Nel 1971,  ritenendo impossibile una rivoluzione pacifica, Ulrike Marie Meinhof  partecipa alla elaborazione del documento "Stadtguerrilla", sancendo il passaggio alla lotta armata. Arrestata il 15 giugno 1972, viene rinchiusa in una cella di isolamento, anche acustico, per 237 giorni fino al 24 febbraio 1973. Poi nuovamente dal 21 dicembre 1973 al 3 gennaio 1974. Lei stessa nel febbraio 1974 descrisse la sofferenza di quei giorni che le provocavano "gli stessi effetti dell’elettrochoc: lo stesso tipo di lesioni, di devastazioni nell’organo dell’equilibrio e nel cervello" Tutto quanto si manifesta è sproporzionato, esagerato. Un bisbiglio è come un grido amplificato, un cenno come una martellata, una breve frase come una manganellata". (Dalle lettere agli avvocati del febbraio 1974). Il 9 maggio 1976 Ulrike Meinhof viene trovata impiccata nella propria cella. La commissione internazionale di inchiesta sulla morte composta da avvocati giornalisti ed intellettuali di mezza Europa stabilisce che Ulrike Meinhof non avrebbe potuto impiccarsi da sola e che sarebbe stata appesa già cadavere. Nata il 7 ottobre 1934 a Oldenburg, Ulrike Meinhof inizia la sua attività politica nel 1958, all’università di Munster, unendosi ad un gruppo d’azione studentesco contro l’atomica. Diventata editorialista per il giornale “Konkret” ne sposa l’editore Klaus Rainer Röhl. I suoi editoriali riscuotono un grande successo e le vengano affidati alcuni programmi radiofonici. Nel settembre 1962 diventa madre di due gemelli ma ciò non le impedisce di continuare la sua attività di polemista. Nel 1967 si separa dal marito e si trasferisce a Berlino Ovest. L’anno seguente si interessa al processo contro Andreas Baader e Gudrun Eislinn accusati di essere gli incendiari di un grande magazzino di Francoforte. Riesce a farlo diventare un caso nazionale ma la frequentazione con i due imputati la spinge a passare all’azione, convinta che l’attività giornalistica ormai non sia sufficiente. Partecipa quindi al progetto di liberazione di Baader del 14 maggio 1970 ed entra in clandestinità. La recensione al libro di Irving su Dresda che qui pubblichiamo è un articolo di “Konkret” (n.3 del 1965) in seguito raccolto in Ulrike Marie Meinhof: Die Würde des Menschen ist antastbar. Aufsätze und Polemiken (Wagenbach, Berlin, 1986).

 

Ulrike Marie Meinhof

la distruzione di Dresda

 

Vent’anni fa, il 13 e 14 febbraio del 1945, nella notte tra il martedì grasso e il mercoledì delle ceneri, c’è stato il più grande attacco aereo della seconda guerra mondiale sferrato su una città tedesca da parte della flotta di bombardieri alleati: il bombardamento di Dresda. Nell’arco di 14 ore la città è stata bombardata tre volte. Il primo attacco è durato dalle 22 e 13 alle 22 e 21. Quando i bombardieri inglesi volarono via, lasciarono dietro di sé un mare di fiamme, che abbagliò il cielo per 80 chilometri. Il secondo bombardamento fu eseguito dall’1 e 30 all’1 e 50. I bombardieri che volavano via poterono vedere le fiamme sopra Dresda per oltre 300 chilometri. Il terzo attacco fu eseguito la mattina dopo tra le 12 e 12 e le 12 e 23 da una flotta aerea americana.

Più di 200 000 persone hanno perso la vita nelle fiamme di Dresda. L’inglese David Irving nel suo libro “Apocalisse a Dresda” scrive: “Per la prima volta nella storia della guerra un attacco aereo ha distrutto l’obiettivo in modo così devastante, che non c’erano abbastanza sopravvisuti sani per poter seppellire i morti.”

In condizioni normali Dresda era una città con 630 000 abitanti. Quando però fu distrutta ci vivevano più di un milione di persone, si pensa tra un milione e duecentomila e un milione e quattrocentomila persone. Rifugiati della Slesia, della Pomerania e della Prussia Orientale, evacuati da Berlino e dalla Renania, bambini, prigionieri di guerra ed operai immigrati. Dresda era un posto dove si radunavano i soldati convalescenti e feriti.

