peculiare impresa cervese, la pesca del corallo. E’ noto come questa attività rappresentasse per Cervo una specializzazione che, a differenza delle altre località limitrofe dove pur veniva praticata ma con minore intensità, coinvolgeva larga parte della popolazione maschile(16). Fra aprile e agosto, due terzi degli uomini in età lavorativa lasciava Cervo alla volta delle mete classiche della pesca del corallo: la Sardegna, la Corsica, o le più lontane coste africane. Questa emigrazione stagionale di massa aveva naturalmente finito per ridisegnare in maniera singolare i rapporti sociali tra i diversi soggetti della comunità. La pesca del corallo, praticata fin dai primi decenni del Cinquecento, ebbe il suo periodo aureo durante la seconda metà del Seicento, per seguire un lento decadimento e giungere al definitivo annullamento dopo il 1740(17). E’ grosso modo in quest’epoca che si avviò il processo di conversione al commercio, principalmente oleario, di commissione meridionale, così che Cervo cedette l’avventura della pesca a S. Margherita e a Torre del Greco, impossibilitate a puntare su alternative valide quale quella olearia. Che la nuova attività mercantile seppur comportando stagionalità migratorie meno rigide implicasse una riduzione del numero di marinai impegnati fu una conseguenza naturale.

Prima di interrogare nuovamente le fonti statistiche per conoscere più in dettaglio la realtà di Cervo, è opportuno rammentare il dato demografico fornito dal censimento napoleonico del 1805 che denunzia la presenza di 1.139 abitanti: si tratta del valore numerico più elevato di tutto l’Ottocento, il progressivo depauperamento demografico farà infatti segnare un calo del 12.2% della popolazione tra gli anni 1806-1861, calo che supererà il 16% alla fine del secolo(18). L’anonimo compilatore del questionario inviato in risposta all’inchiesta dell’Istituto Ligure nel 1799, descrive la condizione generale della comunità in maniera non certo entusiasmante. Il numero degli abitanti "consiste in 1100 circa: la popolazione, come rilevasi dal stato d’anime fatto in diverse epoche, si mantiene a un dippresso la stessa, ma sarebbe accresciuta se negli anni addietro non fossero andati in altre nazioni molti individui adatti alla navigazione, ed ivi morti"(19). Una fuga di manodopera e un relativo mancato incremento demografico sono dunque i primi elementi negativi che si manifestano. Il territorio del Cervo, che "in tutto il suo circondario arriverà a 5 m.", non offriva particolari risorse; "la maggior parte montuoso, pochissima pianura, coltivata però nella maggior parte, e solo incolto nella quinta parte". La migliore coltivazione praticabile risultava essere "à zappa ed aratro; ma scarsa per scarsità di braccia, e questo a caggione che la maggior parte degli uomini seclusi gli oziosi sono adatti alla navigazione"(20). Tre le principali produzioni agricole: "Oglio, vino, frutta", il primo "abondante, vino e frutta in scarsità". Per quel che concerne la produzione vinaria, si rammenta come dalla solitamente anticipata vendemmia "nasce che il vino, tuttochè dato da un terreno molto adatto alla bontà, ha sempre dell’acerbo e crudo, di tanto che si vorrebbe una legge che fissasse in un dato tempo la vendemia per tutti"(21). In relazione alla scarsità di pascoli, esiguo risulta il numero degli animali, circa un centinaio fra bovini, muli e asini, mentre viene segnalata la presenza di un’unica mandria "di 100 circa pecore". Se l’agricoltura può a malapena garantire a chi la pratica la sussistenza, in condizioni non certo migliori si trova il commercio. La tradizionale occupazione della comunità, la pesca del corallo, era ormai un ricordo. In sostituzione di questa attività estinta, il commercio si era "intavolato con la Francia, Regno di Napoli, e Sicilia per vino, grano, ed oglio, ma s’è diminuito di molto, per pontigli e discordia del paese". Il precario stato dell’economia concorre a rendere decisamente instabile l’occupazione della forza lavoro: "Le persone senza mestiere sono molte, ma le disoccupate omninamente si ristringono a poche; perché quelle senza mestiere pur anno qualche occupazione, che è d’assistere a loro giornalieri nella coltura delle terre, quale cessa negli mesi d’estate, e certo che in tale tempo le persone disoccupate sono in maggior numero".

