Carlo Romano

lantimilitarismo di Lucini

 

Con interventi quali l’opuscolo di Ceccardo Roccatagliata Ceccardi sulla repressione dei moti della Lunigiana del 1894 o certe cronache di Paolo Valera come La sanguinosa settimana del maggio ’98 ma anche, troppo spesso dimenticati, alcuni scritti di Mario Mariani, l’Antimilitarismo di Gian Pietro Lucini rappresenta bene la volontà di esporsi, tanto nelle faccende sociali che nell’attacco al consorzio istituzionale, di una parte degli scrittori italiani fra la fine del XIX secolo e quella della prima deflagrazione mondiale. Solo che, se non se ne fossero  oggi occupati gli Oscar (G.P.Lucini, Antimilitarismo, a cura di S. Nicotra, Oscar Mondadori, E 7,40), il libriccino sarebbe rimasto - a gloria esclusiva di qualche studioso - la bozza impubblicata che nei suoi ultimi giorni, nel luglio del 1914, il poeta delle Revolverate ancora accudiva.

Prima di morire, Lucini espresse il desiderio di essere cremato e all’evento assistette il vecchio Paolo Valera, amico di sempre e compagno di sdegno, col quale contribuì fra l’altro a una strana razza radicale di  milanesi che frequentavano la Riviera ligure. Valera, per la verità, vi fu inizialmente costretto dalle autorità, confinato a Finalborgo  per la sua partecipazione ai tumulti del ’98, ma da quel momento non disdegnò di firmarsi come Don Pablo Valera y Finalborgo. Da parte sua, Lucini soggiornava a Varazze (“Salve, paese caro ed anomalo, / di una strana e indiscussa libertà”, scriverà in un Elogio poetico alla cittadina) e gli capitò pure di occuparsi (al pari di Valera) dello scandalo - una storia di abusi sessuali ma anche di poco chiare transazioni - che interessò il locale collegio dei padri salesiani (che teneva proprio allora fra i convittori il giovanissimo Sandro Pertini).

Si diceva, avanti la divagazione, che Antimilitarismo rimase in bozze.

Dopo un’iniziale infatuazione, già nel 1910 Lucini si dissociava dal Futurismo di Marinetti (su “La Voce” pubblicherà Come ho sorpassato il Futurismo) per quanto accogliesse in seguito le intemperanze dei “lacerbiani” cui lo legava, fra l’altro, l’amicizia col “discepolo” Ugo Tommei, titolare a sua volta di una rivista, “Quartiere latino”, alla quale (insieme a Sbarbaro, Stuparich e altri) collaborò di buon grado. Se si pensa che nel numero di gennaio del 1914 della rivista Tommei, fervente “luciniano”, scriveva di non volere la guerra perché non intendeva “morire per gli altri" e a fine anno, nella rapida conversione di tanti, era già passato alla propaganda interventista (morirà al fronte), si capisce come il mutato clima intaccasse i più consolidati sodalizi, facendosi dunque sfavorevole a un libello che dileggiava “i mestieranti della distruzione… elettisi in classe speciale” - “una framassoneria militare internazionale”-  e auspicava, casomai, le armi in mano al popolo.

Bersagliando il bellicoso nazionalismo, l’enfasi patriottica e ogni tipo di ampolloso schiamazzo, Lucini faceva capire di non stravedere nemmeno per un “pacifismo” troppo spesso di facciata, inutilmente bonario e a sua volta retorico, mettendo quindi a confronto il radicalismo di Gustave Hervé con le posizioni ipocrite di altri socialisti, ricordando per giunta che le parole di un classico del liberalismo, De Molinari, “tornano… a combattere una assai gagliarda battaglia contro la statolatria, il protezionismo”.

Tenendo dunque fermo il prefissoide del titolo, questo emozionante libello si fa leggere oggi nell’attualità che non poté affrontare quando fu concepito. E se si deve raccomandare la postfazione che gli Oscar Mondadori hanno affidato a Luigi Ballerini – uno studioso, e poeta, che si è adoperato nel far conoscere l’avanguardia italiana vecchia e nuova in America –  è una fortuna che sia contemporaneamente distribuito nelle librerie il libro di un arguto giornalista francese, Jean Bacon, che in Signori macellai. Breve storia della guerra e di chi la fa (Elèuthera, E 18,00) carica di umor nero un ricco profluvio di nozioni la cui lettura risulterà, in fin dei conti, un ulteriore omaggio a Lucini del suo fin qui impossibilitato lettore.

“Il secolo XIX”, 19 aprile 2006