“Una piccola bugia risparmia tante spiegazioni” diceva Saki,  qualche chiarimento sul suo conto ci sembra tuttavia  doveroso fornirlo. Figlio di un alto funzionario della polizia coloniale, Hector Hug Munro, altrimenti Saki, nacque in Birmania nel 1870. Di salute cagionevole, rientrerà col padre in Inghilterra e con lui viaggerà molto in Europa, con frequenti soggiorni a Davos, in Svizzera. A Londra si dedicherà al giornalismo, scrivendo sulla “Westminster gazette”. Da questi articoli, nei quali dietro nomi tratti da Lewis Carrol adombrava i personaggi politici del tempo, nacque The Westminster Alice. Fu anche corrispondente dai Balcani del “Morning Post”. Soggiornò in Russia e a Parigi. Morì nel 1916 sul fronte francese, arruolato nei reali fucilieri. Pare che le sue ultime parole siano state: “Spegni questa sigaretta, buon Dio!”. Omosessuale, aveva incontri frequenti, almeno uno ogni due giorni, a sentire il suo biografo A.J. Languth. Amante degli animali e di temperamento cosmopolita, è da mettere insieme a Oscar Wilde, Ronald Firbank e Max Beerbohm fra gli scrittori “liberty” e decadenti che resero peculiare un certo umorismo “all’inglese”, anticipando d’un pezzo l’ironica crudeltà di Evelyn Waugh. Come Walter De La Mare, eccelse nei racconti brevi e per qualche orrifica coloritura lo si può avvicinare persino a Lord Dunsany. In Italia circolò a lungo soltanto L'insopportabile Bassington e altri racconti, pubblicato da Einaud nel 1950 a cura di Orsola Nemi e Henry Furst (Lo sfondo è uno dei racconti presenti in questa raccolta, qui lo proponiamo nella versione del nostro Erik Star). Più recentemente è entrato nei cataloghi di Tranchida, Corbaccio e Salani.

Saki

lo sfondo

 “Il gergo artistico di quella donna m’annoia” disse Clovis all’amico giornalista. “Sta sempre lì a parlare di certi quadri come ‘qualcosa che ti cresce addosso’, come se si trattasse di un fungo”.

“Questo mi ricorda” disse il giornalista “la storia di Henry Deplis. Te l’ho mai raccontata ?”.

Clovis scosse la testa.

“Henri Deplis per nascita era cittadino del Granducato di Lussemburgo. Dopo matura riflessione divenne rappresentante di commercio. La sua attività lo portava spesso oltre il confine del Granducato, e si trovava in una cittadina dell’Italia settentrionale quando da casa lo raggiunse la notizia che gli sarebbe toccata un’eredità lasciata da un lontano parente scomparso.

Non era una grande eredità, neppure dal modesto punto di vista di Henri Deplis, ma lo incitò verso apparentemente innocue stravaganze. In particolare lo portò a farsi protettore dell’arte locale rappresentata dai tatuaggi del Signor Andrea Pincini. Il Signor Pincini era, forse, il più brillante maestro di tatuaggi che l’Italia avesse mai conosciuto, ma le sue condizioni di vita erano decisamente misere, e per la somma di seicento franchi volentieri intraprese a coprire la schiena del suo cliente, dalla clavicola giù fino alla vita, con un’infuocata rappresentazione della ‘Caduta di Icaro’. Il disegno, una volta completato, causò un leggero disappunto a Monsieur Deplis, il quale aveva sospettato che Icaro fosse una fortezza presa da Wallenstein nella Guerra dei Trent’anni, ma fu più che soddisfatto dall’esecuzione di un lavoro che, da chiunque avesse il privilegio di vederlo, era proclamato come il capolavoro di Pincini.

Era il suo maggior sforzo, e pure l’ultimo. Senza neanche aspettare d’esser pagato, l’illustre artigiano lasciò questa vita, e venne sepolto sotto un’ornata pietra tombale, i cui alati cherubini avrebbero offerto ben poco spazio all’esercizio della sua arte favorita. Restava, comunque, la vedova Pincini, a cui i seicento franchi erano dovuti. E a questo punto avvenne la grande crisi nella vita di Henri Deplis, rappresentante di commercio. L’eredità, assottigliata da numerose piccole richieste, si era ridotta a proporzioni del tutto insignificanti, e una volta pagati la fattura urgente del vinaio e diversi altri conti sospesi, rimasero poco più di 430 franchi da offrire alla vedova. La signora fu davvero indignata, non solo, come speditamente spiegava, per la proposta diminuzione di 170 franchi, ma anche per il tentativo di deprezzare il valore del riconosciuto capolavoro del defunto marito. Nel giro di una settimana Deplis fu costretto a ridurre la sua offerta a 405 franchi, la qual circostanza attizzò fino alla furia l’indignazione della vedova. Questa annullò la vendita dell’opera d’arte, e dopo pochi giorni Deplis apprese con un senso di costernazione che lei l’aveva donata al Comune di Bergamo, che riconoscente l’aveva accettata. Egli lasciò quel luogo con la maggior discrezione possibile, e fu lietamente sollevato quando i suoi affari lo condussero a Roma, dove sperava che la sua identità e quella del noto dipinto sarebbero passati inosservati.