Analoghe informazioni si ricavano dalle "notizie statistiche" sulla Giurisdizione degli Ulivi, inviate al De Ambrosis nel 1802 da Ambrogio Viale(22). In questa relazione di circa venti pagine, seppur lacunosa in alcune importanti voci quali quelle relative alla popolazione e alla topografia, vengono confermate tutte le difficoltà dell’economia cervese. Le colture agricole, con l’eccezione dell’olivo, sono di poca entità: "l’ortaglia esigge una fatica troppo assidua" alla quale gli abitanti locali "non sono molto inclinati", senza poi contare i danni provocati da "una abbondanza incomprensibile di ladri rurali, per cui neanche nei siti muragliati v’è sicurezza". Impossibile la coltivazione del grano in ragione della scarsezza di manodopera, per un terreno che necessita "gran lavoro di braccia", e della mancanza di "concimi" e di "ingrassi", fondamentali per evitare l’impoverimento del suolo. Per ciò che riguarda il vino, vengono evidenziati problemi già noti: vendemmia anticipata e frequente manipolazione per garantire la vendita del prodotto. E’ dunque l’olio "l’unica produzione che formi un’asportazione e un commercio attivo in questi paesi"; l’olio di Cervo è anzi "squisito e superiore a qualunque olio d’altri paesi" e per queste sue caratteristiche particolarmente apprezzato nel Nord Europa, dove gode di "grande celebrità"(23). Accanto alla produzione di olio ad uso alimentare, di rilievo è pure la produzione e l’esportazione degli "olj detti lavati", usati "solamente per fabbrica". Note dolenti giungono da quel settore economico che Viale definisce "commercio di utilità", dal quale Cervo, insieme a Laigueglia, "hanno ritratto ne’ tempi scorsi il loro ingrandimento, e il loro splendore". Questo commercio era incentrato sul trasporto di tre generi, "l’olio straniero, il grano, la cenere di Soda", dal loro luogo di origine, "il più delle volte nelle due Sicilie, e spesso anche in Sardegna, e in Levante", verso i porti di Nizza, Marsiglia, e Barcellona. A causa degli eventi bellici questa attività venne fortemente ridimensionata, ma se a Laigueglia ancora in minima parte si conservava, "in Cervo è interamente distrutta". Il degrado complessivo della marineria viene descritto dal Viale in un’appendice che conclude la sua relazione. Se infatti un tempo questa attività commerciale era regolata da "un ordine mirabile", la ricchezza aveva finito per corremperne "la moralità", tanto che in breve "si videro i padroni inricchiti, i partecipi rovinati, i marinaj impigriti e rivoltosi". Proprio a Cervo si sono avvertite le maggiori ripercussioni di questo mutamento, dove il commercio "fu distrutto del tutto: ma seguitandosi la medesima via si deve giungere necessariamente al medesimo termine" anche nel resto della giurisdizione. La naturale conseguenza di questa crisi è il forte aumento della disoccupazione tra i "numerosissimi marinaj", soprattutto tra quelli "mediocri" e "indigenti" che "non si fidano più tanto d’impiegare il risultato del proprio risparmio né più si spandono ad utili tutti i vantaggi del commercio".

Qualche ulteriore elemento si ricava infine dalla Statistique di Chabrol(24). Descritto come un villaggio dall’aspetto "pittoresque", dove domina "une très belle église parroissiale", Cervo si faceva soprattutto apprezzare per le sue "très belles plantations d’oliviers". I suoi abitanti sono "marins ou laboureurs; la position montagneuse est peu propre au commerce; la population est de 1020 habitans"(25). La principale attività economica, il commercio dell’olio d’oliva di produzione locale, aveva subito un brusco ridimensionamento. Se in passato infatti "le commerce des huiles du pays se faisoit presque en totalité par les négociants de Port-Maurice" che, ottenuti i fondi per l’accquisto dell’olio dai banchieri genovesi, provvedevano a soddisfare la maggior parte delle ordinazioni provenienti dalla Francia, dall’Olanda e dai paesi del nord, lasciando il resto ai produttori di Oneglia, Diano, Cervo e Riva, "le commerce actuel est tout différent: il se fait pour le compte même des proprietaires et négociants du départment; il s’éntend sur toute la côte depuis Finale jusqu’à Riva; les bâtiments sont nolisés à 3 fr. 50 c. le quintal, ou 35 fr. le tonneau; le marchandises sont portées à Marseille, et quelquefois même à Paris". Questo mutamento aveva provocato la rovina di molti che avevano voluto tenere troppo alto il prezzo dell’olio, proprio perché doppiamente interessate come proprietari e come commercianti. "Depuis cinq à six ans" commentava Chabrol "il n’y a pas eu de bénéfice sensible dans les ventes, en sorte que le nolis seul a été dé frayé".

Infine anche il redditizio commercio degli oli provenienti da Napoli e dalla Sicilia, -olii "d’une qualité inférieure, et propres seulement a faire savon" verso il porto di Marsiglia, al cui trasporto partecipavano ben 12 bastimenti cervesi da 150 tonnellate, era totalmente cessato, in ragione degli eventi bellici(26). Una crisi grave, in definitiva, che aveva colpito maggiormente proprio settori come quelli del commercio marittimo e cantieristico verso i quali si erano orientata la riconversione dell’armamento navale in conseguenza della cessazione della pesca del corallo.

Molto si è discusso sull’andamento e sulla durata della crisi economica sofferta dalla Liguria all’indomani dell’annessione con il Regno di Sardegna. Se si concorda sul fatto che il periodo di stagnazione durò almeno fino agli anni ’30, apogeo dell’indirizzo protezionistico della politica sabauda, non vi è uniformità di vedute fra chi ha sostenuto un deciso risveglio dell’economia ligure alla vigilia del decennio cavouriano(27) e fra chi invece ridimensiona questo "improvviso destarsi" di un’economia che di fatto "non ha mutato struttura in alcuno dei rami che le erano propri", vale a dire la marineria, il commercio di transito e l’industria(28). Un dato incontrovertibile sembra però essere quello di una non omogenea diffusione di questo discusso processo di ripresa che in ogni caso lasciava aree periferiche ad una realtà di arretratezza e miseria, cosicché la Liguria si avviava all’unificazione nazionale con "uno sviluppo industriale di grande portata" ma anche molto disarmonico, concentrato in pochi poli e troppo dipendente dalle decisioni politiche, che "non aveva saputo assorbire la crescita demografica e non aveva trascinato con sé, se non marginalmente, l’economia della regione"(29). I limiti di questo processo di modernizzazione economica, per così dire a due velocità, si evidenziarono maggiormente in un’area come quella dell’estremo Ponente che, in ragione anche di un eccessivo frazionamento nella divisione amministrativa del territorio, venne ancor più emarginata, accentuandone le caratteristiche di subalternità nel quadro dell’economia regionale.

