Carlo Luigi Lagomarsino

Hoppe, Rand, Ricossa: tre libri

Nella collana "laissez faire" di Leonardo Facco editore da Treviglio, con prefazione di Raimondo Cubeddu, è uscita la prima traduzione italiana in volume di un lavoro di Hans-Hermann Hoppe, già allievo di Habermas in Germania e oggi -dopo aver incontrato il pensiero dei libertarians americani- collaboratore assai influente e attivo di tutta la stampa "anarco-capitalista", nonché insegnante di economia a Las Vegas, nella medesima Università dove Murray Newton Rothbard divenne "professore emerito". Le stesse minuscole edizioni avevano proposto, or non è molto, un libricino che dava conto della "conversione" di Sergio Ricossa da liberale a libertario. Il loro catalogo, benché esiguo, sta assumendo un profilo battagliero che sembra accentuarsi attraverso quella grafica noncurante e un po' guascona che caratterizza i poligrafi impegnati a cimentarsi con le idee come in una zuffa. Un impianto ben diverso, dunque, da quello caro all'editore Liberilibri di Macerata che nella sua semplicità ottiene la pulizia dei classici. In qualche misura la differenza è fatta anche dalle scelte di catalogo e, sebbene una certa "ortodossia" li accomuni, nel secondo sembra di poter scorgere un'ampiezza di vedute proibita al militante canonico.

Contemporaneamente alla pubblicazione di Hoppe presso Leonardo Facco, Liberilibri ha mandato alle librerie (le poche che ne espongano la produzione) la prima tardiva quanto opportuna traduzione di una raccolta di saggi di Ayn Rand (i romanzi della scrittrice ebrea-russa-americana, fra Baldini&Castoldi, Accademia e Garzanti, erano stati a suo tempo interamente pubblicati). In tutte e due i casi l'ortodossia è comunque fatta salva, perquanto in quello della Rand soltanto sul piano della filologia storiografica relativa alla diffusione delle idee. La Rand, infatti, era un'assertrice del governo, seppur minimo, al contrario di Hoppe che è anarchico. La distinzione fa del resto parte integrante, fino alla noia, della storia dei Libertarians. Ad Hoppe ci pare in ogni caso che manchino tanto la freschezza mentale che la levità, per non dire della simpatia, che si riscontra negli altri scrittori che collaborano alle sue stesse riviste (dirige, fra l'altro, il "Journal of Libertarian Studies" con Walter Block, ma fra i due, perlomeno nel senso indicato, sembra esserci un abisso). Hoppe è grave e ancor più lo diventa quando vorrebbe (forse) esser sollazzevole. Il suo libro si chiama Abbasso la Democrazia!, ma la sue critiche in proposito sono niente affatto incalzanti, quantunque la parte che dedica alla cosiddetta "globalizzazione", ricondotta opportunamente alla categoria del centralismo, paventi in modo convincente l'incubo del governo mondiale che potrebbe essere in fase avanzata di costruzione. Meglio aveva fatto (proprio nella critica alla democrazia) in un saggio dedicato all'idea monarchica.

Il libro della Rand, la Virtù dell'Egoismo, prefato da Nicola Iannello, contiene alcuni testi dei primi anni Sessanta e venne pubblicato nel 1964, due anni prima del suo saggio più famoso, Capitalism: the Unknown Ideal. La Rand, come peraltro i Libertarians, intendeva dar corpo a una filosofia sistematica che chiamava "oggettivismo". La sua sistematicità resta tuttavia molto al di qua della completezza e, per quanto si mostri intransigente, mantiene in campo numerose mezze tinte le quali, volendo apprezzare il tutto in forza d'una tensione illuministica, rendono questi saggi sufficientemente vaghi (difficile è però riuscire a definirli "poetici") da poterli leggere -a maggior ragione trattandosi di saggi sull'etica- alla luce di una sorta di illuminismo nietzschiano. Cosa che nell'estremismo razionalista dei Libertarians -i quali nel pianeta liberale-libertario paiono il corrispettivo dei "bordighisti" in quello comunista- appare arduo.

Ricossa, infine. Da Liberale a Libertario raccoglie saggi disparati e medaglioni ariosamente giornalistici che rendono bene l'idea (un saggio è dedicato alla libertà di poter coniare moneta) del perché a un certo punto l'autore abbia trovato stretti gli abiti di "liberale einaudiano" che aveva lungamente vestito. Soprattutto è l'occasione per accostare un autoritratto (il professore torinese pergiunta dipinge, ma qui si tratta d'altro) sollecitato da Alberto Mingardi, curatore di collana.

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 vedi anche l'album Ayn Rand in archivio