Renato Venturelli

pillole di Chandler. Le più belle battute di Philip Marlowe in un’antologia di Carlo Vita

Tutto Marlowe battuta per battuta, iperbole per iperbole, bevuta per bevuta: dal "Grande sonno" al "Lungo addio", ed oltre. E' uscito "Parola di Marlowe" (Il Canneto, Genova 2016, 14 euro), un libro che riunisce i passi più brillanti dei romanzi di Chandler dedicati all'investigatore privato per eccellenza, Philip Marlowe: l'ha curato Carlo Vita, tigullino d’adozione ed ex-direttore della "Rivista Italsider", accostandolo idealmente all’antologia "Parola di Chandler" che negli anni '70 aveva riunito lettere e scritti critici del grande romanziere hardboiled.

"La sua voce era fredda come la minestra di una pensione". "Il barista ebbe un sussulto e il suo pomo d'Adamo vagò sperduto come un pulcino senza testa". "Aveva una voce aspra, gracchiante, come il passo di una persona che cammina sui gusci d'uovo". "Ohls aveva fatto alzare il ragazzo, che lo guardava con una faccia bianca e dura come il grasso freddo di montone"... La lettura è scoppiettante come la raffica di similitudini ardite della prosa chandleriana. E la galleria di citazioni è sterminata, suddivisa in una serie di capitoli: gli incipit, le donne, le pistole, le automobili, i morti ammazzati, e così via.

Naturalmente c’è spazio anche per il famoso gimlet, quello che in italiano traducono "succhiello": «Sedemmo in un angolo del bar Victor e sorbimmo un cocktail che chiamano succhiello. "Qui non sanno prepararli" disse Terry. "Quello che chiamano succhiello non è altro che un po' di succo di cedro e di limone con gin, un cucchiaino di zucchero e uno schizzo di amaro. Un vero succhiello è per metà gin e per metà succo di cedro marca Rose e nient’altro. Batte in pieno il Martini"».

Non si tratta di una citazione da poco: per tutti i chandleriani il “succhiello” è una pietra miliare di tutto un modo di guardare la vita e la letteratura, la principale rivista spagnola di romanzi polizieschi si chiamava Gimlet e il dottissimo saggio "Raymond Chandler and the Poetry of Alcohol", uscito su "The Armchair Detective" nel 1985, puntava proprio sul gimlet come snodo simbolico di tutto il rapporto tra l'educazione inglese e la realtà americana nel personaggio di Marlowe e nell'opera di Chandler.

E' poi ovvio che non si tratta solo di un elenco di battute brillanti o di spiritosaggini, o un repertorio di similitudini per scrittori pigri, ma il libro è al tempo stesso un'antologia per fan marlowiani e un saggio dell'arte di Chandler, del modo in cui riesce a risolvere brillantemente un dialogo, la presentazione di un personaggio, il senso di una scena. E Carlo Vita insinua anche la sua personale convinzione che in realtà “le parole di Marlowe (e tutta la poetica di Chandler) costituiscono un’attesa di morte, sono una metafora di morte”.

Il libro potrebbe riportare d'attualità la perenne discussione tra sostenitori di Hammett e di Chandler, rilanciata da quando James Ellroy ha detto apertamente di preferire il primo: perché “Chandler scriveva dell’uomo che voleva essere, ma Hammett scriveva dell'uomo che aveva paura di essere...”.  Nell'introdurre l'antologia, Carlo Vita apre però anche un altro fronte, quando sostiene di preferire le vecchie traduzioni di Marlowe fatte da Oreste Del Buono & Co. rispetto a quelle attuali, che magari saranno filologicamente più corrette, ma alla lettura risultano molto meno vive ed efficaci. La discussione è aperta.