Proprio la crisi del settore oleario, -la maggiore dipendenza economica del Ponente ligure- che dalla fine del dominio napoleonico, in conseguenza dell’abolizione delle barriere doganali francesi, aveva subito la pesante concorrenza degli olii del Sud Italia, della Grecia e della Tunisia, aggravò drammaticamente la situazione. L’economista genovese Jacopo Virilio, un convinto sostenitore dell’emigrazione, nel 1860 descriveva l’area in questi termini: "La miseria va oggidì maggiormente involgendo nel suo squallido sudario alcuni paesi della riviera di Ponente. Le condizioni in cui versa la costa da Alassio a Ventimiglia spinge alla fuga verso un più ospitante emisfero, mentre un’atonia sembra invadere il senso morale degli abitanti"(30). Per le popolazioni dell’estremo Ponente ligure, l’emigrazione rappresentò così non un’alternativa ma una scelta obbligata.

Le dinamiche migratorie si modificarono, ad antichi percorsi se ne aggiunsero di nuovi. Se il Sud-Est della Francia restava una meta naturale, già sperimentata per soggiorni a carattere temporaneo più che definitivo, ben presto la via delle Americhe costituì una nuova, allettante risorsa. A differenza di quanto avvenne nel resto del paese dove l’emigrazione transoceanica assunse dimensioni di massa negli anni compresi fra la fine dell’Ottocento e il primo ventennio del Novecento, in Liguria i flussi transoceanici si manifestarono precocemente e si stabilizzarono con una continuità che non subì nel corso del tempo variazioni di grande rilievo. Sono note le difficoltà incontrate dagli studiosi nella ricostruzione e, ancor più, nella quantificazione del fenomeno migratorio ligure nel suo complesso durante il diciannovesimo secolo. Se poi l’obiettivo è quello di individuare le diverse identità di partenza degli emigrati il compito si complica indefinitamente(31). La scarsa visibilità dell’immigrazione ligure verso una delle regioni privilegiate, il Dipartimento delle Alpi Marittime e città quali Marsiglia o Tolone, limita fortemente la possibilità di accertare le dinamiche migratorie in un’area pur fortemente interessata al fenomeno(32).

Se oggettivi impedimenti finiscono per limitare fortemente il tentativo di specificare sia in termini quantitativi sia in termini qualitativi il fenomeno migratorio non solo nella sua globalità ma anche relativamente ad aree circoscritte, -deludenti risultano infatti le notizie in materia che si possono attingere dalle pubblicazioni ufficiali del Ministero degli Esteri o degli altri organismi preposti al controllo dell’emigrazione- esiste tuttavia una documentazione indiretta dalla quale, seppur in maniera parziale, si ricavano significativi elementi circa la mobilità della popolazione. Nel caso di Cervo una fonte di notevole interesse risulta il Libro dei defunti parrocchiale, nel quale venivano registrate le messe di funerale in suffragio per i morti altrove. In esso, a partire dall’anno 1677, vengono riportate numerose di queste solennità, che costituiscono in media il 5% del numero complessivo dei morti, con l’indicazione dei luoghi del decesso(33).

 

 

 

Tabella I – Libro dei defunti 1680-1760

 

 

Sardegna Africa Corsica Centro-Sud Riviera Pon. Genova

56 5 8 8 6 10

 

Francia Spagna Americhe Altrove Naufragio Totale

4 1 0 8 17 123

Tabella II – Libro dei defunti 1760-1805

 

 

Sardegna Africa Corsica Centro-Sud Riviera Pon. Genova

0 0 0 22 4 9

 

Francia Spagna Americhe Altrove Naufragio Totale

4 2 5 6 6 58

 

Tabella III – Libro dei defunti 1805-1850

 

 

Sardegna Africa Corsica Centro-Sud Riviera Pon. Genova

6 0 0 1 8 9

 

Francia Spagna Americhe Altrove Naufragio Totale

13 2 8 8 7 62

 

Nel periodo che va dal 1680 al 1760 (tabella I) la maggiore dipendenza economica di Cervo, la pesca del corallo, motiva oltre la metà delle morti, 69 su 123, senza tenere conto dei naufragi, per i quali non veniva sempre specificato il luogo, che potrebbero aver coinvolto imbarcazioni dirette sui luoghi di pesca. Un dato significativo riguarda i decessi in Sardegna: ben 33 su 58, concentrati soprattutto negli anni 1720-1750, sono avvenuti a Bosa, metà prediletta delle coralline cervesi. Se la Francia e la Spagna non sembrano suscitare in questo periodo particolare interesse, il dato relativo a Genova e ai maggiori centri rivieraschi del Ponente segnala la naturale attrazione che questi luoghi esercitano. Lo scenario cambia radicalmente nel periodo 1760-1805 (tabella II). Cessata la pesca del corallo, nessuno dei 58 decessi di questi anni riguarda infatti Sardegna, Corsica o Africa, il dato più significativo è quello relativo ai 22 decessi avvenuti nell’Italia meridionale, principalmente in Campania e Sicilia, prova evidente di una presenza legata allo sviluppo del commercio oleario con il Sud del paese. Il numero dei decessi in Francia (4) e in Spagna (2) non aumenta di molto, mentre risulta in crescita anche il dato relativo a Genova e alla Riviera. Ma sul finire del secolo emerge un nuovo elemento: 5 sono infatti i decessi segnalati nelle Americhe, a conferma della precocità della scelta migratoria transoceanica. E’ un tal Giuseppe Bianchi, morto il 23 settembre 1782 in Martinica, ad inaugurare la serie, seguito da Tommaso Tagliaferro, morto genericamente "in America" il 25 agosto 1789. Nell’ultimo periodo esaminato, che va dal 1805 al 1850, vengono grossomodo confermate alcune delle principali indicazioni emerse nel cinquantennio precedente (tabella III). Conclusasi la breve stagione del commercio oleario con il meridione d’Italia, la Francia (13 decessi principalmente in Provenza ma figurano anche le città di Marsiglia, Hyères, Tolone), e le Americhe (8 decessi distribuiti nel Nord come nel Sud America) sembrano essere infatti diventate le principali mete verso le quali si indirizzò il flusso migratorio cervese.

