Ricaviamo gli estratti che seguono da un opuscolo edito a Roma nel 1947. Soltanto nell’ultima di copertina è riportato un marchio editoriale, quello della Jandi-Sapi, mentre all’interno non si dà altra notizia di tipo bibliografico. Titolo e sottotitolo recitavano:  Contro lo stato tiranno, a che cosa servono veramente i Consigli di gestione. Ne era autore il giornalista campano Oreste Mosca, vicedirettore de “Il tempo” di Renato Angiolillo (fu Mosca, sul finire del 1945, a chiedere a Prezzolini di collaborarvi con le corrispondenze dall’America finite poi nel volume America in pantofole recentemente – nel 2002, la prima edizione era del 1950 - ristampato da Vallecchi). Questa la conclusione dell’opuscolo: “I Consigli di gestione non sono altro che una nuova tappa della sistematica marcia dello Stato verso la completa oppressione degli individui. Difendetevi!”

Oreste Mosca

contro lo stato tiranno

...

La rivolta di Labriola Ministro del Lavoro

Ma al Giolitti, che fondava sulla natura umana, e soprattutto italiana, si contrapponeva Arturo Labriola, allora Ministro del Lavoro, che, al banco di prova del governo, era mortificato per la spaventevole anarchia morale che riscontrava nelle classi lavoratrici e nei loro capi.

I politici professionisti del socialismo e del comunismo possono lanciare contro il Labriola ogni sorta di contumelie, ma la verità è che egli, nato da povera famiglia proletaria, e severamente educatosi a una vita di studi e di lavoro, ha offerto tutta la sua esistenza al socialismo, ed ~ l’unico collaboratore dell’Avanti! del 1896, ancora in vita. C’era all’inizio della mostra dell’Avanti!, tenutasi pochi mesi fa nel palazzo dell’Esposizione a Roma, il grande cartello pubblicitario annunziante la prossima uscita del giornale socialista per il giorno del Natale 1896. Raffigurava un bel lavoratore, dal volto maschio in marcia verso l’avvenire. C’erano pure segnati, in quel manifesto, oltre il nome del direttore Bissolati, tutti i collaboratori. Persone care al cuore degli italiani, ahimé, scomparsi in questo mezzo secolo. Di essi sopravvive uno solo: Arturo Labriola.  Si può mai pensare che Egli possa tradire il proletariato per la cui elevazione ha speso la sua intera esistenza?

Ebbene. “Voglio raccontare un piccolo episodio al quale mi sono trovato mescolato per le mie presenti funzioni” – scriveva nel 1921, ne “La dittatura del proletariato e problemi economici del socialismo”.-

“Tentavo di aggiustare una grossa vertenza, che riguardava una delle più grandi industrie nazionali. Al segretario dell’organizzazione, che trattava per i suoi rappresentanti, uomo di rara energia e di fermo carattere, se non di grande intelligenza, facevo notare lo stato di evidente impossibilità a cedere in cui si trovavano alcune aziende. Mi rispose: “non me ne importa nulla: ci abbandonino le aziende”. Feci che non era una soluzione, che essi stessi, gli operai, si sarebbero trovati di fronte alle stesse difficoltà e che, padroni o no delle aziende, non avrebbero potuto ricavare da esse 100 se non rendevano che 80. Replicò infastidito: “Insomma io faccio il Segretario dell’Organizzazione e non il Ministro del Lavoro. Io debbo portare dei quattrini ai miei rappresentanti, se no essi mi mandano alla malora, me e la mia organizzazione. Quando verrà il comunismo, allora vedremo il da farsi”. Con tutto quello che il Labriola constatò di persona, da Ministro del Lavoro, non c’è da meravigliarsi dice in “Spiegazioni di me stesso” - un’autobiografia, che è il canto del cigno del più grande studioso vivente del socialismo e del marxismo in Europa, e forse nel mondo.

“Il progetto di legge (sui controlli delle fabbriche) porta anche per tecnica di solidarietà amministrativa la mi firma, ma io (lo) criticai tanto nella commissione ristretta, composta dal Giolitti, dall’Alessio e da me, come probabile cagione di rovina di tutta l’industria; e poi nel Consiglio dei Ministri dichiarai di non accettare la responsabilità della discussione del disegno di legge, che per l’ordinamento ministeriale sarebbe toccato a me di sostenere, se non a patto di ricevere ogni libertà per accogliere gli eventuali emendamenti, che dalla Camera e dal Senato si proponessero. Il socialismo ed anche il più radicale comunismo, sì, che son sistemi interi e coerenti, ma l’organizzazione del difetto e del ricatto nelle fabbriche, a cui si sarebbe ridotto il famoso controllo del Giolitti, questo no”.

 Lo stesso ricatto e lo stesso dispetto, enormemente potenziati dal clima della sconfitta e alimentati dal mito russo trionfatore bellico, è quel che si vuole imporre oggi alle industrie. I Consigli di gestione, così come sono stati concepiti, altro non possono portare che lo sconquasso nelle fabbriche senza vantaggio per  alcuno, all’infuori, forse, dei capi del proletariato.

Noi abbiamo bisogno sopratutto di produrre. Usciamo da un cataclisma che ha sconvolto tutta la nostra esistenza. Dobbiamo far fronte a danni ingentissimi, che ammontano a più di diecimila miliardi di lire, abbiamo un bilancio che è deficitario per oltre tre miliardi aI giorno, e il pareggio, nonostante le rosee previsioni di Scoccimarro, appare perciò molto lontano; oltre un bilione di debito pubblico pesa sulla nostra economia e, nello sfondo, un esercito di disoccupati, milioni di sinistrati e di reduci affamati. Potremo salvarci lavorando. Gli industriali questo vogliono: lavorare. E niente altro significa il vero socialismo se non aumento della produzione a beneficio della collettività. I Consigli di gestione, come sono stati ideati, ad altro non servirebbero che a far regredire la produzione. E perciò vanno respinti, come va rifiutato tutto ciò che si oppone al lavoro degli uomini.

           

L’ultima arma segreta di Salò

La guerra straziava l’Italia, e isteriliva la Campania felice; l’offensiva aerea assumeva sempre più il carattere di spietato terrorismo, la guerra civile divampava e divideva in solchi sempre più profondi il popolo italiano, allorché Mussolini, liberato d’ai tedeschi, venne posto a ‘capo dell’effimera repubblica neofascista. E impegna - come ricorda Giacomo Perticone nel suo volume su “La Repubblica di Salò” - le risorse che crede ancora di avere disponibili per l’or X.

Così, il 15 novembre del 1943, fa riunire a Castelvecchio in Verona la prima assemblea nazionale del Partito fascista repubblicano e promette il paradiso della socializzazione e della giustizia fascista al popolo italiano...

...

 Pochi giorni prima del sanguinoso epilogo di Dongo, il 4 aprile 1945, dal Quartier Generale del Partito fascista repubblicano, ancora si emanava una dichiarazione “sociale”. “Il fragore e gli strazi della battaglia - sentenziava il commento alla dichiarazione - non hanno mortificato la germinazione della semente lanciata dall’Italia repubblicana. Ancora una volta, e come accade da oltre un ventennio, l’Italia fascista. è promotrice... la rivoluzione fascista è all’avanguardia...”

La guerra è perduta, noi affogheremo nel sangue – pareva dicessero i gerarchi - ma vi lasciamo una buona eredità, L’ultima arma segreta, sia pure a scoppio ritardato, funzionerà...

...