Rocco Lomonaco
un
biografo appassionato di Stirner
John Henry
MACKAY Stirner. Vita e
opere (Editrice Bibliosofica, Roma 2013)
Strapparsi alla presa dell' Idea, stesa come una
cappa narcotizzante sulla Germania pre-quarantotto, trasformando il gergo
hegeliano nella “lingua propria della vita” era l'obbiettivo di Max Stirner,
cui il saggista e poeta John Henry Mackay (1864-1933) dedicò, a partire dal
1898, una biografia in progress da poco stampata nella nostra lingua (Stirner.
Vita e opere, Editrice Bibliosofica, Roma 2013).
Mackay, di padre scozzese ma, presto orfano,
cresciuto con la madre in Germania, aveva ottenuto una certa notorietà con la
pubblicazione del libro sugli ambienti anarchici londinesi, Die Anarchisten (1891)
appunto, frutto del suo espatrio temporaneo dovuto alle note leggi
anti-socialiste di Bismarck. Durante quel soggiorno prese conoscenza del
pensiero di Stirner decidendo (da devoto evangelista, dirà altri) di dedicargli
una biografia. Parallelamente diede il via alla pubblicazione di libretti
anarchici tra cui State Socialism and Anarchism di Benjamin Tucker (il
quale, di suo, fu il primo editore americano di Stirner nel 1907) e questa
attività pubblicistico-editoriale oltre che tempo gli costò parecchio anche
economicamente. Va ricordato che la sua raccolta di materiali intorno a
Stirner, consistente di oltre settecento pubblicazioni, fu acquisita, come a
suggellarne la consistenza scientifica, dall'Istituto Marx-Engels di Mosca nel
1925. Non sappiamo se tra esse vi fossero esemplari della rivista Der Eigene,
che sul finire dell'ottocento dava al “motto” stirneriano una torsione
decisamente omosessuale (erano gli anni, oltre che di Wilde, di Krafft-Ebing e
Hirschfeld, si sa). Mackay cercò per quanto possibile, anche ricorrendo a pseudonimo,
di metter la sordina al suo privato
penchant verso l'amore senza nome per non compromettere la causa anarchica nei
tanti processi per oscenità allora allestiti. Le sue poesie, in cui questo lato
personale della libera espressione delle inclinazioni naturali trovò spesso
modo di manifestarsi, ebbero comunque una risonanza oltre questi circoli
chiacchierati. Lo stesso Richard Strauss mise in musica quattro poesie del
nostro, e non fu il solo, anche Max Reger e A. Schoenberg, tra gli altri, utilizzarono
i suoi versi (l'indefinitezza dell'oggetto d'amore aiutava). Il giovane
Strauss, anzi, conobbe prima l'autore anarchico e biografo di Stirner che non
lirico di Morgen. Durante una “serata Mackay” tenutasi a Berlino, la
signora Strauss si esibì accompagnata al piano dal marito, e il non ancora
antroposofo Rudolf Steiner tenne un discorso introduttivo sull'opera
dell'amico.
Ma quando decise di applicarsi con scrupolo
all'opera di una vita, tutto questo era di là da venire. Mentre già si
cominciava a sacrificare a Nietzsche (e Mackay avrà buon gioco nel far notare,
anche con l'appoggio di testimoni diretti, vedi von Bülow, come Stirner sia
fonte accuratamente sottaciuta del pensatore della Ruta di Camogli) ancora
sopravvivevano conoscenti dell'autore de L'Unico, fossero stati o meno
frequentatori delle birrerie in cui avvenivano le riunioni dei “Liberi”,
alcuni, è vero, passati alla reazione dopo il 1848, altri, rifugiatisi
all'estero, per non dire della seconda moglie Marie, convertitasi al
cattolicesimo una volta approdata a Londra dopo la separazione dal filosofo
(che le aveva dedicato il testo maggiore) e la più recisa nel rifiutarsi di
offrire la minima delucidazione sui suoi anni con l'egoista. Ora, Mackay
ne era certo, l'eredità di Stirner (quel suo aver tra i primi tentato una
filosofia come esperimento) era consegnata nelle mani degli individualisti
anarchici e, passata la febbre nietzcheana, anche il “superuomo” sarebbe stato
annientato dall'unicità dell'io. L'entusiasmo che nemmeno la Chiesa può più
dare, il divino che davvero muove, è il puramente umano. Nemmeno la religione
dei diritti può soccorrere. Il diritto governa sì la società ma il diritto
esistente è diritto accordato, da venerare e cui sottomettersi, diritto di
“tutti”, ancora dipendenza. Solo l'egoista, scrive, si scioglie dal vincolo che
fa dell'individuo un peccatore nei confronti del sacro (lo Stato). “Tutto
quanto è santo è una catena, un vincolo” e pur se oggi ci diciamo tutti “atei”,
siamo rimasti “persone devote”, inginocchiate davanti all'altare
dell'interiorità.
Di fronte ad un programma tanto estremo, il pur
“devoto” biografo ricorda l'oscura e per niente trascinante esistenza di
Stirner, non tacendone i suoi ripetuti insuccessi nel tentativo di trovare
stabili risorse economiche una volta fattasi chiara per lui l'impossibilità di
una carriera “letteraria”( sebbene lo chiamassero Doktor e saltuariamente
insegnasse mai conseguì una vera abilitazione). La conoscenza dell'economia
politica (tradusse Say e Smith) non evitò il fallimento dell'impresa
commerciale (per la distribuzione del latte) avviata nel 1845. La vendita della
casa dei genitori, ipotecata quando la madre, ancora viva, era ricoverata in
una casa di cura e l'annuncio sul giornale in cui Stirner chiedeva un prestito
di 600 talleri, sono due degli episodi narrati da Mackay, e con i noti
imprigionamenti per debiti ingrossano un fascicolo che, secondo i detrattori,
per sempre riporta sulla terra, rimettendolo all'angolo, il Santo Max
marxiano, prometeico spregiatore di sostanza, umanità e spirito.
Gli ultimi anni, mediocremente oscuri, scioperati se
non fosse per qualche anonima collaborazione giornalistica (compreso l'organo
dei Lloyd di Trieste in pieno '48) sembrarono dar ragione alla diagnosi dello
stesso Stirner: lo Stato di polizia infibula “in tutti i modi gli esseri
viventi per il bene dell'umanità”. Curiosamente, anche quelli di Mackay
echeggiarono la discesa per i gironi delle ristrettezze del biografato,
soprattutto quando l'inflazione tedesca del primo dopoguerra dissolse la
rendita annuale derivata dall'eredità materna: allora la bella sicurezza dei
primi anni cedette all'estenuante giro di sottoscrizioni per vedere pubblicato
un qualche scritto degno di restare. Morì comunque mentre già i nazisti
accendevano i primi falò.