L’insieme di questi dati offre pertanto l’immagine di una mobilità che, oltre a manifestare la prevalenza di un’emigrazione temporanea o stagionale in ragione della marcata componente marittima delle rilevazioni, riflette chiaramente le diverse tappe del destino economico della comunità, la pesca del corallo in Sardegna, Corsica e Africa, il commercio oleario nell’Italia meridionale e infine l’emigrazione americana, con una continua e crescente gravitazione su Genova e la Francia mediterranea o in qualche caso la Spagna.

Un diverso tipo di documentazione di grande interesse, spesso utilissimo per ricostruire gli itinerari migratori di aree dove scarse e labili sono le tracce del fenomeno, è quella rinvenibile negli ‘archivi familiari’: una quantità eterogenea di materiali, fotografie, lettere, etc., che gettano luce sulle vicende e sui destini di "gente comune", altrimenti irrimediabilmente perduti(34). In questo senso, l’archivio della famiglia Roggerone si è rivelato una fonte utilissima(35). Originari di Pairola, piccola frazione del comune di Cervo, Nicola Roggerone e Caterina Simone, entrambi contadini, ebbero nove figli, tre femmine e sei maschi, quattro dei quali nella seconda metà dell’Ottocento scelsero di emigrare(36).

Di Lorenzo Roggerone, il primo dei figli della coppia, nato nel 1839, con certezza si sa solamente che morì negli Stati Uniti, come è documentato da un atto legale. Stesso destino americano seguirono Giacomo Giovanni (n.1853) e Domenico Santino (n.1857). Se per quest’ultimo le notizie sono piuttosto scarse, dopo un breve soggiorno in Francia, Domenico Santino giunse anch’egli negli Stati Uniti e vi si stabilì definitivamente, l’esperienza migratoria di Giacomo Giovanni è decisamente più articolata. Dalla sua corrispondenza con il fratello Salvatore si apprende infatti che si era stabilito a Galveston nel Texas già dal 1883(37). In un lettera, datata 26 aprile 1885, lo sconsigliava vivamente di raggiungerlo, "perché sono 2 anni che diventata assai miseria più che dalle nostre parti e questo paese si tratta che sia uno dei melio paesi dei stati uniti e pure vi è una miseria assai grande perchè non ci è lavoro e ora sono due anni che vacasi male". Anche una eventuale prospettiva Sud-americana, presa in considerazione da Salvatore non veniva incoraggiata: " Caro fratello sento che tu parli di bonesaire ma qui sono molto lontano vedremo questo inverno che viene cosa sarà dinovo se si guadagnerà melio la vita che adesso te la farò sapere e seno o pensato di andarmene ancora io che sono 2 anni che lavoro giusto per le spese". Giacomo Roggerone che a Galveston faceva "il mestiere della pesca", disponendo di una barca e di attrezzature proprie, deciderà di spostarsi a Port Lavaca, una località affacciata sul Golfo del Messico, distante una cinquantina di chilometri da Galveston, "colla speranza di guadagnare di più ma invece sono sempre lo stesso". Marsiglia sembra essere stata una sorta di stazione intermedia, di transito per molti che intrapresero successivamente il viaggio transoceanico: "Ti prego a mandarmi subito per posta con lettera assicurata le mie 5 cartelle del prestito Lionese" scrive Giacomo al fratello nel febbraio del 1887, chiedendo informazioni sui suoi depositi bancari fatti nella città francese, "che qui in Galveston vi è una banca francese e posso cambiarle senza perdita, se invece dovessi fare le carte di procura dovrei spendere più di 75 franchi". Le notizie di una grave calamità naturale che aveva colpito proprio il Ponente ligure, dove ancora molti familiari di Giacomo vivevano, non dovettero certo risollevare il suo stato d’animo in un momento di per sé già difficile: "Oggi si sono ricevuti telegrammi del terremoto in Italia principalmente nella riviera nostra, spero che non sarà accaduto niente di sinistro ai nostri parenti. Basta mi rincresce che i tuoi affari non siano troppo buoni, qui non è niente di meglio".