A Dresda non c’era industria bellica. Dresda era una città disarmata, senza difesa aerea. Tutta la Germania pensava che Dresda fosse proprio una di quelle città che non sarebbero state bombardate. Girava voce che gli inglesi avrebbero risparmiato Dresda, se Oxford non fosse stata attaccata, oppure che gli alleati avrebbero fatto di Dresda la capitale tedesca dopo la guerra, e che per questo non l’avrebbero distrutta. Giravano anche tante altre voci, ma sicuramente nessuno si sarebbe potuto immaginare che una città che allestiva quotidianamente nuovi ospedali e lazzaretti, nei quali ogni giorno affluivano centinaia di migliaia di rifugiati, soprattutto donne e bambini, sarebbe stata bombardata.

L’unico obiettivo militarmente interessante a Dresda era tuttalpiù una stazione un po’ più grande per il trasbordo di merci e truppe. Ma nel corso dei tre attacchi, avvenuti secondo i piani e con la massima precisione, quando cominciarono a gettare le bombe dirompenti per far esplodere le finestre e crollare i tetti, per poter colpire più facilmente le travature e le abitazioni con le successive bombe incendiarie, proprio questa stazione fu a malapena colpita. Quando, pochi giorni dopo, ci accatastarono montagne di morti i binari erano già stati riparati. Gli incendi a Dresda sono durati sette giorni e otto notti.

Ai soldato inglesi che avevano bombardato la città non era stata detta la verità. Avevano detto che a Dresda la loro flotta avrebbe attaccato il comando supremo dell’esercito. Avevano detto che Dresda era il centro di rifornimento più importante per il fronte orientale. Avevano detto che l’obiettivo del bombardamento era uno dei quartieri generali della Gestapo in centro città, un importante fabbrica di munizioni, un grande stabilimento di gas velenosi.

Già nel 1943 l’opinione pubblica britannica aveva protestato contro il bombardamento della popolazione civile tedesca. Il vescovo di Chichester, l’arcivescovo di Canterbury, il presidente ecclesiastico della Church of Scotland avevano alzato la voce. A loro però fu detto che non era vero stato impartito nessun ordine di distruggere zone abitate invece che centri di armamento, la stessa risposta che fu data ad un deputato dei laburisti della camera dei comuni inglese. Il governo inglese, con a capo il primo ministro Sir Winston Churchill è riuscito a tenere segreto fino alla fine della guerra, fino al marzo del 45, il carattere effettivo, intenzionale e pianificato degli attacchi aerei britannici sulle città tedesche.

Dresda era il punto cruciale di questa politica. Dresda è stata rasa al suolo, due anni dopo che a Stalingrado era stato deciso l’esito della Seconda Guerra Mondiale. Quando Dresda fu bombardata le truppe sovietiche erano già arrivate ai fiumi Oder e Neisse e il fronte occidentale aveva raggiunto il Reno. L’anno dopo, il 13 febbraio 1946, il comandante supremo della Royal Air Force, Sir Arthur Harris, che aveva condotto l’attacco contro Dresda, si imbarcò a Southhampton per lasciare il paese che non era più pronto a riconoscergli i suoi meriti. Quando la popolazione tedesca scoprì la verità su Auschwitz la poplazione inglese scoprì la verità su Dresda. Ai responsabili fu negata la fama che era stata loro promessa dai loro governi. Sia di qua che di là.

La guerra contro Hitler a Dresda è degenerata in ciò che si cercava di combattere e che in realtà si era combattuto: barbarie e disumanità, per le quali non c’è alcuna giustificazione.

Se ci fosse bisogno di dimostrare che la guerra giusta non esiste Dresda sarebbe la prova. Se ci fosse bisogno di dimostrare che la difesa spesso degenera in aggressione, Dresda sarebbe la prova. Se ci fosse bisogno di dimostrare che i popoli stessi vengono strumentalizzati dai governi in guerra, Dresda sarebbe la prova. Che sulla bara di Sir Winston Churchill non ci sia la parola Dresda lascia pensare che sia il popolo a dover continuare ad essere considerato il responsabile di Dresda, quel popolo che invece è stato ingannato. È lo stesso ritornello del governo tedesco, quando non sospende il termine di prescrizione per i crimini commessi nel periodo nazista. Chi non denuncia i responsabili però, denuncia i popoli.

 

(traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di Olimpia Bertoldini)