La recente inaugurazione dell’anno scolastico presso l’altare della patria alla presenza di presidente, ministro e vedettes incanutite con annessa sfilata di bambini e maestre, non può cancellare la questione dello svecchiamento dei programmi idonei alla formazione dei futuri italiani: sensibili al grido preoccupato del corpo insegnante offriamo il testo seguente, dovuto al belga Marcel Marien (1920-1993) quale modesto contributo alla scottante discussione.

Marcel Marien

il Marchese de Sade raccontato ai fanciulli

    C’era una volta una fata di nome Juliette. Era dolce, bella e gentile, ed era anche chiamata la fata delle mele dal nome di due mele che teneva sempre in petto. Questi frutti erano tondi e con un buon odore, e lei li offriva a chiunque chiedesse di assaporarli. Ora, benché ognuno le mordesse, le mele restavano piene e integre, e di forma perfetta. Nello stesso paese in cui risiedeva la fata, c’era pure un orco di nome Saint-Fond. Si trattava di un orribile bruto che seminava desolazione dovunque si trovasse a passare. Era armato di un gran pugnale di quattordici pollici e mezzo che portava attaccato al corpo e che era lo strumento con cui perpetrava i suoi spaventosi misfatti. Quel pugnale era magico. L’orco, d’altra parte, era nato buono e tale sarebbe rimasto se, verso l’età di sette anni, quando era soltanto un ragazzino, una fata cattiva di nome Natura, non gli avesse lanciato un sortilegio sotto forma di quel pugnale che essa aveva saldato in modo tanto stretto al suo basso ventre che non era più possibile staccarlo. Così incollato a quella perfida arma, il ragazzino crebbe e divenne suo malgrado l’orco terribile che intristiva il paese. Ma si raccontavano pure altre meraviglie sul pugnale. Per esempio, che quando non veniva usato, era flaccido e molle come se consistesse solo della guaina di pelle che lo racchiudeva. Comunque, ogni volta che una vittima si presentava davanti all’orco, il terribile pugnale si gonfiava a dismisura, fino a bucare il fondo della guaina, drizzandosi allora con tanta energia da trascinare irresistibilmente l’orco nato buono, che così doveva partecipare, volente o nolente, ai misfatti cui lo costringeva l’arma magica. In un bel pomeriggio d’estate, la dolce fata Juliette raccoglieva fiori in un prato quando, all’improvviso, si trovò faccia a faccia con lo spaventoso Saint-Fond. Si erano appena guardati che il pugnale si gonfiò oltremisura, puntato nella direzione della fata. Era grosso e rosso, e si poteva supporre che fosse attribuibile ad un perpetuo afflusso di sangue quel bel colore scarlatto che lo rendeva tanto terribile alla vista. Ma Juliette non aveva paura e, invece di fuggire, si avvicinò al mostro mettendosi a ridere.  “Guardate, mio signore“ disse poi, alzandosi la veste. E con un magico effetto fece comparire sul proprio corpo una fresca ferita. “Come potete ferirmi, dal momento che già lo sono ?” Con le dita delicate, Juliette allargò leggermente i bordi della piaga, come per meglio mostrare che era vera. E l’orco poteva vedere che l’interno della ferita era rosato e profondo. Ma il pugnale magico non fu per nulla sconcertato. Si lanciò su Juliette, trascinando il povero orco al suo seguito, e non appena ebbe rovesciata la fata buona sull’erba si mise a ispezionare furiosamente la ferita meravigliosa, affondandovi fino alla guardia. Poco dopo, il pugnale uscì fuori ma dal momento che voleva conficcarsi in un’altra parte della carne della fata, subito in quel punto, precedendone la penetrazione, apparve una nuova ferita in cui l’arma cieca s’immerse con frenesia. Durante quel tempo, Juliette che fissava gli occhi dell’orco piegato su di lei, riconobbe in fondo a quelli lo sguardo dolce dell’uomo che era nato buono e ne provò gran compassione. Lei gli offrì l’una dopo l’altra le mele che teneva in petto e spinse l’orco a gustarle. Questi le mordicchiava con dolcezza, tanto che la fata ne fu commossa fino alle lacrime. Con un gesto svelto e flessuoso si liberò del pugnale che la straziava e s’inginocchiò ai piedi dell’orco, costringendolo a rialzarsi. Allora con coraggio, lei avvicinò la bocca minuta al terribile pugnale e benché questo fosse di proporzioni enormi, riuscì ad introdurvelo facendolo scivolare tra le labbra. Fu un momento e, senza che il suo atteggiamento lo facesse prevedere, allorché il pugnale era ben spinto in gola, fino quasi a soffocarla, Juliette, con un brusco morso tagliò a filo del ventre quel magico pugnale che subito dopo sputò a terra. Presto si poté notare l’arma mostruosa, come in preda a convulsioni, torcersi alla maniera di un serpente, quietarsi poi, e trasformarsi in pietra. Liberato dall’abominevole strumento, Saint-Fond cessò di essere un orco. Era ritornato l’uomo buono. Così poté sposare la fata ma, curiosamente, i due non ebbero bambini.