Più complessa la vicenda di Salvatore Roggerone (n.1850) il quale, avendo seguito il consiglio del fratello, non lasciò l’Europa. Dal 1873 al 1881, come si apprende dal libretto di matricolazione rilasciatogli dalla Marina Mercantile Italiana, si imbarcò per brevi periodi, lavorando anche negli stessi anni come "ouvrier terrassier" in alcune fabbriche di ceramica a Marsiglia. Dopo questa esperienza farà ritorno a Cervo e riprenderà l’attività di agricoltore. Anche Adolfo (n.1892), figlio di Salvatore, seguì il percorso migratorio del padre. Dopo aver lavorato per un breve periodo ad Albenga in una fabbrica di laterizi, nel 1914 si era trasferito a Marsiglia. Qui aveva trovato occupazione come cameriere presso il "Grand Restaurant". In una lettera dell’ottobre 1914 inviata ai genitori Adolfo si lamentava del lavoro che "è diminuito ancora si lavora ore 7 per giorno, fino che ne guadagno tanti per vivere resto e un giorno non ce n'è più allora verrò". Rientrato in Italia dal 1917 aveva trovato impiego come fonditore nella Società Nazionale Officine di Savigliano dove rimarrà fino al 1922. A Savigliano si era iscritto al Partito Socialista e alla Camera del lavoro (Federazione nazionale degli operai metallurgici). Negli anni Venti Adolfo si trasferì nuovamente in Francia, in compagnia della moglie, Nicolina Fresco, anch’essa originaria di Cervo Ligure. La coppia si stabilì a Haute Loges au Manoir, un piccolo villaggio vicino a Rouen, nel Dipartimento dell’Eure. Le lettere che i coniugi scrivono alla famiglia di Adolfo tra il 1923 e il 1925 sembrano testimoniare il raggiungimento di una relativa tranquillità economica. Nell’agosto del 1923 Nicolina Roggerone poteva infatti confidare alla cognata di essere contentissima dell’andamento delle cose: "Io faccio i lavori di casa e da mangiare e poi alla domenica tutti insieme si va a fare qualche passeggiata nei paesi e città più vicine, io dopo che sono qui ho veduto Parigi, Pont de l’Arches, Alizais, Pitres, ma il più bello è Parigi, per poco che ci siamo fermati non posso dirti cose vidi di bello, te ne darò una descrizione quando verrò a casa. Noi due ce la passiamo divinamente bene". Adolfo, occupato in una "officina", riusciva a trovare anche il tempo di dedicarsi ad un terreno preso in affitto: "Avendo ora il giardino abbiamo molto lavoro, siamo presso mettere le patate e in seguito altro ancora. Abbiate pazienza" scriveva Nicolina ai genitori del marito "se questa volta Adolfo non scrive per il motivo che alla sera finita la giornata nell’officina lavora fino a tarda ora nell’orto e quando viene a casa si trova stanco e non ha più voglia di fare lettera così vi scrivo io". Questa pur breve ricognizione attraverso tre generazioni della famiglia Roggerone ha illustrato con efficacia quali potessero essere le più frequenti dinamiche migratorie di una piccola comunità del Ponente ligure.

In definitiva, in età moderna, ad una incerta economia agricola, legata principalmente alla monocoltura olearia, si era associata un'attività, la pesca al corallo, che aveva costretto gran parte della popolazione di Cervo a migrare verso la Sardegna, la Corsica o le coste Africane. A partire dai primi decenni dell’Ottocento rinnovate necessità orientarono il flusso migratorio verso nuovi itinerari, imponendo spesso una mobilità permanente in luogo di una mobilità stagionale. Se Genova e i maggiori centri rivieraschi continuarono a rappresentare un polo di attrazione, sempre più spesso la vicina Francia e infine l’America diventarono le mete di una migrazione dove ancora pesca e agricoltura, vecchie consuetudini, continuavano ad alternarsi, combinandosi con le nuove realtà industriali, nello scenario imposto dalla modernità.

note

1)G. Assereto, Dall’antico regime all’Unità, in Storia d’Italia. Le regioni dall’Unità a oggi. La Liguria. A cura di A. Gibelli e P. Rugafiori, Torino 1994, pp.164-165.

2)Soprattutto nel settore della navigazione si avvertirono più pesantemente le conseguenze di una crisi notevolmente aggravata dalle contingenze belliche: "Se il governo napoleonico mostrava un interesse particolare per la Liguria, era appunto quale riserva, teoricamente inesauribile, di marinai. Ma la leva di mare sottraeva ogni anno alla navigazione mercantile un numero considerevole di uomini: quanti finivano arruolati e, soprattutto, quanti sfuggivano all’arruolamento, espatriando. Le misure adottate per impedire la fuga dei renitenti, se non riuscirono all’intento, ebbero però l’effetto di scoraggiare tanto la navigazione di cabotaggio quanto la pesca" (L. Bulferetti- C. Costantini, Industria e commercio in Liguria nell’età del Risorgimento (1700-1861), Milano 1966, p.271).

3)Sulle inchieste statistiche in Liguria, vedi: E. Grendi, Storia di una storia locale. L’esperienze ligure, Venezia 1996, pp.31-50.

4)"Coloro che non puonno sussistere in casa loro o passano alli Borghi vicini ove ordinariamente si danno alla navigazione, o si trasportano alla Dominante, ove si esercitano negl’impieghi più vili, oppure si stabiliscono in Paesi esteri, scordandosi ben presto della Patria. La popolazione delle Borghi e delle città di Riviera, divenuta eccessiva per la continua sopravvenienza dei contadini, è motivo di nuove migrazioni alla Dominante ed agli esteri Stati. Infine la Capitale, sfornita d’un’industria capace a far sussistere il popolo del quale è sopraccarica, non offre che delle continue migrazioni alli Paesi esteri". Così, nel 1791, l’agronomo Giovanni Battista Pini, uno dei più illuminati osservatori della realtà economica ligure di fine Settecento, aveva descritto il fenomeno di progressivo spopolamento in atto nella Repubblica (G. B. Pini, Piano di una fabbrica di lanificio, Genova 1791, p.62).

5)Lo studio di Giovanni Levi sulla provincia di Oneglia per l’anno 1734 ha ben documentato il fenomeno. Un‘analisi demografica svolta su quindici comunità sparse sul territorio onegliese ha rivelato un significativo flusso migratorio indirizzato verso il Piemonte, verso la Riviera francese e verso la Spagna, in particolare a Cadice, dove veniva praticato il facchinaggio. Levi ha evidenziato la funzionalità di questi spostamenti nell’ambito dell’economia familiare contadina: "L’emigrazione non è perciò un fatto che indichi lo sgretolamento della famiglia o della comunità ma è anzi un elemento di conservazione fondamentale dell’equilibrio della società contadina"(G. Levi, Famiglie contadine nella Liguria del Settecento, in "Miscellanea storica ligure", V, n.2, pp.207-290; p.231). Sull’argomento, vedi anche: G. Pizzorusso e M. Sanfilippo, Rassegna storiografica sui fenomeni migratori a lungo raggio in Italia dal Basso medioevo al secondo dopoguerra, in "Bollettino di Demografia Storica", n.13. 1990, pp.132-147.