Ma egli portava sulle spalle il fardello del genio del defunto. Presentatosi un giorno nel fumante corridoio di un bagno a vapore, venne di colpo risospinto nei suoi vestiti dal proprietario, che era un Italiano del Nord, e che enfaticamente rifiutava di permettere alla celebrata ‘Caduta di Icaro’ di essere pubblicamente esposta senza il permesso del Comune di Bergamo. Il pubblico interesse e la vigilanza ufficiale crebbero via via che la cosa acquistava notorietà, e Deplis fu impossibilitato a fare un semplice tuffo nel mare o al fiume nei bollenti pomeriggi senza essere coperto sino alle clavicole da uno spesso costume da bagno. Più tardi alle autorità di Bergamo venne l’idea che l’acqua salata potesse danneggiare il capolavoro, fino ad ottenere un’ingiunzione perpetua che proibiva al molestatissimo commesso viaggiatore ogni bagno di mare in qualsiasi circostanza. Egli fu quindi fervidamente grato quando i suoi datori di lavoro gli trovarono un nuovo campo di attività nei dintorni di Bordeaux. La sua gratitudine, però, cessò bruscamente alla frontiera franco-italiana. Un vistoso schieramento di gendarmi gli impedì il transito, e con severità gli venne ricordata la legge stringente che vietava l’esportazione di opere d’arte italiane.

Ne seguì un colloquio tra i governi italiano e lussemburghese, e ci fu un momento in cui la situazione europea fu oscurata da possibilità di disordini. Ma il governo italiano fu irremovibile; affermò di non interessarsi minimamente alle fortune o all’esistenza di Henri Deplis, rappresentante di commercio, ma di essere fermamente deciso a che la ‘Caduta di Icaro’ (del fu Pincini, Andrea), al momento proprietà del Comune di Bergamo, non lasciasse il paese.

L’eccitazione diminuì col tempo, ma lo sfortunato Deplis, costitutivamente amante della solitudine, si ritrovò pochi mesi dopo di nuovo al centro di una furibonda controversia. Un Germanico, esperto d’arte, che aveva ottenuto dal Comune di Bergamo il permesso di esaminare il famoso capolavoro, dichiarò che era un Pincini falso, opera probabilmente di un allievo, da lui assunto negli anni declinanti. La testimonianza di Deplis al riguardo era naturalmente senza valore, poiché egli era stato sotto l’influsso dei soliti narcotici durante il lungo processo di punteggiatura del disegno. Il curatore di una rivista d’arte italiana respinse le affermazioni dell’esperto germanico e s’impegnò a provare che la sua vita privata non si conformava ad alcuna moderna norma di convenienza. Germania e Italia si gettarono nella disputa, ed il resto d’Europa venne presto coinvolto nella contesa. Si ebbero scene tempestose nel Parlamento spagnolo, e l’Università di Copenhagen assegnò una medaglia d’oro all’esperto germanico (inviando successivamente una commissione ad esaminare le prove sul posto) mentre a Parigi due studenti polacchi si suicidarono per manifestare quel che pensavano in materia.

Nel frattempo, all’infelice sfondo umano le cose non andavano meglio di prima, e non sorprese il suo passaggio nelle fila degli anarchici italiani. Per almeno quattro volte fu accompagnato alla frontiera come straniero pericoloso e indesiderabile, ma fu sempre respinto indietro in quanto ‘Caduta di Icaro’ (attribuita a Pincini, Andrea, inizio secolo XX). E poi un giorno, durante un congresso anarchico a Genova, un compagno lavoratore, nella foga della discussione, gli ruppe sulla schiena una fiala di liquido corrosivo. La camicia rossa che indossava mitigò gli effetti, ma l’Icaro, rovinato, fu reso irriconoscibile. Il suo assalitore venne duramente rimproverato per l’aggressione ad un compagno anarchico e condannato a sette anni di prigione per deturpamento di un tesoro artistico nazionale. Appena fu in grado di lasciare l’ospedale, Henri Deplis fu accompagnato oltre la frontiera come alieno indesiderabile.

Nelle tranquille strade parigine, specialmente nelle vicinanze del Ministero per le Belle Arti, si può talvolta incontrare un uomo depresso, dall’aspetto inquieto, che ti risponderà, una volta interpellato, con un  lieve accento lussemburghese. Egli si culla nell’illusione d’essere un braccio perduto della ‘Venere di Milo’, e spera che il governo francese possa esser persuaso a comprarlo. Su ogni altro argomento, credo ch’egli sia sufficientemente sano di mente”.