Le voci che corrono

Giuseppe Pontiggia

>Giuseppe Pontiggia, nati due volte, Mondadori, 2.000

"A causa di un parto disastroso (per colpa della vanità di un medico ideologicamente contrario al taglio cesareo) un bambino nasce menomato. Già stabilire fino a che punto il bambino abbia subito danni e di che tipo, e che cosa lo aspetti in futuro, è una sorta di giallo scandito da pellegrinaggi dei genitori presso specialisti di opinioni spesso diverse tra loro. Il padre, poi (un insegnante, un intellettuale), vive il dramma come un segno del destino: da qualche tempo tradiva la moglie e non può vietarsi di pensare che i suoi incontri clandestini con l'amante siano in qualche modo legati a quanto successo in sala parto. Nei momenti dolorosi della vita accade che la trama della nostra esistenza somigli (come di solito non succede mai) alla trama di un romanzo: ogni avvenimento è prodotto dagli avvenimenti che lo precedono e produce quelli che seguono, secondo una logica ferrea, spietata. E il senso di colpa diventa l'unico senso che la vita ha".

"Anche per un narratore e saggista di lunghissimo corso come Giuseppe Pontiggia non deve essere stato facile scrivere questo romanzo, Nati due volte, che è anche una storia autobiografica. Pontiggia c'è riuscito con un tono asciutto e con una laconica profondità che fanno pensare agli autori classici da lui sempre amati e frequentati".

"Questo romanzo non era facile da scrivere ma, incredibilmente, è facile da leggere. Il narratore riesce a evitare i pericoli ovvi insiti in una storia dolorosa, riesce a fare di Paolo (il ragazzo protagonista) un eroe addirittura spigliato, sicuramente ironico, originalmente saggio. Il libro ha momenti di umorismo, di comicità. E ha sempre una tensione pronta a esplodere: quella tra i genitori, quella tra marito e moglie, quella tra genitori e figli, quella tra fratelli (Paolo ne ha uno maggiore che lo odia per comprensibili motivi di rivalità, di gelosia)" …

Antonio D'Orrico, "Sette, Corriere della Sera", 7 settembre 2.000

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"Il percorso che Giuseppe Pontiggia assegna al protagonista di 'Nati due volte' è già racchiuso nelle due pagine del primo capitolo. Non tanto nel suo arrancare di spastico su una scala mobile, con il padre che lo protegge alle spalle, ma nel suo dialogo monosillabico, fatto di sì e di no, che si scioglie alla fine in una affermazione di fiera, perfino compassionevole, autosufficienza: 'Se ti vergogni puoi camminare a distanza. Non preoccuparti per me'. il romanzo del resto si inanella in una serie di microracconti che dalla presa diretta sfumano in apologhi. a tracciare un cammino che dallo stento fisico, dalla penuria espressiva, conduce a una malinconica ma non arresa chiarezza interiore".

… "Lui, proprio perché così impegnato a inventarsi ogni giorno la vita, si trova portato quasi naturalmente a costeggiarne l'essenza, a porsi le domande che contano.. Con la sua sola presenza, e poi con la sagace mitezza, sembra trasmettere una diversa percezione delle cose a chi gli sta intorno. Il senso della colpa … la generosità così gratuita da sembrare irriconoscibile e sospetta ('L'elogio del bene - annota Pontiggia - ha inquietato perfino il sonno dei classici ed è stato l'incubo della loro veglia. Manzoni, per farselo perdonare, ricorre all'ironia, Cervantes alla follia, Dickens alla stupidità, Dostoevskij all'idiozia, Melville all'innocenza'). E ci sono le intermittenti preghiere rivolte a un Dio imperscrutabile, che 'finisce a proporre come suo connotato e come assurdo ammaestramento la pazienza (il patire e il sopportare). Sembra intuirlo Paolo … Portatore di una angelica fiducia, di un misterioso, irriducibile 'amor vitae' ".

Lorenzo Mondo, "ttL la Stampa", 9 settembre 2.000

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