6)A. Gibelli, La risorsa America, in Storia d’Italia. Le regioni dall’Unità a oggi. La Liguria. A cura di A. Gibelli e P. Rugafiori, Torino 1994, pp.587-598. Vedi anche: L’emigrazione nelle Americhe dalla Provincia di Genova, 4 voll., Bologna 1991-1992; F. J. Devoto, Liguri nell’America australe: reti sociali, immagini, identità, in Storia d’Italia, pp.653-688; M. Porcella, Da birbanti a emigranti. Itinerari della povertà contadina; F. Fasce, Sulle tracce dei Liguri in Connecticut: taccuino di ricerca USA, entrambi in La via delle Americhe. L’emigrazione ligure tra evento e racconto, Genova 1989, pp.37-40; 77-82; F. Fasce, Partono i bastimenti… Emigrazione italiana, etnicità e società in USA nel primo Novecento, in Tra due sponde. Lavoro, affari e cultura tra Italia e Stati Uniti nell’età della grande emigrazione, Genova 1993, pp.90-110. Secondo Fernando Devoto sono due gli elementi di novità dell’emigrazione ottocentesca: l’allargamento dell’area geografica della mobilità e la diminuzione del tasso di rientro. Cfr.: F. J. Devoto, Algo mas sobre las cadenas migratorias de los italianos a la Argentina, in "Estudios migratorios latinoamericanos", 1991, 19, pp.335-336.

7)C. Costantini, Comunità e territorio in Liguria: l’inchiesta dell’ "Instituto Nazionale"(1799), in Territorio e società nella Liguria moderna. Studi di storia del territorio, Firenze 1973, pp.299-300.

8)C. Costantini, op. cit., pp.309-311.

9)Due le relazioni relative al Ponente ligure: la prima, Lettera a Giuseppe De Ambrosis, con notizie statistiche sul territorio di Cervo e appendici sul commercio e sui bastimenti. Cervo, 6 febbraio 1802, ad opera di Ambrogio Viale, un poeta arcadico nativo di Cervo, membro dell’Istituto nella sezione dedicata a grammatica, eloquenza, poesia, che in più di un’occasione aveva preso parte alla vita politica della Repubblica democratica: la seconda anonima: Notizie statistiche sul territorio detto delle Arene Candide. (Biblioteca Universitaria di Genova, ms. G.V.18). L’esito dell’operazione non fu del tutto soddisfacente tanto che la memoria ricavata dal De Ambrosis dai materiali pervenutigli, per altro anche di notevole qualità come nel caso della relazione inviata da Giovanni Battista Pini dalla Giurisdizione del Golfo del Tigullio, fu accolta con freddezza dall’Istituto. Cfr.: G. De Ambrosis, Memoria sulla Statistica ossia ristretto di geografia fisica e politica della Liguria, Genova 1802; Memorie dell’Instituto Ligure, Genova 1806, pp.53-54.

10)Gilbert Chabrol de Volvic, Statistique des provinces de Savone, d’Oneille, d’Acqui, et de partie de la province de Mondovi, formant l’ancien département de Montenotte par le comte de Chabrol de Volvic, conseiller d’État, préfet de la Seine, Paris 1824. Su Chabrol e le statistiche napoleoniche, vedi: M.-N. Bourget, L’inchiesta e il territorio: la statistica dipartimentale nel periodo napoleonico; G. Assereto, Il dipartimento di Montenotte: amministrazione, economia e statistica, entrambi in Introduzione a Gilbert Chabrol de Volvic, Statistica del Dipartimento di Montenotte, a cura di G. Assereto, 2 voll., Savona 1994, pp.39-63; 64-131.

11)Chabrol de Volvic, op. cit, pp.345-350. Vengono anche segnalati altri movimenti migratori all’interno del dipartimento di Montenotte: "Quelques ouvriers étrangers se rendent aussi dans Montenotte, mais ils y sont appelés ou par des circostances extraordinaires, ou ils viennent en petit nombre, le pays étant trop pauvre pour les nourrir. Cent cinquante maçons du royaume d’Italie et du département de la Sésia sont dans l’usage de se rendre tous les ans dans ce département; ils y travaillent sur tous les points, soit aux nouvaux établissements, soit aux nouvelles routes. Ils arrivent généralement au printemps, et demeurent toute l’années s’ils ont beaucoup de travail. Les entrepreneurs des routes font généralement venir du Piémont des mineurs et des terrassiers qu’ils augument en proportion des fonds accordés. Il arrive de même deux fois l’année cinq ou six troupes de chaudronniers napolitains, composées de trois ou quatre individus qui parcourent tous les pays et s’y arrêtent suivant le travail qu’ils y trouvent".

