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Italia dazione?

Paolo Buchignani: RIBELLI D'ITALIA. Il sogno della rivoluzione da Mazzini alle Brigate Rosse. Marsilio, 2017

Una volta Josè Ortega y Gasset scrisse dei "signorini soddisfatti", alludendo ai figli viziati ma rumorosi delle classi dirigenti. La definizione sembrerebbe proprio adattarsi ai giovani degli anni Sessanta e una da subito famigerata poesia di Pasolini del 1968 avrebbe tutta l'aria, non fosse per le differenti circostanze e le rispettive vocazioni "poetico-politiche", di riecheggiarla. Stabilire un collegamento fra Pasolini e Ortega sembra improbabile, tuttavia le idee, e le definizioni, si distribuiscono a volte nelle maniere più impensabili delle quali solo in alcuni casi si arriva poi a capirne la coerenza. Paolo Bucchignani individua la stirpe dei suoi "ribelli", parola della quale trascura comunque ogni chiarimento semantico, in una linea che partendo da Mazzini passa per De Sanctis, Oriani e Gentile e finsce con l'approdare alle riviste di Papini e Prezzolini, a Gobetti, a Gramsci, al comunismo, al fascismo, a Berto Ricci, a Salò, a Pietro Secchia, all' "azionismo", al "sessantotto", alla destra radicale e alle BR (ma ci starebbe bene l' "eccetera eccetera") in uno schema che prevede l'accusa di tradimento perpetrato di volta in volta ai danni del Risorgimento, del Fascismo, del comunismo, della Resistenza corroborato da una parallela discendenza le cui bestie nere sono prima di tutto i ministeri di Giovanni Giolitti e il gradualismo di Filippo Turati. Inutile dire che se fra tutta questa carne al fuoco un rapporto c'è (e c'è) ciò dipende anche, e magari principalmente, dai sentimenti diffusi in una certa epoca e ai modelli culturali dominanti i quali in ogni caso si tramandano, e si corrompono, attraverso incroci, contaminazioni e altre influenze che finiscono per smontare, o meglio ancora vanificare, le basi stesse della supposta fedeltà trovandosi così al cospetto di un'altra e ben diversa cosa alla quale non mancano altre e più significative ascendenze. Di ciò, va detto, Buchignani si cura poco o niente. Ciò nondimeno la sua ricostruzione ha indubbiamente del fascino, anche se negli elementi di base è tutt'altro che originale. Come studioso dei "fascisti rossi" aveva dato buna prova di sé che non smentisce in questa nuova opera, ma ipotizzare l'esistenza di ribelli di genere diverso da quello ideal-politico - nel quale fra l'altro si cura poco o niente degli anarchici - avrebbe conferito al suo lavoro gli indispensabili parametri antropologici, senza contare che una maggior attenzione alle idee e alla loro complessa formazione non avrebbe guastato, anzi!

“Fogli di Via”, marzo-luglio 2017