12)Per completare l’analisi dei flussi migratori va infine tenuto conto di un elemento, la coscrizione obbligatoria, che, non ultimo, fece crescere il numero di quanti, per eludere gli obblighi del servizio militare, - una vera e propria calamità per la già incerta economia familiare contadina - preferirono abbandonare il proprio paese. Dopo la prima coscrizione obbligatoria napoleonica, per tutto l’Ottocento la chiamata alle armi fu un’occasione, in alcuni casi forzata in altri solo anticipata, che motivò la scelta migratoria. La percentuale dei renitenti che si ricava dalla documentazione ottocentesca relativa al servizio di leva di diversi comuni ligure è infatti decisamente alta. Spesso i renitenti finirono per scegliere percorsi migratori già praticati, cosicché, la Spagna risultava ancora il luogo di fuga più comune per i renitenti del Ponente ligure. Sull’argomento, relativamente al Dipartimento di Montenotte, vedi: M. G. Cioli, Coscritti, renitenti e disertori nel Dipartimento di Montenotte: un esempio precoce di epistolografia popolare di guerra, in "Movimento operaio e socialista", 1986, n.1; D. Presotto, Coscritti e disertori nel Dipartimento di Montenotte. Lettere ai familiari (1806-1814), Savona 1990. La renitenza migratoria risulterà essere un fattore –spesso in negativo- costante per tutto l’Ottocento, assumendo dimensioni assai significative in un caso di grande mobilitazione come quello della prima guerra mondiale. Cfr.:A. Gibelli, op. cit, pp.605-609; M.G. Cioli, Il passaporto falso. Vagabondi, clandestini e renitenti in alcuni documenti della Prefettura di Genova, in La Via delle Americhe, pp.43-48.

13)Per una esaustiva analisi delle dinamiche socio economiche della comunità di Cervo in età moderna, si rimanda naturalmente a: E. Grendi, Introduzione all’analisi storica delle comunità liguri: Cervo in età moderna, in Studi di micro-analisi storica (Piemonte- Liguria secoli XVI-XVIII, Firenze 1980; Id., Il Cervo e la repubblica. Il modello ligure di antico regime, Torino 1993.

14)G. Felloni, Le circoscrizioni territoriali civili ed ecclesiastiche nella Repubblica di Genova alla fine del secolo XVIII, in "Rivista Storica Italiana", IV, 1972, p.1081, tabella 1.

15)Da un estimo del 1643 si ricava il dato che l’olivo riguardava il 48% dei possedimenti e il 54,4 del valore d’estimo complessivo, e se si aggiungono le combinazioni colturali in cui appare l’olivo si ottiene rispettivamente il 61 e l’84,6%. Vedi: E.Grendi, Introduzione, p.153.

16)E.Grendi, Introduzione, pp.157-158.

17)Il progressivo depauperamento, in ragione della rudimentale tecnica di pesca che devastava sistematicamente il fondale marino, può molto probabilmente essere una delle cause della cessazione della pesca del corallo. A questo proposito va ricordata l’iniziativa del governo francese che, nel 1773, aveva attuato un blocco di cinque anni della pesca al corallo in Corsica. Alla scadenza della proibizione, nel 1779, per ordine del tenente generale dell’Ammiragliato Serval, fu emanato un regolamento che indicava misure "pour veiller à la conservation précieuse de cette branche de commerce et remédier aux abus qui peuvent tendre à sa desctruction dans l’étendue de notre département". Per rivitalizzare la pesca al corallo e limitare i danni da essa provocati veniva proibito l’impiego dei raspini e dei gotti, due strumenti usati soprattutto dai pescatori napoletani, che sradicavano completamente il corallo dal fondale, mentre era concesso l’uso dell’ingegno, strumento questo meno dannoso, molto diffuso tra i pescatori corsi. Ma era proprio la presenza di un numero eccessivo di feluche napoletane ad inquietare i pescatori corsi che a più riprese manifestarono il loro malcontento senza per altro ottenere interventi del governo francese (Cte Forcioli-Conti, Notre Corse, Ajaccio 1897, pp.367-375). Sulla pesca del corallo, vedi: F. Podestà, I genovesi e le pescherie di corallo nei mari dell’isola di Sardegna, in "Miscellanea di storia ligure", serie III, XXXVII, pp.13-24; O. Pastine, Liguri pescatori di corallo, in "Giornale storico e letterario della Liguria", VII, 1931; J.-B. Lacroix, Les pêcheuers de corail en XVIIIè et XIXè siecle, in "Bulletin de Sciences Historiques et Naturelle", n.642, 1932, pp.9-42.

18)Dal censimento del 1777 gli abitanti di Cervo risultavano essere 1.049. Dai 1.139 abitanti del censimento napoleonico scenderà ai 768 del censimento del 1901. Sul complessivo andamento demografico, vedi: G. Felloni, Popolazione e sviluppo, Tabelle I e VI.

19)Archivio di Stato di Genova, Repubblica Ligure, 610.

20)Dall’informazione relativa al numero delle persone occupate nella navigazione si apprende che equivale alle "due terze parti degli uomini".

21)A rendere la pratica agricolo ancor meno redditizia contribuisce sia il dissesto delle vie di comunicazione stradali, che "non potrebbero essere più malconcie", sia la scarsità d’acqua utilizzabile per l’irrigazione. Da notare come alla domanda relativa all’esistenza di comunaglie, a pascolo o a selva, la risposta sia negativa.

22)Ambrogio Viale, Lettera a Giuseppe De Ambrosis, con notizie statistiche sul territorio di Cervo e appendici sul commercio e sui bastimenti. Cervo, 6 febbraio 1802, Biblioteca Universitaria di Genova, ms. G.V.18.

23)Sulla produzione globale dell’area, Viale ricorda che, "in un raccolto veramente felice, oltre alla provvista della Giurisdizione, succede un’asportazione di 100 mila barili d’olio, ma questi raccolti sono rari, e se ne vede uno ogni sessanta, o settant’anni: un anno per l’altro può calcolarsi la metà".

24)Per il Cantone di Diano Marina, del quale faceva parte il Comune di Cervo, Chabrol dispone di una fonte assai affidabile: si tratta di Nicolò Arduino, un ricco mercante di granaglie e maire di Diano Marina. Dal suo dettagliato tableau, inviato allo Chabrol nel 1807, si apprende, tra l’altro, come "cette commune comptoit jadis plusieurs gros bâtiments, mais au jourd’hui ils n’éxistent plus". La produzione e il commercio oleario costituiscono la maggiore risorsa per la comunità: "La bonne qualité de l’huile du pays procure aux habitants un commerce actif avec Paris, et les autres principales villes de l’Empire, ainsi avec l’Hollane, la Suisse, et la Baltique." Archivio di Stato di Savona, Periodo Napoleonico 64.

25)G. Chabrol de Volvic, op. cit., p.157.

26)Id., op. cit., pp.388-390.

27)C.M.Cipolla, Agli inizi della rivoluzione industriale nell’economia ligure, in Genova, uomini e fortune, Genova s.d.

28)L. Bulferetti-C.Costantini, op.cit., p.481.

29)G. Assereto, Dall’antico regime al’Unità, p.215. Sulla realtà genovese: E. Grendi, Genova nel Quarantotto. Saggio di storia locale, in "Nuova rivista storica", 1964, pp.307-350. Per quanto riguarda il quadro politico generale, vedi: G. Assereto, Problemi della transizione politico-amministrativa nella Liguria postnapoleonica, in Ombre e luci della Restaurazione, Roma 1997, pp.327-336.

30)J. Virilio, Delle condizioni economiche delle provincie liguri, in "Il Politecnico", 1860, p.134.

31)La questione riguardante i rilevamenti statistici sulle dimensioni del fenomeno migratorio resta, come è noto, assai controversa. Per alcune considerazioni generali sull’argomento, vedi: A. Gibelli, La risorsa America, p.597 nota 15.

32)In uno studio sull’immigrazione nel Sud-Est della Francia, Faidutti-Rudolph, ricordando che i liguri costituivano, tra il 1871 e il 1914, più del 12% degli immigrati italiani presenti della città, osserva solamente che "Les ligures qui formèrent autrefois l’essentiel de la colonie viennent de moins nombreux car leur grand port et leur cote se développent sur un rytme semblable à celui de la cote française. Mais leur souvenir reste vivace a Marseille et l’on appelle toujours ‘Génoises’ les ‘partisanes’ qui portent les légumes au marché" (A.M. Faidutti-Rudolph, L’immigration italienne dans le sud-est de la France, Gap 1964, p.99). Per una prima indagine sull’imperiese, vedi: A. Molinari, Storia e storie di emigrazione dal Ponente ligure. Alcuni percorsi di ricerca, in "Recherches Alpes-Maritimes et contrées limitrophes régionales", 3ème trimistre 1995, pp.140-148.

33)Archivio Vescovile di Albenga, Libro dei Defunti della Parrocchia di S.Giovanni Battista-Cervo Ligure.

34)Su questo tipo di fonti, vedi i contributi di: S. L. Baily – F. Ramella eds, One Family, Two Worlds. An Italian Family’s Correspondence across the Atlantic, 1901-1922, New Brunswick-London 1988; E. Franzina, L’immaginario dell’emigrante, Treviso 1992; Id., Merica! Merica! Emigrazione e colonizzazione nelle lettere dei contadini veneti, Milano 1979; A. Gibelli, "Fatemi unpo sapere"… Scrittura e fotografia nella corrispondenza degli emigranti Liguri, in La via delle Americhe, pp.87-94. Nell’Archivio Ligure di Scrittura Popolare, presso il Dipartimento di Storia Moderna e Contemporanea

della Facoltà di Lettere dell’Università di Genova, sono conservati numerosi di questi epistolari di emigrazione e altri documenti provenienti da archivi familiari.

35)L’archivio della famiglia Roggerone è custodito presso il Museo Etnografico di Cervo Ligure. Desidero ringraziare i coniugi Savina e Giorgio Roggerone per la loro disponibilità e per le utili indicazioni che mi hanno fornito.

36)Archivio della Diocesi di Albenga, Atti di nascita e battesimi, Pairola.

37)Secondo i dati dei censimenti, nel 1870 risiedevano in Texas 186 italiani, nel 1880 il numero era salito a 539, mentre dieci anni dopo erano 2.107. Nel 1920 il loro numero arrivò a 8024. La maggior parte degli italiani stabilitisi in Texas in questi anni proveniva da regioni dell’Italia settentrionale, principalmente Piemonte, Lombardia, Veneto e Trentino Alto Adige, mentre solo una minoranza, circa il 10%, da regioni del Sud del paese, Sicilia e Calabria. Come ha ricordato Valentine J. Belfiglio, malgrado che "high taxation, corruption, lawlessness, and race riots" fossero fattori non certo incoraggianti, il Texas rappresentò una buona opportunità per molti emigranti europei in ragione del rapido sviluppo economico che investì la regione proprio sul finire del secolo. Di preferenza gli italiani scelsero la zona Sud-orientale dello stato, lungo la valle del fiume Brazos e più in generale le aree urbane intorno a Houston, Dallas, Forth Worth e Galveston. Fu quest’ultima "the Ellis Island of the West", ad attirare numerosi italiani "because of economic opportunities to be found there in processing and shipping cotton, sulfur, rice, and flour, and in shipbuilding, fishing, and port-related activities". Difficile quantificare la presenza ligure all’interno di questo movimento migratorio. Sull’argomento vedi: Valentine J. Belfiglio, Italian experience in Texas. A closer look, Eakin Press: Austin, Texas, 1995, pp.29-30; 36-53; Id., Italians in Small Town and Rural Texas, in Italian Immigrants in Rural and Small Town America, ed. by Rudolph J. Vecoli, New York 1987, pp.31-49; Andrew F. Rolle, Gli emigranti vittoriosi. L’avventurosa storia degli Italiani nel West, Milano 1972, pp.240-247.